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Analisi del trend e prospettive di sviluppo per il posizionamento



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Analisi del trend e prospettive di sviluppo per il posizionamento

5.3.1 - Il rapporto tra i trend e la strategia.

A ben vedere, le ragioni ultime che stanno alla base dei mutamenti delle strategie adottate dalle imprese sono solitamente rintracciabili nei cambiamenti avvertiti riguardo i trend sulla cui considerazione si basavano quelle precedentemente seguite[1]. Certamente, una strategia viene formulata tenendo conto anche delle variabili competitive, ma dette variabili non sono, comunque, indipendenti dalla contestualizzazione - anche in termini di tendenze - che ne viene fatta, per cui, venendo a mutare uno dei parametri definitori del contesto di riferimento, si determinano, conseguentemente, degli effetti che, transitando attraverso le strategie dei concorrenti, si riverberano poi anche sulle nostre.

Fondamentale è, inoltre, la considerazione che si tratta di cambiamenti avvertiti e non necessariamente effettivi. Questo costituisce il nocciolo della questione: se da una parte una percezione errata dei mutamenti in atto a livello di ambiente può trarre in inganno l'impresa inducendola a seguire delle strade che in seguito si rivelano fallaci, dall'altra può anche accadere il contrario, e cioè che si abbandoni il sentiero strategico incentrato su una verace direttrice di sviluppo del mercato per correre dietro a falsi segnali che ci mettono in apprensione[2], oppure, ancora, che il trend sulla cui considerazione si basa l'impostazione seguita sussista realmente, ma sia di una natura diversa rispetto a quanto ritenuto dall'impresa.



È, generalmente, proprio quest'ultima causa di discrepanza tra strategia e realtà a costituire il caso più ricorrente nella pratica. Succede, così, che quella che l'impresa riteneva una tendenza di fondo si riveli soltanto un semplice temporaneo allontanamento dal trend fondamentale, verso il quale il mercato non tarda in seguito a tornare[3]. Attribuire alla tendenza sottostante un impatto diverso da quello effettivamente detenuto, sia sopravvalutandola che sottovalutandola, è un errore che causa comunque seri problemi di posizionamento e rende necessaria un'adeguata quanto rapida manovra correttiva, specialmente per quel che riguarda l'immagine di marca.

Un esempio, a proposito, ci è offerto dal caso Jocca. Il carattere inizialmente conferito al prodotto, nel momento del suo lancio sul mercato italiano nel 1977, era decisamente improntato ad una connotazione dietetica, sull'onda del corrispondente trend che andava sviluppandosi in quegli anni riguardo alle abitudini alimentari. Dal 1983 le cose presero ad andare in una direzione inattesa da parte di Kraft: il trend sulla cui base quale si era sviluppato il brand pareva improvvisamente sso (o, quantomeno, fortemente ridimensionato) lasciando Jocca su una posizione che sostanzialmente non esisteva più. Il numero di individui disposto ad impostare il proprio stile alimentare su prodotti di matrice dietetica si era ridotto drasticamente e del resto erano entrati sul mercato marchi "specialisti" per la soddisfazione di quei particolari prodotti. Il gusto offerto da Jocca, piuttosto misero rispetto a un qualunque altro formaggio fresco, non aiutava certamente il prodotto a mantenere un livello accettabile di fidelizzazione.

Cosa era successo, allora? Semplicemente che era stato scambiato quello che era soltanto un temporaneo allontanamento dal trend principale - che vedeva una certa propensione e interesse verso prodotti leggeri e che fossero in sintonia con il mantenimento di un buon livello di forma, benessere e linea - per una più ampia ed importante tendenza di fondo. Un errore di valutazione che aveva, tuttavia, portato la marca su una posizione ormai svuotata di significato, quand'anche non negativa. Tale errata valutazione delle tendenze in atto scambiate per un generale e duraturo atteggiamento positivo dei confronti della dietetica è, comunque, in parte giustificabile, dal momento che, fino ad allora, si trattava di un fenomeno sconosciuto nel nostro paese e che solo ora, con l'evolversi del costume e anche, probabilmente, con l'avanzare dello stato di emancipazione e presa di coscienza femminile, pareva trovare la forza ed il coraggio di avanzare nella mente del consumatore trovando vigore in divenire. A lungo andare, tuttavia, considerando le basi dalle quali era partito e la crescita sproporzionata forse dovuta ad una sorta di eccesso di entusiasmo da "inesperienza al consumo", era inevitabile che si manifestasse un riflusso verso il trend principale.

Sembra che, quasi come accade in fisica, ad ogni spinta che provoca un eccesso ingiustificato non possa che seguire, prima o poi, una spinta in senso contrario tendente a calmierarne gli effetti. I movimenti importanti negli atteggiamenti del mercato sono, perciò, quelli che si sviluppano nel lungo periodo, e che permettono di vedere la tendenza generale, "depurata" dalle increspature più temporanee le quali vengono riassorbite dal più ampio orizzonte temporale, allorché si riduce il livello di rumorosità ambientale.

In particolare, è ipotizzabile, per Jocca, un errore di valutazione prospettica per quanto riguarda la visione strategica. In effetti, nonostante la marca manifestasse un elevato grado di visione "dal dentro", pareva, invece, presentare importanti carenze a livello di "visione esterna" ponendosi in una situazione di disorientamento miopico[4]. L'impresa, cioè, si muoveva, certamente, assieme al mercato con il quale aveva raggiunto un buon livello di sintonia, ma non riusciva a coglierne le oscillazioni di fondo, esponendosi, in questo modo, al pericolo di perderne la scia senza ricevere alcun significativo preavviso.

