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Uno, nessuno e centomila - Luigi Pirandello

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Uno, nessuno e centomila

- Luigi Pirandello -


Quali riflessioni, stati d'animo, comportamenti provoca in Vitangelo Moscarda la, scoperta delle sue molteplici personalità


Inizialmente questa scoperta lo meraviglia, poi però prende il sopravvento lo sconforto: mancandogli l'appoggio di certezze oggettive si sente vacillare, scopre di essere sempre vissuto fondandosi su illusioni, in balia dei pregiudizi e dei pareri soggettivi altrui. Questa tremenda situazione lo induce a chiudersi in se stesso, a ricercare la solitudine, ad alienarsi dalla società, e infine ad abbandonarsi alla follia come estremo rifugio per fuggire da questo dramma esistenziale. Ma appunto nella consapevolezza della parzialità dei giudizi del singolo trova la via per superare la chiusura della soggettività. Chi invece attribuisce al proprio particolare punto di vista il carattere di una verità assoluta ed indeformabile, si chiude effettivamente nel cerchio della propria limitatezza precludendosi ogni vera conoscenza. L'io consapevole non é dunque soccombente, ma all'esterno é come se lo fosse.





Che cosa vuole ottenere il protagonista con l'esperimento dello specchio? Perchè l'"esperimento, non riesce?


Dopo aver scoperto che gli altri lo vedevano e di conseguenza lo giudicavano diversamente da come si vedeva e si giudicava lui stesso, Vitangelo corre ad osservarsi allo specchio cercando di vedersi come gli altri potevano vederlo.

"Ma, prima di tutto, quella maraviglia, quel cordoglio, quella rabbia erano finte, e non potevano esser vere, perché, se vere, non avrei potuto vederle, ché subito sarebbero cessate per il solo fatto ch'io le vedevo; in secondo luogo, le maraviglie da cui potevo esser preso erano tante e diversissime, e imprevedibili anche le espressioni, senza fine variabili anche secondo i momenti e le condizioni del mio animo; e così per tutti i cordogli e cosi per tutte le rabbie. E infine, anche ammesso che per una sola e determinata maraviglia, per un solo e determinato cordoglio, per una sola e determinata rabbia io avessi veramente assunto quelle espressioni, esse erano come le vedevo io, non già come le avrebbero vedute gli altri."

Perciò per riuscire nel suo esperimento deve vedersi vivere, non imitare la vita, ma per fare questo deve prima riuscire ad acquisire spontaneità, cosa che è possibile solo separando il "sé" da quello "sconosciuto" di nome  Vitangelo Moscarda.

"Fu così istantaneo, per la spontaneità della stizza, il cangiamento dell'espressione nella mia immagine, e così subito seguì a questo cambiamento un'attonita apatia in essa ch'io riuscii a vedere staccato dal mio spirito imperioso il mio corpo, là, davanti a me, nello specchio.

Ah, finalmente! Eccolo là!

Chi era?

Niente era. Nessuno. Un povero corpo mortificato, in attesa che qualcuno se lo prendesse."

Capisce a questo punto che il suo esperimento non è realizzabile, Vitangelo non esiste di per sé, è solo un corpo vuoto che viene riempito di volta in volta dallo spirito di un altro.


Riassumi l'episodio dello sfratto a  Marco di Dio, spiegando le ragioni, del comportamento di Vitangelo, Moscarda. Indica altri esempi che, nel corso del romanzo, illustrino lo stesso concetto.


Vitangelo Moscarda si trova nuovamente impegnato in un disperato esperimento, cioè quello di distruggere la forma che gli è stata assegnata dagli altri, sorprendendoli con azioni imprevedibili e incoerenti per poi ricostruire una propria personalità autentica.

Marco di Dio è un uomo che era caduto in povertà ai tempi in cui la banca era ancora governata dal padre di Vitangelo, questi gli aveva concesso di stabilirsi in una vecchia casa di cui non richiedeva l'affitto, la concessione era poi stata sostenuta anche da Vitangelo, tuttavia ciò non fu sufficiente a salvare Moscarda dall'ingiusto appellativo di "usuraio". Vitangelo decide perciò di liberarsi per prima cosa da questo immeritato giudizio, ma in modo da sbalordire gli osservatori. Recatosi quindi da un notaio impone lo sfratto di Marco di Dio, per poi, nel momento di maggior meraviglia e ira del pover'uomo e della folla presente, fargli la donazione di una magnifica casa e di una notevole somma in denaro. La reazione a cui assiste però è del tutto inaspettata: invece di distruggere l'immagine errata di usuraio ottiene dalla folla quest'unico riconoscimento: "O oh! Sapete? L'usuraio Moscarda è impazzito!".

Dopo questo tentativo Vitangelo cerca di distruggere altre immagini di sé, quella persona debole con i direttori della sua banca e soprattutto quella del "caro Gengè" di sua moglie.


In alcune parti del romanzo vengono contrapposti NATURA (camna, animali ecc.) e UOMO (città, civiltà ecc.): spiega il significato di questo dualismo.


In tutto il romanzo si distingue un aspro contrasto tra desiderio di libertà personale e sofferenza per un conformismo spersonalizzante che incatena il protagonista ad una forma a lui estranea. Questo dualismo si concretizza in certi momenti nel contrasto tra uomo e natura. L'uomo infatti trova realizzazione di se stesso nella società civile, ma perché ciò si attui è necessario che sia presente in tutti quella coscienza nella quale si afferma la singolarità quanto il senso dell'alterità, il sentimento della finitezza di ciascuno, del limite individuale e del rapporto vicendevole, in cui si effettua il rispetto del singolo, e quindi la sua valorizzazione. Moscarda non trova riscontro di ciò nella sua comunità, che quindi non è più un fine a cui tendere, ma diviene una realtà oppressiva da cui liberarsi. La via di fuga preferita del protagonista è l'isolamento nella natura, nella quale lui scorge una sorta di "spirito divino". L'autore inoltre condanna il desiderio dell'uomo, dettato dalla presunzione, di voler sopraffare la natura e di trasgredire alle sue leggi, intenti che trovano manifestazione nell'empio disboscamento o ad esempio nell'ambizione del volo (p39).

