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Premesse storiche - Definizioni e tipologie di gruppo - Aggregazioni non organizzate

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1) Premesse storiche


L'analisi dei gruppi e del loro funzionamento diviene oggetto di interesse scientifico negli Stati Uniti d'America intorno agli anni Trenta, sotto la spinta di eventi storici, quali la grande crisi economica iniziata con il cosiddetto mercoledì nero di New York, il 24 ottobre 1929, data di demarcazione per il crollo della Borsa di Wall Street. Questo evento ebbe effetti economici disastrosi, che si protrassero per diversi anni, portando disoccupazione e povertà in larghi strati della popolazione.

In quegli anni in Europa si stavano intanto affermando in molti Stati varie forme di totalitarismo politico (fascismo in Italia e Sna, nazismo in Germania, comunismo in Russia e poi nella nascente Unione Sovietica). Il totalitarismo che si sviluppa in questo periodo, secondo Hannah Arendt, 'costituisce qualcosa di diverso dalle altre forme di regime autoritario storicamente conosciute, poiché dove ha conquistato il potere ha distrutto le tradizioni politiche e sociali del paese per introdurne delle nuove, ha portato alle estrene conseguenze le caratteristiche della società di massa (trasformando le classi sociali in masse di individui intercambiabili fra loro), ha invaso la sfera privata degli individui con il terrore e l'ideologia'.



La Seconda Guerra Mondiale, le sue tristi conseguenze ed i suoi orrori, compresi gli 'stermini di massa compiuti principalmente dai nazisti, furono eventi collettivi di portata così vasta da avere effetti su molte discipline, nel tentativo di capire cosa fosse successo, come fosse potuto accadere, come evitare che si ripetesse nel futuro' .

Secondo McGuire tutti questi eventi dei primi decenni del '900 provocarono, nelle discipline scientifiche psico-sociali, lo spostamento dell'interesse dalla misurazione degli atteggiamenti allo studio dei processi sociali di gruppo, in quanto sembrava più urgente . «scoprire in che modo l'azione sociale possa essere controllata e manipolata per cambiare gli atteggiamenti e il comportamento, invece di limitarsi a misurarlo».

Oltre agli eventi storici furono altre pressioni di natura scientifica che ponevano in evidenza l'importanza dello studio dei gruppi ristretti. Con gli esperimenti condotti negli stabilimenti Hawthorne (vicino a Chicago) della Western Electric Company, Elton Mayo mise in evidenza l'incidenza dei fattori umani sulla produzione e del gruppo come forte organizzatore del comportamento degli individui. «In generale si giunse alla conclusione che la produttività del gruppo era funzione della soddisfazione lavorativa dei suo membri, soddisfazione che a sua volta dipendeva dalla struttura sociale che il gruppo si dava in maniera informale».

Nel 1945 Kurt Lewin fonda, presso il Massachussetts Institute of Technology (il prestigioso MIT) il «Research Centre for Group Dynamics», che diventa il cuore di una serie di ricerche e di elaborazioni teoriche sul gruppo concepito come una totalità dinamica che evidenzia caratteristiche diverse da quelle risultanti dalla somma delle sue componenti. Si può far risalire proprio a Lewin la fondazione dello statuto psico-sociale della nozione di gruppo. L'interesse si Lewin ha avuto origine probabilmente dalle sue vicissitudini di ebreo tedesco emigrato negli USA per le persecuzioni naziste. Quando morì si stava occupando intensamente dei problemi legati alle minoranze etniche e alla questione ebraica.

Le ricerche di Lewin sui gruppi non sono finalizzate solo a conoscere i fenomeni dinamici, ma anche a mettere a fuoco il problema del cambiamento sociale.

Dopo gli anni '50 la ricerca sui gruppi si spostò in Europa, dove gli americani erano preoccupati di promuovere gli studi sociali per contrastare l'ideologia marxista. Dagli anni '60 in poi l'interesse degli psicologi sociali si spostò più verso i concetti di identità sociale e di relazioni intergruppi (Tajfel) di influenza minoritaria (Moscovici), e si pongono le prime distinzioni tra ambiti disciplinari diversi: l'etologia, la sociologia clinica, la pragmatica della comunicazione e, come affermano Levine e Moreland, la psicologia delle organizzazioni.

Al contrario della psicologia dette discipline si servono di osservazioni e di studi sul campo e riservano poco spazio agli studi sperimentali e di laboratorio, propri della psicologia; detti studi permettono maggiori acquisizioni di conoscenze e l'allargamento degli orizzonti scientifici nello studio dei gruppi sociali. Da ambito proprio della psicologia sociale lo studio dei gruppi ha acquistato sempre più valenze sociologiche.

A questo proposito il sociologo Elias fa rimarcare come molti aspetti delle società umane non possono essere spiegati nei termini di contributi e di idee individuali, «neppure pensando in termini di un'accumulazione di quelle idee», ma devono essere spiegati in termini di «sviluppo sociale», espressione che si riferisce al continuo intrecciarsi «dei piani e delle azioni degli esseri umani che agiscono in gruppo». Secondo l'autore il termine «interazione» è troppo debole per rendere adeguatamente conto della potente interdipendenza fra individui e gruppi, poiché rimanda ad un «modello tradizionale di società come unità puramente cumulativa di un numero di individui, inizialmente isolati». In realtà tutto ciò che viene descritto come «processo sociale», con i suoi sviluppi e innovazioni, è il prodotto unico e originale dell'interdipendenza funzionale di individui e gruppi.



2) Definizioni e tipologie di gruppo


Il termine 'gruppo' è talmente connotato a livello di impiego quotidiano e di senso comune da costituire, per lo studioso che se ne occupa, un problema preliminare di definizione. Senza voler qui approfondire la questione, piuttosto ampia, ci si limita a riportare alcune definizioni relative a tipi di gruppo. Gruppo viene dal germanico Kruppa, che 'sta ad indicare insieme di persone o cose legate da caratteristiche comuni o da rapporti di vicinanza che li rendono indistinguibili'.

'Un gruppo sociale è costituito da un certo numero di individui che interagiscono l'uno con l'altro con regolarità. Questa regolarità di interazione tiene insieme i partecipanti, dando vita a una distinta unità con una propria complessiva identità sociale. I membri di un gruppo si aspettano determinate forme di comportamento l'uno dall'altro, che non sono invece richieste ai non appartenenti. I gruppi differiscono quanto a dimensioni: vanno da associazioni intime, come una famiglia, a collettività più ampie, quali un circolo sportivo'

Il punto di partenza della panoramica sulle definizioni di gruppo, che qui si vuole dare, è l'affermazione di McGrath, il quale fa notare che 'se è vero che ogni gruppo è un'aggregazione di individui, ogni aggregazione non è necessariamente un gruppo'. E' possibile offrire alcune definizioni, che di seguito si presentano:


Aggregazioni artificiali, quali i gruppi statistici o le categorie sociali, i cui componenti sono classificati insieme in base a qualche caratteristica comune (sesso, età, livello di reddito, nazionalità, ecc.), ma che non sono necessariamente implicati in qualche tipo di relazione;


Aggregazioni non organizzate, che Giddens chiama semplicemente aggregati, che sono degli insiemi di individui che si trovano nello stesso luogo e nello stesso momento senza altro tipo di legame; ci sono distinzioni da fare anche per gli aggregati, in quanto essi possono includere o meno la vicinanza fisica e uno scopo contingente comune. Ad esempio, chi costituisce il pubblico di uno stesso spettacolo televisivo o naturale non condivide (necessariamente) la vicinanza fisica, come avviene invece per la folla; il pubblico di una conferenza o dei viaggiatori nello stesso aereo condividono provvisoriamente una stessa mèta e sono fisicamente vicini; i giocatori delle lotterie pubbliche condividono lo stesso scopo (vincere del denaro) ma non la vicinanza fisica;