Altra situazione si ha, invece, nel caso in cui, detenendo una posizione di leadership e dovendo valorizzarla attuando una strategia di tipo difensivo, la marca pone in essere dei comportamenti di copertura che, pur non mostrando alcun significato per l'analisi del trend di fondo al quale il posizionamento deve improntarsi, hanno un senso in quanto permettono di bloccare gli spazi per una possibile offensiva da parte della concorrenza qualora il trend principale proceda effettivamente in quella direzione. In certe situazioni, in altre parole, è bene che l'impresa si metta al riparo da potenziali sviluppi della competizione che, se verificati, ne metterebbero a repentaglio il posizionamento e l'immagine, anche se questo vuole dire investire del denaro in iniziative dagli improbabili esiti positivi[5]. Può ritenersi, questo, il caso di "Happy Snack" per Sottilette, della versione "squeeze" proposta da Calvé per la maionese, oppure, ancora, di Philadelphia Snack , il caso più recente .

Da tutte queste considerazioni discende l'importanza del procedere all'individuazione della profondità del trend in atto. In particolare, occorre verificare se quanto appare come un'evidenza sia il riflesso di un trend primario, secondario, o terziario. Un trend primario è quello che si sviluppa nel lungo periodo sviluppandosi per un arco temporale che può durare anche decine di anni andando a muovere concetti che risiedono ad uno stato profondo della mente dell'insieme dei soggetti in considerazione. Una volta stabilita la sussistenza di un determinato trend primario, qualora si verifichi una deviazione non rientrata dalle associazioni ad esso connesse, possiamo concludere che esso ha mutato direzione e si porrà, in quel momento, la necessità di un adeguamento dei core concept della marca per adeguarli alla nuova situazione. I movimenti che deviano i significati sedimentati espressione dei trend primari non sono, solitamente, molto repentini nel determinarsi, e, inoltre, quelli che li spostano radicalmente non sono molto frequenti.

I trend secondari sono segmenti concettuali che rientrano nell'ambito di una tendenza primaria loro superiore. Essi si sviluppano entro periodi di tempo solitamente riconducibili ad alcuni anni, dopodiché, verosimilmente, tendono ad esaurirsi riavvicinandosi alla tendenza primaria, oppure presentano comunque un mutamento di forma in senso espansivo di tale portata da far ritenere che vi sia stato un errore di valutazione nel determinare il trend principale, comportando la necessità per l'impresa di prenderne atto e conformarsi alla nuova e diversa realtà palesatasi. I trend terziari hanno un periodo di vita ancora più breve (spesso anche inferiore all'anno) e consentono all'impresa di sfruttarne le potenzialità solo nel brevissimo termine ed in presenza di un elevato grado conseguito di flessibilità strategica[8] e produttiva che renda conveniente e, anzi, auspicabile un suo sfruttamento, purché si ponga in linea con i livelli di tendenza superiori.

Funzione della tendenza è quella di limitare i contorni di movimento degli atteggiamenti del mercato verso la categoria concettuale di riferimento, costituendo, i suoi margini estremi, un supporto od un'opposizione alla continuazione del trend (avvertendo, attraverso la loro violazione, del suo possibile cambiamento di rotta) rispettivamente secondo che il fenomeno sottostante sia in fase di espansione o di esaurimento. Particolarmente importante diventa, allora, il monitoraggio dell'ambiente di riferimento all'avvicinarsi di quelle zone critiche che possono costituire il punto di passaggio del trend da uno stato all'altro, in modo da prepararsi ad un repentino adeguamento da parte della marca ai concetti espressi dal nuovo trend.

Scoprendo quale sia la reale profondità di un trend se ne riesce a determinare la portata, e, una volta espresso in maniera congrua[9] in termini concettuali, è possibile, in seguito, avere validi punti di riferimento per la relativa attività di monitoraggio e di interpretazione dei segnali ambientali.


5.3.2 - Dinamica del posizionamento e trend di fondo

Ben difficilmente il posizionamento ideato per una marca riesce a rimanere immutato nel tempo passando indenne tra le modificazioni che si vengono a produrre nella mente dei potenziali acquirenti e negli atteggiamenti del mercato. Tali cambiamenti, come abbiamo visto, rientrano nel più generale fenomeno dei trend che ne indirizzano gli sviluppi. Di qui la necessità di preurare diversi livelli, concentrici, di posizionamento, ciascuno congruente con quello immediatamente superiore e sintetica espressione di una rete concettuale e ricorsiva dalla quale discendono le conseguenti associazioni e attività seguendo la disposizione della "piramide strategica" illustrato nel paragrafo 3.1.3.

Il conseguimento del vantaggio competitivo - soprattutto quello di natura differenziale - viene quindi a dipendere dalla corretta interpretazione dello spirito del momento e dei trend in formazione. Tuttavia, il posizionamento è visceralmente connesso al vivendo del consumatore e, del resto, un trend, per propria natura, non dura per sempre. Ciò fa sorgere la necessità di un continuo ripensamento ed una incessante riformulazione (la quale deve, comunque, mantenere una certa coerenza con le risposte date in precedenza, per non mettere le persone nella condizione di incorrere nella dissonanza cognitiva).

Nello sviluppare le associazioni per un qualsiasi posizionamento, l'analisi dei trend (primari, secondari e terziari) costituisce un momento molto importante e permette di radicare nella mente dei potenziali acquirenti quelle associazioni (primarie, secondarie, terziarie[10]) che costituiscono e sviluppano il nucleo concettuale ad essi relativo.

Dal punto di vista "qualitativo" i trend si differenziano l'uno dall'altro. Alcuni, basati su concetti troppo complessi da gestire e stressanti da alimentare, appesantendo e ostacolando la naturale propensione degli individui alla semplicità (e, nel particolare caso di Jocca, anche quella al piacere), sono più deboli di altri e difficilmente perdurano immodificati molto a lungo. Paiono esserci, in effetti, dei concetti che determinano sostenendole associazioni oggettivamente[11] più forti e importanti rispetto ad altri. Tali concetti si legherebbero essenzialmente ai trend primari ed ai valori da essi portati e propugnati.

