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Machiavelli, Vita e opere

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Machiavelli. Vita e opere.



Vita.


La vita di Machiavelli può essere separata in due fasi che si vedono divise dalla data del 1512, quando i Medici tornarono a Firenze e lui fu costretto ad abbandonare la sua attività politica.

Nacque a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese. Studiò da umanista i classici latini e sembra collegarsi di più alla corrente di più alla corrente aristotelica e averroista, che però riscontrava meno favori nell'ambiente fiorentino. Riprese anche l'umanesimo civile, che sollecitava gli intellettuali ad un impegno politico. Infatti fino al 1512 esercita varie cariche della Repubblica; poi in quell'anno il governo fiorentino cadde e ritornarono i Medici, così che lui fu costretto a ritirarsi all'Albergaccio, un suo podere, e dedicarsi esclusivamente all'attività letteraria, anche se con la speranza di essere richiamato a Firenze dalla corte medicea. In seguito, dopo vari viaggi in giro per l'Italia, ottiene finalmente la revoca all'interdizione a ricoprire cariche pubbliche e si rappacifica con la cascata fiorentina. Successivamente però questi saranno cacciati di nuovo e con loro Machiavelli che poi muore nel 1527.






Il principe.


Il principe fu composto, quasi sicuramente, nel corso del 1513. La dedica al principe rappresenta una chiara rivendicazione, da parte di Machiavelli, della propria professionalità e competenza, in un momento in cui una grande e continua malignità di fortuna lo ha privato del suo incarico politico. Machiavelli si rivolge quindi al principe per illustrargli che cosa è un principato, quanti tipi ce ne sono, come si acquistano, come si mantengono e perché si perdono, come egli stesso scrive in una lettera all'amico Francesco Vettori. Sono dunque chiari il contenuto e la finalità dell'opera: essa non è dunque un discorso teorico sul fondamento dello Stato, sulla sua leggitimità, sulle sue finalità, ma un'analisi tecnica di come si debba gestire il potere politico. I primi undici dei ventisei moduli trattano dei tipi di principati e dei modi più adatti a conservarli. L'interesse dell'autore si concentra soprattutto sui principati nuovi, perché in essi è più chiaro ed esemplare il ruolo del principe, che ha acquistato il potere e si trova nella necessità di mantenerlo senza poter contare su alleanze di antica data o sulla forza delle tradizioni. La virtù del principe, intesa come la capacità di compiere valutazioni corrette e di agire in modo prudente e coraggioso, si accomna qui alla fortuna, intesa come l'insieme delle circostanze storiche che hanno permesso al principe di prendere potere e di mostrare il proprio valore. La fortuna è arbitra della metà delle nostre azioni e non è eliminabile dalla vita dell'uomo; tuttavia l'audacia e il coraggio del principe e il coraggio del principe- la sua virtù- possono determinare in gran parte il corso degli eventi, piegando anche la sorte avversa. L' uomo è quindi padrone del proprio destino, può essere l'eroe degli eventi che lo riguardano: concezioni in cui Machiavelli rivela l'ispirazione rinascimentale del proprio pensiero e della propria visione del mondo.

In seguito Machiavelli passa a trattare il problema delle milizie. La forza è un requisito indispensabile dell'azione del principe: coloro che non hanno armi, come dimostra l'esperienza di Savanarola, sono inevitabilmente destinati a soccombere. L'apparato militare deve essere una delle principali preoccupazioni di chi regge il potere. Le milizie mercenarie non danno nessun affidamento, ma anzi sono viste da machiavelli come la causa della crisi italiana. Sono dunque necessarie le milizie cittadine, e la difesa dello Stato deve essere affidata a coloro che lo formano: inquadra cioè la via sulla quale si incammineranno tutti gli stati moderni, cioè la creazione di un esercito nazionale. Passa poi ad enunciare la propria concezione politica; la politica è l'arte di raggiungere più facilmente il fine prefisso, escludendo dalla politica sia valori assoluti o universali sia principi di carattere religioso. Il problema fondamentale del principe è gestire il potere nel modo più saldo e duraturo, e la sua virtù veniva misurata non dalla sua obbedienza a leggi morali o divine, ma dai risultati della sua azione: non importa dunque come raggiungere il proprio scopo, ma assume importanza solamente raggiungerlo. Questa concezione destò molto scandalo, perché andava contro una tradizione che concepiva il potere politico come derivante da Dio e quindi subordinava l'azione politica alla realizzazione di fini universali e trascendenti.

Il principe si conclude con la celebre Esortazione. Machiavelli invita i Medici a prendere l'Italia e liberarla dalle mani dei barbari. L'Italia senza capo, battuta, accoglierebbe con entusiasmo un redentore xhe la liberasse dal dominio straniero.

Il rapporto virtù fortuna costituisce un nodo fondamentale del trattato e il campo del loro scontro è proprio la politica.

Il termine virtù non ha il senso morale di oggi, ma indica la capacità tecnica del principe di agire politicamente, la sua energia di azione risoluta nel predisporre e conseguire il proprio fine servendosi di tutte le circostanze propizie.

Machiavelli nella virtù vede da parte dell'uomo la possibilità di intervenire sulla situazione storica, di modificarla a proprio favore. L'autore riconosce anche però che l'uomo e il principe sono sottoposti al potere imprevedibile della fortuna, il mutamento casuale e incontrollabile degli eventi, una forza che domina almeno metà degli eventi umani, e che la virtù può volgere in senso positivo solo se è in grado di cogliere parte calcolabile di questa incessante variazione.




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