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Principali paradigmi teorici utilizzati in Psicologia Sociale - Il paradigma cognitivista



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1 - Principali paradigmi teorici utilizzati in Psicologia Sociale

Innanzitutto definisco cosa sia un paradigma. Esso è una serie di regole o un modello globale; ove le regole determinano la descrizione o l'interpretazione della vita sociale, mentre i dettagli sono lasciati alla creatività dei singoli studiosi.

I principali paradigmi in psicologia sociale sono: il paradigma behaviorista, il paradigma cognitivista ed il paradigma dell'interazionismo-simbolico.

Il paradigma behaviorista

Dagli anni Venti agli anni Cinquanta, la psicologia americana è stata dominata dalla teoria behaviorista, la quale partiva dall'assunto che l'azione umana fosse determinata da eventi esterni. In tal senso ci fù un ampio campo di ricerca, a partire dagli esperimenti di Pavlov sull'apprendimento di un comportamento sulla base dello schema: stimolo - risposta; l'importanza, secondo Watson, delle ricompense e punizioni come influenzanti il comportamento umano ed il contributo di Allport che espresse, con enfasi, la fiducia nel potere dell'ambiente come determinante l'azione umana. E' definito behaviorista radicale quel teorico della teoria behaviorista che ritiene il comportamento umano comprensibile solo in base all'azione dell'ambiente. Il più noto fra questi autori è Skinner, il quale riteneva che tutti gli schemi comportamentali sono creati, alimentati e abbandonati a seconda che l'azione venga associata a ricompense o punizioni provenienti dall'esterno. Ciò che avviene all'interno dell'individuo non è degno di attenzione.



Questa posizione teorica è stata sostituita dal neobehaviorismo. I neobehavioristi continuano a sottolineare l'importanza degli eventi ambientali, ma come influenzanti gli stati psicologici dell'individuo, i suoi atteggiamenti, i suoi sentimenti interni, e sono questi ad influenzare le sue azioni.

Il paradigma cognitivista

Le teorie cognitive sottolineano il ruolo del pensiero e dell'interpretazione sull'attività sociale degli individui. I cognitivisti trassero ispirazione dalla teoria gestaltista. In particolare gestaltisti come Koffka e Kohler si sono occupati di comprendere come gli stati interni influenzano il modo di percepire degli uomini.

Parimenti i cognitivisti ritengono che, il modo in cui gli eventi esterni vengono percepiti influenza il comportamento umano . In tal senso importante fù il lavoro eseguito da Kurt Lewin, che rappresenta il primo psicologo sociale che sviluppò una teoria generale del comportamento sociale umano.

Nella sua teoria del campo esprime l'idea che il modo in cui ci si rappresenta il mondo, è fattore principale dell'agire dell'essere umano. Ed il modo in cui l'uomo si costruisce il mondo varia a seconda del variare dei suoi bisogni e dei suoi scopi interni. In analogia con la fisica teorica Lewin propone di considerare il mondo psicologico come un campo, composto da regioni interdipendenti, le cui componenti principali sono: la persona e l'ambiente. A seconda dei bisogni o della volontà di un individuo, in ogni momento dato, la regione persona o quella ambiente possono essere ripartite in ulteriori segmenti.

Il paradigma dell'interazionismo-simbolico.

Esso diverge notevolmente dalle posizioni behaviorista e cognitivista, in quanto, se queste ultime puntano l'attenzione all'individuo, i teorici dell'interazionismo simbolico sottolineano le relazioni tra gli individui. Essa è detta anche teoria dei ruoli, in quanto il proprio agire è determinato dal tipo di ruolo che si assume all'interno di uno specifico rapporto e dipende dal modo in cui l'altro reagisce all'interno del rapporto specifico.










2 - Metodi di ricerca in Psicologia Sociale

I principali metodi di ricerca utilizzati in Psicologia Sociale sono quattro: la ricerca d'archivio, quella sul campo, l'intervista e l'esperimento.

La ricerca d'archivio.

Questo genere di ricerca fa uso di documenti e testimonianze del passato come l'esame dei giornali, delle autobiografie e delle documentazioni ufficiali.

Questo metodo è utile specialmente per studiare i fenomeni sociali nei vari periodi storici. Lo studio del cambiamento e della continuità attraverso il tempo è stato chiamato psicologia sociale storica.

L'osservazione sul campo.

Questo metodo è il più diretto per conoscere la vita dei contemporanei. Chi utilizza questo tipo di ricerca si sforza di registrare in modo preciso e sistematico lo svolgimento delle varie attività delle persone nel loro ambiente naturale, usando una gran quantità di strumenti come gli appunti, il registratore, le riprese video. Quando l'osservazione sul campo si limita all'osservazione di una singola persona, o gruppo, o situazione, viene di solito definita come studio di un caso. Non potendosi da tale ricerca ricavare generalizzazioni attendibili, esso può essere di spunto per ulteriori indagini più complete. In realtà oggi con l'opportunità di elaborare elettronicamente i dati, può essere possibile registrare delle attività svolte da ampi strati della popolazione.

L'indagine sul campo, quindi, è il modo migliore per documentare le attività quotidiane delle persone, richiamando, cosi', l'attenzione su tipi di comportamenti ai quali solitamente non si fa caso. Nel caso in cui i soggetti dovessero accorgersi di essere osservati e dovessero modificare il loro comportamento, si parla di risposta reattiva. Per prevenire questa gli psicologi hanno elaborato misure cosiddette non intrusive che consentono di registrare il comportamento a loro insaputa.

Interviste, diari, indagini.

Con l'uso di questi metodi è possibile chiedere alle persone cosa fanno, cosa provano, cosa pensano. L'intervista, in particolare, è il metodo più usato per le indagini sugli atteggiamenti e le opinioni di ampi strati della popolazione; ove le interviste in profondità sono utili nella ricerca su problemi di carattere emotivo. Per aumentare le dimensioni del campione e la possibilità di generalizzare, i ricercatori fanno un uso crescente del diario. In cui per ogni contatto della durata di più di dieci minuti, essi devono descrivere se era stato piacevole ed altre caratteristiche. Per controllare le opinioni della gente durante le attività quotidiane, i ricercatori hanno messo a punto un metodo di campionamento delle esperienze, in cui descrivere se stesso ogni qual volta un dispositivo elettronico acustico, che porta addosso, si mette a suonare, a discrezione del ricercatore. L'indagine sulla opinione pubblica è la forma di ricerca più diffusa basata sull'intervista. E', oggi, il miglior metodo per evidenziare le caratteristiche generali di una cultura in un dato momento. Questo tipo di ricerca utilizza generalmente il metodo dell'analisi correlazionale, che adduce prove sull'esistenza di una relazione tra due fattori; ma, la correlazione non ci dice se il primo fattore sia da solo responsabile della variazione del secondo. E' soprattutto per questo motivo che i ricercatori preferiscono utilizzare la sperimentazione.

La ricerca sperimentale.

Il metodo più largamente utilizzato dai ricercatori è la sperimentazione controllata. A differenza dei metodi sopra descritti, permette al ricercatore di considerare la relazione tra alcuni eventi mantenendo costanti tutte le altre variabili. Con la sperimentazione si crea un gruppo sperimentale, un gruppo di controllo, il fattore variabile è chiamato variabile indipendente, il fattore che si misura è chiamato variabile dipendente. La maggioranza degli esperimenti è condotta in laboratorio dove la variabile indipendente può essere controllata meglio e la variabile dipendente può essere più facilmente misurata. Per rendere gli studi di laboratorio meno artificiali, molti ricercatori fanno esperimenti sul campo: si recano nell'ambiente naturale, manipolano la variabile indipendente e registrano i cambiamenti nel comportano studiato. Occorre sottolineare che se pur gli esperimenti sono molto utili, ad essi sono associati un certo numero di problemi particolari.




3 - La ricerca sperimentale: caratteristiche e problemi.

Il metodo più diffuso nella ricerca in psicologia sociale è la sperimentazione controllata. A differenza dei metodi quali la ricerca d'archivio, l'osservazione sul campo e le interviste, esso permette al ricercatore di considerare la relazione tra alcuni eventi mantenendo costanti tutte le altre variabili. Nella sperimentazione si crea un gruppo sperimentale, un gruppo di controllo, un fattore variabile chiamato variabile indipendente ed un fattore che viene misurato chiamato variabile dipendente.

La maggioranza degli esperimenti viene condotta nei laboratori, soprattutto perchè in tale contesto la variabile indipendente può essere controllata meglio e la variabile dipendente può essere più facilmente misurata. Inoltre per rendere gli studi di laboratorio meno artificiali, molti ricercatori fanno esperimenti sul campo: essi si recano nell'ambiente naturale manipolano la variabile indipendente e registrano i cambiamenti nel comportamento studiato.

Bisogna dire che se gli esperimenti sono molto utili, essi sono anche associati ad un certo numero di problemi.

La deformazione dello sperimentatore.

In un esperimento tipico lo sperimentatore ed i soggetti comunicano tra di loro. Non è impossibile che durante tale comunicazione lo sperimentatore attraverso il tono della voce, l'espressione facciale, la mimica del corpo possa trasmettere al soggetto messaggi influenzanti la risposta di questo che cercherà di adattarla alle aspettative dello sperimentatore. Questi segnali esprimenti richieste sociali sul soggetti chiamansi caratteristiche della domanda. I risultati dell'esperimento potrebbero essere influenzati da fattori non previsti dal ricercatore. Risultati sperimentali di questo tipo sono l'effetto della deformazione dello sperimentatore. Per impedire tale deformazione sono stati messi a punto una quantità di strumenti, ad esempio, viene impiegato un assistente che sia all'oscuro delle ipotesi dell'esperimento stesso, oppure, si trascrivono o si incidono su nastro le istruzioni per il soggetto riducendo al minimo l'interazione tra il soggetto stesso ed il ricercatore.

Scelta del soggetto.

Gli esperimenti sono generalmente limitati fra i trenta ed i cinquanta soggetti, e questi in genere sono scelti dalla popolazione con cui il ricercatore è più in contatto come quella universitaria. Dovendo il ricercatore trarre dal suo esperimento conclusioni generalizzabili, si teme che la scelta del campione non sia sufficiente rappresentativo dell'universo culturale cui fanno parte e possano alterare i risultati dell'esperimento medesimo, allo scopo di evitare ciò hanno elaborato delle tecniche. Alcuni ricercatori hanno studiato in particolare il soggetto volontario, che sembrano però essere più sensibili alle caratteristiche della domanda di quanto possano esserlo quelli che non si sottopongono spontaneamente all'esperimento. Con questi soggetti è utile fare uso di determinati sistemi di controllo.

Un'altra tecnica per evitare errori di campionamento è la replica dell'esperimento su popolazioni molto diverse tra loro.

Meta-analisi.

Questo è un metodo messo a punto per rendere i risultati più affidabili. Si analizzano sistematicamente tutti i risultati relativi ad un dato problema, risultati che sono stati ottenuti da campioni diversi, con metodi diversi e partendo da presupposti diversi. Mettendo insieme i risultati delle varie ricerche, la meta-analisi offre un indicazione statistica sull'affidamento di un dato modello nel corso dell'intera serie di studi.

I problemi etici nella ricerca sperimentale.

Fra i problemi etici nella ricerca sperimentale ci si è soffermati su due aspetti.

In primo luogo la paura di nuocere al soggetto, dato che gli psicologi sociali sono interessati agli effetti della paura, dello stress, della bassa autovalutazione e, quindi, per studiare tali effetti bisognerebbe far provare ad un gruppo sperimentale, rispetto a quello di controllo, dolore, o stress, etc. Molti ritengono che questo sia immorale, se pur altri affermano che il post-avvertimento farebbe dileguare qualunque effetto dell'esperimento stesso.

Un altro problema etico è quello del ricorso all'inganno, che consiste nel mantenere all'oscuro i soggetti sui veri scopi della ricerca giacchè il saperlo potrebbe alterare i risultati. Molti ritengono che l'uso dell'inganno sia anch'essa una pratica immorale.

Al fine di risolvere tali problematiche gli psicologi sociali hanno elaborato metodi di ricerca alternativi. L'alternativa principale è quella dell'interpretazione di un dato ruolo(role-playing), in cui si chiede ai soggetti il modo in cui risponderebbero in una data situazione, invece che viverla direttamente. La critica a tale metodo è che i comportamenti effettivi sono diversi dall'idea che la gente si fa circa il proprio modo di agire.

Un altro modo di superare le problematiche di ordine morale è quello di stabilire degli standard morali, attualmente la ricerca in psicologia è regolata da un codice deontologico.



4 - La costruzione del mondo sociale

La costruzione del mondo sociale avviene attraverso la descrizione delle persone e del mondo che ci circonda ovvero attraverso il modo con cui avviene la percezione sociale. Studiamo, quindi, le basi della percezione sociale.

Secondo i teorici del cognitivismo, il compito più difficile per capire il mondo sociale è ridurre la grande varietà di stimoli in categorie mentali facili da trattare. Quindi dobbiamo imparare a concettualizzare il mondo intorno a noi, ossia, a trattare stimoli separati come equivalenti o concorrenti a formare una unità.

La capacità di raggruppare diverse esperienze in vari modi è una facoltà dell'uomo assai preziosa ed è essa stessa importante perchè il raggruppamento semplifica il mondo, lo rende più controllabile e, quindi, aumenta la capacità di adattamento.

I concetti servono a 1) semplificare il mondo e quindi adottare comportamenti più idonei, 2) pensare e ricordare in modo più efficace,3) comunicare meglio gli uni con gli altri, 4) controllare l'ansia, infatti, conoscere il mondo significa controllarne gli eventi.

Ma l'uso dei concetti può avere effetti negativi.

I concetti richiamano l'attenzione su alcune caratteristiche facendone ignorare altre, ciò creerebbe uno dei più significativi tipi di 'cecità' sociale che ci fa vedere gli individui appartenenti ad una categoria come totalmente diversi da quelli appartenenti alle altre, senza possibilità di cogliere eventuali somiglianze.

I concetti non sono in grado di descrivere tutta la realtà, tanto più il cambiamento nel tempo, per cui si distingue in conoscenze esplicite, quelle basate su concetti, e in conoscenze implicite che si basano sull'esperienza.

Lo sviluppo dei concetti.

Per capire come avviene la formazione dei concetti distingueremo in categorie naturali e prototipi sociali.

Alcuni concetti che ci formiamo sono originati dall'impatto dei nostri organi dei sensi con il mondo fisico circostante. Il termine categoria naturale fa riferimento a questa organizzazione dell'esperienza che ha una base biologica. Alcuni autori si sono chiesti se questa forma di categorizzazione avvenga anche nella percezione sociale, alcuni autori lo ritengono possibile se pensiamo all'azione umana non sempre lungo un continuum ma subente interruzioni, che costituiscono un punto di partenza per la categorizzazione.

Gli studiosi affermano che le categorie utilizzate per capire il mondo sociale sono organizzate, in particolare, intorno a prototipi, cioè a categorie generali contenenti una varietà di sottocategorie, a loro volta contenenti sottocategorie più specializzate.