Il fatto che la tendenza fondamentale rivesta una grande importanza sviluppandosi per un ampio periodo di tempo e mutando solamente ad opera di forze ad essa superiori, non implica una definitiva inibizione delle possibilità per le imprese di influire sull'esito del suo incedere. Anzi, nel caso delle imprese leader, che della fusione con il trend primario fanno la propria forza, ciò diviene addirittura desiderabile. In particolare, chi ha conquistato la leadership di mercato attraverso l'individuazione di un créneau rimasto libero e la contestuale "invenzione" della categoria concettuale ad esso corrispondente individuando per primo l'esistenza di un trend dai contorni fino ad allora inesplorati, deve stare attento a che i successivi entranti non danneggino tale categoria e la tendenza sottostante attraverso concetti che siano fuorvianti e negativi rispetto alla sua natura originaria. Senza la difesa dei concetti "primi" la base della leadership potrebbe franare sotto l'opera di agenti patogeni che, non comprendendone il vero valore, finiscono per impoverirne i significati (e, quindi, le associazioni). Si tratta, in altre parole, di difendere, oltre al proprio posizionamento anche i concetti di fondo su cui esso si basa (se crollasse la rete concettuale su cui si è sviluppata e si appoggia, allora la marca cadrebbe con essa).



D'altra parte, è anche vero che, qualora un determinato posizionamento si allacciasse strettamente ed in maniera sbilanciata ad un trend dalla caratterizzazione molto forte e decisa, la marca rischierebbe di rimanere spiazzata nel momento in cui necessariamente avverrà una moderazione dei toni del trend. Una strategia di posizionamento valida è quella che comprende le ragioni profonde del trend (non guardandone solo le manifestazioni esteriori) evitando di farsi travolgere da esso e dagli eccessi che può presentare, non precludendosi, inoltre, le future strade che dalle posizioni attuali possono partire.

Il momento più critico nel governo del posizionamento strategico è, appunto, quello in cui avviene il passaggio del trend da uno stato ad un altro. In questo contesto, il mercato premierà chi dimostrerà di saper interpretare al meglio le nuove esigenze e saprà dare una conferma alle tendenze in corso.

Un forte ruolo nel determinare le prospettive di sviluppo plausibili per una certa marca è giocato dal grado con il quale essa è sedimentata nelle menti dei potenziali acquirenti, con riferimento all'insieme di concetti e associazioni di cui è portatrice. I nuovi spazi mentali determinati dal mutamento del trend in corso, infatti, sembrano non essere accessibili per quelle marche già presenti nell'adiacente contesto da cui il nuovo scenario prende forma e idealizzate in un certo modo da parte del mercato. La ragione sta nel fatto che esse esprimono concetti diversi e già radicati, difficilmente alterabili nella nuova direzione. Paradossalmente, ciò avviene, soprattutto, quando il livello di notorietà e conoscenza degli attributi di marca da parte del consumatore è più elevato. Spesso, perciò, può risultare preferibile approcciare le nuove esigenze espressione delle mutazioni avvenute nel trend attraverso marche del tutto nuove, non appesantite da vecchie associazioni e da connessioni a luoghi comuni che ne possano influenzare negativamente la percezione[12].


Per quanto riguarda gli agenti modificativi degli spazi e delle dinamiche mentali, dall'analisi compiuta sui casi sopra esposti viene sostanzialmente confermato quanto argomentato nel modulo secondo. In particolare, alcuni tratti sembrano accomunare i processi percettivi, interpretativi e valutativi posti in essere dai consumatori. L'atteggiamento nei confronti dei prodotti alimentari è incentrato su una generale preferenza accordata a quelli che impostano il valore della propria offerta sulle caratteristiche di leggerezza, versatilità e semplicità d'uso, non rinunciando, tuttavia, pur nell'ambito di un certo trade-off, ad accettabili livelli per ciò che riguarda il gusto. Una possibile interpretazione di matrice sociologica di quanto avviene sottolinea come, strette da una parte da stili di vita impegnativi e stressanti che le vedono fuori casa per buona parte della giornata e dall'altra da temi comunicativi che esaltano ed inculcano un determinato tipo di immagine da perseguire, le persone si orientino verso uno stile alimentare più confacente con le esigenze avvertite in termini di cura della forma fisica cui viene associato uno stato di benessere sia fisico che mentale legato ad un "sentirsi a posto" di ordine sociale ed omologato.

Tuttavia, non a tutte le marche è concesso di farsi interpreti dei bisogni funzionali, ma soprattutto psicologici ed emozionali, dai consumatori. In particolare, se si escludono quelle offerte che, in virtù della propria elevata specificità differenziale, si orientano ad uno stretto marketing di nicchia, le altre, le quali cercano di svilupparsi attorno ai volumi di vendita derivanti da approcci generalisti e non focalizzati, sembrano risentire pesantemente delle posizioni di forza relative. Solo alle prime imprese della categoria di riferimento, in effetti, sono concessi i favori e l'attenzione del pubblico, specialmente se tali categorie non sono state ancora del tutto fatte proprie da un punto di vista conoscitivo/esperenziale. Il consumatore per quanto riguarda, ad esempio, l'esteso mercato dei pasti destrutturati, non si pone alla ricerca delle migliori alternative possibili[13], ma si affida ai leader di categoria sulla base di quanto appreso - passivamente - dai punti di contatto avuti con la comunicazione d'impresa.

Altro elemento che traspare è quello riconducibile alla forte impronta edonistica che caratterizza sempre più i consumi in genere. L'individuo, forse a causa di un elevato grado di benessere e apamento che ne innalza il livello al quale gli stimoli producono il loro effetto, avverte in misura crescente un bisogno di varietà e di conseguimento del piacere da derivarsi attraverso il consumo. Questa spinta edonistica può essere superata dalla persona solo con l'intervento di altri potenti fattori psicologici in grado di fungere da deterrenti del piacere, guidandola in un ordine di idee atto a consentire il raggiungimento di obiettivi che presentino per essa un valore ancora superiore. Anche in nell'eventualità che ciò avvenga, comunque, sarà improbabile il raggiungimento di un elevato livello di soddisfazione ed il superamento assoluto e definitivo dell'iniziale bisogno rimasto inapato, in quanto resterà, nel consumatore, la sensazione negativa associata alla rinuncia fatta assieme al dubbio circa la correttezza della scelta operata. Inoltre, nel momento in cui la persona, inevitabilmente, tornerà, almeno in parte, a soddisfare un piacere a lungo inespresso, tenderà, ancora una volta, a dare la precedenza a quelle marche che meglio tale piacere interpretano, per dare una giustificazione alla propria condotta.