Unità sociali con modelli di relazione, sono insiemi di individui che condividono un set di valori, costumi, abitudini, un linguaggio comune, come le culture, le sub-culture, le parentele;


Unità sociali strutturate, in cui diviene più forte il carattere di interdipendenza e di relazioni strutturate, come una società (che pur presentandosi come un vasto aggregato sociale, condivide zone geografiche, sistemi politici, relazioni strutturate e livelli di interdipendenza), una comunità, una famiglia (in cui le caratteristiche di interdipendenza e di struttura di relazioni sono molto più forti e pervasive che nella parentela);


Unità sociali intenzionalmente progettate, come un'organizzazione (scopi comuni, status e ruoli differenziati) o un gruppo di lavoro;


Unità sociali meno intenzionalmente progettate, come un'associazione o una organizzazione volontaria (vi sono scopi comuni mentre possono esserci o non esserci relazioni interpersonali dirette; se vi sono questa aggregazione somiglia ad una organizzazione o a un gruppo di lavoro, se non vi sono relazioni dirette somiglia ad un pubblico) o a un gruppo di amici.


E' possibile peraltro ricordare che in sociologia i gruppi si distinguono anche in primari e secondari:

I gruppi primari sono insiemi di persone che interagiscono direttamente e sono legate da vincoli di natura emotiva. Esempi caratteristici di gruppi primari sono la famiglia, i gruppi amicali e certi gruppi a finalità educativa. Secondo Peter Meyer, il gruppo primario è composto da un numero ridotto di individui, capaci di sviluppare - mediante un'interazione regolare e diretta - un forte sentimento di identificazione collettiva. Per Cooley i gruppi primari sono caratterizzati da un modello vitale comunitario e da contatti personali immediati (face-to-face = il quotidiano faccia a faccia) fra i vari membri che ne favorirebbe l'identificazione comunitaria


I gruppi secondari sono gruppi formati da persone che hanno rapporti più o meno frequenti ma di tipo prevalentemente impersonale, in quanto determinati principalmente da scopi pratici. Secondo Peter Meyer, il gruppo secondario è composto da un numero elevato di membri, fra i quali non vi è alcuna forma di comunicazione immediata. Le relazioni fra ogni appartenente al gruppo sono di carattere strumentale, mentre quelle tra individui sono pressoché indifferenti sotto il profilo affettivo. Ad esempio si possono considerare gruppi secondari organizzazioni di grandi dimensioni, le unità militari di un esercito, una grande fabbrica


Gruppi formali sono invece quelli che si costituiscono sulla scorta di considerazioni impersonali, di tipo organizzativo, in vista dell'ottenimento di certi scopi e sono basati su relazioni strumentali (gruppi sportivi, politici, religiosi, culturali, ecc.).


Gruppi informali sono invece quei gruppi che pura avendo esteriormente un fondamento 'formale e organizzato' si articolano con i caratteri dei gruppi primari. 'Gli individui', si fa osservare dal Meyer con riferimento alle ricerche sulla produttività delle officine Hawthorne di Chicago, 'uniti dal caso in gruppi formali cercano soprattutto di realizzare delle relazioni soddisfacenti sul piano personale perché gratificanti emotivamente e socialmente stabili'. Sono peraltro gruppi informali quelle aggregazioni spontanee, naturali, il cui fine va soprattutto ricercato nel bisogno di socializzazione (ad es. tra gli adolescenti, che spesso si aggregano o si trovano in gruppi informali).


Gruppo di appartenenza è quello cui si sente di appartenere, è il gruppo in cui ognuno è integrato e che si caratterizza sia in base agli individui di appartenenza sia sulle diversità con gli altri.


Gruppo di riferimento (reference groups) è quello verso il quale una persona si è abituata ad orientarsi nella valutazione di determinati fatti, situazioni ed eventi. L'esempio è offerto dal Merton (che parla di modelli di ruolo) con riferimento ai comportamenti di 'socializzazione anticipatoria' posti in essere da coloro che magari aspirano a divenire parte di un altro gruppo nella speranza di attuare realmente l'aspirata mobilità sociale. Si parla anche di 'gruppi d'aspirazione', intendendo il gruppo di riferimento cui si spera un giorno o l'altro di appartenere.


In-group secondo la lezione di Sumner e la concezione dell'altro di Mead, è il 'gruppo di noi', quella immagine o rappresentazione del sé, che ogni individuo media dal gruppo di appartenenza.


Out-group è invece il 'gruppo dei loro', il gruppo che si individua come 'altro da noi', quello che individua la nostra 'non appartenenza'.



3) Origine ed evoluzione dei gruppi e modalità di ingresso


La realtà dei gruppi è sempre una realtà dinamica ed in continua trasformazione e cambiamento. Alla base della vita di un gruppo vi sono dunque sempre modalità dinamiche che riguardano il gruppo fin dal suo primo formarsi.

In particolare secondo Tuckman e sebbene sia piuttosto difficile trovare dei riscontri empirici del modello di sviluppo proposto, la vita del gruppo «passa attraverso cinque stadi di sviluppo:


Uno costitutivo (forming) in cui i membri potenziali sono incerti e dubbiosi circa la propria appartenenza al gruppo e perciò si comportano in modo molto cauto;


Uno conflittuale (o tempesroso, storming) in cui i membri diventano assertivi e si trovano implicati in vari conflitti quando tentano di piegare il gruppo alle proprie esigenze personali;


Uno normativo (norming) in cui i membri tentano di risolvere i conflitti negoziando regole di comportamento;


Uno realizzativo (performing) in cui i membri lavorano cooperando tra loro per raggiungere scopi comuni;


Uno, infine, di sospensione (adjourning) in cui i membri si distinguono dal gruppo sia sul piano socio-relazionale ed emozionale, sia sul piano operativo»


Per quanto riguarda l'ingresso di un individuo nel gruppo si fa rimarcare come spesso si possano riscontrare dei veri e propri riti di iniziazione, più frequenti peraltro nelle società arcaiche e meno nelle società moderne. Tra questi riti, nel Cristianesimo, è il battesimo «che conserva un carattere di mistero iniziatico, che modifica lo statuto ontologico dell'individuo». Nel Cristianesimo si è passati peraltro da un unico atto a più atti iniziatici (battesimo, eucarestia, cresima), tappe che sono comprensibili solo all'interno della simbologia cristiana.

Anche altre religioni hanno analoghi processi iniziatici per divenire componenti del gruppo a tutti gli effetti. Senza entrare nei particolari si fa riferimento a prove di resistenza al dolore fisico, alla paura, alla fatica, ma anche a fasi di apprendimento di un determinato lavoro, ai processi che portano l'individuo ad arruolarsi, ad entrare all'università, in un'associazione, ecc.

Sono state riscontrate delle vere e proprie strategie di accesso, studiate specie tra i bambini negli ambienti scolastici e nei giochi, e tutta una serie di rituali collettivi che sottolineano la valenza delle c.d. transizioni sociali e di ruolo.

Vi sarebbero secondo Levine e Moreland quattro tattiche che permetterebbero ai neofiti un più semplice ingresso nel gruppo:

condurre un processo di ricognizione del gruppo per conoscere e verificare cosa e come è il gruppo;

fare il 'nuovo arrivato', cioè essere attento alle regole e alle necessità dei membri anziani, avere un comportamento conseguente, ecc.;

cercare dei modelli di guida, dei veri e propri 'tutor' o referenti nel gruppo;

essere collaborativi con altri neofiti, per avere una più facile socializzazione.



