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SAUL



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SAUL


L'Alfieri sembra muoversi all'interno di un circolo vizioso e, come già avveniva nei trattati politici, l'alternativa tra tirannicidio e suicidio si rivela fittizia. L'eroe e il tiranno sono ure solo apparentemente antitetiche, sono due facce di una stessa personalità. Esse incarnano l'eterno conflitto tra il bene e il male, la lacerazione psicologica, la doppiezza degli istinti che convivono in un solo uomo. L'eroe suicida non è molto diverso da chi, nel sopprimere il tiranno, uccide "l'altra parte di sé". nelle ultime tragedie i personaggi non protagonisti assolvono una funzione ormai marginale e tendono a sfumare, quasi a sire rispetto all'"un solo", preda e vittima della propria inquietudine, travolto dal processo fatale e irreversibile che lo condurrà alla distruzione o, più spesso, all'autodistruzione.

Tale aspetto si nota benissimo nelle tragedie maggiori, il Saul e la Mirra, che a ragione possono essere definite "tragedie psicologiche". In ambedue il protagonista è unico, un personaggio "appassionato di due passioni tra loro contrarie", che "a vicenda vuole e disvuole una cosa stessa". Questo conflitto di sentimenti determina la crisi di re Saul, lacerato tra la superbia e il senso di colpa verso il genero David, tra la brama di dominio, non ancora spenta, e il profondo affetto paterno. Saul è consapevole della propria iniquità nel perseguitare David, ma è incapace di porvi rimedio, perché in David, che Dio ha destinato a succedergli sul trono, egli, già vecchio, vede il trionfo della giovinezza e della forza che la natura stessa gli impedisce ormai di avere.



L'Alfieri sottolinea vigorosamente lo scontro tra l'aspirazione dell'individuo ad affermare se stesso attraverso un eroismo sovrumano e la consapevolezza dei limiti imposti dalla fragilità umana. Dalla contraddizione emerge un senso profondo di pessimismo, una tendenza a ripiegarsi, a indagare dentro di sé e, infine, quasi una forma d'incapacità di vivere, che spinge a cercare la liberazione nella morte.

Le tragedie alfieriane riprendono il modello classico e rispettano le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, ma l'esigenza piú forte dell'autore è quella di giungere a un massimo di chiarezza ed essenzialità. Il suo scopo mira infatti a lasciar emergere il nucleo tragico, che deve coinvolgere il pubblico eliminando ogni possibile distrazione.

TRAMA

Il primo atto mette subito in scena David impegnato in un monologo. Egli svela ad apertura di sipario di essere perseguitato da Saul, fomentato dal perfido Amner, nonostante il suo valore e nonostante il legame di parentela che lo lega al re, avendone sposato la lia, Micol. Lo rincuora l'amico Gionata, che lo informa d'altra parte del pericolo in cui versa Israele, sotto la minaccia dai Filistei. Anche il secondo atto introduce subito un monologo, quello di Saul, stavolta, che ricorda i tempi felici della sua giovinezza, e si sofferma aspramente sull''empio spirito', l'oscuro sconvolgimento psicologico, che lo ha portato all'odio verso David, un tempo suo amico carissimo. Con il terzo atto, dopo un apparente momento di tregua delle passioni, Saul si scaglia di nuovo contro David, accusandolo ingiustamente di aver rubato la spada di Golia, conservata nel tabernacolo di Nob. David lo placa con il suo canto, espresso in un ampio polimetro. Il IV atto vede di nuovo al centro dell'attenzione Saul, da un lato sconvolto dal sentimento di odio misto a stima per David, dall'altro per la lucida e impietosa consapevolezza di come David sia in mano alle mire e ai disegni della classe sacerdotale che vuole distruggere la sua stirpe dinastica. Fa così uccidere il sacerdote Achimelech, accusandolo di aver aiutato David. Nell'atto V, infine, viene mostrato un personaggio sconvolto dai suoi impeti più oscuri ed incontrollabili. La situazione peraltro è ormai giunta ad un altissimo livello drammatico, e con essa l'azione, al suo culmine, in seguito all'avvicinarsi dei Filistei, che hanno decimato l'esercito di Israele. Saul non sente più alcuna speranza di risoluzione. È proprio quest'ultima che però lo porta a risolvere le più profonde ambivalenze del suo io, permettendogli di riacquistare così la sua dignità di padre e di re, tramite la morte. Al centro della tragedia, il protagonista, sovrano assoluto non più così certo né convinto della sua onnipotenza, suggerisce una delle questioni politiche più attuali nell'Europa di fine Settecento ormai alle soglie della rivoluzione francese: quella dell'ereditarietà del potere. Il problema, fulcro degli stessi modelli tragici classici, dopo aver attraversato tutta la modernità, con il culmine dell'Amleto di Shakespeare, giunge ad Alfieri, che lo sottopone a giudizio generale, in tutta la sua drammaticità. I protagonisti delle opere precedenti si trasformano: Alfieri non mette più in scena ure che incarnano individualmente caratteri unici, visibili dal contrasto dei personaggi stessi, ma anzi rappresenta la battaglia psicologica all'interno di un unico personaggio, denso di chiaroscuri, sfumature; eroico nella sua immensa forza, ma reale, quasi 'borghese', nella sua contraddittorietà.