Le conseguenze per le imprese che si contendono i favori del mercato sono evidenti e riportano direttamente alle considerazioni sviluppate nel terzo modulo. In primo luogo, l'imperativo è quello di saper individuare un varco accessibile e non già occupato nella mente dei potenziali acquirenti (come hanno fatto nel tempo, ad esempio, sia Sottilette e Philadelphia), tanto elevati sono i vantaggi in termini di immagine e di sostenibilità del vantaggio competitivo da parte dei "creatori" di una nuova categoria. La marca che detenga la leadership del suo mercato ha un vantaggio immediato sui concorrenti in termini di visibilità e fiducia da parte dei propri interlocutori. È, inoltre, interessante notare come una caratteristica generalmente propria del leader di mercato sta nella sua capacità di saper essere tutto per tutti, offrendo così una risposta alle possibili interlocuzioni e costituendo per il consumatore il punto di riferimento per la categoria in esame. Questa sua forza può rappresentare, tuttavia, la sua principale debolezza, dal momento che, coprendo un ampio spazio all'interno della mente, è più facile per gli avversari focalizzarsi su un punto in cui i concetti espressi dalla marca leader risultano più scoperti o addirittura non presidiati, oppure, ancora, cadono in contraddizione.

La presenza contemporanea di una pluralità di tendenze - primaria, secondaria, terziaria - comporta la necessità di un posizionamento su più livelli. Se i concetti di fondo alla base del trend principale possono rimanere a lungo validi consentendo la costruzione di un insieme stabile di associazioni attorno alla posizione strategica definita sulla loro piattaforma, le implicazioni generate dai trend di più ristretto sviluppo consentono di pervenire a specificazioni nel posizionamento che permettono di meglio aderire al sistema concettuale di cui il target di riferimento è portatore. Per l'impresa, si tratta, in sostanza, di procedere per step successivi verso la fusione con il mercato.

Al fine di disporre di un'offerta il più possibile aderente e focalizzata ai trend che in un dato momento sottostanno alla posizione occupata ed agli scenari strategici che si prospettano, occorre, quindi, determinare il posizionamento della marca centrandolo su una pluralità di obiettivi ordinati e coerenti fra loro, rendendoli confacenti ai rispettivi trend dei quali intendono essere la risposta. L'ampiezza della portata dei gradi di posizionamento individuati deve essere tale da consentire loro di rimanere, per quel determinato livello, nel proprio alveo al modificarsi del trend di livello più specifico. La necessità di un riposizionamento, in questo modo, si presenterà solamente per il livello al quale avviene il mutamento di tendenza consentendo un aggiustamento più graduale, meno percettibile e non traumatico di quelli maggiori che costituiscono, invece, la base dell'immagine di marca e che necessitano di una più grande stabilità. Solamente al verificarsi di un'importante variazione nella tendenza primaria, così, si renderà necessario un altrettanto importante adeguamento del posizionamento strategico primario, anche se, dovendo nel frattempo essere intervenute preventivamente modificazioni nei trend terziari e secondari, l'impresa goderà, generalmente, di un certo preavviso che segnalerà l'evoluzione in itinere ed avrà di conseguenza il tempo necessario per prepararsi agli eventi in corso.

Come detto, adattandosi i diversi livelli di posizionamento al trend corrispondente, per ognuno di essi deve essere impostato uno schema di associazioni che, partendo dal concetto con cui si intende esprimere l'identità di marca si sviluppi, poi, in una rete coerente ed armonica di attività ad esse connesse, secondo il modello della "piramide strategica per il posizionamento". La correlazione e la coerenza dovranno, inoltre, sussistere fra le omologhe componenti dei diversi anelli rappresentati in ura 5.2. I concetti coinvolti nel posizionamento al terzo livello, in altre parole, devono concordare con quelli del secondo e, successivamente, con quelli del primo, e analogamente per le associazioni e per le reti di attività[14].


Il risultato ultimo sarà dato da una rete di significati che prende origine dai concetti che esprimono il trend di fondo e che sono posti al centro del posizionamento, ed in cui i terminali sono costituiti dalle percezioni a tali significati relative e, infine, dalle loro determinanti a livello di fattori sociali, emozionali, simbolici e psicologici.



CONCLUSIONI



Le esigenze legate alla competizione, assieme ai condizionamenti derivanti dall'operare con la multiforme natura della mente dei consumatori, conducono le imprese ad approfondire le problematiche e la conoscenza dei principi del posizionamento. Per quanto riguarda il primo aspetto, il rilievo che la conocorrenzialità va sempre più assumendo è legato a doppio filo alla progressiva apertura dei mercati[15]: se in passato c'era una certa tolleranza sulla quale i decisori potevano confidare nello stabilire le linee guida dello sviluppo aziendale, oggi i nodi da sciogliere per definire una strategia si fanno sempre più complessi e intricati rendendo necessaria una comprensione più approfondita dei meccanismi competitivi. Tale rinnovata spinta alla comprensione, sia che costituisca il risultato di un accurato studio analitico delle forze in campo e dei fattori che le muovono, sia che discenda da valutazioni più di origine reattiva e adattiva, ha comunque il merito di attivare il pensiero strategico d'impresa fornendo un contributo determinante per dare un seguito alle possibilità di sviluppo esistenti dell'impresa stessa le quali, altrimenti, resterebbero probabilmente inespresse ed a livello potenziale.