4) Il processo di socializzazione nei gruppi


Quando un individuo entra in un gruppo deve immergersi nella cultura di quel gruppo che include nodi condivisi di vedere la realtà e costumi comuni. ½ sono cerimoniali particolari, l'uso di espressioni gergali, di canti, di divise, di cerimonie che solennizzano, ritualizzandoli, particolari eventi e ricorrenze. Un esempio di tutto questo può essere rintracciato, nelle società occidentali avanzate, dall'acceso e dalla partecipazione dei ragazzi alle associazioni dei 'boy-scout'.

Tutto questo fa parte del processo di socializzazione «mediante il quale ad un nuovo membro di un gruppo sociale vengono trasmessi valori, norme, atteggiamenti e comportamenti che sono condivisi dai membri preesistenti del gruppo stesso. In questa prospettiva il processo di socializzazione può essere visto come un processo che si svolge lungo tutto l'arco della vita di un individuo, nel senso che l'apprendimento non ha mai fine; ciò nonostante va subito precisato che gran parte dell'apprendimento di base si compie nei primi anni di vita.»

Si usa distinguere a questo proposito tra socializzazione primaria e socializzazione secondaria. Con la prima s'intende quella fase di apprendimento che, durante l'infanzia, ogni individuo si trova ad affrontare e che ne farà un membro della società mettendolo in grado di rispondere alle sue aspettative.

La socializzazione secondaria si riferisce invece al processo di apprendimento di un individuo adulto che ha già avuto la sua socializzazione di tipo primario e che viene messo in condizione di potersi adattare alle aspettative di comportamento impostegli da nuovi ambienti sociali o nuovi gruppi di riferimento.

I processi di socializzazione (primaria e secondaria) si basano sui meccanismi dell'identificazione e dell'interiorizzazione.

Per identificazione si intende quel «processo nel corso del quale, in virtù di una dipendenza emotiva o di un diverso grado di autorità, l'individuo si cala nella situazione di un altro assumendone il ruolo e gli atteggiamenti».

Per interiorizzazione deve intendersi invece quel processo, che porta ad accogliere «le norme e gli atteggiamenti socialmente sanzionati, per effetto di processi di identificazione già avvenuti» ( . ) «nel proprio repertorio dei modelli di azione di cui si è fatta esperienza ad un livello soggettivo ed autonomo».

Nel processo di socializzazione vi è un aspetto soggettivo nella risposta - che si caratterizza in un maggiore o minore grado di accettazione di valori e modelli del gruppo -, che ognuno dà alla pressione di agenti socializzanti, o agenzie di socializzazione: la famiglia, il gruppo di gioco, la scuola, la chiesa, il gruppo politico, i mezzi di comunicazione di massa.

Alcuni sociologi accentuano le capacità socializzanti dei gruppi e considerano l'individuo quasi completamente come un prodotto della società, plasmato anche nelle caratteristiche più profonde dalla pressione socializzante e dall'azione di manipolazione culturale.



5) Il sistema di status nel gruppo e i ruoli


Se si osserva un gruppo, una delle prime osservazioni è certo relativa al fatto che «i membri non sembrano essere tutti allo stesso livello, non sembrano avere tutti la stessa rilevanza e centralità: alcuni sembrano più ascoltati di altri, possono assumere iniziative e dare direttive agli altri, sono valutati e considerati consensualmente come più importanti. ( . ) E' possibile rendersi conto di chi all'interno del gruppo occupa un posto elevato anche solo dal comportamento non verbale: ( . ) chi ha più potere tende a parlare con voce ferma e con poche esitazioni, mantiene il contatto visivo con gli altri, ha postura eretta ( . ) parla più degli altri, più probabilmente esprime critiche, dà ordini o interrompe gli altri e riceve anche un maggiore numero di comnunicazioni da parte degli altri membri. ½ è cioè una caratterizzazione e una differenziazione in base allo status di ognuno.

Il concetto di status si riferisce alla posizione che una persona occupa in un gruppo sociale e alla valutazione di tale posizione su una scala di prestigio.

«Il significato più comune e importante del termine status nelle scienze sociali, condiviso da R. Linton, T. Parsons e R.K. Merton, è quello di una posizione in un sistema sociale che implica aspettative reciproche di azione rispetto a coloro che occupano altre posizioni nella stessa struttura. ( . ) Le varie posizioni quindi o status che i membri di una società o gruppo occupano in relazione l'uno all'altro, come pure il 'ruolo' che essi devono svolgere di conseguenza, hanno un significato fondamentale nell'organizzazione e funzionamento sociale, dal momento che ogni individuo, ogni categoria di individui e ogni gruppo ha una posizione sociale o un punto identificabile di locazione nel modello di organizzazione di un particolare sistema. Questo status deve naturalmente essere distinto dalla locazione ecologica e spaziale. Il suo significato è distintamente psicologico e sociale.»

Le differenziazioni di status appaiono articolate secondo un sistema gerarchico che tiene conto del prestigio delle varie posizioni. Chi ha uno status più elevato sembra avere un maggiore potere di promuovere iniziative, attività ed idee, di avviare azioni. Il capo è colui che ha in maggior misura questi poteri e queste capacità. ½ è inoltre una valutazione consensuale del prestigio connesso ad un certo status.

Anche negli studi etologici si applica il concetto di gerarchia, specie nelle relazioni degli animali che vivono in gruppo. «La più nota fra le gerarchie osservate è quella de 'l'ordine di beccata', in base a cui ogni gallinaceo si sottomette a quelli che risultano superiori nel combattimento e predominano sui più deboli»

Gli studi sullo status si sono occupati anche dei criteri che portano all'individuazione ed all'attribuzione di una data posizione all'interno di un gruppo sociale o di una società. Bartoli ne precisa alcuni che sono presenti pressoché in ogni società:

il sesso: in tutte le società si prescrivono attività e atteggiamenti diversi sulla base del sesso, spesso ciò viene giustificato con motivazioni fisiologiche, ma si tratta in genere di diversità di carattere culturale;

l'età: anche l'età viene presa in considerazione per l'attribuzione di status, generalmente in riferimento a tre principali suddivisioni: la gioventù, l'età adulta e la vecchiaia;

la parentela: anche questo criterio è basilare per l'attribuzione di status. Si fa riferimento alla nascita, ma anche al matrimonio ed all'affinità di sangue per stabilire lo status di una persona;

i fattori sociali: tutte le società dividono i propri membri in una serie di gruppi o categorie, con l'attribuzione di vari livelli di importanza sociale. Bartoli, con riferimento a C.I. Barnard, elenca cinque tipi di differenze e bisogni che dànno origine ai sistemi di status:

a) la differenza nelle abilità degli individui: chi sa corrispondere meglio alle attese del gruppo può raggiungere uno status elevato;

b)    la diversità nelle difficoltà relative inerenti a un compito, di fare cioè quanto un gruppo desidera (più sono in grado di fare un compito meno il compito è valutato);

c) la diversità e l'importanza dei vari tipi di lavoro sulla base del sistema dei valori che orienta una società;

d) il desiderio di uno status ufficiale al di fuori del gruppo;

e) il bisogno di protezione dell'integrità della persona.


Secondo Max Weber allo status si attribuisce il significato di posto, posizione, in riferimento alla distribuzione del prestigio in un sistema sociale.



6) I ruoli nel gruppo e le norme


Lo status presenta anche un aspetto dinamico, che consiste nel comportamento che la società o l'individuo si aspettano da chi occupa una determinata posizione.

E' Linton che definisce queste aspettative comportamentali come ruoli e precisa che «Un ruolo rappresenta dinamico dello status. L'individuo socialmente è assegnato a uno status che egli occupa in relazione ad altri status. Quando egli usa i diritti e doveri che costituiscono lo status, egli svolge un ruolo».