Alfieri giunge con il Saul alla consapevolezza della reale miseria della condizione umana, che è ben rappresentata dal sovrano orgoglioso che scopre la sua intima debolezza, e non ha la forza di opporvisi attivamente perché non ha nessuno contro cui lottare, in quanto il disagio è interiore, tanto che va incontro deliberatamente alla morte, unica forma di liberazione dal suo tormento.



Al profondo disagio interiore che caratterizza la ura del re Saul e, più in generale, l'intera tragedia, corrisponde uno stile altrettanto contraddittorio, caratterizzato dall'alternarsi di lunghi monologhi e battute estremamente brevi, talvolta addirittura monosillabiche (Atto quarto - scena II); questa alternanza esprime in modo estremamente efficace il conflitto interiore del re, che si trova solo a combattere contro la propria individualità.

Continue sono le variazioni di ritmo, le pause, le fratture presenti all'interno dei versi, le inversioni e gli enjambement.



SAUL: è lio di Kis e Re di Israele, un tempo grande condottiero ora è un uomo roso dalla gelosia per il successo di David e sospettoso nei confronti di tutti (anche dei li). Il secondo atto introduce subito un monologo, quello di Saul, che ricorda i tempi felici della sua giovinezza, e si sofferma aspramente sull''empio spirito', l'oscuro sconvolgimento psicologico, che lo ha portato all'odio verso David, un tempo suo amico carissimo. Infatti Saul guarda con amarezza allo scarto tra il suo glorioso passato di giovane coraggioso e il suo squallido presente di vecchio e folle monarca. Il declino della sua potenza bellica, la consapevolezza dell'ormai assente aiuto di Dio, la vecchiaia alle porte sono per Saul un peso troppo forte e sarà questo peso che lo farà impazzire trascinandolo in un turbine di follia che risulta evidente nei suoi rapporti con David. Il suo obiettivo è quello di riacquistare la grandezza perduta, stroncare qualsiasi cospirazione e mantenere il potere a qualunque costo.

Saul non ha in tutta la tragedia un'antagonista della sua dimensione psicologica o, piuttosto, lo ha in se stesso: egli è, cioè, insieme eroe e tiranno di se medesimo e unisce e fonde nella sua complessa interiorità slanci ed entusiasmi eroici, di un lontano e superstite eroismo, e ombrosità, suscettibilità e malvagità tiranniche. Pertanto quel dissidio tra l'eroe e il tiranno che si rivela così frequentemente nelle altre tragedie, è qui, come nella Mirra, del tutto interiorizzato. Saul è solo perché il vero conflitto lo impegna con se stesso; e la sua solitudine potenzia l'umanità o, meglio, la naturale tragicità del personaggio.