Quindi il rapporto uomo-natura non può esistere realmente perché è privo di comunicazione e di rispetto da parte di uno nei confronti dell'altra (p.35).


Ricava da vari passi del romanzo una definizione del termine FORMA (darsi una forma).

Quali altri termini si potrebbero considerare sinonimi o affini,

quali contrapposti?


La forma rappresenta la realtà fissata per sempre, tanto che quando interviene l'accidente che libera il personaggio, tutti pensano che la diversità di comportamento sia dovuta all'improvvisa alienazione mentale del personaggio, a una sua forma di follia che scatena in tutti il riso, perché non è comprensibile da parte della massa.


Un sinonimo di forma, usato spesso dallo stesso autore, è il termine "maschera". Secondo Pirandello, inoltre, termini contrapposti sono "personalità", "consapevolezza" e "libertà" dalle costrizioni.


A) Il tema della PAZZIA: formula una definizione di pazzia secondo la concezione pirandelliana desumibile da questo romanzo


B) secondo il tuo parere,il personaggio la sente come una condizione scaturita dalla sua volontà o imposta?


A) La follia, o alienazione mentale, è la condizione nella quale i fatti commessi sono caratterizzati dall'anormalità, dall'uscire dalle norme che regolano i comportamenti della massa.
Solo la follia o la a-normalità assoluta, e incomprensibile per la massa, permette al personaggio il contatto vero con la natura, (quel mondo esterno alle vicende umane nel quale si può trovare la pace dello spirito) e la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi. Ma questi contatti sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili perché troppo forte il legame con le norme della società.


B) solo il protagonista sembra porsi questo problema, direi che quindi scaturisce dalla sua volontà, ma è "imposta" e quindi obbligata nel senso che probabilmente è l' unica strada verso la completa liberazione dai condizionamenti esterni


Sintetizza e commenta la conclusione del romanzo.



il protagonista ritrova il proprio vero io e si rende indipendente dal giudizio altrui isolandosi nella natura ed estraniandosi dalla cosiddetta "società civile"


Formula qualche considerazione sulla STRUTTURA dell'opera (organizzazione delle varie parti in un racconto).


Avrai senz'altro notato: la differenza rispetto al "tradizionale" romanzo ottocentesco. Sapresti indicare quali sono i tratti fondamentali di questa diversità?




STRUTTURA DELL'OPERA:

Come appare chiaramente fin dalle prime battute del romanzo, la voce narrante è affidata al protagonista: la forma stilistica scelta è infatti quella del monologo narrativa, condotto dal cosiddetto "Io narrante". Lo stile linguistico di Pirandello colpisce immediatamente il lettore per la sua originalità compositiva, sapientemente costruita utilizzando una forma di espressione linguistica molto simile alla lingua parlata; di conseguenza, non mancano le costruzioni articolate che spesso eccedono in un'esasperazione della forma, gli incisi e le ripetizioni. L'effetto immediato che i ragionamenti e i sofismi esposti e sostenuti da Moscarda è un coinvolgimento immediato del lettore che diventa interlocutore privilegiato del protagonista e "vittima" della sua sonvolgente dialettica, delle sue numerose domande retoriche, dei suoi dubbi esistenziali con i quali il lettore si sente chiamato continuamente in causa. Ne sono un esempio i numerosi intercalare, quali: ¼vi par poco!¼.vi sembra?¼.e il vostro naso?¼ . E' proprio qui, nella capacità che l'autore ha di coinvolgere il lettore rendendolo contemporaneamente antagonista e specchio del protagonista, che emerge in tutta la sua pienezza lo spirito tetrale del romanzo che è stato riconoscito dallo stesso autore:

Uno, nessuno e centomila avrebbe dovuto essere il proemio della mia produzione teatrale e ne sarà invece un epilogo".

Notiamo inoltre l'importante funzione svolta dai titoli, i quali contemporaneamente fungono sia da elementi riassuntivi che da incisi, integrati nello svolgimento della narrazione.

Per quanto riguarda il rapporto fra il tempo lineare e quello del racconto, non si notano sostanziali divaricazioni, ad eccezione delle pause di riflessione del protagonista che dilatano il tempo della narrazione.



Per quanto riguarda le differenze rispetto al "tradizionale" romanzo ottocentesco, di cui "I promessi sposi" costituiscono un mirabile esempio, balza subito agli occhi il fatto che, come già detto in precedenza, la narrazione sia affidata non più all'autore, che talvolta si presentava anche sotto forma di narratore onnisciente, bensì allo stesso protagonista. Lo stesso Mostarda, per di più, oltre ad essere la voce narrante è il vero e proprio interlocutore del lettore, al quale si rivolge in maniera diretta, e, di conseguenza, molto coinvolgente.

Altro aspetto rilevante è la scarsa importanza che viene data allo svolgersi di una trama peraltro non organica, che scorre in maniera parallela ma pur sempre subordinata alle vicissitudini interiori di Moscarda. Di conseguenza anche le descrizioni fisiche dei personaggi e quelle degli ambienti in cui la vicenda si svolge risultano essere limitate allo stretto necessario, e lo stesso sistema dei personaggi si presenta relativamente scarno ed essenziale.













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