L'evidenza delle interazioni tra le marche e del loro dispiegarsi attorno ai concetti cui la mente del consumatore fa riferimento rende manifesta tutta l'utilità di un approccio alla competizione che, prescindendo da schemi rigidi, faccia dell'orientamento alla fusione con il mercato il punto cruciale attorno al quale fare ruotare tutti i concetti attinenti al posizionamento.

La generale tendenza alla multi-opzionalità cui devono rispondere le marche nel soddisfare le nuove, al tempo stesso eterogenee e specifiche, esigenze dei consumatori comporta, tuttavia, problemi a livello strategico oltre che operativo. La principale difficoltà sta nell'immaginare che, per rispondere a tali necessità, la marca debba articolare dei posizionamenti e promettere dei vantaggi tra loro molto differenti nei contenuti. Ne discende, perciò, l'esigenza di uscire da posizioni di compromesso che, patteggiando un insieme di significati contraddittorio e fuorviante nell'intento di coprire più vasti spazi mentali, producono il solo risultato di creare nuova confusione e frammentarietà, con inevitabili problemi di messa a fuoco e di appesantimento del carico informativo che le persone si trovano a dover gestire e assimilare (da cui, poi, partono nuove complicazioni che riavviano un circuito negativo sempre più difficile da rompere).

È, allora, attraverso la ricerca della fusione con il mercato e della semplicità di sviluppo delle associazioni che è possibile dare un contenuto credibile e costruttivo al posizionamento. Ciò non significa che la trama associativa debba necessariamente essere semplice, accrescendosi, invece, il suo valore attraverso un'idonea articolazione in sistema. Quest'ultima, tuttavia, va improntata alla massima coerenza attorno a concetti puri e lineari, in grado di costituire per i potenziali acquirenti obiettivi ben visibili, ragionevoli e raggiungibili, rappresentativi di esigenze avvertite ed ora riconosciute (anche se non formalizzate). Quella che viene a delinearsi in un sempre maggior numero di mercati è una tendenza all'unicum che, tuttavia, si fa paradossalmente generico nell'ambito di insiemi di individui accomunati da interpretazioni simili le quali tendono ad ispirarsi vicendevolmente. Se da un lato cresce la differenziazione negli individui e nei loro comportamenti, dall'altro aumenta, nel contempo, l'omologazione concettuale attorno al luogo comune, il valore semplificatore del quale viene riconosciuto e perseguito (in un ambiente nel quale l'eccesso comunicativo crea rumore e difficoltà di comprensione della realtà) nonostante vadano persi, con esso, molti significati spesso rilevanti.



Un'ulteriore sfida resa manifesta dalle strategie di posizionamento è quella dell'acquisizione della coscienza del fluire dei trend. Se trend secondari e terziari si sviluppano a partire dagli orientamenti di fondo espressi dal sottostante trend primario, ciò non fa ricadere l'immagine che il mercato ha della marca in un meccanismo di natura meccanicistica. Viceversa, sembra che il movimento continuo, del quale i trend possono indicare l'andamento, sia divenuto, esso sì, una costante (emerge, anzi, come il mutamento sia diventato uno dei principali bisogni informando di sé tutti gli altri, seppure in forme e gradi differenti). Diventa inevitabile che la continua trasformazione - e, quindi, il mutamento permanente - sfoci in ulteriori nuove dimensioni concorrenziali nelle quali solo l'aderenza ai movimenti che avvengono nella mente dei consumatori può consentire lo sviluppo di strategie di posizionamento centrate costituendo per l'impresa il vero nucleo del vantaggio competitivo.

Quella stabilità che supponiamo di vedere, che molte imprese vivono come reale stabilità dei mercati e della quale gli uomini di marketing credono di poter disporre, è in realtà solo la stabilità dei nostri sistemi percettivi e delle credenze sedimentate (per convinzione o convenienza, indifferentemente). In effetti, spogliarsi degli abiti comportamentali di cui anche gli strateghi s'impresa si rivestono nel dare seguito alle proprie predefinite intenzioni non è impresa delle più semplici, andandosi a scontrare con i criteri valutativi che esse assumono per validi rispetto alla situazione in corso. Purtroppo, la realtà è molto più instabile, caotica e turbolenta di quanto si supponga. In questo disordine diventa perciò prioritario riuscire a fluire con gli avvenimenti in modo da poter cercare di imprimere al corso degli eventi la direzione che desideriamo.

In questo panorama di accentuata frammentazione dei bisogni e dei mercati dove tutto, riferimenti e certezze, diventa sempre più piccolo, la risposta più congrua da parte delle imprese consiste, per paradosso, nella riscoperta della grandezza delle prospettive che si celano dietro la piccolezza del frammento semantico offerto dalla percezione del consumatore: ciò significa avvicinarsi alle posizioni mentali dei frammenti più grandi ed al fluire dei processi spirituali che in essi ha luogo. La rilevanza dei significati cui fare riferimento si rivela negli scenari ai quali appartengono i singoli frammenti di mercato (gli scenari sono proiezioni collettive, quindi evoluzioni mentali aperte che esistono al di sopra dei micro-mercati e dei frammenti).

Il ruolo della fusione dell'impresa con il mercato è, allora, quello di collegarla con processi realmente esistenti in gruppi realmente esistenti e, in ossequio alle esigenze della visione prospettica che essa deve favorire, quanto maggiore è la prossimità che instauriamo con questa sociosfera, tanto maggiore è il distacco che la marca deve mantenere. Le esigenze derivanti dal perseguimento della fusione e della prossimità richiedono, generalmente, che si addivenga ad un appropriato innalzamento della marca fino a raggiungere l'apice della sua mitizzazione[16].

Emerge in tutta la sua importanza, ancora una volta, il contributo che l'immagine di marca può dare al raggiungimento della migliore posizione possibile dalla quale affrontare la competizione. Essa, coniugando gli attributi salienti dell'offerta dell'impresa con le attese, espresse e inespresse, proprie del consumatore, compie una fondamentale opera di raccordo tra ciò di cui la mente del potenziale acquirente è portatrice in termini di contenuti e significati e quanto la marca è in grado di rappresentare per essa.