Saul è il tirannicida. Questa affermazione è apparentemente contraddittoria, in quanto Saul stesso diventa in seguito alla sua follia un terribile tiranno. La ura del tiranno come la intendeva Alfieri è l'immagine riflessa della follia di Saul, un uomo disperso nella sua follia e nella sua paura che sfocia nella tirannia. Saul capisce di avere un unico modo per liberarsi dalla tirannia che c'è in lui: la scelta finale. Scelta che compierà alla fine della tragedia come ultimo disperato gesto di umanità e come unico mezzo per preservare quel poco della sua regalità che gli è rimasta. Saul uccide se stesso rifiutando in questo modo quello che lui era irrimediabilmente diventato: l'espressione della tirannide. In una specie di "muoia Sansone con tutti i filistei" Saul si toglie la vita, liberandosi dalla sua follia e dalla sua consapevolezza di essere pazzo, rimettendosi forse, alla pietà di Dio. Saul, uccidendo se stesso, rinnega e uccide anche la tirannide che lo possiede.



Saul è ormai un uomo accecato dalla sua stessa follia e, quel che è peggio, è che nel temporale furioso delle sue sensazioni sconvolte, lampi di lucidità lo illuminano sulla sua tremenda condizione di pazzo. Non credo che per un uomo ci possa essere niente di peggio che impazzire e rendersene conto al tempo stesso. Saul è ormai un ciclone di sentimenti contrastanti, è dilaniato dalla battaglia tra la sua follia e la sua saviezza. In questa tremenda lotta, Saul sperimenta la solitudine dell'incertezza totale dei suoi giudizi, capisce di non fidarsi ormai più di nessuno. Dirà "Di me soltanto, di me solo io non tremo" ma si sta sbagliando. Il terrore, la paura degli altri deriva proprio dal fatto che egli non riesce più a fidarsi di se stesso. Per questo Saul diventa timoroso di tutto e di tutti: avendo perso la capacità di scindere anche nella forma più grossolana il bene dal male, egli è ormai un uomo in balia dei nemici e senza la difesa di nessun amico sicuro. Il dramma deve essere stato grande e può aver trovato la sua fine solo nella tragica e folle fine di Saul.

David: è lio di Iesse, uomo d'armi, è convinto che Israele abbia bisogno di una guida forte e sicura, ama profondamente sua moglie Micol ed ha un enorme rispetto per Dio e per i suoi sacerdoti. Proprio per questo suo rispetto, il suo rapporto con Achimelec, anziano capo dei sacerdoti d'Israele, è molto saldo. Quest'ultimo considera David come il legittimo successore di Saul a re di Israele seguendo le indicazioni del Signore date tramite il profeta Samuele. Quindi tenta di far diventare David re al posto di Saul e proteggere la casta dei sacerdoti dalle ire di quest'ultimo. Del suo personaggio emergono le doti forza interiore e fisica , di amore per la patria e di affetto verso ciò che ama , come per esempio la dolce Micol , dalla quale è sempre stato dolorosamente allontanato.

MICOL: E' la lia minore di Saul e moglie di David. Proprio per questo è straziata dall'amore per il marito e dall'affetto che prova per il padre. Questi due sentimenti sono di pari intensità. Farà di tutto per proteggere il suo sposo, ma ugualmente si comporterà con Saul. Il suo obiettivo è quello di cercare di riconciliare Saul e David.

GIONATA: E' uno dei li di Saul. Grande amico di David, rispettoso della religione, ubbidirà sempre al padre tranne quando questo gli chiederà di compiere atti contrari alla sua morale. Anche il suo obiettivo è quello di far desistere il padre dall'odio contro David e riconciliare i due.

ABNER: è lio di Ner. Generale dell'esercito d'Israele, braccio destro di Saul (è lio del cugino), nutre un profondo odio per la casta sacerdotale e per David che ritiene essere lo strumento dei sacerdoti per guidare il potere politico. Data la sua posizione difficilmente può agire di persona, ma cerca di assecondare tutte le manie di persecuzione del re Saul. Il suo obiettivo è quello di eliminare dalla scena David ed i sacerdoti (anche fisicamente se necessario). E' il consigliere di Saul. Egli pare voglia aiutare il re, invece intende soltanto agire sulla sua volontà per poter manipolarlo secondo i suoi scopi le sue intenzioni, cioè giungere al potere e cacciare l'odiato David. Abner riesce a realizzare i suoi obiettivi per mezzo di atti di falsità e menzogna.






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