Il processo della acquisizione dei concetti avverrebbe dall'infanzia, attraverso un controllo di ipotesi, ossia, formandosi dei concetti in via ipotetica che saranno mantenuti o accantonati, a seconda che trovino una conferma o meno dall'esperienza.

La maggior parte dei concetti trova espressione attraverso le parole e ciò rende possibile la circolazione delle idee. Molti autori ritengono che l'apprendimento del linguaggio favorisca l'acquisizione dei concetti.

La percezione sociale consiste essenzialmente nel processo di formazione dei concetti. E' utile considerare alcune influenze culturali e personali nella concettualizzazione. Consideriamo tre tipi di influenze: i criteri di somiglianza, la motivazione, il contesto.

I criteri di somiglianza.

Sembra che la decisione di far appartenere un'azione o persona nuova ad una categoria o ad un'altra, dipenda dalla somiglianza tra il nuovo caso e l'insieme dei casi passati.

La motivazione.

I giudizi socialmente condivisi possono essere accantonati e sostituiti da giudizi autogratificanti, ossia, si può fare una modifica alla percezione sociale per rinforzare gli obbiettivi di colui che esprime il giudizio, chiamansi questa percezione motivata. Così le motivazioni e gli stati d'animo possono influenzare le strategie utilizzate per risolvere i problemi.

Il contesto.

La percezione sociale risente dell'effetto del contesto in cui l'azione umana ha luogo, ovvero, dell'insieme di condizioni circostanti sia fisiche che sociali. Di solito il contesto influenza il giudizio fornendo indicazioni sul comportamento previsto dalle circostanze, così come può ostacolare l'osservatore, infatti, la persona può affrettarsi a valutare la situazione immediata con tale insistenza da ignorare altre importanti informazioni.




5 - L'organizzazione della percezione sociale secondo Asch

La comprensione del mondo sociale avviene attraverso la categorizzazione, ma, non solo, dal momento che bisogna tenere conto anche del rapporto tra le categorie. Tutto ciò aiuta a capire come avviene

l'organizzazione della percezione sociale. Fra i primi psicologi sociali ad occuparsene vi fù Salomon Asch.

Egli affermava che la percezione sociale totale di un'altra persona non è semplicemente la sommatoria dei singoli concetti che usiamo nel definire quella persona, ma è individuabile una qualche organizzazione di tali concetti. Così la definizione dell'altro è anche influenzata dal contesto in cui quella persona è immersa, ovvero un comportamento viene definito differentemente a seconda del contesto in cui si svolge..

Nell'affrontare questo problema Asch sottopose a due gruppi di studenti universitari una lista di sette aggettivi riferibili ad una persona di cui bisognava individuarne la personalità, la lista di aggettivi era identica fra loro tranne che per un aggettivo quale caldo e freddo. Fù interessante notare come l'introduzione di tale differenza influenzò la valutazione della personalità di questa ipotetica persona agendo come tratto centrale. Asch chiedendosi come ciò poteva avvenire, giunse a ritenere che l'apprendimento di tale modo di organizzare i tratti derivasse dall'osservazione del mondo esterno, riteneva che fosse il risultato di un processo definito dal basso verso l'alto, dove il basso è l'ambiente i cui impulsi si dirigono verso il centro cognitivo. È un apprendimento che Asch definì apprendimento per associazioni. Per cui la percezione totale dell'altro avverrebbe attraverso un'organizzazione di concetti fra loro associati, la cui associazione è quella appresa dall'osservazione della maggior frequenza di combinazione di un tratto con un altro. Qualunque tratto può svolgere un ruolo centrale, ed il fatto di essere centrale o meno dipende dalla frequenza con cui ciascun tratto si associa alla dimensione presa in considerazione.

La tendenza di ogni individuo di raggruppare i tratti in modo particolare si definisce teoria implicita della personalità e rispecchia il modo in cui ognuno di noi si crea delle convinzioni sulla personalità dell'altro.



6 - L'organizzazione della percezione sociale : lo schema centrato sul sé

Nello studio dell'organizzazione della percezione sociale, contro i teorici della teoria' dal basso verso l'alto' che enfatizza, nella percezione, il ruolo dell'ambiente, vi sono i teorici della teoria 'dall'alto verso il basso' che sottolineano il ruolo dei processi cognitivi nell'organizzazione del mondo.

In questo approccio teorico è importante il concetto di 'schema', che rappresenta il modo in cui la conoscenza di una persona, di un oggetto o di un insieme di dati viene organizzata cognitivamente. Nello schema sono inclusi sia gli attributi che le relazioni tra questi.

Attraverso lo schema selezioniamo e classifichiamo tutte le informazioni disponibili ed esso ha la funzione di autoperpetuarsi, ossia organizza la comprensione del mondo per autosostenersi.

Nel rapporto con gli altri, pur se di essi conosciamo pochi dati, utilizziamo schemi cognitivi preesistenti, al fine di avere dell'altro una valutazione più ampia.

Esiste anche l'effetto alone che ci rimanda allo schema della persona buona se di esso abbiamo una minima informazione positiva e viceversa rievochiamo lo schema della persona cattiva se di esso abbiamo una minima informazione negativa.

Inoltre quando si fanno delle ipotesi sulla personalità di una persona, si selezionano le informazioni in modo da confermare i propri schemi, tale tendenza è detta verifica delle ipotesi di conferma.

Tra gli effetti più interessanti che questo approccio teorico ha evidenziato vi sono l'effetto di primacy e l'effetto di recency., ovvero data una serie di informazioni, se la prima impressione che si forma è fondata sulle informazioni date per prima, avremo l'effetto di primacy, se prevalgono le informazioni più recenti avremo l'effetto di recency.

In genere l'effetto di primary viene privilegiato, a meno che non si adottino delle precauzioni come far riformulare l'impressione ogni qual volta si presentano dati nuovi o informare sui pericoli della formazione di impressioni premature.

Naturalmente l'effetto di primacy valorizza lo schema centrato sul sé, per cui in un rapporto si formulerà uno schema sull'altro per poi cercare informazioni che lo confermino.

In ultimo vi è l'effetto di innescamento per cui in una particolare situazione, utilizziamo uno schema invece che un altro, a seconda di quale viene innescato da alcuni fattori ambientali; e lo utilizziamo anche se si rivela inadatto alla situazione.



7 - Lo sviluppo del sé, il sé autoriflettente, il confronto sociale e l'assunzione di ruolo.

La gran parte degli psicologi sono convinti che la formazione dei concetti di sé avvenga in età precoce. Sono concordi su questo punto autori come Freud, Horney e Sullivan che, in particolare, afferma che un bambino

formerebbe un senso di sé come 'io buono' o di 'io cattivo', a seconda che riceva o meno dalla madre latte e coccole. È, comunque, difficile confermare il punto di vista di tali psicologi, se pur la tecnica dello specchio ci può dare qualche informazione in più su come i bambini riconoscano se stessi. Invero sono in molti convinti che tali concetti non siano immutati, ma, che essendo legati ai rapporti che si hanno con gli altri, cambiando questi ultimi, cambino di conseguenza anche loro. In particolare si individuano quattro processi responsabili dello sviluppo e cambiamento del concetto di sé.

Il sé autoriflettente .

Già Mead sottolineava come il concetto di sé di chiunque sia il riflesso delle opinioni che altri significativi hanno di noi, ovvero gli altri significativi sarebbero uno specchio in cui trovare una nostra definizione. Ma le persone possono selettivamente cercare questo specchio e, quindi, screditare chi ci valuta sfavorevolmente, invero, riporre fiducia verso chi ci valuta favorevolmente, con un rinforzo della nostra autostima. A volte non c'è bisogno di ricevere apprezzamenti direttamente, ma godiamo indirettamente delle lodi fatte a nostri amici o parenti, è questa l'esperienza detta del bearsi per gloria riflessa.

Il confronto sociale .

Ci si forma un'immagine di sé anche confrontandosi con gli altri, una valutazione che può cambiare a seconda della situazione e delle persone che ci troviamo di fronte. Se si ha la sensazione, per esempio, che gli altri siano superiori, ci sentiremo inferiori, mentre se stiamo con persone che sottostimiamo ci sentiremo di fronte a loro superiori.

L'assunzione di ruolo.

Ogni giorno ci troviamo in situazioni differenti e di fronte a persone diverse, rispetto a cui e alle quali, assumiamo degli atteggiamenti di circostanza, invero amichevoli e gentili, anche quando non sentiamo di esserlo. In questo caso siamo consapevoli di interpretare dei ruoli e questo può influenzare la formazione del concetto che abbiamo di noi stessi.

Differenze sociali.

L'immagine che abbiamo di noi stessi si forma anche in funzione di come ci distinguiamo dagli altri, così l'evidenza di un particolare distintivo, ci caratterizza .




8 - Lo schema di sé e il processo di autoconservazione.

Sin dalla più tenera età, attraverso un continuo maturarsi ed evolversi, creiamo concetti di noi stessi, che si organizzano a formare uno schema unitario del nostro sé, inoltre, il sé autoriflettente, il confronto sociale, l'assunzione di ruolo e le differenze sociali, sono quattro fattori che sviluppano e mutano tali concetti.

Molti psicologi sociali hanno evidenziato come vengono adottate diverse strategie cognitive che ci permettono di mantenere unità e stabilità alla nostra immagine del sé. Si adotterebbero processi di autoconservazione più o meno consapevoli.

Ci sarebbero tre strategie di autoconferma quali: l'attenzione orientata, la interpretazione orientata, l'affiliazione e la presentazione.

Per quanto riguarda l'attenzione orientata, siamo particolarmente sensibili a determinate informazioni , atte a confermare le nostre ipotesi. Così se desideriamo risultare simpatici agli altri, saremmo, portati ad osservare , per esempio, se gli altri ci sorridono o quanto si trattengono a parlare con noi.

Per quanto riguarda l'interpretazione orientata, se i giudizi degli altri non ci piacciono tendiamo a interpretarli sulla base, per esempio, del fatto che sono male informati o che volevano ottenere qualcosa.

L'affiliazione si verifica nella scelta appropriata delle nostre amicizie, in modo da ottenere i giudizi che desideravamo. .Ed è importante l'autopresentazione, per cui ci presentiamo agli altri in modo da ottenere il, giudizio su di noi che speravamo, e se gli altri non dovessero accettare la nostra identità, gli diamo una quantità di informazioni personali in modo da fargli cambiare giudizio.

Vi sono, come accennavo prima, anche processi di autoconservazione operanti a livello non consapevole.

Questi processi operano in modo tale che l'informazione viene elaborata più rapidamente se è conforme allo schema di noi stessi e viene anche meglio ricordata.

L'utilizzazione di tutte queste strategie di autoconservazione, confermano ciò che gli studiosi affermano e cioè che l'immagine di sé tende ad autosostenersi, a perpetuarsi nel tempo.



9 - Approcci principali nello studio delle emozioni.

Seppure gli psicologi sociali sono convinti dell'importanza delle emozioni nella vita sociale, in quanto influenzanti i nostri atteggiamenti verso noi stessi e verso gli altri, sono, in realtà, non concordi nell'attribuire la natura delle emozioni. Ci sono tre approcci principali nello studio delle emozioni: l'approccio biologico, l'approccio cognitivo e l'approccio costruzionista.

L'approccio biologico.

Molto spesso tendiamo a collegare le nostre emozioni alla nostra fisiologia. Già Darwin, studiando le emozioni presenti negli animali, vide come queste avevano valore adattivo di sopravvivenza, come la paura, per esempio, che ci permette di allontanarci da un pericolo.

Volendo ricercare la tipologia delle emozioni nell'uomo, purtroppo, dal punto della fisiologia, seppur potendo suddividere tra sentimenti positivi e negativi, non è stato possibile identificare le emozioni stesse.

Per questo motivo sono stati messi a punto metodi alternativi, come la riunificazione di emozioni ritenute basilari in categorie di base, così come è stato fatto in una ricerca estensiva in cui si sono individuati 135 termini a carattere emotivo a formare le categorie di base quali: rabbia, paura, tristezza, amore e gioia.

Molto interessante è la ricerca sull'universalità delle emozioni. Infatti, non solo queste sono importanti sul piano sociale, giacchè tramite esse noi comunichiamo, ma siamo predisposti a farlo geneticamente.

A tal proposito una ricerca di Ekman sull'universalità della mimica- facciale, ha evidenziato come individui di culture diverse le sappiano dare identico significato. Anche i bambini sembrano geneticamente predisposti ad esprimere e a capire le emozioni. ½ è il fenomeno denominato l'ipotesi del feedback facciale , ove i nostri sentimenti sono rafforzati dalla consapevolezza della nostra espressività, così, il sorriso rafforza il nostro sentimento di felicità.

L'approccio cognitivo.

L'approccio biologico ha come limiti quello di poter classificare le emozioni e nella ricerca delle cause delle stesse.

Infatti, secondo l'approccio cognitivo, gli stati fisiologici sono ambigui e possono essere diversamente percepiti e ciò determina l'emozione. In tal filone teorico vi è la teoria bifattoriale delle emozioni di Schachter. Egli afferma che , in realtà, non ci sono grosse differenze tra le emozioni, tutte sono accomnate da uno stato di eccitazione fisiologica generalizzata, come primo fattore, che attraverso la classificazione cognitiva (secondo fattore) vengono identificate. La classificazione avverrebbe attraverso l'utilizzazione di regole sociali, che ci 'informano' su quali emozioni , in quella data circostanza, sia più opportuno 'sentire'.

Si ricordi, a sostegno di tale teoria l'esperimento di Schachter e Singer con l'utilizzo dell'epinefrina, uno stimolatore del sistema simpatico.

Sempre secondo l'approccio cognitivo, meritano di essere menzionate le ricerche sulla riattribuzione di stati emotivi. Se, come afferma Schachter, le sensazioni emotive sono ambigue, allora la scelta di definirle è arbitraria e si avrebbe soltanto l'esigenza del consenso altrui sulla definizione data. Agendo sui meccanismi attribuzionali, a livello terapeutico è possibile: ridurre l'insonnia, liberare le persone dalla fobia per i rettili, ridurre gli effetti seguenti allo smettere di fumare, diminuire le paure ed aumentare la soddisfazione sessuale.

Significative anche le ricerche con l'utilizzo dei placebo.

L'approccio costruzionista.

L'approccio cognitivo è messo in discussione perché si ritiene che alcune emozioni non sono, necessariamente, accomnate da un'eccitazione, venendo meno il primo fattore nella teoria bifattoriale di Schachter. Secondo questo nuovo approccio, le emozioni sarebbero prestazioni sociali, e ciò sarebbe giustificato dalla conoscenza delle regole per una opportuna espressione emotiva.




10 - Gestione sociale del sé: strategie di auto presentazione e consapevolezza di sé.

Gestirsi socialmente, significa non solo conoscersi ma sapersi porre rispetto agli altri in modo da farsi conoscere Importante è il modo in cui approcciamo agli altri, ovvero l'auto presentazione. Nella gestione sociale del sé molti studiosi ritengono sia importante saper indurre gli altri ad aderire a modelli convenzionali ritenuti vincenti, quindi, ad aderire a sequenze comportamentali riferibili a copioni.