Per ruolo si intende dunque 'un insieme di aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi un individuo che occupa una determinata posizione nel gruppo

Alcuni parlano di «status-ruoli» - definendo per status ciò che uno è nel gruppo, per ruolo ciò che uno fa nel gruppo - e precisando che «ogni individuo ha tanti status-ruoli quanti sono i gruppi a cui appartiene: familiare, economico, religioso, politico, educativo, ecc. In ognuno di essi può avere anche più status-ruoli: ad esempio, nel gruppo familiare un individuo può essere lio, fratello, marito, padre, cognato, zio ecc. secondo la presenza di altre persone con le quali deve stabilire delle relazioni secondo le norme indicate dalla cultura» di appartenenza.

I ruoli nel gruppo adempirebbero almeno a tre funzioni, secondo la lezione di Brown, come riportato da Speltini e Palmonari:

facilitare il raggiungimento dello scopo di gruppo (i ruoli concorrono a dividere il lavoro tra i vari componenti);

portare ordine e prevedibilità nel gruppo (tutto sanno cosa aspettarsi e da chi);

definire alla nostra 'autodefinizione' nel gruppo (contribuiscono alla consapevolezza di ciò che siamo).


In ogni gruppo esistono comportamenti consentiti e non consentiti. Sono le norme a stabilire qual è il limite oltre cui i comportamenti non sono accettabili e sono da biasimare, o sanzionare, adeguandosi alle scale di valori condivisi in una società o in un gruppo.

Non includono soltanto regole di comportamento, ma riguardano anche la lingua (per esempio la grammatica), le modalità di abbigliarsi o di acconciarsi, le pratiche alimentari (divieto di consumo di carni particolari o di bevande), ecc.

Si possono distinguere diverse tipologie di norme: la più importante è senz'altro quella che distingue le norme formali (di tipo istituzionale, tese a fissare i cardini di un'organizzazione o un gruppo formale) da quelle informali (di carattere più emotivo e motivazionale). Ma si distingue anche tra norme esplicite (quando, ad esempio, in un gruppo c'è un regolamento che sancisce ciò che è permesso e ciò che non lo è) ed implicite (nulla è scritto e sancito ufficialmente, ma le norme hanno un grande impatto e una cogenza tale da sancire addirittura l'esclusione di un membro che le abbia violate), tra centrali (quelle che sono centrali per la vita e la sopravvivenza di un gruppo) e periferiche (quelle che non sono centrali, ma marginali al gruppo, riguardando il comportamento soggettivo del componente nella sua sfera privata).

Sempre secondo Palmonari «Le norme possono essere definite come aspettative condivise rispetto a come dovrebbero comportarsi i membri del gruppo. La dinamica di interazioni sociali all'interno di ogni gruppo comporta la costruzione di un set limitato di comportamenti ed opinioni cui ci si attende che i membri debbano uniformarsi, un insieme di norme consensuali la cui effrazione può comportare delle sanzioni per coloro che deviano. ( . ) Queste norme permettono di definire la 'latitudine' dell'espressione delle differenze individuali, cioè i limiti entro i quali la diversità di opinioni o comportamenti individuali può essere accettata senza essere giudicata come 'devianza'».

Le norme avrebbero almeno quattro funzioni:

l'avanzamento del gruppo (le norme servono al gruppo per raggiungere i propri obiettivi);

il mantenimento del gruppo (le norme permettono al gruppo di sopravvivere come entità a se stante);

la costruzione della realtà sociale (le norme offrono sostegno alle opinioni dei vari membri per costruire attraverso il consenso una realtà condivisa, una realtà sociale);

la definizione dei rapporti con l'ambiente sociale (le norme permettono ai membri del gruppo di definire le proprie relazioni rispetto all'ambiente sociale più vasto, composto di gruppi, istituzioni, organizzazioni).


Le norme fissano e regolano la vita dei gruppi con la partecipazione di tutti i componenti. «Fu Lewin a mostrare l'importanza dell'impegno e della partecipazione dei membri nel mutare degli standard di gruppo. Rispetto all'uniformità di gruppo, di cui le norme costituiscono un esempio paradigmatico, Lewin riteneva che essa fosse una situazione di 'equilibrio quasi stazionario' in un campo di forze la cui distribuzione è tale per cui la deviazione dal livello normativo incontra forze contrarie che tendono a ritornare a detto livello. ( . ) Le norme sono un prodotto collettivo, come pure collettive sono sia la resistenza sia la possibilità di cambiarle».

«Gli individui non possono da soli cambiare una norma, allo stesso modo in cui non possono cambiare una regola grammaticale, il valore di una moneta o il senso di marcia dei veicoli. ( . ) è necessario uno sforzo concertato dell'insieme del gruppo».


7) Comunicare nel gruppo


Un gruppo sociale è anche il flusso di comunicazione che passa al suo interno, è la possibilità di scambiare significati, di costruire il senso comune. Se venissero meno questi flussi di comunicazione ogni componente si ritroverebbe isolato e il gruppo non potrebbe più esistere.

Attraverso la comunicazione ininterrotta tra i suoi membri il gruppo si crea una finalità comune, i suoi membri acquisiscono atteggiamenti comuni e rafforzano il gruppo al suo interno (creano una maggiore coesione del gruppo).

Per molti autori è possibile studiare tutte le dinamiche dei gruppi attraverso l'analisi della comunicazione di gruppo, delle sue reti e delle sue modalità.

Alla base del comunicare è indispensabile la discussione, considerata come «rito di comunicazione che riunisce periodicamente i membri di un gruppo in un luogo idoneo - salotto, caffè, mercato - secondo regole prescritte» e la conversazione con la quale, «discutendo a fondo i vari elementi dell'esperienza si assegna loro un posto ben preciso nel mondo reale» secondo un apparato continuo, coerente e senza fratture.

Attraverso la molteplicità delle opinioni, degli scambi di idee e punti di vista, si crea, si costruisce la realtà sociale all'interno del gruppo, portando i componenti, secondo la lezione di Festinger, a condividere una realtà comune.

E' possibile dunque affermare che senza la comunicazione il gruppo non esiste. Per esistere ha peraltro necessità che la comunicazione sia possibile e concretamente attiva. Si ha dunque bisogno di una rete e di una struttura di comunicazione.

Per 'rete di comunicazione' s'intende l'insieme dei canali di comunicazione presenti in un gruppo (insieme di possibilità materiali di comunicazione), mentre per 'struttura di comunicazione' deve intendersi l'insieme di comunicazioni che si sono effettivamente scambiate all'interno di un gruppo. La rete è possibilità di comunicare, la struttura è la realtà del comunicare.

E' possibile distinguere tra vari modi di comunicare all'interno del gruppo, distinguere tra comunicazione calda e fredda, spontanea e vincolata da procedure e tempi, mediata ed immediata, gerarchica e non gerarchica, ecc.

Alcuni autori (Bavelas e Leavitt) hanno analizzato le reti di comunicazioni nei gruppi con metodologia sperimentale e hanno concluso che non tutti i gruppi agiscono nello stesso modo nelle reti di comunicazione di cui possono disporre. In particolare essi hanno approfondito quattro tipi di reti:

la rete centralizzata o a ruota;

la rete a catena;

la rete a Y;

la rete circolare o a cerchio.

Attraverso questi tipi di reti si studiò l'indice di distanza (numero minimo di legami di comunicazione che un individuo deve attraversare per collegarsi con un altro componente del gruppo) e si stabilirono delle correlazioni tra l'indice di centralità di una rete (che misura quanto le comunicazioni in un gruppo siano centralizzate in una persona) e certe manifestazioni del lavoro di gruppo. Più la rete è centralizzata e più rapido è lo svolgimento se il compito è semplice, mentre se il compito è complesso appare favorita una rete meno centralizzata (rete circolare).



