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Stephane Mallarmé

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Stephane Mallarmé nacque a Parigi nel 1842. Uomo modesto e schivo, Mallarmé ebbe un'infanzia difficile; di origine piccolo-borghese, rimase orfano di padre a cinque anni e la sua tristezza venne accentuandosi alla morte precoce della sorellina Maria. Studiò, senza eccellere, al collegio d'Auteuil dove nel 1860 ottenne il Baccalaureato. Dovette subito cercarsi un impiego e lo trovò all'ufficio del registro di Sens.

Cercò rimedio alla decisione del lavoro nella lettura di Baudelaire che influì grandemente su di lui, tanto che i suoi versi risentirono subito del contrasto tra realtà e sogno, in un'ispirazione decadente.

Per studiare l'inglese si trasferì in Inghilterra (1862) dove però il suo soggiorno si rivelò economicamente difficile. Un anno dopo il suo ritorno in Francia, sposò una giovane istruttrice tedesca, dedicandole un affetto tenero, ma mai appassionato.

Ottenne la cattedra d'inglese ma per trentanni insegnò senza gusto e senza passione, passando da città in città. Insegnare per lui era sottrarre tempo alla poesia, al gusto all'amore della libertà (che esprime anche nei suoi versi). La sua poesia esprime con vigore il sogno della purezza e del distacco dal mondo: l'opera poetica è miracolosa come la creazione, ma al termine d'una faticosa ascesa, non v'è che nulla, la ina bianca, il silenzio.

Giunto a Parigi frequentò poeti come Verlaine e altri artisti e ottenne la direzione della rivista La derniere mode. Nel 1876 non riuscì a pubblicare la definitiva versione del Pomeriggio di un fauno, rifiutato dai parnassiani perché troppo crudo. La fama gli venne dopo la citazione che di lui fece Huysmans nel suo A Ritroso del 1884. Da allora fu considerato un caposcuola e i suoi martedì -giorno in cui riceveva gli amici- divennero il più prestigioso cenacolo letterario del tempo. Nonostante i molti contatti, i moltissimi impegni, che generalmente lo distruggevano, continuò a sentirsi solo. Morì nel 1898.



Opere

ANNO

TITOLO


Il Pomeriggio D'un Fauno


Parnaso Contemporaneo


La Musica E Le Lettere


Divagazioni
Un Tratto Di Dadi Non Abolirà Mai Il Caso

I temi

In tutte le sue opere ritorna il tema della Fuga dalla realtà: il disprezzo per il dato grezzamente naturalistico, per la descrizione oggettiva sogno di evadere in un mondo di incontaminata purezza.

Brezza marina
La carne è triste, ahimè! E ho letto tutti i libri.
Fuggire laggiù, laggiù! Io sento uccelli ebbri
d'essere tra l'ignota schiuma e i cieli!
Niente, né antichi giardini riflessi dagli occhi
Terrà questo cuore che già si bagna nel mare
O notti! Né il cielo deserto della lampada
Sul vuoto foglio difeso dal suo candore
Né giovane donna che allatta il bambino.
Io partirò! Vascello che dondoli l'alberatura
L'ancora sciogli per una natura straniera.
E crede una noia, tradita da speranze crudeli,
Ancora nell'ultimo addio dei fazzoletti!
E gli alberi forse, richiamo dei temporali,
Son quelli che un vento inclina sopra i naufraghi
Sperduti, né antenne, né verdi isolotti
Ma ascolta, o mio cuore, il canto dei marinai.

La capacità del poeta di raggiungere la vera conoscenza, quella dell'essenza, dell'anima delle cose. C'è nelle cose, al di là e al di sotto delle categorie entro le quali la nostra conoscenza le inquadra (rapporti di spazio, tempo, causalità, vedi filosofia di Bergson) una trama, una vita segreta impercettibili con la logica ed esprimibili e visibili solo attraverso la poesia, e solo attraverso la sapienza del poeta nell'orchestrare rapporti di analogie e di simboli.

La poetica

Evita ogni realistica, e quindi limitata e condizionante, puntualizzazione (atteggiamento dei parnassiani).

i parnassiani prendono l'oggetto così com'è e ce lo mettono davanti e per questo mancano di mistero: perché privano la mente dell'incanto di credere che sta creando. Definire un oggetto è annullare i tre quarti del godimento della poesia, che nasce dalla soddisfazione di indovinare a poco a poco: suggerirlo, evocarlo è questo che ammalia la fantasia.