Nella vita di tutti giorni trovandoci nelle più svariate circostanze e di fronte a molteplici persone, siamo indotti ad adottare copioni via, via differenti. La messa in atto di un copione rispetto ad un altro avviene in base a quale copione una delle persone interagenti applica, naturalmente non si è obbligati ad adottare il copione iniziato dall'altro ed essendo i messaggi iniziali ambigui il copione può essere negoziato. Tuttavia, una volta adottato un copione è difficile cambiarlo.

Non tutte le persone sono capaci, nella stessa misura, a relazionarsi all'altro e ciò dipende da una serie di fattori. Snyder ha realizzato una scala di valutazione che comprende 25 affermazioni di tipo descrittivo. Tali affermazioni danno una misura della capacità o meno di ognuno di: 1) porre attenzione a quello che dicono o fanno gli altri in modo da saper adottare il comportamento più opportuno, 2) avere la capacità di mostrarsi ovvero presentarsi in modo differente, 3) volere e saper assumere un comportamento invece che un altro, a seconda delle situazioni. Coloro che hanno ottenuto un alto punteggio in tale scala di valutazione si dicono abbiano un alto grado di auto monitoraggio e, quindi, sanno meglio gestirsi le relazioni.

Oltre all'auto monitoraggio, vi è l'auto consapevolezza, e se questa è alta significa che la persona pone più attenzione alla propria interiorità che al mondo circostante. Un'alta auto consapevolezza porta, essendo meno impegnati a capire cosa succede fuori di noi, a comportarsi conformemente al propri ideali, ai propri valori e si è più sinceri. Inoltre si distingue tra auto coscienza pubblica e privata. Le persone con un alto grado di auto coscienza pubblica sono meno attente ai propri sentimenti interiori e si adeguano alle circostanze, mentre le persone con un alto grado da auto coscienza privata agiscono più coerentemente con il proprio pensiero, sono più consapevoli delle proprie emozioni, ma, sanno meno prevedere le reazione altrui, collaborano con difficoltà e si addossano meno le proprie responsabilità.






11 - Attrazione interpersonale e affinità interpersonale.

Tra i vari autori che si sono occupati di scoprire le cause dell'attrazione interpersonale, Homans afferma che i nostri sentimenti dipendono dal profitto che ricaviamo da una relazione, ossia, dalle gratificazioni meno i costi sostenuti. Homans ritiene che ciò sia vero per ogni tipo di attrazione: amore, amicizia, relazioni familiari. D'altronde questo determinerebbe un possibile cambiamento nel tempo delle fonti di gratificazione e, quindi, di attrazione. Non solo, se l'attrazione dipende dalla gratificazione che otteniamo dal comportamento dell'altro, allora tale attrazione può venire meno, potendo tale comportamento determinare anche repulsione, per cui ogni relazione vivrebbe in uno stato di equilibrio precario. Esistono diverse fonti di attrazione.

Il potere della vicinanza.

Vi è un fenomeno chiamato effetto vicinanza che determina un aumento delle relazioni basate sull'attrazione con il diminuire della distanza fisica. Ciò può essere determinato da una serie di ragioni, come: la familiarità e l'ipotesi della sola presentazione, regole di distanza.

Studiando la connessione tra attrazione e le possibilità di contatto, Zajonc sostiene che se la sola presentazione di uno stimolo nuovo può generare attrazione, incontrare spesso una persona , che ci risulterà più familiare, determina un aumento dell'attrazione stessa.. Zajonc valutando gli effetti dei suoi esperimenti ritiene che ciò avvenga perché, inizialmente, l'incontro con una persona sconosciuta ci mette in uno stato di agitazione, successivamente, rivedendola, ci rassicuriamo e diminuendo l'agitazione, è possibile la crescita dell'attrazione. Ma è vero anche che non sempre la reiterazione dello stimolo produce un aumento dell'attrazione, in linea generale, infatti si ritiene, che l'aumento di attrazione, in seguito alla presentazione successiva dello stimolo, avvenga in situazioni ambigue, , se lo stimolo è ben conosciuto, la sua riapparizione determina una diminuzione dell'attrazione stessa.

Per quanto riguarda le regole di distanza, Hall ritiene che ognuno di noi possieda delle regole prossemiche non espresse, ed il sentimento per l'altro è legato alla sua osservanza di tale regole, che indicano la distanza tra i corpi da osservarsi in determinate circostanze. In particolare, Hall, ritiene che le persone considerino quattro aree: 1) l'area dell'intimità, per una distanza che va dal contatto fisico a circa 50 cm, 2) l'area della distanza personale, che va da mezzo metro a un metro e mezzo, 3) l'area della distanza sociale, che va da un metro e mezzo a tre metri e mezzo , 4) l'area pubblica, che va al di là dei tre metri e mezzo di distanza dal corpo. Appare importante che prima di iniziare una relazione stretta ci sia, quindi, un reciproco rispetto di tali regole.

La bellezza fisica.

In ogni differente cultura ci sono canoni di bellezza differenti che resistono molto bene al tempo. In genere la bellezza fisica è un elemento tra i principali nell'attrazione, almeno inizialmente, ma essa può creare anche dei problemi.. Innanzitutto , vi sarebbe un meccanismo detto della abilità, secondo cui se una persona si sente insicura nell'andare alla conquista di una persona ritenuta più bella di sè, rinuncia all'impresa stessa. C'è da sottolineare, inoltre, una differente attrazione tra i due sessi in relazione alla bellezza fisica, ove sono gli uomini più delle donne ad essere sensibili alla bellezza dell'altra. Probabilmente ciò è dovuto ad una differenza di ruoli tra i sessi. Se la donna è considerata dall'uomo come un oggetto di piacere, allora avrà cura di cercarsi un oggetto piacevole, che potrebbe avere anche la funzione di aumentargli il prestigio a livello sociale.

Molti studiosi hanno evidenziato come l'aspetto fisico abbia nella valutazione della personalità della persona , una funzione di tratto centrale( si ricordi l'esperimento di Asch sulla modalità di associazione dei tratti con l'introduzione delle parole calda e fredda nelle due diverse liste).

Infatti alla persona bella si associa generalmente una vita brillante, sia dal punto personale che professionale, ovvero si associano, ad un tratto positivo come la bellezza, altri tratti positivi.

Il diverso impatto sociale della persone dall'aspetto piacevole è emerso addirittura tra i bambini della scuola elementare.

Se la persona attraente può determinare, in linea generale, più attrattiva, ella gode anche di aspetti negativi , tra cui il suscitare invidia o risentimento. Viene generalmente considerata meno preparata professionalmente, ed ha meno influenza sugli altri, così come possono avere problemi di comunicazione, in quanto i loro messaggi possono essere fraintesi.

Le affinità interpersonali.

Per affinità interpersonali s'intende la condivisione di opinioni, medesimi livelli di energia, un certa somiglianza, quindi, tale da rendere vitale un rapporto. Non sempre la somiglianza determina attrattiva, capita quando si cerca una persona differente da sé al fine di completarsi.

Per quanto affermano i teorici della somiglianza, generalmente, maggiore è il numero degli interessi in comune, maggiore è l'attrazione. Tale somiglianza può essere a più livelli, come: una medesima posizione socioeconomica, medesimi interessi culturali, una somiglianza di stati emotivi, e così via. E la somiglianza crea attrattiva perché: 1) gratifica l'auto stima di una persona, se, per esempio, il nostro stile di vita è scelto anche da altri, abbiamo la sensazione che sia stato scelto bene, 2) le persone vivono come più positiva una relazione con che ci somiglia, abbiamo così la sensazione che potremmo ottenere buoni risultati, 3) siamo indotti a ritenere che l'altro che ci somiglia abbia caratteristiche gradevoli.

Per quanto riguarda la complementarità, si ritiene che la validità di molte relazioni siano dovuta alla complementarità di caratteristiche e abilità dei partner. Winch, in particolare, elaborò la teoria della complementarità nella scelta del partner sessuale. Andando alla ricerca dei fattori necessari per la riuscita del matrimonio, vide come questi ultimi erano tali se c'era nei coniugi la capacità di soddisfare le reciproche esigenze.

Entrambe le teorie, quella della somiglianza e quella della complementarità sono in realtà valide, contribuendo ad evidenziare i diversi fattori da cui può dipendere l'attrazione e che sono: 1) le caratteristiche personali, per cui se si è attivi si è più attratti da chi ci somiglia, se si è dominatori, si desidera avere accanto una persona che, in senso complementare, si vuole far dominare; 2) la natura della situazione, per cui in mezzo agli amici ci si somiglia, in un aula scolastica si vuole un professore dalle competenze maggiori delle proprie; 3) gli effetti della somiglianza sulla definizione dell'individuo, per cui si tendono a respingere le persone che si sentono somiglianti, ma che hanno delle caratteristiche negative, 4) motivazioni o scopi individuali nella situazione data, a seconda della situazione affianchiamo persone somiglianti nella condivisione di un attività, ma complementari quando speriamo ci sostituiscano in qualche altra attività.



12 - Pregiudizio e discriminazione sociale.

Prima di parlare del pregiudizio, bisogna definire cos'è un atteggiamento, ovvero, quella tendenza a rispondere prontamente in modo positivo o negativo ad un particolare oggetto o a classi di oggetti. Per cui in un atteggiamento vi sono un contenuto (l'oggetto) e un giudizio, positivo o negativo, nei confronti dl contenuto, ed, infine, gli atteggiamenti resistono nel tempo. Dal momento che il pregiudizio gode di tali caratteristiche, si può esso stesso definire un atteggiamento. Dall'esigenza di molti studiosi di descrivere il pregiudizio in modo più dettagliato, si sono di esso individuate tre componenti: 1) la componente cognitiva, che rappresenta l'insieme dei concetti e della percezione che si ha nei confronti di un oggetto o di una classe di oggetti, 2) la componente affettiva, che consiste nei sentimenti che si hanno nei confronti di un oggetto o di una classe di oggetti, 3) la componente comportamentale, ossia il tipo di azione che rivolgiamo nei confronti di un oggetto o di una classe di oggetti.

Il pregiudizio è, quindi, un particolare atteggiamento di risposta, positiva o negativa, nei confronti di una persona qualora appartenga ad una determinata categoria di persone. Quando il pregiudizio sfocia in un comportamento specifico possiamo parlare di discriminazione.

La discriminazione può avere come effetti: un attacco alla propria auto stima, infatti, sentendosi inferiori, si pensa di non valere nulla; l'altra conseguenza può essere una qualche volontà di fallire. Rotter afferma che l'impegno nel successo è proporzionato alla percezione della probabilità di avere successo. Pare che le vittime della discriminazione sviluppino una tendenza autolesionista, così come è presente, secondo la Horner, tra le donne, la cui ansia rispetto al raggiungimento del successo, le cui aspettative sono negative, le fanno ottenere minore successo professionale. Le vittime della discriminazione appaiono comportarsi in modo da validare i pregiudizi che si hanno nei loro confronti, si parla in questo caso di profezie che si auto avverano. In particolare, quando qualcuno crea le condizioni per cui l'altro si comporta come ci si aspettava, si parla di effetto Pigmalione. Rosenthal studiando questo fenomeno nelle scuole, nel rapporto scolari ed insegnanti, individuò quattro fattori di influenza sociale: 1) il clima emotivo, ossia il calore umano e la considerazione positiva verso alcuni, 2) le informazioni, per cui si spiegano più cose agli scolari preferiti, 3) varia il comportamento che si sollecita nello studente, dando a chi è preferito, per esempio, più possibilità di parlare, 4) il grado di feedback. che l'insegnante da al lavoro dello studente, con un giudizio più chiaro e costante verso chi è preferito.

Vi è anche una discriminazione istituzionale, quando sono le stesse istituzioni scolastiche ad aspettarsi un cattivo rendimento da parte dei membri di minoranze sociali.

Viene fatta una critica alla ricerca sugli effetti della discriminazione, ritenendo che la discriminazione non ha gli stessi effetti su tutti e allo stesso modo, ed, inoltre, che gli effetti della discriminazione mutano con le condizioni storiche, nel senso che oggi, sia da parte delle minoranze etniche che da parte delle donne, per esempio, vi è maggiore auto consapevolezza, ed essendo più sicuri in loro stessi si fanno meno influenzare dai pregiudizi altrui.

In un'ultima analisi, per quanto riguarda la conservazione del pregiudizio, molto spesso, le persone mantengono i propri pregiudizi, ma, cambiano il comportamento a seconda della situazione.

I pregiudizi tendono a resistere nel tempo, soprattutto se ci sono meccanismi di sostegno, che tendono a rinforzarlo, altrimenti potrebbero modificarsi.

Una difficoltà nel cambiamento avviene se tali pregiudizi riscuotono un consenso sociale, se tramite essi, per esempio, si trovano degli amici, verranno mantenuti; mentre un cambiamento sarà possibile se i costi nel mantenimento e la manifestazione dei pregiudizi sarà troppo alta.



13 - Le radici del pregiudizio: la ricerca sulla personalità autoritaria

Nella ricerca sulle radici del pregiudizio, due sono fondamentalmente le cause che vengono considerate: la socializzazione e le gratificazioni e punizioni presenti nella vita adulta.

La socializzazione.

Il pregiudizio può essere acquisito durante le prime fasi della socializzazione, durante l'infanzia, così come può essere acquisito durante qualunque periodo della propria vita ed il fatto che aumenti o diminuisca dipende dalle circostanze storiche.

L'acquisizione dei pregiudizi durante le prime fasi della socializzazione è facilitata dall'atteggiamento dei genitori, dal momento che i bambini piccoli imitano continuamente ciò che fanno i loro genitori. Analizzando proprio il rapporto tra imitazione e pregiudizi, un gruppo di ricercatori durante gli anni Quaranta, fece una ricerca sulla personalità autoritaria. La ricerca iniziò andando a ricercare le radici dell'antisemitismo, e si chiesero che tipo di persona fosse quella che odiava gli ebrei. In breve, si resero conto che questo tipo di persona non odiava solo gli ebrei, ma, le minoranze in generale. Fu scelto il termine di autoritario, perché tali persone mostrano un atteggiamento subalterno nei confronti dei loro capi, oltre ad aderire ai valori convenzionali di leader politici e religiosi, ma , essendo contro il convenzionalismo, tra cui le minoranze che sono per definizione convenzionali.

Il metodo utilizzato per misurare l'autoritarismo in una persona è la scala F.

Le persone autoritarie dimostrano di avere una grande rigidità di pensiero, mostrando difficoltà nel comprendere posizioni a loro antitetiche, nonché in una diversa soluzione dei problemi. Hanno un atteggiamento positivo verso la politica e negativo verso la pornografia.

Studiando le cause dell'autoritarismo e prendendo in esame l'effetto dell'imitazione, si è visto come studenti universitari con un alto punteggio nella scala F, avevano genitori che mostravano anch'essi un medesimo punteggio. Invero, si suppone che genitori autoritari allevino li autoritari e maggiormente propensi al pregiudizio.