8) Il potere nel gruppo e la leadership


Nella vita di un gruppo i vari componenti non hanno la stessa posizione. Lo si è visto in precedenza analizzando le questioni relative allo status, al ruolo, alle norme e implicitamente alla comunicazione.

Questa diversità di posizione è uno degli aspetti caratteristici della vita di un gruppo e si caratterizza in un rapporto di dominanza e subalternità. Tale rapporto può essere indicato come un vero rapporto di potere.

Il potere, che s'individua come capacità di influenzare o controllare altre persone, secondo alcuni studiosi può derivare da cinque fonti principali:

il potere di ricompensa, che si basa sulla capacità di un individuo di dare o promettere ricompense anche di tipo simbolico;

il potere coercitivo, che si basa sulla forza obbligatoria e minacciosa di una sanzione;

il potere legittimo, che proviene da norme interiorizzate. Esse statuiscono il diritto legittimo di un individuo, o di un gruppo, su altri individui, o gruppi, che si sentono a loro volta obbligati ad accettare quest'influenza o dominanza;

il potere di esempio, o di riferimento, che si basa sull'identificazione del singolo con un altro soggetto o meglio con il gruppo di appartenenza;

il potere di competenza si basa sulle esperienze e sulle capacità, reali o supposte, attribuite ad un soggetto.


Il concetto di potere all'interno di un gruppo ci porta ad esaminare il concetto di leader e di leadership, della ura cioè di chi esercita il potere e delle modalità attraverso cui lo esercita.

«Possiamo definire leader colui il quale, nel corso della sua appartenenza alla vita di un organismo sociale, influenza gli altri membri e, più in generale, le attività che l'organismo svolge o si accinge a svolgere. Questa definizione, per non sembrare troppo rigida e classificatoria, va attenuata nel senso che, essendo la leadership un processo di interazione interpersonale, tutti gli appartenenti ad un dato contesto tendono a possedere quella che si potrebbe chiamare una quota parte. In realtà, quindi, il leader non è l'unico detentore di modalità di influenza, bensì colui che possiede la quota parte qualitativamente più rilevante. Inoltre, nella misura in cui la leadership, per essere attuata, richiede l'esistenza di relazioni interpersonali, ne deriva che anche i seguaci di un capo hanno verso di esso una certa modalità di influenza.»

Secondo Speltini e Palmonari «Il leader è la persona che può influenzare gli altri membri di un gruppo più di quanto sia essa stessa influenzata ».

Vi sono in letteratura diverse distinzioni di leader e di leadership. In particolare con riferimento al leader si possono distinguere: leader formali ed informali, legittimi ed illegittimi, socio-emozionali e centrati sul compito, leaders carismatici.

Sono leaders formali coloro che hanno una qualche forma di investitura istituzionale e leaders informali coloro che emergono nei gruppi spontanei. E' opportuno peraltro sottolineare come a volte il vero leader di un gruppo istituzionale, o gerarchicamente organizzato, non sia il superiore gerarchico, ma un altro membro del gruppo, che emerge informalmente.

La leadership si manifesta peraltro come un processo, «una forma di influenza caratterizzata dalla capacità di determinare un consenso volontario» ed è comunque sempre determinata dall'interazione tra leader, seguaci e situazioni.

All'interno di un gruppo si possono distinguere altre ure quali il gregario, il capro espiatorio, l'esperto, che concorrono ciascuno nella sua posizione e con lo svolgimento del propri ruolo a determinare la vita e le dinamiche del gruppo di appartenenza.

Per quanto riguarda la leadership è possibile far riferimento alle classiche tipologie relative allo stile di conduzione di un gruppo scolastico, individuate da Lewin, Lippitt e White : 1) leadership autocratica; 2) leadership democratica; 3) leadership lassista o permissiva.

«Il leader autocratico organizza e dirige ogni attività, resta piuttosto distaccato nei confronti dei ragazzi, tende a inibire le comunicazioni fra coetanei, non rende partecipi gli allievi del progetto operativo. Il leader democratico discute con il gruppo ogni decisione ed attività, è piuttosto amichevole e disponibile, non inibisce i contatti fra pari, rende partecipativi i membri del gruppo. Il leader permissivo interviene pochissimo nelle attività di gruppo, lasciando quest'ultimo libero di agire.».

Il test è presentato non è ovviamente l'unico tentativo di schematizzazione della leadership. ½ sono schemi a più dimensioni che fanno riferimento alle funzioni manageriali o ai modelli decisionali, all'approccio situazionista e a quelli della contingenza.

E' possibile far riferimento ai cinque stili di leadership della c.d. 'griglia manageriale': 1) stile povero o lassista; 2) stile associazione ricreativa; 3) stile di leadership orientato al compito; 4) stile intermedio tra compito e relazione; 5) stile di squadra per il raggiungimento degli obiettivi con massimo coinvolgimento relazionale.

Sulla base della situazione (o della contingenza) è possibile distinguere secondo alcuni autori un «normative model of decision making» (modello decisionale normativo) nel quale è possibile rintracciare cinque stili di conduzione: 1) autocratico; 2) autocratico con richiesta di informazioni ai collaboratori; 3) consultivo individuale; 4) consultivo di gruppo; 5) partecipativo.

Tra le forme di leadership, due sembrano peraltro avere una certa rilevanza: la leadership trasformazionale e la leadership carismatica.

La leadership trasformazionale è quella di chi è impegnato nella trasformazione dei suoi seguaci e di se stesso in una prospettiva dinamica, che tiene conto delle motivazioni dei membri del gruppo, dei loro bisogni e delle loro necessità. Il leader in questo caso tenta di solito di mutare i valori di riferimento in senso umanizzante, di far riferimento a principi di lealtà e giustizia.

Anche la leadership carismatica sarebbe una forma di leadership trasformazionale. Facendo riferimento al termine carisma, nel significato cristiano di dono soprannaturale elargito dallo Spirito Santo a membri della Chiesa per il bene della comunità, Max Weber individua un tipo di individuo con speciali caratteristiche personali e con poteri straordinari.

I leaders carismatici hanno effetti potenti sui seguaci: 1) forniscono forti modelli di ruolo, in modo da permettere l'adozione di credenze e valori (santi); 2) mostrano livelli di competenza elevati (condottieri militari, grandi capitani d'industria, ecc.); 3) esprimono scopi ideologici che hanno implicazioni morali; 4) hanno la capacità di comunicare un elevato grado di aspettative nei loro confronti e hanno fiducia nella loro capacità di rispondere a tali attese; 5) sono in grado di attivare motivazioni importanti con veri e propri sentimenti di affiliazione e appartenenza.



9) Forze centripete nel gruppo: coesione e conformità


Si è detto come un gruppo abbia natura essenzialmente dinamica. Al suo interno agiscono forze diverse; ogni individuo nel momento in cui ne entra a far parte produce delle modificazioni che vanno pian piano riequilibrate e che possono distinguersi come forse centripete (che rafforzano il gruppo unendolo in un centro ideale) e forze centrifughe (che tendono invece a separarlo, a farlo dissolvere).

Ogni gruppo ovviamente ha una sua vita, una origine e una fine, in cui i membri si separano magari per dare vita ad altri gruppi. In queste dinamiche aggregative e dispersive si individuano generalmente i concetti di coesione e di conformità, di conflitto, di protesta e di exit.