La stessa immagine di marca svolge, inoltre, un fondamentale ruolo propulsivo dell'attività d'impresa. Spesso accade, infatti, che sia grazie alla sua azione ed alle derivazioni che inevitabilmente nascono dalla sua applicazione alla particolare situazione competitiva affrontata che si dischiudano agli occhi dei decisori d'impresa strade ed opzioni strategiche le quali sarebbero altrimenti rimaste non visibili ad essi. Ciò, in particolare, è dovuto alla sua particolare interazione con il sistema percettivo, interpretativo, valutativo dei potenziali acquirenti, per il tramite della quale l'immagine muta fisionomia rispetto a quella assegnatale dall'impresa. In effetti, sono i consumatori con i quali viene in contatto a consegnare alla marca l'immagine ed i significati che le sono propri, spesso prescindendo dalle iniziali intenzioni di chi l'ha posta sul mercato.




La marca rappresenta la più importante risorsa intangibile di cui dispone l'impresa, costituendo, attraverso l'immagine che è capace di proiettare e la particolare strategia di posizionamento con cui viene posta sul mercato, la base principale - in grado di sintetizzare in sé tutte le altre - del vantaggio competitivo e dei futuri profitti.

La gestione della marca, perciò, deve essere mirata al suo mantenimento e rafforzamento nel tempo, attraverso uno sviluppo coerente e coordinato con le strategie di fondo dell'impresa (in particolar modo con quelle di posizionamento). La coerenza, costruita sul coordinamento dei diversi livelli semantici della marca, rappresenta, in effetti, il collante in grado di congiungere i significati proposti con quelli effettivi e con quelli percepiti. I primi, in altre parole, non devono discostarsi dalle concrete potenzialità prestazionali ed espressive del prodotto in questione, i cui limiti, pertanto, devono essere ben chiari nella mente dei decisori d'impresa e costantemente monitorati, pena l'interruzione del contatto dialettico con il mercato a causa di una ridotta visione "dall'alto". Comunicare i contenuti "veri" dimostra essere, ad ogni modo, condizione necessaria, ma non sufficiente per la generazione del valore di marca se i significati percepiti ed i riferimenti sedimentati nelle menti dei potenziali acquirenti non si accordano con essi, e l'eventuale successo conseguito in violazione di questa condizione non può essere duraturo.

Alla base della creazione di valore da parte della marca vi è il modo differenziato dai concorrenti con il quale essa soddisfa le esigenze di un definito gruppo di consumatori e che poggia sui tratti distintivi che ne individuano l'identità. Per ogni categoria di prodotto e per definiti segmenti di mercato si riscontrano dei benefici chiave che devono essere soddisfatti da una qualsiasi marca per poter essere presa in considerazione dai potenziali acquirenti. L'aggiunta di alcuni benefici e l'intensità più elevata con cui sono erogati costituiscono le basi della differenziazione. È, quindi, il posizionamento passato e attuale della marca rispetto alle attese e alla concorrenza che ne determina il valore. La marca, tuttavia, essendo un concetto dinamico, mette in gioco anche altri aspetti legati al vissuto (sedimentazione), alla coerenza con cui i valori vengono perseguiti nel tempo e continuamente arricchiti attraverso il rinnovo e la ricostituzione del differenziale rispetto alla concorrenza, tenuto conto dell'evoluzione socioculturale dei consumatori e della tecnologia.

Il peculiare posizionamento di una marca è all'origine della sua capacità competitiva e risulta in un valore superiore alla somma dei valori apportati dai benefici che essa assicura. Attraverso l'opera portata avanti dal posizionamento si crea nel consumatore l'identificazione con la marca, aprendogli l'accesso al particolare mondo concettuale di riferimento che essa esprime. A nulla valgono gli intendimenti dell'impresa che non poggino sulla percezione e sull'interpretazione che il potenziale acquirente ha della marca: la posizione che il mercato riconosce alla marca è quella che essa occupa effettivamente, a prescindere da quella comunicata[17] e costituisce la base sulla quale è possibile articolare successivi significati che conferiscano una maggiore articolazione e spessore al messaggio originale.

Il valore di una marca sta nel fatto che essa conferisce una definita e ben distinta identità al prodotto o servizio sottostante trasferendone gli elementi caratterizzanti da un contesto di mera oggettività ad una nuova realtà soggettiva nella quale essi prendono nuova forma e sostanza. In effetti, un prodotto unbranded risulta, per definizione, "afono", generico e surrogabile. Nel momento, però, in cui gli viene associata una marca acquista solo per questo una propria, pur minima, identità e, se supportato adeguatamente da un capitale simbolico - in termini di diversità, notorietà, reputazione e stima, familiarità - costruito nel tempo, allora il prodotto esce dall'anonimato dando rilievo e spessore a tale identità la quale assume, infine, un preciso valore culturale attivando tutta una serie di associazioni relative ai simboli di cui è portatrice. Nel momento in cui la marca riesce ad esprimersi, essa da detentrice di valori diviene un'entità erogatrice di senso rispetto alle scelte di consumo, provocando il passaggio dallo stretto contenuto tangibile ad uno simbolico, dall'ambito della semplice denotazione a quello più pregnante e consistente della connotazione, dall'orizzonte fattuale a quello culturale[18].

La missione di una marca è sintetizzabile nell'affermazione e nella legittimazione della propria promessa, qualunque essa sia (solitamente, si tratta di una promessa di qualità). La riconoscibilità e la facile verificabilità della presenza dei contenuti promessi danno corpo a tale impegno e corrispondono al ruolo storico primario della marca, una volta assolto il quale, essa si potrà successivamente articolare in ulteriori arricchimenti semantici e funzionali, in modo da meglio aderire alle diverse e particolari specificazioni che vengono espresse e richieste dal mercato di riferimento.