La possibilità che pregiudizi possano crearsi in momenti successivi all'infanzia, sono tanto più veri se si considera l'influenza che hanno, nell'ingenerare pregiudizi, i mass media. In un periodo formativo, bombardati da una serie di messaggi provenienti da riviste o dalla televisione, senza un vaglio obbiettivo, di cui ancora non dispongono, si possono, nei ragazzi, generare atteggiamenti discriminatori nei confronti di un gruppo, che a sua volta può abbassare la propria auto stima.

Gratificazioni e punizioni presenti nella vita adulta. La nascita dei pregiudizi può avvenire anche durante la vita adulta, in occasione di eventuali punizioni che creano ostilità nei confronti di quella persona o quel gruppo di persone, che hanno impartito la punizione. In particolare si prendono in considerazione gli effetti di due tipi di punizione: la competizione e le differenze tra i gruppi.

Per quanto riguarda la competizione, in periodi storici differenti abbiamo assistito alla competizione per l'acquisizione delle risorse materiali , e una conseguente ostilità tra vari gruppi etnici.

Tajfel ha sottolineato come la competizione tra gruppi, non avvenga solo per l'approvvigionamento, ma, in difesa della propria identità sociale. L'identità sociale nasce quando, introdotti in un gruppo, si prende consapevolezza di appartenervi, con conseguente senso di sicurezza perché si ha la sensazione di valere e ci si sente protetti. Nella salvaguardia della propria identità sociale, ci si mette in competizione con gli altri gruppi.

Tajfel rilevò che: 1) i membri di un gruppo mostrano atteggiamenti positivi verso se stessi e discriminazioni verso gli altri, 2) i gruppi, sviluppandosi, creano un'omogeneità interna, ovvero, i suoi membri si assomigliano sempre più negli atteggiamenti, nelle opinioni, accentuando le proprie differenze rispetto agli altri gruppi, al fine di differenziarsi ulteriormente, 3) l'identità sociale prende il sopravvento sull'identità personale, per cui anche il diverso da sé non è visto come individuo, ma, come appartenente ad un gruppo, 4) i membri di un gruppo sviluppano atteggiamenti di auto compiacimento, per cui, si ritengono migliori, mentre gli altri sono cattivi, e ciò determina un rafforzamento della propria auto stima.

Per quanto riguarda le differenze tra i gruppi, si tende a non apprezzare chi la pensa differentemente da noi, perché lo si vive come una minaccia della propria auto stima.




14 - Gli stereotipi sociali

Gli stereotipi sociali sono delle descrizioni semplicistiche di interi gruppi, come affermare che gli italiani sono impulsivi o i turchi iracondi. Oggi quando si parla di stereotipi s'intendono dei concetti generalmente collegati ad altri, con cui si caratterizzano tutti i membri di un gruppo. Gli stereotipi, in tal senso, possono dar luogo all'insorgenza di pregiudizi, ma, sicuramente influenzano parte delle nostri azioni quotidiane, come l'esser categorizzati in base all'abbigliamento e, quindi, la scelta del vestito da indossare.. Si ritiene che gli stereotipi si basino su processi cognitivi ed il loro funzionamento sia in funzione di processi di pensiero, tra cui i più importanti sono: 1) la differenziazione e la polarizzazione, secondo cui si formano stereotipi sia sul proprio gruppo che su gruppi estranei, ove i primi sono però più raffinati rispetto ai secondi e questi ultimi sono generalizzazioni semplicistiche. 2) La memoria negativa, ossia, si ricordano più facilmente gli stereotipi negativi riguardanti i gruppi estranei, che si mantengono nel tempo e rinforzano la valutazione negativa.3)

La correlazione ingannevole, secondo cui si tende a mantenere una correlazione tra più termini, come italiano e pigrizia, anche se tale correlazione non risulta surrogata da prove valide ed oltre qualunque informazione che la invalidi.

Gli stereotipi hanno fondamentalmente due funzioni: l'una è che, seppur semplicistici, i concetti che ci facciamo sugli altri, ci fanno guardare al mondo circostante come meno estraneo; l'altra funzione, come afferma Allport,, è che in ogni stereotipo c'è un nocciolo di verità, spesso infatti sono basati su fatti utili a capire le azioni degli altri.

È indubbio che gli stereotipi abbiamo un valore sociale, quindi, bisogna considerarli con una certa prudenza. In particolare, Campbell avverte su:1) possibili sopravvalutazioni delle differenze tra i gruppi, 2) possibili sottovalutazioni delle differenze all'interno di un gruppo, potendo alcuni avere uno stile di vita non del tutto omogeneo agli altri appartenenti del gruppo, 3) la giustificazione dell'ostilità, per cui se non si abbandonano gli stereotipi non si analizzeranno a fondo le vere cause di un fenomeno.



15 - Caratteristiche della fonte, del messaggio, del ricevente ed efficacia della comunicazione persuasiva

La comunicazione sociale può essere persuasiva, ossia, permettere il cambiamento degli atteggiamenti. Hovland e coll. si soffermarono a studiare le caratteristiche dello stimolo del processo persuasivo e gli effetti delle singole caratteristiche nell'efficacia della comunicazione persuasiva. Tali caratteristiche sono:1) la fonte (colui che tenta di persuadere), 2) il messaggio (il contenuto della comunicazione), 3) il canale (il mezzo attraverso cui viene trasmessa la comunicazione, come televisione o stampa ), 4) il ricevente (colui a cui giunge il messaggio), 5) il contesto della comunicazione ( contesto fisico e/o sociale).

La fonte.

Qualunque sia il messaggio trasmesso, è importante tenere conto delle caratteristiche della fonte, ovvero, di colui che invia il messaggio, tra le caratteristiche più importanti ci sono: l'attendibilità della fonte, le sue attrattive fisiche, le sue intenzioni. Per quanto riguarda l'attendibilità, in linea generale, risulta avere più impatto e, quindi, più effetto persuasivo il messaggio proveniente da una fonte ritenuta attendibile, anche, se si è osservata l'influenza del cosiddetto effetto latente, per cui il messaggio proveniente dalla fonte meno attendibile, con il passare del tempo, risultava, a livello persuasivo, avere più incidenza.

Questo fenomeno si verificherebbe perché, con il tempo, avverrebbe una dissociazione tra colui che ha inviato il messaggio e la caratteristiche del messaggio stesso, e, quindi, venendo meno l'influenza dell'attendibilità, il messaggio proveniente da una fonte meno attendibile risulta, nel tempo, avere più incidenza. Infatti, rievocando la fonte, l'attendibilità cresce e l'effetto latente non si verifica.

Le fonti attendibili influenzano il cambiamento degli atteggiamenti, tanto più se il messaggio coinvolge la persona che lo trasmette, e non va a suo vantaggio, mentre, se il messaggio fosse non significativo, l'impatto persuasivo sarebbe lo stesso, sia da parte di una fonte attendibile o meno.

Anche le attrattive fisiche della fonte possono influenzare la comunicazione persuasiva. Kelman osservò un influenza maggiore se la fonte è apprezzata fisicamente, perché le si vorrebbe assomigliare o ci si identifica, tanto più se il messaggio è impopolare.

Generalmente, se l'emittente dichiara che se le sue intenzioni sono tese alla persuasione, il ricevente, assume un comportamento competitivo che ostacola, un eventuale cambiamento di atteggiamenti. Questo non capita sempre, soprattutto, se il messaggio non è letto come minaccioso, addirittura, di fronte ad un eventuale dibattito, si possono anticipatamente assumere gli atteggiamenti altrui.

Il messaggio.

Intanto per essere persuasivo, un messaggio deve essere capito, e, quindi, dev'essere chiaro, e a sua volta attiverà due fattori: un unilateralità o bilateralità nella argomentazione e uno stato di paura.

Varie ricerche hanno evidenziato come l'impatto della comunicazione in senso persuasivo è diverso: 1) a seconda dell'istruzione di chi l'ascolta, 2) A seconda che l'argomentazione sia unilaterale o bilaterale.

Più l'emittente è una persona istruita e più può essere persuasa da un argomentazione bilaterale, meno è istruita è più sarà persuasa da un argomentazione unilaterale.

Inoltre un messaggio minaccioso può incutere uno stato di paura, e può incidere nel cambiamento degli atteggiamenti, anche in maniera non diretta, ma, sotto l'influenza dell'effetto latente. Il messaggio minaccioso può determinare un effetto boomerang, ossia, inibire il cambiamento, ed il ricevente si trincererà dietro un meccanismo di evitamento difensivo, a meno che cambiare gli atteggiamenti equivalga ad una diminuzione dell'attivazione dello stato di paura.

Il ricevente.

Le persone non si limitano ad ascoltare ciò che gli si dice, ma, elaborano l'informazione. Molte ricerche hanno evidenziato come l'efficacia della comunicazione persuasiva sia influenzata dalla disposizione o meno del ricevente a modificare i propri atteggiamenti.

Le disposizioni possono essere di tre tipi. Nel primo caso, vi è una tendenza a farsi influenzare da ogni comunicazione persuasiva e a cambiare i propri comportamenti. Nel secondo caso, la ricerca di McGuire sottolinea che la persuasione avverrebbe, prevalentemente, in mancanza di argomentazioni a difesa della propria opinione.

Nel terzo caso, l'efficacia della comunicazione persuasiva sarebbe influenzata dagli stili personali. Tendenzialmente, una bassa auto stima tende a mettere in discussione le proprie convinzioni, assumendo quelle degli altri; un'alta auto stima tenderebbe a difendere le proprie posizioni, eventualmente ad argomentarle.


16 - La dissonanza cognitiva.

Molti psicologi sono convinti che ogni persona sia animata dalla necessità di coerenza tra le proprie idee.

E se questo non dovesse avvenire producendo incoerenza si sarebbe mossi dall'esigenza di un ripristino della coerenza stessa Festinger si è occupato di questo problema, che nel caso d'incoerenza viene denominato dissonanza cognitiva. Festinger rileva che tanto più c'è dissonanza tra la rappresentazioni che si hanno nel mondo, tanto più è forte il disagio per l'incoerenza che necessita di una risoluzione, e lo è maggiormente all'aumentare dell'importanza delle rappresentazioni medesime. La risoluzione della dissonanza può avvenire attraverso una modifica del proprio comportamento, o attraverso la modifica della rappresentazione. Per fare un esempio semplice, se si disprezza chi ruba, e si sta per comprare una autoradio presumibilmente rubata, si può decidere, nei termini della risoluzione della dissonanza, di non comprare più l'autoradio o si cambia la propria opinione su chi ruba, giustificandolo come uno stato di bisogno. Tutto ciò dimostra, come il bisogno di coerenza cognitiva può influenzare il cambiamento negli atteggiamenti, infatti ad una coerenza logica si associa una coerenza di atteggiamenti.

La riduzione della dissonanza implica quindi un cambiamento negli atteggiamenti avendo determinato una modifica del comportamento. Questi effetti, del comportamento sugli atteggiamenti, sono studiati attraverso i role-playing, ovvero l'interpretazione di un ruolo. Quanto più l'interpretazione di un ruolo è dissonante con i propri atteggiamenti, tanto più l'interpretarlo, adottando un certo comportamento, può influenzare il cambiamento degli atteggiamenti, mentre se non produce alcuna dissonanza, allora, non si avrà alcun cambiamento. Festinger, afferma anche che quanto maggiore è la pressione di qualcuno che ci vuol fare un'azione indesiderata, tanto minore sarà la dissonanza prodotta. Questa posizione non è stata validata da prove sufficienti e, quindi, è stata variamente criticata.

Infatti, molti autori affermano che se nella pressione è implicita una qualche punizione o, anche, una ricompensa, comunque, il fatto di eseguire un'azione a forza, non implicherebbe nessuna attrazione verso l'azione, e quindi nessuna diminuzione della dissonanza. Altri autori, invece, ritengono che la ricompensa può attenuare la dissonanza, come in quell'esperimento dove la ricompensa in denaro, per il fatto di mentire ad altre persone sulla qualità interessante di alcune prove motorie, in realtà, molto noiose, potesse non creare dissonanza (caso della retribuzione soddisfacente), o far cambiare l'atteggiamento (caso della ricompensa non soddisfacente e quindi di alta dissonanza). In generale, il peso della retribuzione sulla riduzione della dissonanza, dipende dalle circostanze. Klapper, inoltre, osservò come, al fine dell'evitamento della dissonanza, si 'scelgono' le cose da vedere e da sentire, per esempio, evitando di vedere o di ascoltare alla televisione o alla radio, fatti non congruenti con le proprie opinioni, e addirittura, a tal fine, ne viene alterata la memorizzazione e la rievocazione.






17 - Rapporto tra atteggiamenti e comportamento

Oltre ai differenti rapporti che l'atteggiamento ha con diversi processi psicologici come l'emozione, è importante anche analizzare il rapporto tra atteggiamenti e comportamento. Su questo tipo di rapporto vi sono posizioni teoriche critiche fra loro. Per esempio, Wicker ritiene che tra gli atteggiamenti ed il comportamento non vi sia un legame tale che dati gli atteggiamenti sia possibile prevederne il comportamento. Seppure questa posizione teorica è stata invalidata, attestandosi su un campione troppo ristretto per consentire una generalizzazione, sta di fatto che molti condividono l'opinione che la previsione, conosciuti gli atteggiamenti, possa essere a volte possibile. Si è osservato, d'altronde, come medesimi atteggiamenti possano dar luogo ad azioni differenti, per cui si presuppone che la capacità di prevedere l'azione dato l'atteggiamento è possibile se come azione intendiamo un insieme di possibili comportamenti. Sono stati individuati dei fattori che hanno la possibilità di ridurre o rafforzare il legame tra gli atteggiamenti ed il comportamento. Uno di questi fattori è 1) l'intervallo di tempo, tra la misura, da parte dei ricercatori, dell'atteggiamento e la registrazione del comportamento. Per cui si possono avere correlazioni atteggiamento-comportamento maggiore o minore in relazione ad intervalli di tempo ampi/stretti ed, anche, in funzione del contesto,. 2) La sicurezza dell'atteggiamento, che quanto più è ancorato all'esperienza dell'individuo, tanto meno è sensibile al cambiamento.

Per la previsione del comportamento, poi, Fishbein propone un modello, secondo cui le persone agirebbero generalmente sulla base di intenzioni. Le intenzioni sono, a loro volta, influenzate da due fattori: l'atteggiamento e la previsione sociale. 1) Gli atteggiamenti influenzano il comportamento nel senso che ci si comporta coerentemente alle proprie idee. Inoltre anche gli atteggiamenti sono influenzati dall'aspettativa dei risultati, che motiverà o meno all'azione da intraprendere, e dal valore dei risultati previsti.