Depura il linguaggio da tutte le incrostazioni e i detriti di cui la comunicazione giornaliera (l'uso che ne fa la tribù) lo ha caricato per dare un senso più puro alle parole della tribù

Riscopre il potere magico che ha la parola, la quale può diventare creatrice di realtà, commuove e scuote profondamente:

io dico: un fiore! E, fuor dell'oblio, musicalmente si leva, idea stessa e soave, l'essenza di tutti i fasci dei fiori

Ricorre al simbolo: ma il simbolo deve essere scelto dal poeta a rappresentazione di alcune sue intuizioni particolari, che costituiscono una specie di travestimento per tali intuizioni. Così in Brindisi (il sonetto, pubblicato come prologo alla raccolta delle sue poesie, fu letto da Mallarmé come un vero e proprio brindisi in segno di augurio per i giovani poeti presenti ad un banchetto) il verso appena nato è come un nulla, una schiuma che empie la coppa con cui il poeta brinda, ed ha la bellezza e l'eleganza di un gruppo di sirene che tuffandosi rompono la calma distesa del mare. Il poeta ed i giovani colleghi navigano insieme per le vie dell'arte, egli ormai sulla poppa reggendo il timone, essi invece, pieni di ardore e di speranza, sulla prua che fende i flutti turbinosi.

Il poeta-maestro non teme la bella ebbrezza che lo pervade ed augura ai giovani di percorrere il cammino dell'arte accettando quanto essa comporta: l'isolamento della solitudine, la luminosità delle stelle, il pericolo della scogliera. La metafora che è alla base della lirica, l'attività poetica rafurata come l'ardua navigazione dietro la bianca vela della fantasia, si arricchisce di similitudini e di analogie (v. la terzina finale) che offrono l'indicazione del linguaggio rarefatto di Mallarmé.

Nulla, una schiuma, vergine verso
Solo a indicare la coppa;
così al largo si tuffa una frotta
di sirene, taluna riversa.

Noi navighiamo, o miei diversi
Amici, io digià sulla poppa
Voi sulla prora fastosa che fende
Il flutto di lampi e d'inverni;

una bella ebbrezza mi spinge
né temo il suo beccheggiare
in piedi a far questo brindisi

solitudine, stelle, scogliera
a tutto quello che valse
il bianco affanno della nostra vela.

(da Poesie, Milano, Feltrinelli, trad. di L. Frezza)

I suoi capolavori mostrano la capacità dell'arte di evocare, attraverso corrispondenze tra sensazioni, emozioni e idee, l'essenza ideale del bello, inteso nella sua sensualità e pregnanza simbolica.

Apparizione

La luna s'attristava. Serafini in lagrime
Sognando, con l'archetto fra le dita nella calma dei fiori
vaporosi, traevano da morenti viole
bianchi singhiozzi scivolanti sull'azzurro delle corolle.
- Era il giorno benedetto del tuo primo bacio.
La mia fantasticheria, dilettandosi di martoriarmi,
s'inebriava sapientemente del profumo di tristezza
che, pur senza rimpianto e senza disgusto, lascia
l'aver colto un Sogno al cuore che lo colse.
Erravo dunque, fisso l'occhio sul selciato invecchiato,
quando, con del sole sui capelli, nella via
e nella sera tu ridendo mi apparisti,
e credetti vedere la fata dal cappello di luce,
che un tempo sui miei sonni belli di bimbo viziato
passava, sempre lasciando dalle mani mal chiuse
nevicare bianchi mazzi di stelle olezzanti.

(Da I poeti maledetti)

'In una siffatta poesia - scrive U.M. Palanza - il segreto della magica frase evocatrice si intende che è legato esclusivamente al fonema, e al suono della lingua originale e quindi, per gli stranieri, doppiamente indecifrabile. Spesso, dunque, ricercare un significato nelle poesie di Mallarmé (non in tutte però), non che difficile, è ozioso.'

Con la sua tecnica il poeta vuole attingere la verità assoluta, penetrare nel mistero universale, cogliere l'essenza del reale, le idee pure, i concetti astratti e i legami che intercorrono fra di loro, al di là e al di fuori di ogni razionalità, fino a giungere al vuoto, alla ina bianca. Il suo diviene un sacerdozio poetico: il poeta è il mediatore, l'intermediario tra il visibile e l'invisibile: 'Le religioni si trincerano in arcani misteri che si rivelano solo a coloro che sono predestinati. Anche l'arte ha i suoi arcani'.

Di qui prenderanno le mosse tutte le successive avanguardie poetiche: dai futuristi ai surrealisti, dai poeti puri come Ungaretti agli ermetici come Quasimodo.





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