La qualità percepita rispetto ad una marca investe due ambiti tra loro complementari e interrelati: quello reale e quello simbolico. La qualità reale è quella esperibile direttamente dal consumatore. Corrisponde all'ambito sostanziale del rapporto impresa-mercato ed investe direttamente il valore d'uso del prodotto o servizio. La marca, in questo contesto si pone come un'entità preposta - per interposizione - alla produzione di beni, ed intervenire sulla qualità, in ossequio alla propria missione, significa, qui, intervenire sul prodotto modificandone gli attributi tangibili.

La qualità simbolica, invece, è quella indotta dal potenziale comunicativo attivato dalla marca. Siamo nell'ambito dell'apparenza, la quale investe non più il valore d'uso, ma il valore di scambio del prodotto o servizio, vale a dire la sua capacità di essere espressione di una precisa identità socio-cultural-emozionale in grado di essere simbolo riconosciuto del proprio portato valoriale e strumento di una relazione dialettica con il target di riferimento. In questo caso, l'intervento sulla qualità è affidato alla capacità comunicativa - in senso ampio - della marca, qui vissuta come emittente di segni.

Se la qualità percepita può essere ricondotta ai due succitati ambiti, tuttavia, aspetto reale ed aspetto simbolico si sostengono vicendevolmente andando ad alimentare il valore di marca ciascuna componente per la parte che maggiormente le compete: la qualità reale entra a fare parte delle aspettative prestazionali, mentre la qualità simbolica si riversa e sedimenta nell'immaginario collettivo. Intervenire sull'ambito simbolico significa intervenire innovativamente sul posizionamento della marca e ciò costituisce un'operazione che richiede tempi lunghi e rilevanti risorse finanziarie. La "manutenzione" del posizionamento competitivo di una marca è subordinata al miglioramento della promessa di qualità, sia reale che simbolica[19].

Il posizionamento attuale e la sua proiezione attraverso la qualità percepita, alterando significativamente i significati espressi ed inviati al mercato, costituiscono anche la base per una azione di riposizionamento la quale necessita, comunque, di una accorta e intelligente preparazione, dal momento che è ben possibile che un'immagine percepita troppo nitida nella mente dei consumatori finisca per costituire un ancoraggio semantico dal quale sia poi difficile sottrarsi nel procedere verso la nuova posizione. La consistenza delle associazioni cumulate determina il loro grado di persistenza e la possibilità di riposizionare la marca più o meno lontano rispetto alla posizione attuale. In altre parole, spesso accade che sia più facile riposizionare una marca caduta nel dimenticatoio perdendo valore ed il legame delle cui associazioni si è fatto flebile rispetto ad una la cui notorietà tali associazioni farà rimanere nitide anche nella nuova posizione andando a contrastare con le nuove che su essa poggiano.

Se l'immagine di marca rappresenta il potenziale generativo di valore che un determinato prodotto o servizio è capace di esprimere, la strategia di posizionamento entro la quale essa viene ricondotta costituisce l'humus che ne alimenta i concetti costituenti. È, infatti, la particolare posizione occupata nella mente dei consumatori ad aprire o chiudere alla marca opzioni strategiche le quali, attraverso le associazioni evocabili, sono perseguibili costruendo una rete di attività in sintonia con tale posizione.



È su queste basi e sul concetto di mimesi e profonda fusione con il mercato che poggia lo sviluppo delle strategie di posizionamento le quali si pongono al centro del fenomeno competitivo fungendo da guida della più generale strategia d'impresa, al contempo contribuendo alla sua generazione e venendo da essa influenzata nella sua successiva evoluzione. Non avere chiaro, anche approssimativamente, quale sia il proprio posizionamento ed il ruolo ricoperto nella mente dei potenziali acquirenti e come sia possibile migliorare l'uno e l'altro costituisce, soprattutto nell'affrontare gli attuali contesti di frammentarietà dei mercati e dei concetti semantici espressi dalle marche assieme a quelli richiesti dai consumatori, un'inaccettabile mancanza di visione prospettica e di obiettivo senso critico da parte delle imprese. È, prima di tutto, con un cambiamento all'interno delle organizzazioni e del modo di pensare, liberandosi dagli orpelli semantici della marca e da quelli attinenti alle relazioni di potere nell'impresa, che si può pensare di compiere un primo, fondamentale, passo nella direzione di quel cambiamento di filosofia, di cultura e di approccio al mercato che sta alla base del posizionamento. Dopodiché, l'esito ultimo della sfida per la conquista della migliore posizione nella mente del target di riferimento dipenderà dal confronto del nostro grado di sensibilità e di sagacia strategica con quello degli altri competitori.




L'importanza della comprensione dei trend è posta in evidenza, con riguardo all'analisi esterna, da Aaker (D. A. Aaker, Strategic market mnagement, John Wiley & Sons, 1992, p. 98): «Often one of the most useful elements of external analysis comes from addressing the question, what are the market trends? The question has two important attributes: it foscuses on change and trends to identify what is important. As a result, strategically useful insights almost always result. A discussion of market trends can serve as a useful summary of coustomer, competitor and market analysis. It is thus helpful to identify trends near the end of market analysis.».

In questo caso, l'impresa dimostra una carenza di sicurezza nel disegnare le proprie prospettive che rischia di vanificare ogni iniziativa la quali abbisogni di un pur minimo margine di tolleranza quanto ai tempi di attesa perché le aspettative possano manifestarsi ed alla aderenza di queste ultime alle ipotesi sulle quali la strategia era stata impostata.

Stiamo naturalmente parlando in termini relativi: la durata di questa "smagliatura" del trend principale può anche essere lunga anche alcuni anni, richiedendo un certo lasso di tempo per poter essere riassorbita.

Cfr. . 1.1.

L'impresa deve guardare a questo genere di attività secondo un'ottica strategica, assimilandolo ad una sorta di assicurazione sul proprio futuro che, ovviamente, ha il suo premio da are in termini di investimenti.