Per coesione Festinger individua «la risultante di quel processo per cui un insieme di individui diventa un gruppo e si mantiene come tale, resistendo alle forze che possono tendere alla separazione».

La coesione si individua come una forza centripeta, perché tiene unito il gruppo. Nella ricognizione proposta da Speltini e Palmonari la definizione del concetto di coesione passa attraverso varie fasi, che vanno dalla caratterizzazione unidimensionale in cui viene concepita unicamente come attrazione interpersonale tra i membri del gruppo alla riconsiderazione dello stesso in senso multidimensionale. Nella coesione di un gruppo influiscono dunque il grado di comunicazione interpersonale, l'identità sociale, la rappresentazione sociale condivisa della realtà di gruppo, la condivisione di norme, il processo di consensualizzazione che conduce all'uniformità, l'attrazione sociale, e individuale, la leadership, ecc.

Sulla vita di un gruppo influisce anche il fenomeno della conformità, inteso come 'effetto dell'influenza maggioritaria'. Mucchi Faina definisce meglio il concetto precisando che per conformità deve intendersi «l'adesione a un'opinione o a un comportamento prevalente anche quando questi sono in contrasto con il proprio modo di pensare».

Il fenomeno, che porta ad allinearsi su posizioni proprie della maggioranza, può peraltro avere effetti gravi, specie quando si ha paura di spezzare il vincolo di gruppo e l'armonia che vi regna. Le risorse cognitive del gruppo vengono canalizzate in razionalizzazioni a sostegno della posizione del leader e della sua maggioranza e non si leva alcuna voce di contrasto. Mucchi Faina ha riassunto in tre punti focali, o motivi prevalenti, le decisioni di chi si allinea e si conforma alle decisioni della maggioranza: 1) la compiacenza (i soggetti vogliono compiacere la maggioranza e il leader, non vogliono apparire diversi, temono o non vogliono ritorsioni o essere giudicati male); 2) l'accettazione (accade quando il compito è poco chiaro, fumoso, o la fonte di influenza ritenuta più attendibile); 3) la convergenza (parte da motivazioni emotive: opporsi alla maggioranza stanca e l'individuo si convince che la propria posizione non è corretta).



10) Forze centrifughe nel gruppo: devianza, conflitto, exit


Alla stregua delle forze che uniscono, gravitano sui gruppi forze che dividono e che possono procurarne la fine. Sono fonti di instabilità all'interno dei gruppi, la devianza, cioè la posizione di chi si pone in modo diverso rispetto alla maggioranza e che gli altri membri avvertono come fonte di perturbazione dell'armonia del gruppo; il conflitto, cioè l'insorgere di posizioni di contrasto tra i membri o tra i gruppi; l'exit, cioè l'uscita, l'abbandono del gruppo che può portare alla fine del percorso vitale del gruppo stesso.

Il deviante è percepito spesso come una minaccia; nei suoi confronti si attuano spesso manifestazioni persuasive e inviti a tornare sulle posizioni del gruppo, aumento delle quantità di comunicazioni, ecc. Se tutto questo non ha esito si può arrivare fino all'espulsione dal gruppo, o alla sua emarginazione. Se si effettuasse un test sociometrico chi devia avrebbe molti rifiuti tra i membri del gruppo.

Il conflitto costituisce un ulteriore grave rischio per la vita del gruppo. Quando vi è competizione e lotta le opinioni dei vari membri non sono più allineate e conformi fra loro, ma distanti e tese a salvaguardare il proprio punto di vista, ottenere la propria affermazione, raggiungere i propri scopi. Non c'è più consenso, né coesione.

Si individuano in genere in tre meccanismi le possibilità che i gruppi hanno per affrontare i conflitti con la speranza di risolverli:

L'evitamento del conflitto, che è un intervento preventivo teso ad impedire o a bloccare la sa delle posizioni conflittuali;

La riduzione del conflitto, in modo da riportare entro limiti accettabili per la sussistenza del gruppo il conflitto già esploso;

La creazione del conflitto in modo intenzionale in un momento di quiete per evitare danni maggiori in futuro.

Si possono distinguere: 1) il conflitto sociocognitivo, in cui è necessario che i componenti di un gruppo raggiungano una soluzione comune e che di solito ha valenza positiva in quanto riesce spesso ad essere di stimolo; 2) il conflitto costruttivo, che porta alla cooperazione ed alla ricostruzione; 3) il conflitto distruttivo, che si manifesta con un crescendo di conflittualità e che può proseguire anche quando le cause che lo hanno generato non sono più note o significative.

Il conflitto distruttivo è una delle cause che portano alla fine del gruppo, alla sua trasformazione in sotto-gruppi o nuovi gruppi. L'individuo non può più condividere finalità e scopi, sente minacciata la stessa identità di gruppo, vede accentuarsi le differenze e percepisce che i principi di autorità e leadership sono mutati e non più condivisibili.

Il soggetto può attuare l'uscita dal gruppo, l'abbandono del gruppo stesso in una sorta di scisma, da solo o insieme con altri. L'abbandono dei componenti porta spesso alla fine del gruppo. L'uscita dal gruppo, per abbandono o per dissoluzione del gruppo stesso, può portare peraltro alla creazione di nuovi gruppi da parte dei vecchi membri, che possono così iniziare un nuovo processo, aggregando nuovi componenti e originando nuovi cicli dinamici di gruppo.




Vivere borderline al di fuori della classe

di Roberto Fini

Esiste una differenza importante fra le società pre - industriali e proto - industriali rispetto alle società industriali e post - industriali che coinvolge direttamente la crescita delle persone: mentre nelle prime le fasi della vita erano due - infanzia ed adultità - e queste fasi erano nettamente separate e marcate da eventi "oggettivi" (menarca, ecc.), le società industriali hanno introdotto una nuova fase - l'adolescenza - i cui contorni sono più sfumati ed entro cui si situano diverse fasi vitali. Nelle società pre - industriali o anche semi -  industriali, l'adolescenza non esiste o è ridotta al minimo.

In genere il passaggio dall'infanzia all'età adulta è improvviso e segnalato all'individuo e alla comunità da elementi "oggettivi" (menarca, ecc.). Nelle società industriali o post - industriali, l'esigenza di un periodo di preparazione alla vita adulta e di formazione al lavoro ha imposto un prolungamento della fase di passaggio.

Il passaggio si conura come una lenta transizione e non come un cambiamento netto. Nelle società contemporanee si registra quindi la presenza di un alto numero di persone che rientrano nella fascia adolescenziale. Gli adolescenti tendono ad elaborare una propria identità in modo da "collocarsi" in maniera per loro coerente all'interno della comunità nella quale vivono.

D'altra parte, la loro identità è definibile solo nell'intreccio di contesti nei quali vivono ed agiscono; è possibile spiegare questa dinamica usando le categorie elaborate da Simmel all'inizio del secolo. Simmel (cfr. G. Simmel, Sociologia, Edizioni di Comunità, 1989) ha descritto l'intersecarsi delle cerchie sociali di appartenenza come una delle caratteristiche peculiari dell'identità del suo tempo. Nei termini di Simmel, l'individuo trae gli elementi per la definizione della sua identità proprio dai gruppi di appartenenza.

Le considerazioni di Simmel sono valide ancora oggi (forse più di ieri): "l'intersecarsi delle cerchie sociali" da lui descritto si traduce nella circostanza secondo la quale l'identità di un individuo non può più basarsi su un'unica posizione di status occupata dalla nascita, ma deve fare i conti con tutti i sottosistemi funzionali nei quali egli è inserito (familiare, economico, politico, ecc.).

Questo vale per qualsiasi individuo, ma in modo particolare per gli adolescenti, perché il loro processo di identificazione è complicato dalla molteplicità di ambiti entro cui si trovano immersi e dalla "provvisorietà" della loro fase di vita.

