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PRIMO MONTALE (Genova 1896-1926)

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PRIMO MONTALE   (Genova 1896-l926)

Storia: L'Italia è un paese sostanzialmente contadino, dominato da una borghesia agraria fortemente conservatrice, solo all'inizio della rivoluzione industriale. I problemi dell'unificazione risorgimentale sono ancora aspri, il divario culturale Nord Sud pone le basi di quello che sarà sempre il problema Italiano.

Le arti: il Manifesto del Futurismo è pubblicato a Parigi nel 1909.I crepuscolari si affermano in Italia.

Montale studia privatamente assistito dalla sorella Marianna, la famiglia, originaria di Monterosso, agiata borghesia di scagno ovvero di commercio, abita a Genova.

Storia: Guerra Italo-Turca, conquista della Libia, (1911), Prima Guerra Mondiale (1914-l918), Montale è arruolato e parte per il fronte.

La vittoria (1918), dopo i mesi cupi della disfatta di Caporetto. Le difficoltà del dopoguerra assistono la nascita del fascismo (1919) indebolendo i governi incapaci di gestire le tensioni sociali e la protesta operaia e contadina. Il dibattito all'interno dei socialisti diventa duro si forma l'ala stalinista, si prepara la scissione di Livorno (1921) e la nascita del Partito Comunista Italiano.



La riforma agraria e la politica di incentivi del Governo innescano un periodo di relativa espansione economica. L'industrializzazione del Nord ha inizio.

Le arti: avanguardismo letterario, il futurismo sconquassa i paradigmi della corrente cultura espressiva. Il Vate emergente di quegli anni è D'Annunzio (1865-l938) (Impresa di Fiume 1919).

Montale, nel 1916 compone Meriggiare pallido e assorto che verrà pubblicata negli Ossi di Seppia (prima edizione Gobetti 1925, Torino).E' la poesia che rappresenta al meglio questo periodo.


Meriggiare pallido e assorto .

La separazione tra la nostra vita e il resto è espressa con una ura precisa: una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. La luce abbagliante del sole, le scaglie di mare lontano e i suoni del meriggio partecipano l'intenso affetto esistenziale e rendono viva e presente la triste meraviglia.

 Storia (1924): Il Fascismo al potere e al massimo della popolarità. Il regime si macchia di gravi delitti politici (Giacomo Matteotti e i fratelli Rosselli): chi dissente viene trattato dalle squadre di manganellatori e costretto a bere litri di olio di ricino. Il consenso viene quindi garantito da una parte con i favori del regime, con la demagogia e con l'esaltazione nazionalista, dall'altra con i picchiatori.L'Italia diventa Impero. Il Duce controlla informazione, formazione e cultura.Il regime occupa ogni campo dell'arte: la letteratura è funzionale al regime la pittura e la poesia sono celebrative. Il Futurismo risulta così organico ai temi del regime da divenirne quasi l'emblema.

Montale inizia le sue letture anglosassoni (T. Eliot).

In un primo tempo, pubblica la raccolta di versi Accordi nel 1922. Nel 1925 per le edizioni Gobetti di Torino esce Ossi di Seppia. Sempre nel 1925 Montale firma il manifesto antifascista di Benedetto Croce, che esce su L'Esame, il saggio su Italo Svevo (Omaggio a Italo Svevo).


La poesia che rappresenta questo periodo e che spesso viene citata come dichiarazione politica (o non politica) di Montale è 'Non chiederci la parola', sempre da Ossi di Seppia:


Non chiederci la parola che squadri da ogni lato .

Una dichiarazione di non appartenenza e di non volontà. Diverse possono essere oggi le interpretazioni anche alla luce della non appartenenza di Montale al dibattito (scontro) politico culturale degli anni 70. La posizione di Montale può essere quella di chi sostiene come prioritario diritto della persona, quello alla astrazione: quando per non essere conniventi e per denunciare un regime diventa necessario sottoscrivere un'altra impossibile ideologia, la non appartenenza è l'unica denuncia possibile, l'unico impegno accettabile. Oppure è un diritto del Poeta quello di non coinvolgersi e di vivere al di sopra delle categorie correnti denunciando tutta la miseria della condizione umana, senza distinzione e senza scelta di campo? Di fatto Montale soffriva e disprezzava la volgarità culturale fascista e si sentiva rabbiosamente impotente contro la marea conforme. La sua scelta di campo era dunque precisa e lui la definiva semplicemente decenza.



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