2) La pressione sociale modula l'azione, spinta dagli atteggiamenti, ed il grado d'intensità della pressione dipende dalle ipotesi normative, ossia dalle ipotesi che noi facciano su quello che gli altri si aspettano da noi, e dalla motivazione a conformarsi ai desideri altrui. In conclusione Fishbein afferma che le azioni di ognuno dipendono sia dagli atteggiamenti che dalla pressione sociale, e per prevedere l'azione altrui bisogna conoscere il modo in cui l'altro percepisce e valuta le proprie azioni nonchè la percezione e la valutazione altrui sulle nostre azioni.



18 - L'azione orientata al bene sociale: disposizioni personali e fattori situazionali.

Per azione orientata al bene sociale o comportamento pro - sociale, s'intende un azione con la quale favoriamo, aiutiamo un'altra persona. L'opposto di tale comportamento è l'azione anti sociale. Gli psicologi sociali si sono interessati a vedere se e in che misura un comportamento pro sociale è influenzato da disposizioni personali e/o da fattori situazionali. In primo luogo, la presenza di disposizioni personali può essere studiata con ricerche longitudinali, fatte lungo la vita di un individuo, per capire come la socializzazione, ovvero, l'assimilazione di determinati modelli nell'infanzia, si rifletta in correlati comportamenti in età adulta. Purtroppo, nei risultati di queste ricerche, come quelle di Keagan e Moss, non si è trovata una correlazione significativa. Un secondo metodo di analisi, è la valutazione della coerenza dei comportamenti, in situazioni differenti. Tra cui lo studio sulla stabilità delle disposizioni personali di Hartshorne e May, attraverso la somministrazione di una batteria di test a 600 bambini, in cui veniva valutata la misura della coerenza di un atteggiamento, come il non barare, in situazioni diverse. Anche in questo caso , non si trovano dati significativi per una correlazione disposizione personale - comportamento, e risultati analoghi sono emersi da studi sulla puntualità .e socievolezza.

Contro l'ipotesi della presenza di disposizioni personali nel comportamento pro sociale, vi sono i sostenitori del situazionismo. Non c'è, comunque, molta enfasi, in quest'approccio teorico. Altri autori, come Bem ed Allen sono più propensi a pensare che la personalità di ognuno è strutturata in 'tratti', e solo a volte manifestiamo un atteggiamento coerente ad essi. E comunque che la messa in atto di un comportamento pro sociale dipenda anche dalle singole circostanze.

Secondo un ultimo approccio, comprendente gli altri due: a volte il nostro comportamento è l'attuazione di disposizioni personali acquisite nell'infanzia, altre volte i nostri comportamenti, in situazioni differenti, manifestano una loro coerenza, ma, il tutto è modulato in base al contesto, alle singole circostanze. Questa è la posizione interazionista, secondo la quale, il comportamento pro sociale è prodotto dell'interazione tra disposizioni personali e fattori situazionali.



19 - Comportamento pro-sociale e credenza in un 'mondo giusto'

Per comportamento pro sociale s'intende un comportamento atto a fornire aiuto senza alcun tornaconto. Prima di dare aiuto, ci si rende conto se esso è realmente necessario e per capire questo, una certa incidenza la hanno il tono della voce di colui che richiede l'aiuto e il chiasso intorno a lui. Ma il comportamento pro sociale è legato alla credenza che il mondo sia giusto. Infatti una volta evidenziato lo stato di bisogno, ci si chiede se quella persona l'aiuto se lo merita. Il fatto di credere qualcuno, non solo vittima , ma, anche responsabile dei suoi problemi, pone a sfavore dell'aiuto immediato. In termini attribuzionali, potremmo dire che se il locus di causazione è interno, si è meno disposti ad aiutare, rispetto ad individuare il locus di causazione come esterno, come causa esterna ed incontrollabile.

D'altronde conformemente alla convinzione che il mondo sia giusto, se una persona è in difficoltà si pensa che in qualche modo se lo è meritato, che in qualche modo, deve aver posto le promesse per le sue difficoltà future. Un esperimento rivelò proprio come assistere all'aumentare di sedute di elettroshok ad una ipotetica vittima ( in accordo con lo sperimentatore), di cui bisognava dare, da parte di alcune studentesse universitarie, una valutazione della personalità, queste davano una valutazione sempre più negativa, qualora la vittima veniva sottoposta ad ulteriori sedute. Era come se se la vittima se lo meritasse. Comunque, dando informazioni sulle cause che hanno provocato le sofferenze, è possibile ridurre la tendenza a colpevolizzare l'altro delle sue difficoltà.


20 - Comportamento pro sociale: reazioni del destinatario dell'aiuto

Per comportamento pro sociale s'intende un comportamento atto a fornire aiuto.

Per poter approfondire le condizioni che permettono l'offerta d'aiuto, è necessario tenere conto anche del destinatario. Il beneficiato non si trova in una situazione facile, e si può trovare esposto a tre tipi di problemi: 1) colui che fornisce l'aiuto può strumentalizzare colui che riceve l'aiuto, 2) colui che ha ricevuto l'aiuto può stimarsi inferiore o 3) può ritenersi in obbligo.

Nel primo caso, molte ricerche hanno evidenziato come in diversi paesi, se l'aiuto è vissuto come una manipolazione, generalmente, viene rifiutato. Ma se lo dovesse accettare, il beneficiato guarderà al benefattore con disprezzo, si sente costretto o limitato e non crede di avere degli obblighi nei confronti del benefattore. Al fine di ridurre la sensazione di essere manipolati, i beneficiari possono dimostrare che l'aiuto non era necessario, connotando ai benefattori disposizioni altruistiche.

Nel secondo caso, l'aiuto è vissuto come una minaccia dell'auto stima, perché chi chiede aiuto è consapevole di essere in uno stato di necessità. In simili condizioni l'offerta d'aiuto può, non solo creare bassa auto stima, ma, anche un sentimento di risentimento. L'auto stima può abbassarsi nei casi in cui il richiedente è una persona a noi simile, o il benefattore è un amico. Molto spesso chi necessiterebbe di aiuto, non lo chiede per

orgoglio, per non sottolineare la propria inferiorità.

Nel terzo caso, si prende in considerazione la 'pressione dovuta all'obbligo', così definito quel debito morale che avvertiamo quando qualcuno ci fornisce un aiuto. Se non si ha la possibilità di ricambiare un favore, si prova un sentimento di antipatia, soprattutto verso chi non vuole essere ricambiato e si preferisce rompere un rapporto amicale, per non trovarsi in una condizione di inferiorità.





21 - Aggressività come istinto e aggressività come fattore appreso

Per aggressività ovvero per comportamento aggressivo, s'intende un insieme di azioni dirette al male di una persona, tali da infliggere sofferenze di natura fisica o morale o addirittura la morte.

Comunque sul termine di aggressività ci sono state non poche posizioni critiche, così come nel ritenere il comportamento aggressivo un istinto o un comportamento appreso.

Alcuni autori sono propensi a ritenere l'aggressività parte integrante del nostro bagaglio istintuale. Sono d'accordo, in tal senso, autori come MacDougall, che parla di 'istinto pugnace', e Freud, che parlava di un vero e proprio istinto di aggressività. La stessa posizione è condivisa dagli etologi, come Lorenz . Studiando il comportamento aggressivo, in molte specie animali, egli è giunto alla convinzione che i medesimi istintivi comportamenti aggressivi sono presenti anche nell'uomo, con la differenza che se l'animale modula la propria aggressività, bloccando l'azione con un mezzo di controllo, che ha affinato per anni, sempre di natura istintuale. L'uomo, pur avendo le stesse possibilità dell'animale, non le sfrutta, anzi lo sviluppo delle capacità mentali hanno permesso di creare modalità di distruzione altamente sofisticate.

Questa posizione teorica è contrastata da chi ritiene che pur riconoscendo una similitudine nel patrimonio istintuale dell'animale come nell'uomo. Ritiene che il comportamento sia, sostanzialmente, mediato da ormoni maschili, quali gli androgeni, che se determina nell'animale direttamente un comportamento aggressivo, nell'uomo provocherebbe solo uno stato di maggiore eccitazione, rendendolo più emotivo, più attivo.

Inoltre ulteriori ricerche, hanno evidenziato come nelle diverse culture non vi sia la stessa propensione verso l'attuazione di un comportamento aggressivo, in alcune società non vi è mai stata la guerra, come tra gli Eschimesi. Generalmente, nelle società l'espressione dell'aggressività è determinata da circostanze storiche, infatti, se in una società pacifista, cambiano le condizioni, può scatenarsi anche una guerra, mentre, culture tendenzialmente aggressive possono per secoli vivere in pace.

Secondo un altro approccio teorico, il comportamento aggressivo si apprende.

Varie ricerche hanno evidenziato come l'aggressività può essere modulata da ricompense e punizioni. In un esperimento all'interno di una scuola materna, si disse alle mastre di lodare i comportamenti di cooperazione e di passare sotto silenzio i comportamenti aggressivi, Dopo due settimane si rilevò una diminuzione di siffatti comportamenti, ed un aumento della cooperazione tra i bambini. Smesso il periodo delle ricompense l'aggressività rive, per poi diminuire un volta ripristinato il sistema di ricompense come all'inizio dell'esperimento.

Altre ricerche hanno evidenziato come l'aggressività può essere controllata attraverso minaccia di rappresaglia. Così come la punizione può aumentare l'aggressività, nel caso in cui si ritiene si ritiene di dover riare l'altro del torto subito o nel caso in cui l'aggredito è molto arrabbiato tanto da colpire a sua volta senza badare all'entità della punizione futura.

Il comportamento aggressivo può essere appreso, oltre che dal sistema delle ricompense e punizioni, anche dall'imitazione di modelli aggressivi, così come modelli pacifisti, come quelli nell'India di Mahatma Ghandi, possono indurre l'acquisizione di comportamenti pacifici.

I modelli istiganti modelli aggressivi, possono trovarsi nella stessa famiglia, un genitore che picchia il lio, propone a quest'ultimo un modello di comportamento improntato alla punizione, ed i modelli culturali. In questo caso , per esempio, nelle culture occidentali, è stato sempre proposta la correlazione tra l'uomo e l'aggressività. L'imitazione dei modelli, potrebbe essere quella proposta dalla televisione, o la lettura di certi fumetti (senza dimenticare il fenomeno nuovo ma sempre più dilagante dei cd-rom proponenti giochi violenti).

La lunga esposizione all'osservazione di spettacoli televisivi violenti, mette in atto un processo di de sensibilizzazione, , per cui alla violenza non ci spaventa più, ma diventa un mezzo che se usualmente vediamo può essere anche usualmente appreso ed utilizzato. All'opposto, Feshbach ritiene che l'osservazione di immagini violenti può indurre la riduzione dell'aggressività, fungendo da catarsi. Negli esperimenti i bambini più influenzati dai messaggi violenti, erano anche quelli che avevano più difficoltà nel distinguere la realtà dalla fantasia. Generalmente, poi, è la persona aggressiva a scegliere spettacoli violenti.


22 - Il rapporto tra frustrazione ed aggressività: l'ipotesi di Dollard e Miller

Come punto di riferimento nello studio del rapporto della frustrazione e della aggressività, vi è il testo classico 'Frustrazione ed aggressività' di Miller , Mowrer e Sears, del 1939.

Gli autori sostengono l'ipotesi che ogni qual volta una persona non riesce a raggiungere i propri obbiettivi, proverebbe uno stato di frustrazione, con conseguente aumento dell'aggressività, non propriamente diretta verso l'ostacolo, se questo è rappresentato da una persona, tanto più se questa è potente. In tal caso, l'aggressività sarebbe rivolta verso altri . Questa impostazione teorica risulta da altri autori troppo generica, in quanto: 1) non sempre uno stato di frustrazione implica lo scatenarsi di uno stato aggressivo, potendo creare altre reazioni come inattività o depressione. 2) Si può essere aggressivi senza un precedente stato di frustrazione. Anche Berkowitz concorda con questa posizione. A questo punto, ci si chiede quali sono le condizioni in cui la frustrazione determina aggressività. Una di tali condizioni è l'aumento della frustrazione, l'altra è l'arbitrarietà dell'agente che provoca la frustrazione, per cui tanto più è arbitrario, tanto più crea frustrazione.

Inoltri fattori determinanti stress, come rumore, calore, ecc., che determinano frustrazione, possono provocare reazioni aggressive. Generalmente, però, si ritiene che sono le persone più inclini a reagire con aggressività, anche quelle, che peggio sopportano gli effetti della frustrazione.

La frustrazione è uno stato di attivazione emotiva similmente alla rabbia, che, secondi alcuni autori, di per se non sfocia in una manifestazione aggressiva, a meno che non vi siano particolari condizioni. Infatti, l'eccitazione emotiva, seguita dalla frustrazione, può essere incanalata in altre attività, non aggressive, si parla in questa caso di dislocazione di emozione.

Generalmente la risposta aggressiva si ha quando: 1) essa, nel contesto dato, risulta essere la risposta dominante, 2) in riferimento all'attribuzione dello stato emotivo, nel senso che se viene definita come frustrazione , è più facile il manifestarsi dell'aggressività.

Come gli stessi autori del volume sopracitato affermano, ci sono condizioni che permettono la riduzione di comportamenti aggressivi. Non sempre ad una manifestazione aggressiva ne seguirà un'altra, e questo succede in situazioni che permettono lo sfogo emotivo, attraverso un'esperienza catartica, come lo volgere attività fisica o l'uso di tecniche come le urla primarie.

Inoltre la tendenziale riduzione di successive manifestazioni aggressive, avverrebbe quando:1) l'aggressività ha creato un danno all'aggredito, 2) L'aggressività è servita a riparare ad una offesa.


23 - L'aggressività come rappresentazione culturale.

L'aggressività è un fatto sociale, se si tiene conto che si sviluppa in una interazione tra individui.

Essa può essere considerata una forma di rappresentazione sociale, se come afferma Averill, segue copioni stabiliti, e in alcuni casi ha bisogno di una particolare scenografia.

Il definire un'azione come aggressiva o meno ha implicazioni di carattere morali tra la gente con l'eventuale uso di azioni punitive. Si è sorpresi a volte dei modi in cui l'aggressività viene definita e come può cambiare soprattutto tra aggressore e aggredito. In un esperimento ad alcuni studenti fu fatta vedere una registrazione filmata di uno scontro tra due ragazzi , che doveva essere giudicata dai due diversi punti di vista. Ciascuna delle due parti si vedeva come l'aggredito.

Per cui distinguere i ruoli è importante come definizione a livello sociale. Quando non è possibile identificare, sotto tale aspetto, qualcuno, si dice che questi ha avuto un calo d'identità. L'anonimato, nelle città urbane, può incrementare l'espressione di manifestazioni aggressive, l'essere non individuato permette l'esentarsi da eventuali punizioni.

Come affermava Averill, mettiamo in atto dei copioni che regolano l'azione aggressiva, importanti nella vita sociale e privata. Ci sono delle società in cui è norma sociale condivisa ma non scritta, quella di sottomettere la mogli picchiandole. Generalmente, a livello d'interazione si propone un modello, in cui la persona A viola una regola, fra la persona A e la persona B avviene uno scambio verbale, ove B rimprovera A; quindi, A si giustifica pur persistendo nelle sue azioni. Quindi B minaccia A o lo sfida per poi aversi l'eventuale scontro. Purtroppo pur conoscendo tale copione, nono rinunciamo ad adottarlo.