Il tentativo di recuperare una identità resa difficile dalla complessità propria della modernità e da "l'intersecarsi dei fasci sociali" porta le persone ad elaborare una ritualità che in parte richiama abitudini, valori, comportamenti propri delle società di tipo tribale. È stato per questo coniato il termine neotribale.

Il termine neotribale si deve a M. Maffesoli (M. Maffesoli, Il tempo delle tribù: il declino dell'individualismo nelle società di massa, Armando, 1988). Molte manifestazioni che riteniamo tipiche della modernità, in realtà richiamano abitudini e comportamenti di un passato lontano

Il termine neotribale indica quel complesso  di comportamenti umani che, attuati oggi, presentano analogie con il passato e che si richiamano a forme sociali "da villaggio". Significativamente, il comportamento neotribale è stato anche definito come quello tipico dei moderni primitivi

Possono costituire esempi di neotribalismo abitudini e comportamenti come la rinnovata attenzione per il linguaggio del corpo, la concezione del corpo come contenitore di segni, i tatuaggi e il piercing, le modificazioni corporee anche estreme, il moltiplicarsi dei rave party come situazioni di trance o quasi - trance indotta dalla musica techno, ecc.

Già da tempo si assiste ad un vero e proprio boom nella diffusione fra adolescenti di piercing e tatuaggi, tanto che non è azzardato parlare di un fenomeno che sta assumendo connotati di massa. Su questo aspetto occorre interrogarsi in modo particolare: perché un numero crescente di giovani decidono farsi un piercing e/o un tatuaggio?

La risposta più naturale ad una simile domanda è: "lo fanno per moda". Forse non è una risposta sbagliata. È molto peggio: è banale e ci fa affondare in uno di quei baratri di buon senso dai quali è ben difficile uscire.

Perché è vero: c'è anche una forte componente imitativa nella decisione di farsi un piercing o di farsi tatuare la pelle, ma la poca letteratura a riguardo ci avverte che dietro simili decisioni c'è una riflessione approfondita ed una concezione del corpo e del suo uso che non possono essere liquidati come una pura e semplice questione "di moda".

Già perché per l'adolescente, la presentazione della propria immagine ai coetanei o ad altri significativi non è una questione banale: in particolare nei confronti dei pari, l'adolescente si trova ad essere osservato da una giuria particolarmente severa, perché composta da altri da lui impegnati nella stessa prova e che vivono le stesse difficoltà.

È essenziale per l'adolescente conquistarsi uno spazio nella considerazione degli altri: chi non riesce a distinguersi è destinato alla peggiore delle condanne, cioè all'invisibilità, cioè alla mancata nascita come soggetto sociale.

Se questo è vero, allora è facile comprendere come il piercing e il tatuaggio assumono connotati particolari nel mondo giovanile: magari vengono fatti solo per imitare gli altri, per sentirsi parte di un gruppo, magari si vuol far colpo su una ragazza o su un ragazzo, ma a sedici anni queste sono questioni di capitale importanza.

Quindi non possiamo sottovalutare questo aspetto perché in questo modo ci priveremmo di strumenti essenziali per cercare di comprendere il mondo degli adolescenti d'oggi: piercing e tatuaggio hanno una importante funzione espressiva nei confronti di alcune parti o aspetti di sé che l'adolescente teme possano passare inosservati, restare in ombra; e che invece devono assolutamente essere presentati perché garantiscono all'adolescente un debutto sociale appropriato, forniscono un'immagine del sé adeguata ai nuovi ideali e non parziale o, peggio, anacronistica.

Ma, molto probabilmente, c'è di più, perché sia il piercing che il tatuaggio comunicano appartenenza. Qui occorre essere molto precisi: fino a non molto tempo, a farsi tatuare erano alcune categorie di persone ben determinate. Erano i carcerati o i marinai a decidere di veicolare attraverso il proprio corpo messaggi che dovevano essere decodificati unicamente all'interno del gruppo di appartenenza.

Come dicevamo, oggi il piercing o il tatuaggio rappresentano un fenomeno certo non maggioritario, ma comunque diffuso e in crescita. La caratteristica più rilevante da questo punto di vista è che si tratta di fenomeni ubiquitari, come si usa dire spesso oggi "trasversali". Non è più un gruppo ben determinato di giovani a decidere di differenziarsi attraverso il piercing o il tatuaggio, ma si tratta di un comportamento che interessa gruppi con diverse caratteristiche.

Anche dal punto di vista del genere, si tratta di comportamenti sempre più spesso appartenenti sia agli uomini che alle donne: in particolare il tatuaggio, fenomeno fino a non molto tempo fa tipicamente "maschile" ha ormai assunto connotati non più riferibili ai soli maschi.

Così, chi ritiene di poter circoscrivere l'uso di piercing e tatuaggi solo a determinate "categorie", socialmente individuate, sbaglia. Sbaglia perché assume una posizione pregiudiziale che non tiene conto del diverso utilizzo delle appartenenze e delle simbologie che contraddistinguono le generazioni attuali: come dice uno dei ragazzi intervistati da Pietropolli Charmet, "ci sono persone totalmente diverse che fanno le stesse cose [ . ] hanno piercing e tatuaggi e colorano i capelli ma magari appartengono a posti diversi comnie diverse non c'è distinzione tra uomini e donne".

Posti diversi, diverse comnie: è come se uno stesso alfabeto venisse usato da gruppi diversi, magari socialmente lontani, impermeabili uno rispetto all'altro. Si potrebbe affrettatamente concludere che si tratti di un'anomalia sociale, ma sbaglieremmo. Perché vorrebbe dire cercare di attribuire a questi comportamenti dei significati che esulino da quelli imprescindibilmente personali che ciascuno attribuisce ad essi.

Sono comportamenti apparentemente uguali, alfabeti unici di un universo omologato; in realtà, se anche è possibile rintracciare un unico "ceppo linguistico", si tratta di dialetti diversi. Insomma, piercing e tatuaggi uguali corrispondono a "tribù" diverse: lo stesso disegno in un punto diverso del corpo, piccole differenze stilistiche che lo rendano più vezzoso o più rude, più ribelle o più conformista fanno la differenza, "marcano" il territorio del sé e del sé rispetto agli altri del gruppo.

Internet rappresenta un altro dei "luoghi sociali" che vale la pena di esplorare per cercare di comprendere le nuove forme di socializzazione che interessano in modo particolare le giovani generazioni.

Anche in questo caso il modello di Maffessoli facente riferimento al neotribalismo offre spunti di analisi preziosi, perché alcune caratteristiche "tribali" sono particolarmente presenti in rete: per esempio, l'enorme numero di siti web e newsgroup dedicati ad argomenti esoterici e neoani, la fortuna dei MUD ambientati tra stregoni e folletti, ecc.

Inoltre, rappresentano declinazioni tipicamente adolescenziali del neotribalismo esempi quali il successo di film come The Blair Witch Project, di fumetti come Dylan Dog, la moda dark, ecc.

Perché Internet rappresenta uno dei "luoghi" privilegiati nel quale possono manifestarsi forme di socialità neotribale? Perché con ogni probabilità sono caratteristiche della socialità in rete:

.La sua dimensione "nomade", "provvisoria";

.La sua gerarchia, informale e fondata sulle competenze dimostrate all'interno del gruppo e non legittimata da un'autorità esterna;

.L'accentuato dinamismo, che porta i gruppi a formarsi, disgregarsi, fondersi in modo repentino e continuo.

La dimensione sociale di Internet mette in evidenza come quello che definiamo società complessa o società dell'informazione non siano altro che modi convenzionali e provvisori per nominare qualcosa che non conosciamo bene a fondo, ma che con ogni probabilità ha radici antiche.

