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Primo Levi



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La scritta che sovrasta il cancello di Auschwitz suona beffarda: 'Arbeit mach frei', il lavoro rende liberi. Levi capisce subito che in quel punto «tutto è una grande macchina per ridere di noi, per vilipenderci, e poi è chiaro che ci uccidono, chi crede di vivere è un pazzo, vuoi dire che ci è cascato».
Non può esistere libertà senza identità e questo i nazisti lo sanno bene. 174517 questo è il nuovo nome di Primo Levi. Un battesimo rapido e pungente di colore azzurrognolo tatuato indelebilmente sul braccio. Senza il numero non sei nessuno e se non sei nessuno non mangi «solo mostrando il numero si riceve il pane e la zuppa». Dietro ogni numero una storia, una vita, un essere umano. «Ognuno tratterà con rispetto i numeri dal 30000 all'80000: non sono più che un qualche centinaio, e contrassegnano i pochi superstiti dei ghetti polacchi».

La liturgica ossessività del lager diventa l'inutile e meccanica ripetizione di un rito estinto: la vita. «Si immagini ora un uomo a cui con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base a un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine 'campo di annientamento' e sarà chiaro cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo».
Sopravvivere per raccontare e testimoniare questo diventa l'imperativo di Primo Levi.



Ed è proprio in quel punto che inizia a scrivere Se questo è un uomo; «scrivo quello che non saprei dire a nessuno». Sopravvissuto Primo Levi torna nella sua Torino. Le maggiori case editrici rifiutano il suo libro. Nel 1947 Franco Antonicelli direttore di una piccola casa editrice accetta di pubblicarlo: 2500 copie e poi l'oblio fino al 1958 quando Einaudi decide di ristamparlo. Se questo è un uomo incontra il favore del grande pubblico, viene tradotto in sei lingue e ridotto per la radio e il teatro. Non c'è lamento e odio in questo libro. È un canto collettivo e struggente dove rivivono le voci di tutti coloro che non possono più testimoniare. Il linguaggio che usa Primo Levi è sobrio, pacato e preciso come deve essere quello di un testimone. «Pensavo che la mia parola sarebbe stata tanto più credibile e utile quanto più apparisse obiettiva e quanto meno suonasse appassionata; solo così il testimone adempie alla sua funzione, che è quella di preparare il terreno al giudice. I giudici siete voi».


Lo scrittore Primo Levi è forse una delle voci più originali del panorama degli scrittori del secondo dopoguerra italiano e sicuramente una delle personalità più enigmatiche per quanto riguarda la sua biografia.

La traccia principale dei suoi libri rimarrà in qualche modo sempre l'esperienza traumatica fatta nel campo di concentramento di Auschwitz ed essa si presenterà sotto forma di ricordo e di rielaborazione dell'esperienza in tutta la sua attività di romanziere.


Questo tema si fa sentire come esercizio di scrittura, come bisogno d'indagine e di confessione, come un dovere morale e civile che va oltre l'attività del romanzo ma è lasciata trapelare attraverso scritti autobiografici, interviste, interventi e dibattiti.

Nasce a Torino nel 1919 e lì muore nel 1987. La caratteristica principale è la sua origine ebrea che avrà un ruolo principale anche nella sua attività letteraria. Di professione chimico, eserciterà l'attività di scrittore con riservatezza per tutta la vita fino all'inatteso e sconvolgente suicidio del 1987.

Levi vive fino al 1938 come un normale studente di famiglia agiata con una particolare propensione per le materie scientifiche. La prima esperienza drammatica è quella delle leggi razziali volute da Mussolini anche per l'Italia. Da italiano con origini ebree il nostro si ritrova da quel momento in uno stato di continuo controllo e persecuzione.



Egli decide di unirsi come molti altri intellettuali nel 1942 a un movimento partigiano che compie azioni di disturbo in Val d'Aosta. Questa esperienza non dura però a lungo, anzi si conclude prestissimo con l'arresto e la reclusione in un campo di concentramento vicino Modena. Il campo di concentramento dove Levi è rinchiuso, in un primo momento gestito da un'amministrazione fascista, della quale Levi parla con una certa benevolenza, nel senso che non veniva trattato troppo male, passa nel 1944 sotto il controllo tedesco, i quali deportano la totalità dei prigionieri ad Auschwitz in Polonia.

Nell'introduzione del suo romanzo più conosciuto, Se questo è un uomo, del 1947 Levi ricorda che lui stesso fu abbastanza fortunato ad essere deportato lì solo nel 1944, poichè i tedeschi avevano grosso bisogno di manodopera e avevano deciso di non uccidere i prigionieri, bensì di migliorare relativamente il tenore di vita in modo tale che gli stessi potessero lavorare. Fu in effetti questa una coincidenza fortunata che consentì all'autore di salvarsi e sulla quale, si intende la buona sorte, egli ritorna spesso.

Il lager ha una fortissima influenza sulle sue convinzioni. Egli stesso dichiara: 'sono diventato ebreo ad Auschwitz. La coscienza di sentirmi diverso mi è stata imposta. Qualcuno per nessuna ragione al mondo, stabilì che io ero diverso ed inferiore. Per naturale reazione io mi sentii in quegli anni diverso e superiore'. La stessa esperienza ha una grossa influenza nella sua evoluzione religiosa fino a condurlo all' ateismo: 'C'è Auschwitz, quindi non c'è Dio'. La permanenza di Levi nel campo di concentramento dura un anno, dopo che i tedeschi in ritirata lo abbandonano con altri prigionieri malati.

Da questo momento e cioè dal giugno all'ottobre del 1945 Levi intraprende un viaggio avventuroso attraverso mezza Europa per ritornare in Italia. Qui si reinserisce alla fine della guerra nella vita normale e prende a lavorare in una ditta chimica dove farà carriera e rimarrà fino al 1975.

La professione di scrittore viene esercitata in parallelo a quella di chimico, semplicemente dettata dall'esigenza di raccontare agli altri la sua incredibile esperienza che poi si sviluppa maggiormente arricchendosi di temi e motivazioni sempre nuove.







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