Le ricerche di Asch e Sherif sulla conformità

La conformità è una spinta all'eguaglianza che si realizza quando si cede alle pressioni sociali che obbligano ad essere simile agli altri E si distingue dall'uniformità, per cui l'uguaglianza nasce dal desiderio di essere come gli altri, e dall'obbedienza, ove l'uguaglianza è data dall'osservanza dei dettami di una persona autoritaria.

In linea generale la spinta all'uguaglianza è una spinta sociale molto forte.

Sherif si è occupato, in particolare, dell'uniformità.

Il primo fattore che influenza lo sviluppo di modelli di comportamento di uniformità è la condivisione di

norme o regole informali, nella vita pubblica e privata; il secondo fattore sono i modelli, per cui si imitano modelli altrui ovvero comportamenti altrui, e se viene imitato da un gran numero di persone si parlerà di contagio. La condivisione di comportamenti avverrebbe nel caso del confronto sociale, cioè, quando tutti gli altri si comportano unitamente e diversamente da noi, ci viene il sospetto che il nostro comportamento non sia opportuno e adottiamo quello degli altri. Una dimostrazione degli effetti del confronto sociale, lo ha evidenziato nel 1935 Sherif. Egli usò una situazione altamente ambigua. Se in una stanza buia e una luce fissa, avviene un effetto auto cinetico, per cui la luce sembrerà muoversi.. Per capire l'influenza del confronto sociale , mise un gruppo di persone , nella medesima situazione di stanza buia e luce fissa , e, poi, sentì singolarmente le opinioni sulla percezione avuta. Quindi, li riunì in piccoli gruppi a ripetere l'esperienza visiva, e dalla successiva verifica, emerse che ciò che veniva riferito di aver visto era comune tra i componenti dei singoli gruppi, e differiva dall'opinione di ognuno, data inizialmente. Addirittura, l'effetto auto, cinetico del gruppo può persistere per un anno, e se si è introdotti in altri gruppi, a ripetere l'esperimento, questi tenteranno di convincere gli altri della stessa opinione.

Asch studiò l'influenza del fattore acquiescenza nell'insorgenza, invece, di comportamenti conformi. Questo fattore avverrebbe sotto la pressione normativa, per cui si mantengono le proprie opinioni, ma, si dichiara di essere concorde con gli altri, per farsi amicizie, o evitare la censura dal gruppo. Se si ritiene che l'opinione del gruppo sia quella giusta , invece, di conformarsi, si interiorizzano i giudizi altrui, e si cambia opinione, questo soprattutto sotto pressione informativa, quando chiediamo agli altri la risposta esatta ad un problema. Asch condusse la sua ricerca nel 1946, mise un gruppo di sette persone a valutare la lunghezza di alcune linee rispetto alle altre come riferimento. Nella prima prova più semplice, erano tutti d'accordo nel rilevare la minore o maggiore lunghezza delle varie linee. Nella seconda prova, paradossalmente, gli altri erano concordi tra loro nel dare un risposta sbagliata e così via nelle prove seguenti. Si registrò via, via l'aumento della percentuale dei soggetti che uniformavano la propria opinione a quella della maggioranza.

In linea generale i fattori, presenti anche nella ricerca di Asch, che possono aumentare o diminuire la tendenza ad uniformarsi al gruppo, sono:

la dimensione del gruppo, secondo Asch la conformità non aumenta oltre un gruppo di tre persone.

l'ambiguità dello stimolo, nella ricerca di Asch la tendenza ad uniformarsi aumentava se vi era difficoltà a valutare la lunghezza delle linee,

l'attrazione verso il gruppo, più è attraente più ci si conforma,

l'interazione futura, vi sarà maggiore uniformità se si pensa che quel gruppo verrà rivisto.


24 - L'obbedienza all'autorità e la ricerca di Milgram

L'obbedienza è quella spinta all'eguaglianza, ove l'eguaglianza è tale perché si accettano le imposizioni di una persona autoritaria. In particolare ci si è occupati del fenomeno dell'obbedienza distruttiva, quando si accettano ordini che possono minacciare la vita stessa di un'altra persona, o provocare gravi danni materiali.

Milgram condusse una ricerca proprio sull'obbedienza all'autorità.

Il soggetto preso in esame nell'esperimento, fu coinvolto, insieme ad altri due soggetti d'accordo con lo sperimentatore, nell'infliggere delle scariche elettriche ad una della altre due persone, come punizione ogni qual volta rispondeva erroneamente ad un esercizio di memorizzazione. Ad ogni risposta sbagliata la scarica doveva aumentare in intensità. All'inizio degli esperimenti Milgram affermò che, secondo una sua convinzione, i soggetti non sarebbero andati oltre un determinato voltaggio, precisamente 150 volt, anche perché il soggetto che subiva le scariche (naturalmente fingendo), ad un certo punto sembrava addirittura morente.

Invece, il soggetto preso in esame, incalzato dallo sperimentatore aumentava progressivamente, così il 62% delle persone coinvolte non smise finché non gli fu detto di smettere.

I risultati della ricerca di Milgram rilevò come, generalmente, vi sia un atteggiamento di obbedienza alle richieste dell'autorità, anche se ritiene che stia sbagliando.

Proprio per questo egli si è occupato di capire quali fattori potessero influire sulla tendenza contraria, e quindi a no obbedire ciecamente. Tra questi fattori vi sono:

la legittimazione dell'autorità, la tendenza ad obbedire si può ridurre se l'autorità non gode di prestigio,

la vicinanza dell'autorità, nell'esperimento sopracitato, lo sperimentatore era vicino al soggetto preso in esame, e quindi il soggetto non poteva mentire sul suo operato come avrebbe potuto fare se avesse ricevuto le istruzioni al telefono,

la vicinanza della vittima, se nell'esperimento, la vittima fosse stata vicina, secondo Milgram, i soggetti avrebbero persistito meno nella somministrazione delle scosse elettriche,

personalità del soggetto, secondo cui, incide quanto si ritenga l'altro responsabile di quanto gli stava succedendo, nonché, un maggior autoritarismo ed un moralità minore è presente nei soggetti inclini all'obbedienza.


25 - Effetti negativi del potere: la ricerca sulla prigione di Stanfor

Vari ricercatori hanno evidenziato come l'avere del potere può mutare i nostri comportamenti. E quindi che l'avere degli atteggiamenti violenti non è soltanto il risultato della personalità, agente della violenza, ma che il contesto possa influenzare la messa in atto di tali comportamenti. A tal fine è interessante guardare alla ricerca condotta nella prigione di Stanfor.

I soggetti presi in esame furono degli universitari, perché vivono in un contesto completamente differente da quello carcerario. Gli studenti furono divisi in due gruppi, uno svolgente il ruolo del carcerato. Gli altri quello delle guardie. Si notò in breve che l'umore dei carcerati peggiorò progressivamente, sfociando in depressione, in manifestazioni psicosomatiche, pianto, rabbia. Addirittura dopo sei giorni l'esperimento dovette essere sospeso. All'opposto le guardie, manifestarono un atteggiamento sempre più intransigente, erano stati messi nella condizione di usare qualunque mezzo idoneo a ristabilire l'ordine, ed essi decisero di scegliere l'abuso. Il rapporto con i carcerati era verbale, di natura ingiuriosa, e continuava anche quando i carcerati manifestavano obbedienza. Le guardie decidevano di fare delle ore gratis e furono scontenti della fine dell'esperimento.

Kipnis fornisce un interpretazione ai risultati ottenuti da questo esperimento. Nello studiare cosa succede a chi è investito dal potere, individuò delle fasi attraverso le quali chi ha il potere ne viene corrotto.1) la possibilità di accadere agli strumenti del potere, fa crescere la possibilità di esercitare il potere, 2) maggiore è il potere usato, maggiore è la convinzione da parte di colui che esercita il potere di poter controllare il comportamento dell'altro, 3) Ogni volta che colui che esercita il potere, ha la sensazione che così facendo tragga qualche vantaggio, percepirà l'altro in senso svalutativo. Tanto più se quest'ultimo non prova paura per la punizione o è incline all'obbedienza. 4) Se il potere di una persona si accresce, aumentando la distanza sociale tra chi ha il potere e chi lo subisce, quest'ultimo sarà ulteriormente svalutato, e la possibilità di una qualche relazione tra i due tende a sire, 5) La possibilità di esercitare il potere accresce la propria auto stima, al limite può sfociare nell'esaltazione, in cui si rischia di non usare alcuna regola morale.


26 - Condizioni che favoriscono l'indipendenza di giudizio.

Ogni individuo può manifestare una resistenza alla pressione alla conformità, facendo leva sui propri ideali e valori, per esempio. Vari autori ritengono ci siano motivazioni più profonde come il bisogno di sentirsi libero ed il bisogno di sentirsi unico, la reattività e l'unicità.

La reattività si manifesta ogni qual volta si avverte una riduzione della libertà. Per cui, non sempre la pressione sociale gioca a favore della conformità, allora, quando: 1) si ha paura di perdere la propria libertà, , 2) il comportamento ostacolato è importante, 3) si crede profondamente nella libertà dell'individuo, in tutti questi casi la reattività cresce.

Una volta attivati i meccanismi della reattività, questi possono ostacolare la collaborazione, anche se è utile all'interno di un'azienda.

Il bisogno di essere unico è forte in noi, perché nella nostra cultura, viene dato valore a tutto ciò che è raro.

L'unicità di ognuno sembra fondarsi sulle cose che ci distinguono dagli altri, anche se il bisogno di unicità pare non manifestarsi nell'esprimere le proprie opinioni in cui prevale la conformità.

Per dimostrare l'importanza della unicità, i ricercatori hanno studiato il modo in cui reagivano delle persone a cui si diceva che assomigliavano agli altri. In genere, le reazioni osservate erano di angoscia, un abbassamento del proprio livello di auto stima ed un minore considerazione del gruppo ritenuto somigliante.

Se la reattività e l'unicità sono due fattori di natura personale che favoriscono l'indipendenza di giudizio; ci sono due fattori situazionali che hanno la stessa funzione. Essi sono: il sostegno sociale e le tecniche utilizzate dall'agente.

Un sostegno sociale, seppur minimo, aiuta ad affermare la propria indipendenza di giudizio e ad ostacolare la conformità. Infatti, fu fatta una modifica all'esperimento di Asch, ove oltre i sette soggetti concordi tra loro nel dare una risposta palesemente errata, vi era un individuo d'accordo con il soggetto preso in esame, che riduceva la sua tendenza ad uniformarsi all'opinione del gruppo. Questo effetto è presente nei bambini, nei gruppi di ritardati mentali, e nei gruppi di adulti, e si verifica anche se il sostegno non è continuo e, comunque, in presenza di qualcuno che in un modo o nell'altro, dissenta dalla maggioranza, e, infine, l'effetto del sostegno sociale si generalizza, non è specifico di un area di giudizio, ma, rafforza nell'individuo la propria indipendenza generale contro la pressione di gruppo.

Riguardo alle tecniche utilizzate dall'agente, se ne individuano soprattutto tre. La prima tecnica è quella definita 'tecnica del piede nella porta', che consiste nel chiedere inizialmente un piccolo favore per poi chiederne uno più grande, gli psicologi ritengono che ciò accada perché si vuole essere coerenti con l'immagine di se che si è dato la prima volta.

La tecnica del 'colpo basso', varia rispetta alla prima perché dopo aver ricevuto il primo piccolo favore, si avverte che i costi da sostenere sono più alti, e le persone, al fine di rispettare un impegno preso, mantengono il proprio aiuto.

Nella tecnica della porta in faccia, si passa da un favore estremo ad uno più piccolo. In genere, di fronte al primo favore si rifiuta, poi, per lenire il senso di colpa, si accetta il secondo.

In linea generale, gli psicologi ritengono che si acconsente nelle richiesta di un favore, per mantenere un immagine di se ottimale, per non essere considerati devianti e per consolidare la buona opinione che abbiamo di noi stessi.


27 - L'influenza della minoranza

Non è facile per una minoranza riuscire a portare dalla propria parte una maggioranza, può accadere che il dissenso della minoranza, infatti, respinga la maggioranza su posizioni opposte, Questi effetti negativi sono detti effetto boomerang.

Un effetto contrario è comunque possibile se come afferma Moscovici l'agente di influenza ha un certo 'stile di comportamento', e quindi manifesta: 1) coerenza, saranno maggiori le possibilità di influenzare la maggioranza se la minoranza manterrà una posizione salda intorno alle proprie opinioni, 2) fiducia in se', senza manifestarla in maniera esagerata, altrimenti si può avere l'effetto boomerang.

In ultimo, lo stile di comportamento non avrà nessun effetto positivo, se la maggioranza, rispetto alla minoranza, si sente troppo differente, d'altra parte la possibilità di essere apprezzato dai membri di una minoranza, avrà un effetto d'influenza maggiore.

I fondamenti e le regole dello scambio sociale

La teoria dello scambio sociale si basa su quattro fondamenti:

l'agire umano è motivato principalmente dal desiderio di raggiungere il piacere e di evitare il dolore. Questo è vero per qualunque forma di comportamento indipendentemente dalla fonte del piacere o della sofferenza.

Le azioni degli altri sono fonte di piacere e di sofferenza. Per la maggior parte delle persone, è importante la considerazione che si ha da parte degli altri, il loro rispetto, il loro amore. Abbiamo bisogno degli altri, ma questi sono anche fonte delle nostre sofferenze.

L'individuo sollecita con il proprio comportamento che l'altro intervenga a suo favore. Questo fondamento descrive la realtà dello scambio sociale. Infatti, le persone negoziano le proprie azioni con quelle degli altri.

L'individuo mira a conseguire il massimo piacere al minimo costo; questa si chiama strategia minimassimale. Con ciò si vuole indicare la tendenza al conseguimento del massimo dei vantaggi con l'impiego del minimo sforzo possibile. Secondo l'approccio dello scambio sociale, generalmente, in ogni circostanza, gli uomini ricercano il massimo piacere minimizzando la sofferenza. Ma non tutte le relazioni si basano sullo sfruttamento, con accomodamento si indica, infatti, quel processo con il quale ci si procura piacere a vicenda. Le regole dello scambio sono norme sociali presenti in ogni cultura, in genere informali, avvolte formalizzate e regolate da leggi. Le leggi, infatti, assicurano il mantenimento di scambi di servizi in una data cultura. Se la norma non è formalizzata, la sua non condivisione provoca ostilità da parte degli altri. Una volta stabilite, le regole dello scambio, quindi, vengono in ogni modo mantenute. Tali regole servono a mantenere l'ordine e la stabilità nel tempo. Nella nostra società, ci sono due importanti categorie di regole: le regole sulla qualità e le regole sulla quantità. Parlare delle regole sulla qualità rimanda alla teoria delle risorse elaborata dai coniugi Foa. Partendo dal presupposto che in qualsiasi rapporto, un tipo di compenso può essere difficilmente sostituito da un altro, i Foa hanno indicato sei principali classi di risorse: amore, denaro, status, beni, servizio e informazione.