Nelle società tradizionali i passaggi da una condizione ad un'altra sono definitivi e sono quasi sempre segnalati da una ritualità elaborata; nelle società moderne i passaggi tendono a perdere il loro carattere definitivo, sono sfumati e contraddistinti da una ritualità inferiore o assente.

Nelle società tradizionali i riti di passaggio segnavano la transizione da una condizione ad un'altra; il passaggio era evidenziato dall'esistenza di codici cerimoniali molto elaborati e formalizzati; in questo tipo di contesti sociali, i riti di passaggio sono costituiti dall'esistenza di un limen che separa "il prima" e "il dopo"

Nelle società moderne l'esperienza liminare è sostituita da esperienze più "sfumate", che spesso si prolungano nel tempo: in questi casi si può far riferimento ad esperienze di tipo liminoide nelle quali il "limen" è sostituito da un periodo prolungato nel quale l'individuo può contare su una "fase di sospensione" durante la quale può fare esperienze molteplici senza subirne le conseguenze che subirebbe se si trovasse in una fase precisa della sua vita.

Rappresentano casi particolari di esperienze liminoidi anche alcune forme di comunicazione in rete come le chat, la partecipazione a giochi di ruolo, ecc.

L'adolescenza si conura come un periodo prolungato di sospensione delle responsabilità, una moratoria che la comunità concede relativa alle conseguenze di molti degli atti compiuti dai soggetti che vi appartengono.

Il moratorium è un "periodo di sospensione" nel quale le persone possono permettersi di sperimentare cose nuove senza subirne conseguenze sociali troppo pesanti. Nelle società antiche (ma anche in quelle contemporanee) forme di moratorium si avevano (si hanno) nelle situazioni di gioco, nei carnevali, nelle performances teatrali, ecc.

Sono momenti di "sospensione del reale", situazioni nelle quali il mondo "vero" viene messo tra parentesi, è concesso "trasgredire", spesso seguendo una ritualità più o meno elaborata: quello che non è possibile fare o dire negli altri periodi dell'anno, è concesso in questi momenti.

Il concetto di moratorium è stato sviluppato dallo psicanalista americano E.H Erikson  per interpretare alcuni dei comportamenti dei giovani, ed è possibile utilizzarlo anche per spiegare le dinamiche che prendono le mosse dalla tecnologia on line, ma che possono svilupparsi anche off line.

Nelle società contemporanee le forme di comunicazioni in rete, le chat, gli sms, ecc. possono iscriversi fra le forme di moratorium. In effetti, le interazioni in rete potrebbero essere considerate un nuovo moratorium, disponibile a tutte le età, che serve da fucina di sperimentazione di molti comportamenti sociali, specie di quelli innovativi; in effetti, molte delle nuove mode e delle novità culturali sembrano passare prima attraverso la rete per poi diffondersi anche in altri settori della società.

L'idea della rete come moratorium presenta anche lati negativi, soprattutto nel caso di giovani per i quali l'ampliamento delle possibilità e delle rappresentazioni simboliche (di cui le reti costituiscono ottimi esempi) possono arrivare a sostituire le dimensioni fisiche dell'esperienza e possono prolungare indefinitamente una condizione di irresponsabilità.

La ssa dei riti di passaggio che nelle società tradizionali marcavano nettamente ed irreversibilmente la transizione all'età adulta -  spesso anche attraverso l'esperienza del dolore fisico, del confronto con la nostra natura mortale o quantomeno dei doveri sociali imposti dalla comunità - nelle società moderne si accomna ad un ampliamento smisurato del dominio dei simboli e quindi offre all'individuo nuovi terreni di gioco e di sperimentazione, ma al tempo stesso lo sottrae al problema di scegliere ("posso provare sia questo che quello") ed alla consapevolezza che molte delle sue scelte non sono in realtà irreversibili ("se non mi piace posso sempre tornare indietro"): in un mondo sociale sempre più costituito da informazioni si è meno consapevoli della fisicità della natura, della sua forza, a volte della sua violenza.

L'esperienza sospesa del moratorium sembra contrapporsi alla irreversibilità propria dei riti di passaggio; in realtà è necessario notare che anche questi ultimi prevedono una fase di "sospensione", di distacco, nella quale l'individuo si sottrae provvisoriamente all'ordine sociale quotidiano e si prepara a tornarvi con un ruolo diverso.

Il rito di passaggio realizza infatti le sue funzioni nelle società tradizionali attraverso i tre momenti della separazione, del margine e della restituzione. Il momento del margine, del limen, è il momento magico e temporaneo al confine fra due mondi, dove l'individuo  che affronta il rito può spogliarsi dei suoi vecchi abiti sociali per vestirne di nuovi.

Sia pure in modo diverso, l'esperienza del limen sopravvive anche nelle società nelle quali i riti di passaggio hanno apparentemente perso di importanza. Nelle moderne società dell'informazione l'interazione in rete può allora essere collocata tra questi momenti liminoidi, a patto però che subentrino certe condizioni:

1. La possibilità di condurre interazioni anonime, o protette da uno pseudonimo, o comunque che sia possibile porre dei filtri in grado di mascherare alcune o tutte le caratteristiche dell'identità anagrafica;

2. La possibilità di circoscrivere in modo netto la propria partecipazione in rete, fino a mantenerla nascosta a chi ci sta vicino: è il caso di chi usa la rete per motivi di svago, divertimento, intrattenimento sociale, ecc. durante l'orario di lavoro o di studio; in questi casi, la finestra dalla quale si sta chattando, si sta partecipando ad un gioco di ruolo, ecc. sono facilmente mimetizzabili tra le altre finestre aperte;

3. La possibilità di cambiare facilmente i termini della propria partecipazione, mutando i tratti della persona on line o persino proponendosi come una persona completamente diversa.

Ipotizziamo che questi siano alcuni degli elementi che spiegano il grande successo presso i giovani delle tecnologie informatiche, ma soprattutto dell'uso generalizzato che essi ne fanno. In particolare hanno grande successo presso gli adolescenti alcuni aspetti dei new media più spiccatamente "sociali": e mail, chat, Internet, sms.

Nelle società neotribali convivono (più o meno armoniosamente) molti clan dai comportamenti ed atteggiamenti diversi: ognuno cerca di affermare la propria identità attraverso linguaggi corporei diversi.

In particolare gli adolescenti (ma non solo loro) usano il linguaggio del corpo per riconoscersi, per acquisire una dimensione che altrimenti sembra loro sfuggire, per identificarsi; è possibile definire questo comportamento come oggettivazione del sé: il corpo diventa esso stesso un modo per comunicare.

Benché sia comune l'intento diversificatorio, cambia in modo sostanziale il modo di porsi di ciascun clan nei confronti degli altri e della comunità nel suo insieme. I riti di iniziazione sono presenti in alcuni gruppi estremi (satanisti, ecc.), mentre invece è comune a tutti la presenza di comportamenti, atteggiamenti, "look", ecc. che permettano la diversificazione.

In alcuni casi si tratta di comportamenti che pur essendo in grado di garantire la visibilità della diversità non sono definitivi: da questi "si può sempre tornare indietro". Ne sono esempi le mode, l'impegno politico, anche alternativo, la goliardia, movimenti sociali come gli Hippy, ecc.

All'estremo opposto ci sono le trasformazioni definitive del proprio corpo, di cui piercing e tatuaggi sono le forme meno cruenti e più diffuse, ma che, passando attraverso la body art, arrivano ad eccessi tecnomutativi di cui anche la chirurgia plastica fa parte. Ma, forse, questa è un'altra storia.




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