Naturalmente, non bisogna dare seguito a tutti i possibili sviluppi del mercato, stabilendo, invece, delle priorità, anche tenendo conto del potenziale strategico e delle risorse - umane, finanziarie, immateriali - a disposizione dei principali competitori. Resta comunque salva, per le imprese leader, la possibilità di inserirsi in un momento immediatamente successivo a quello del posizionamento innovativo adottato da un concorrente offrendone una propria versione in modo da appropriarsi del valore generato che ad esso verrebbe attribuito in virtù dell'identificazione con la più ampia categoria di riferimento ormai sedimentata nei potenziali acquirenti (la maggiore o minore probabilità che ciò avvenga è funzione diretta della tempestività di intervento, del grado di consolidamento della leadership riconosciuta alla marca (a sua volta dipendente dal livello di notorietà e familiarità ad essa attribuita) e della forza e capacità di difendere la nuova posizione che la marca sfidante dimostra di possedere.

Per quest'ultimo caso, tuttavia, sembra piuttosto di assistere al tentativo di sfruttare la spinta del prodotto base per lanciare un'offerta dai bassi costi incrementali e dall'elevata profittabilità.

Si noti come siano, tutti, esempi riconducibili ad una marca leader nelle condizioni di attuare una strategia difensiva in grado di anticipare possibili mosse della concorrenza.

Sebbene siamo, in questo caso, pienamente sul piano della tattica, è la strategia che, con le sua potenzialità di flessibilità, determina la possibilità per la marca di fare proprio il peculiare valore prodotto dal trend. Se, perciò, il perseguimento di tale valore può mettere il concetto e le associazioni di marca in contraddizione, è preferibile ignorarlo, onde evitare di arrecare danno al suo core value.

Un trend deve essere identificato nelle sue linee essenziali, senza avere la presunzione di carpirne ogni dettaglio per non correre il rischio di perdere tempo in un'attività sterile, quand'anche non fuorviante. I concetti che esprimono una tendenza devono, pertanto, non essere troppo numerosi e confermarsi vicendevolmente, senza, tuttavia, sovrapporsi (nel qual caso creerebbero soltanto confusione). La plausibilità di una tendenza è direttamente proporzionale al grado di coerenza tra gli elementi concettuali che la compongono, determinano ed esprimono.

Come accade per le tendenze, le associazioni primarie, più generali e profonde, saranno destinate a durare più a lungo e da esse si svilupperanno quelle di ordine successivo, più particolari e mutabili.

Dove per oggettivamente si intenda "in maniera praticamente indipendente dalle circostanze".

La validità di questa opzione sembra essere tanto maggiore quanto più la domanda è insensibile al prezzo (e invece sensibile agli altri elementi del marketing mix).

Del resto, così facendo cadrebbe in contraddizione, trattandosi di un mercato cresciuto proprio in forza dell'assenza di tempo (o di voglia) nel preparare i pasti e della ricerca, d'impulso, del piacere alimentare.

A volte, i problemi di posizionamento nascono anche da qui: se, infatti, il concetto primario è corretto e aderente al trend cui intende riferirsi, non è detto che quelli espressi ai livelli superiori lo siano e concordino con esso, portando la marca anche molto lontano dalla posizione strategica ideale. Più raramente accade il contrario, e cioè che ad un errato posizionamento primario corrispondano uno secondario ed uno terziario in linea con quanto richiesto dalle aspettative del consumatore, trattandosi, in ogni caso di una situazione temporanea, destinata a venire meno con l'esaurirsi del trend che la sostiene.

A tale rinnovata apertura dei mercati fa riscontro, dall'altra parte, la tendenza, assecondabile attraverso il perseguimento di una leadership emozionale, a porre le soglie d'entrata nei frammenti di mercato il più in alto possibile per la concorrenza.

I miti sono contenuti di fede ai quali si crede senza saperlo. La marca sottoposta ad un processo di mitizzazione disporrà di un rilevante carico di notorietà, familiarità, diversità e fiducia incrementando di conseguenza il suo valore e la sua rilevanza nel particolare mondo concettuale di riferimento del consumatore.

Molti problemi di posizionamento partono proprio dal mancato riconoscimento del ruolo interpretativo dei significati inviati dall'impresa svolto dal sistema percettivo dei potenziali acquirenti. Tali significati, infatti, possono assumere ulteriori e, eventualmente, diverse connotazioni nel momento in cui entrano in contatto con quelli sedimentati nella mente del consumatore e con quelli che già si trovano nel mercato e, più in generale, nell'ambiente d'appartenenza.

In altre parole, è spesso riscontrabile la tendenza da parte delle imprese a non cogliere tutta la rilevanza ed il reale significato del concetto di fusione con il mercato la quale, assieme alla particolare strategia di posizionamento seguita, va a determinare la consistenza e la sostenibilità del vantaggio competitivo. Si ha, in questi casi, un'ottica del rapporto impresa-mercato troppo parziale e sbilanciata verso se stessi ignorando o non volendo vedere una realtà più grande di noi e che, seppure risulti meno controllabile direttamente, offre delle importanti opportunità che bisogna essere capaci di riconoscere e sfruttare a proprio vantaggio.

Naturalmente, questo passaggio varia secondo il particolare contesto storico e circostanziale ed al mutare della categoria concettuale di riferimento.

Nella prima metà degli Novanta, il fatto di aver trascurato il prodotto (cioè, la qualità reale) nella manutenzione del posizionamento è stato una della ragioni ala base della crisi che ha investito molte marche, screditate rispetto ai benefit tangibili. Il crescente processo di banalizzazione dei prodotti ha progressivamente omologato l'offerta, comportando l'appiattimento della competizione reale sul versante della convenienza pura, dove il prodotto di marca esce inesorabilmente sconfitta, venendosi a creare un notevole gap tra prodotto e immagine superabile solo attraverso l'intervento sinergico e coordinato su entrambi gli ambiti di riferimento. La strada da battere quando si assiste ad un sostanziale decremento del valore della marca è, pertanto, quella di un recupero di un'identità che abbia un significato rilevante e che, scavando oltre l'immagine, ne riscopra le radici culturali e la missione, sue fonti di legittimazione.


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