Lo scambio delle risorse è regolato dal particolarismo e dalla concretezza. Per particolarismo s'intende che alcune risorse possono essere scambiate tra persone qualsiasi, mentre altre lo possono soltanto tra persone particolari. Per quanto riguarda il secondo punto, s'intende il diverso grado di concretezza delle risorse stesse, per cui già il bambino, in fase di socializzazione, sa distinguere tra beni e servizi per riuscire in seguito a riconoscere compensi dal contenuto più significativo come lo status.

I Foa, in pratica affermano che date due azioni, tanto maggiore è l'analogia in termini di particolarismo e concretezza, tanto più appropriato risulta lo scambio tra loro. In pratica gli individui si aspettano uno scambio equo, altrimenti, si prova ostilità e si considerano gli altri degli irresponsabili. Nello scambio delle risorse, non ci si preoccupa solo della qualità delle stesse ma anche della quantità. Gouldner afferma che la vita sociale è influenzata dalla regola della reciprocità. La costruzione ed il mantenimento della società stessa è regolata da norme relative a forme di scambio giuste ed equilibrate. Una relazione equa è tale quando è percepita una medesima distribuzione di costi e benefici; in caso contrario si sperimenterebbe una stato di frustrazione e la necessità di ripristinare l'equità. Sono state studiate le reazioni a due tipi di iniquità: il sottocompenso ed il sovracompenso. Nel primo caso, i sentimenti di frustrazione spingono l'individuo a ristabilire l'equità. Questo può essere fatto in vari modi, come chiedere un compenso maggiore o procurare all'altro una medesima frustrazione. Nel caso del sovracompenso, ci irrita vedere qualcuno che riceve del denaro senza avere lavorato. Anche in questo caso, si può avere il desiderio che la persona sia punita. In linea generale, al fine di ripristinare l'equità, o si lavorerà di più, o si modifica la percezione di ciò che è accaduto, ridefinendo costi e benefici.


28 - La teoria dell'equità.

Lo scambio delle risorse è modulato da due regole, che sono le regole sulla qualità delle risorse, secondo cui non si scambia facilmente una risorsa con un'altra e le regole sulla quantità. Gouldner afferma che la vita sociale è influenzata dalla regola della reciprocità. La costruzione ed il mantenimento della società stessa è regolata da norme relative a forme di scambio giuste ed equilibrate. Una relazione equa è tale quando è percepita una medesima distribuzione di costi e benefici; in caso contrario si sperimenterebbe una stato di frustrazione e la necessità di ripristinare l'equità. Sono state studiate le reazioni a due tipi di iniquità: il sottocompenso ed il sovracompenso. Nel primo caso, i sentimenti di frustrazione spingono l'individuo a ristabilire l'equità. Questo può essere fatto in vari modi, come chiedere un compenso maggiore o procurare all'altro una medesima frustrazione. Nel caso del sovracompenso, ci irrita vedere qualcuno che riceve del denaro senza avere lavorato. Anche in questo caso, si può avere il desiderio che la persona sia punita. In linea generale, al fine di ripristinare l'equità, o si lavorerà di più, o si modifica la percezione di ciò che è accaduto, ridefinendo costi e benefici.

29 - Il dilemma del prigioniero: scambio a motivazione mista

Vi sono degli scambi particolari in cui sono coinvolti problemi psicologici, uno di questi è lo scambio a motivazione mista, nel quale entrano in conflitto il desiderio di cooperare ed il desiderio di sfruttare.

Le situazioni a motivazione mista sono descritte come dilemmi del prigioniero, termine ripreso dal seguente gioco drammatico. In un caso criminoso vengono sospettate, ed imprigionate separatamente due persone.

Dal momento che non esistono prove sufficienti per il verdetto di colpevolezza, per entrambi gli individui, l'avvocato gli dice che hanno due alternative: o confessano o mantengono il silenzio.

L'avvocato gli dice anche che se tutti e due confessano, saranno condannati, con una piccola pena, per colpe mai commesse e se stanno in silenzio entrambi saranno condannati per il reato per cui sono stati imprigionati, ma con la minima pena prevista per quel reato. Se soltanto uno dei due parla, questi potrà anche negare ed essere scarcerato, ma il sospetto che mantenga il silenzio, potrà costargli il massimo della pena.

Molti studiosi ritengono che la situazione tipica del dilemma del prigioniero, sia anche quella più comunemente vissuta. In molte ricerche similari a quella descritta, hanno evidenziato che solitamente i soggetti coinvolti decidono di sfruttarsi reciprocamente. In molti casi la soluzione prescelta, quindi, non è la cooperazione, mantenendo la convinzione, però, che non tutti gli uomini in ogni circostanza sfruttano l'altra persona.

30 - Le diverse strategie del comportamento cooperativo.

Nelle più svariate circostanze si possono utilizzare delle strategie che mirino ad aumentare il comportamento cooperativo. Tra questi strumenti vi sono le strategie di contrattazione e l'uso della minaccia.

Tra le strategie di contrattazione abbiamo: 1) la strategia della cooperazione. È importante che l'intenzione di cooperare di almeno una persona coinvolta nello scambio, venga sin dall'inizio manifestata. Anche se dev'essere fatto con cautela, specialmente, se ci troviamo di fronte a persone molto competitive o non convinti dell'intenzione a cooperare, altrimenti si rischia lo sfruttamento. La condizione ottimale è quella in cui le persone possono comunicare, cosi da poter far rilevare all'altro le proprie buone intenzioni e si ha modo di discutere sui reciproci bisogni. 2) La strategia del muso duro. A volte al cooperazione altrui può essere ricevuta se mettiamo gli altri nelle condizioni di cedere. Facendo il ' muso duro'. Non sempre tale tecnica ha risultati positivi, come nel caso in cui l'altro si irrita di fronte un comportamento duro, intransigente, e se si ha l'occasione di sfuggire da tale rapporto lo si fa velocemente. 3) La strategia dell'occhio per occhio. In questo caso si assiste ad una distribuzione equa, che preveda come ricompensa alla cooperazione se l'altro ci da cooperazione, o una punizione di eguale valenza all'eventuale sfruttamento ricevuto. A tal proposito Osggod descrisse la strategia della riduzione graduale della reciproca tensione, da utilizzare nei casi di forte tensione, come quelli a livello internazionale. Questa tecnica prevede un iniziale cooperazione minima da uno dei contendenti, e dalla seguente cooperazione reciproca con conseguente riduzione della tensione. Inoltre le intenzioni di cooperare devono essere espresse e anche in modo chiaro, richiedendo una verifica dell'effettiva cooperazione fornita, ma, facendosi vedere comunque vulnerabili in modo da essere credibili nelle intenzioni.

In linea generale, i ricercatori concordano sul fatto che non esiste una strategia migliore di un'altra, dipende dalle circostanze che portano a modificare anche la tecnica nel tempo.

Per quanto riguarda l'uso della minaccia, si può per l'appunto minacciare l'altro di rompere un rapporto nel momento in cui non ottempera a degli obblighi presi propri dello scambio, per cui può soltanto promettere compensi o sanzioni. Deutsh e Krauss, due ricercatori, misero a punto un gioco di compra vendita in cui il guadagno dipendeva dalla velocità con cui si procedeva nel gioco. I partecipanti fingendo di essere due auto trasportatori, devono partire da un punto del tragitto già segnato, all'arrivo avrebbero ricevuto il compenso, meno le spese operative. I tragitti possibili sono due, uno più lungo ed uno più corto, ma , si accorgono ben presto che il tragitto più corto è ad una sola corsia così che se lo attraversano insieme, si dovrebbero fermare con conseguente perdita di tempo e quindi di soldi. La strategia utilizzata dai partecipanti è solitamente quella di passare per il tragitto più breve a turno. A questo punto dagli sperimentatori viene data la possibilità ad uno solo o ad entrambi i partecipanti di utilizzare mezzi di intimidazione, come il poter sbarrare la strada all'altro, inoltre non potevano più comunicare. Si è visto, nelle venti volte in cui il gioco fu iniziato, che quando vengono utilizzati mezzi intimidatori, da parte di uno o di entrambi i giocatori, si aveva una perdita di denaro, mentre, potendolo la cooperazione risultava il mezzo più utilizzato.



In linea generale i ricercatori sottolineano come se la comunicazione è possibile, la minaccia può essere superata dando spazio alla cooperazione, invero, l'uso della minaccia ha un effetto positivo sulla cooperazione, se la posta in gioco è per colui che rischia di perderla molto alta e se le richieste sotto minaccia sono ragionevoli, ma se la persona minacciata è in collera, in seguito alla minaccia stesa, egli può opporsi al cooperare.

31 - Cooperazione e minaccia: date un esempio.

Oltre alle tecniche di contrattazione, l'uso della minaccia può essere utilizzato per ottenere un atteggiamento cooperativo. Infatti si può minacciare l'altro di rompere il rapporto se questi non rispetta gli obblighi presi all'interno dello scambio, per cui può soltanto promettere eventuali compensi o sanzioni.

Deutsh e Krauss, due ricercatori, misero a punto un gioco di compra vendita in cui il guadagno dipendeva dalla velocità con cui si procedeva nel gioco. I partecipanti fingendo di essere due auto trasportatori, devono partire da un punto del tragitto già segnato, all'arrivo avrebbero ricevuto il compenso, meno le spese operative. I tragitti possibili sono due, uno più lungo ed uno più corto, ma , si accorgono ben presto che il tragitto più corto è ad una sola corsia così che se lo attraversano insieme, si dovrebbero fermare con conseguente perdita di tempo e quindi di soldi. La strategia utilizzata dai partecipanti è solitamente quella di passare per il tragitto più breve a turno. A questo punto dagli sperimentatori viene data la possibilità ad uno solo o ad entrambi i partecipanti di utilizzare mezzi di intimidazione, come il poter sbarrare la strada all'altro, inoltre non potevano più comunicare. Si è visto, nelle venti volte in cui il gioco fu iniziato, che quando vengono utilizzati mezzi intimidatori, da parte di uno o di entrambi i giocatori, si aveva una perdita di denaro, mentre, potendolo la cooperazione risultava il mezzo più utilizzato.

In linea generale i ricercatori sottolineano come se la comunicazione è possibile, la minaccia può essere superata dando spazio alla cooperazione, invero, l'uso della minaccia ha un effetto positivo sulla cooperazione, se la posta in gioco è per colui che rischia di perderla molto alta e se le richieste sotto minaccia sono ragionevoli, ma se la persona minacciata è in collera, in seguito alla minaccia stesa, egli può opporsi al cooperare

32 - Rapporto tra cooperazione e comunicazione.

In linea generale, gli studiosi hanno sottolineato come la possibilità di comunicare all'interno di qualsiasi rapporto, aumenta la possibilità di cooperare.

Questo perché comunicando, si conosce l'altro e si acquisisce fiducia, la sfiducia in un rapporto infatti, non agevola uno scambio in positivo e può creare sfruttamento. Inoltre comunicando si esprimono le intenzioni e si conoscono le esigenze ed i problemi dell'altro.

Si sono cercati di individuare quei metodi che permettano una comunicazione più efficace e quindi una cooperazione maggiore. Si individuano, innanzitutto, delle fasi al fine di uno scambio comunicativo ottimale.

L'approccio migliore al problema è intanto quello che cerca una risoluzione dello stesso in modo razionale, lasciando da parte ogni spirito individualista, che non fa bene alla comunicazione.

In secondo luogo, si cerca di conoscere a fondo la situazione dell'altro, i suoi bisogni, le sue difficoltà, permettendo una maggiore collaborazione. È importante anche lo stile personale di colui che ricerca la collaborazione, dev'essere innanzitutto credibile nelle intenzioni, deve riscuotere fiducia e questo sappiamo che richiede del tempo. Inoltre manifestare di voler collaborare anche rischiando lo sfruttamento, ci mostra realmente interessati al rapporto. Pruitt, afferma che la negoziazione può avere più successo, se si adotta la strategia della rigidità flessibile.

Ovvero, bisogna mantenere saldi i propri obbiettivi, ma manifestare flessibilità nei mezzi da utilizzare per il raggiungimento dei propri fini.

Inoltre quando entrambe le parti, dimostrano, nella ricerca della soluzione ad un problema, di voler considerare anche il punto di vista dell'altro, si parla di risoluzione dialettica del problemi. Parlare e pensare in termini dialettici, significa infatti rispettare i reciproci desideri.

A volte la mediazione di una terza persona è importante nel mediare la comunicazione, e rendere più efficace la collaborazione. La mediazione può avvenire fissando le regole della negoziazione , e quindi migliorandola chiamansi questo processo di mediazione.

Oppure si adotta una strategia passiva, infatti la sola presenza di un'altra persona può calmare gli animi, e porre la comunicazione in modo più civili, nel caso mancassero. La mediazione di concetto avviene quando i mediatore offre possibili soluzioni al problema da dover poi discutere, oppure si ripropone il problema riformulato, invero cogliendo un altro aspetto del problema medesimo.

La dichiarata soluzione al problema può non giungere perché si teme nel cedere, di fare una brutta ura o perché si teme di perderci troppo, in questo caso, la ura del mediatore può essere utile dietro le quinte, ascoltando in privato i timori di ognuno, trovando soluzioni ragionevoli e salvano la loro immagine esterna.

33 - Il concetto di gruppo sociale: caratteristiche e funzioni (con riferimento alla coesione)

IL gruppo sociale è definito come un insieme di due o più persone fra loro interagenti. L'interazione al suo interno è del tipo faccia a faccia, inoltre i membri si percepiscono come partecipanti ad una unità che dura nel tempo e nello spazio. Infine i membri di un gruppo sono coinvolti da almeno un obbiettivo comune.

Una delle funzioni del gruppo sociale è che al suo interno, ciascun partecipante provi calore e sostegno.

Ma non sempre si fanno esperienze positive, quelle negative sono frequenti se all'interno di un gruppo vi è ostilità e competizione. È possibile individuare il grado di attrazione al suo interno, che comporta il grado di coesione all'interno del gruppo medesimo. Un metodo valido per valutare un alto o basso grado di attrazione e quindi di coesione è quello di chiedere ai suoi membri quale particolare sentimento si provi per gli altri componenti ed eventualmente riguardo al gruppo stesso.

Festinger affermava infatti che la coesione interna può essere favorita da qualunque elemento aumenti la valenza positiva del gruppo agli occhi di ciascun componente, come nel caso in cui il gruppo serva a raggiungere i propri obbiettivi. Inoltre la reciproca stima aumenta qualora un guadagno del singolo, venga messo a beneficio del gruppo. La stima e la coesione possono innalzarsi in caso di minacce esterne, in tal caso si prende consapevolezza dei reciproci bisogni, e la difesa del gruppo diventa difesa di un bene comune. Come la minaccia, anche la competizione esterna agevola la coesione, mentre la competizione interna può ridurla.

In una ricerca tra strutture a carattere competitivo rispetto a strutture a carattere cooperativo, si è osservato un cambiamento di comportamento dei componenti di entrambi i gruppi. Nel primo gruppo, la competizione mise gli uni contro gli altri, erano molto critici e non si interessavano al lavoro dell'altro, l'individualismo era molto forte. Nel secondo tipo di struttura, vi era entusiasmo reciproco e il rendimento di ognuno era messo al servizio dell'altro. Inoltre questo gruppo fu più produttivo.

Un altro ostacolo alla coesione di un gruppo, è la simpatia o meno che i membri del gruppo possono avere fra di loro. È possibile d'altronde la formazione di sottogruppi, qualora vi fosse simpatia solo per alcuni, e questo è tanto più vero se il gruppo è grande. A tal proposito è stato messo a punto un test sociometrico per valutare la struttura affettiva di un gruppo.

Se la coesione interna può aumentare la produttività di un azienda, per esempio, per innalzamento della qualità delle modalità di lavoro, per cui i lavoratori vivendo in un ambiente ottimale, innalzano la propria auto stima, hanno un morale alto e aumenta la dedizione stessa al lavoro.

Dall'altro senso, una forte coesione interna, può creare una mentalità di gruppo, e questa al fine di non svalutare, criticando, l'opinione degli altri, e in salvaguardia della coesione stessa, favorisce l'anonimato. Ci si conforma all'opinione generale senza metterla in discussione, ed i processi decisionali subiscono una vera e propria distorsione, in questo modo:1) le soluzioni prospettate sono ridotte senza possibilità di vagliare soluzioni alternative. 2) Anche la modalità con cui si giunge ad una soluzione non viene messa in discussione, 3) non si chiede aiuto ad un esperto ed eventualmente lo si sceglie in modo da confermare ciò che era stato già deciso. In generale, quindi, la coesione interna forte può essere usata a reale vantaggio del gruppo e dei suoi componenti, qualora si cerchi di prevenire l'insorgere di mentalità di gruppo, dando spazio alle critiche e a nuove proposte, e cambiando, se necessario, la leadership.

34 - Il test sociometrico.

Il grado di coesione all'interno di un gruppo può essere valutato dal grado di simpatia che provano gli uni verso gli altri. È possibile la formazione di sottogruppi per il fatto di provare simpatia solo per alcuni. Questo è tanto più vero quanto più grande è il numero dei membri del gruppo stesso. Un metodo per valutare l'eventuale formazione di tali sottogruppi, e quindi per valutare l'effettiva affettività al suo interno, è il test sociometrico, realizzato da Moreno. Questo metodo al fine di evidenziare il tipo di struttura di un gruppo, prende in considerazione le preferenze individuali. Si chiede quale persona si sceglierebbe come collaboratore nelle diverse attività, e si riuniscono i dati ottenuti in una rappresentazione grafica. Se l'attrazione è equamente distribuita fra i tutti i componenti del gruppo, significa che vi è un alto grado di coesione interna, diversamente, in caso di distribuzione ineguale, che evidenzierà la formazione di sottogruppi determinando un basso grado di coesione interna.

35 - La devianza.

Per devianza s'intende un comportamento del singolo deviante, ovvero, discostante rispetto al gruppo stesso.

Questo problema è legato a quello della libertà all'interno di un gruppo, Festinger analizzò una delle ragioni del diminuire della libertà stessa.

Infatti ciascun componente richiede dagli altri il consenso allo scopo di perseguire gli obbiettivi del gruppo, il raggiungimento dei quali è regolato da norme operative, per non lasciare il gruppo allo sbaraglio, e che fissano le priorità del sistema. Tali priorità essendo i bisogni del sistema, interferiscono necessariamente con i bisogni del singolo. A tal proposito, Schachter ha condotto una ricerca sulla pressione alla conformità nei gruppi. Inizialmente fu chiesto ad un gruppo di circa dieci studenti di decidere in merito alla sorte che, secondo loro, spettava ad un giovane delinquente. Al suo interno vi erano tre studenti, d'accordo con lo sperimentatore, che manifestavano tre tipi di opinione. Una conforme, ovvero modale, al gruppo, la seconda era deviante rispetto all'opinione della maggioranza, la terza variava da una posizione deviata estrema ad una posizione finale di carattere modale. La discussione durò circa 45 minuti, e fu caratterizzata da un alto livello di comunicazione , per quasi tutto il tempo, nei confronti di colui che prospettava una posizione deviante. È evidente che si faceva qualunque tentativo affinché l'opinione da deviante diventasse modale, fino ad arrivare agli ultimi dieci minuti di discussione, in cui la maggioranza non se ne interessò più, sembrava fosse stato respinto, con manifestazioni di ostilità.

Verso colui che esprimeva un'opinione modale fu rivolta solo più attenzione alla fine, e ben poca attenzione fu data alla persona che manifestava un opinione volubile nel momento in cui aderì all'opinione della maggioranza.

Schachter rivelò, concluse, quanto importante fosse l'opinione comune nei gruppi a forte coesione interna, a tal punto da mostrare intolleranza maggiore verso il deviante rispetto ai gruppi con un basso grado di coesione.

Il fenomeno della devianza viene studiato anche attraverso la teoria dell'impatto sociale di Latanè .

Questa teoria vuole studiare come si manifesta la pressione altrui per farci cambiare idea nelle più svariate circostanze. L'impatto sociale è determinato da tre fattori: 1) il numero dei componenti del gruppo. Infatti, più numeroso è il gruppo, maggiore è l'influenza che si esercita sul deviante. 2) La forza di coloro che influiscono. Più in gruppo è forte, più vi è la possibilità di influire sul deviante. 3) L'immediatezza, relativamente alla dimensione spazio temporale. Quanto più è vicino fisicamente colui che esercita l'influenza, tanto più forte è l'influenza stessa, che varia anche se il deviante si allontana dal gruppo per un tempo più o meno lungo.

In conclusione, i teorici dell'impatto sociale affermano che all'interno dei piccoli gruppi , ciascun membro ha più libertà, i fattori d'influenza sono pochi e il deviante può a sua volta influenzare il gruppo stesso. Evidentemente, se il deviante ha bisogno del gruppo, la sua libertà sarà personalmente limitata. Anche la distanza fisica e sociale influenza la maggiore o minore libertà.

36 - La pressione alla conformità nei gruppi: lo studio di Schachter

L'appartenenza ad un gruppo può essere un grosso limite alla libertà di ognuno, si chiede, infatti, di adottare medesime regole che permettano il raggiungimento delle finalità del gruppo, come sistema, e vi è una tendenza a conformare le opinioni dei singoli a quelli della maggioranza. Questa pressione alla conformità è evidente, soprattutto, in presenza di una posizione deviante.

A tal proposito, Schachter ha condotto una interessante ricerca. Inizialmente fu chiesto ad un gruppo di circa dieci studenti di decidere in merito alla sorte che, secondo loro, spettava ad un giovane delinquente. Al suo interno vi erano tre studenti, d'accordo con lo sperimentatore, che manifestavano tre tipi di opinione. Una conforme, ovvero modale, al gruppo, la seconda era deviante rispetto all'opinione della maggioranza, la terza variava da una posizione deviata estrema ad una posizione finale di carattere modale. La discussione durò circa 45 minuti, e fu caratterizzata da un alto livello di comunicazione , per quasi tutto il tempo, nei confronti di colui che prospettava una posizione deviante. È evidente che si faceva qualunque tentativo affinché l'opinione da deviante diventasse modale, fino ad arrivare agli ultimi dieci minuti di discussione, in cui la maggioranza non se ne interessò più, sembrava fosse stato respinto, con manifestazioni di ostilità.

Verso colui che esprimeva un'opinione modale fu rivolta solo più attenzione alla fine, e ben poca attenzione fu data alla persona che manifestava un opinione volubile nel momento in cui aderì all'opinione della maggioranza.

Schachter rivelò, concluse, quanto importante fosse l'opinione comune nei gruppi a forte coesione interna, a tal punto da mostrare intolleranza maggiore verso il deviante rispetto ai gruppi con un basso grado di coesione.

37 - La ricerca di Davis sul processo decisionale di gruppo.

Sul processo decisionale di un gruppo, diversi fattori possono migliorarlo o peggiorarlo. In quest'ultimo caso, si studia l'effetto dei pregiudizi sulla qualità della performance di gruppo. Capita spesso che in una discussione in cui si debba valutare una decisione da prendere, non vengano ascoltate le opinioni degli altri, ma si resti ancorati ai propri pregiudizi iniziali, e questi distorcano la decisione finale del gruppo stesso.

Davis, nell'analizzare come le predisposizioni individuali possano influenzare i processi decisionali, ha condotto una ricerca limitata al processo decisionale tra i giurati. Venne chiesto a più di 800 studenti di emettere una sentenza di innocenza o colpevolezza in alcuni processi per stupro. Si ricavarono tre principali predisposizioni: una favorevole all'accusa, un'altra favorevole alla difesa e la terza a carattere moderato. In un secondo momento, a ciascun gruppo di studenti, suddiviso in base alle predisposizioni, fu fatta vedere una registrazione filmata di un imputato accusato di stupro, il quale ammetteva il fatto, ma affermava anche che era stata la donna a provocarlo. La donna, per suo conto, affermava che l'uomo si era travestito da poliziotto e quindi l'aveva violentata. Furono sentiti i testimoni per entrambe le parti nonché le dichiarazioni finali degli avvocati. A questo punto si chiese agli studenti di esprimere una opinione sulla colpevolezza dell'imputato. Intervistati, gli studenti mantennero la loro opinione coerente a quella originaria ed anche all'interno di gruppi con persone aventi predisposizioni diverse, non variarono la loro posizione.

38 - Le strutture di comunicazione in un gruppo (ricerche di Leavitt)

Il processo decisionale di un gruppo può essere migliorato, nel momento in cui si stabiliscono delle condizioni , che permettano un corretto processo decisionale.

Tra queste condizioni vi sono le strutture di comunicazione. Leavitt ha proposto una interessante ricerca. Nella ricerca classica, i soggetti coinvolti nell'esperimento erano disposti in cabine e la comunicazione poteva avvenire solo per iscritto. Successivamente, soltanto un componente del gruppo poteva comunicare con gli altri, e questi ultimi, soltanto con lui. Leavitt propone quattro tipi di strutture di comunicazione con un diverso grado di centralizzazione. La ruota è un modello centralizzato, mentre il circolo è decentralizzato; la catena e la Y hanno un grado di centralizzazione moderato. Ogni struttura determina un grado di produttività diversa. I gruppi aventi una struttura altamente centralizzata danno produttività maggiore nei compiti molto semplici e nei casi in cui è necessario prendere una decisione in tempo brevi, inoltre, è una struttura efficace nel caso di un gruppo numeroso ove sarebbe problematico lo scambio di informazioni. Ma se il compito è complesso, è il gruppo decentralizzato a dare risultati migliori e, all'interno di questi, la soddisfazione personale dei singoli è maggiore. In linea generale, i processi decisionali migliori sono quelli prodotti da un gruppo che, in situazioni diverse, adotta la struttura di comunicazione più adatta alla situazione.

39 - Processo decisionale nel gruppo.

Gli effetti negativi all'interno di gruppi dall'alto grado di coesione interna sono stati rilevati da Janis. Egli parlò, a tal proposito, di mentalità di gruppo come tendenza ad uniformare all'opinione della maggioranza le opinioni dei singoli ed i processi decisionali subiscono una vera e propria distorsione, in questo modo:1) le soluzioni prospettate sono ridotte senza possibilità di vagliare soluzioni alternative. 2) Anche la modalità con cui si giunge ad una soluzione non viene messa in discussione, 3) non si chiede aiuto ad un esperto ed eventualmente lo si sceglie in modo da confermare ciò che era stato già deciso. In generale, quindi, la coesione interna forte può essere usata a reale vantaggio del gruppo e dei suoi componenti, qualora si cerchi di prevenire l'insorgere di mentalità di gruppo, dando spazio alle critiche e a nuove proposte, e cambiando, se necessario, la leadership.

Il processo decisionale nel gruppo può essere influenzato da tre tipi di pregiudizi. Davis, nell'analizzare come le predisposizioni individuali possano influenzare processi decisionali, ha condotto una ricerca limitata al processo decisionale tra i giurati. Venne chiesto a più di 800 studenti di emettere una sentenza di innocenza o colpevolezza in alcuni processi per stupro. Si ricavarono tre principali predisposizioni: una favorevole all'accusa, un'altra favorevole alla difesa e la terza a carattere moderato. In un secondo momento, a ciascun gruppo di studenti, suddiviso in base alle predisposizioni, fu fatta vedere una registrazione filmata di un imputato accusato di stupro, il quale ammetteva il fatto, ma affermava anche che era stata la donna a provocarlo. La donna, per suo conto, affermava che l'uomo si era travestito da poliziotto e quindi l'aveva violentata. Furono sentiti i testimoni per entrambe le parti nonché le dichiarazioni finali degli avvocati. A questo punto si chiese agli studenti di esprimere una opinione sulla colpevolezza dell'imputato. Intervistati, gli studenti mantennero la loro opinione coerente a quella originaria ed anche all'interno di gruppi con persone aventi predisposizioni diverse, non variarono la loro posizione.

Un secondo tipo di pregiudizio, che può influenzare il processo decisionale in un gruppo avviene quando, trovata una minima soluzione accettabile, si forma un pregiudizio riguardo alla stessa. Non si cercano, infatti, soluzioni alternative e si cercano ulteriori giustificazioni alla soluzione trovata, e se la discussione dovesse continuare, si evidenzierebbero gli svantaggi dovuti alla ricerca di una soluzione diversa. I membri del gruppo, che hanno elaborato per primi la soluzione, sono anche quelli che esercitano più influenza nella discussione, e dalla loro posizione di forza traggono autocompiacimento.

Un terzo tipo di pregiudizio è quel fenomeno chiamato conversione a rischio. Se tra le possibili soluzioni, il gruppo ha scelto quella di rischio, anche il singolo ne rimane personalmente coinvolto. La conversione a rischio si verifica per diversi motivi, tra cui: 1) l'avere valori culturali orientati al rischio, come succede tra i giovani; 2) nel gruppo, la responsabilità viene distribuita tra i membri del gruppo medesimo; 3) nel gruppo si assiste ad un allentamento delle inibizioni.

Il grado di rischio dipende dalle problematiche che si affrontano, potendo propendere verso soluzioni più prudenti.

All'interno dei gruppi si può assistere anche ad un miglioramento del processo decisionale e ciò dipendentemente da: le strutture di comunicazione, la scelta dei membri, la strategia decisionale e la leadership. Per quanto riguarda le strutture di comunicazione, Leavitt ha proposto una interessante ricerca. Nella ricerca classica, i soggetti coinvolti nell'esperimento erano disposti in cabine e la comunicazione poteva avvenire solo per iscritto. Successivamente, soltanto un componente del gruppo poteva comunicare con gli altri, e questi ultimi, soltanto con lui. Leavitt propone quattro tipi di strutture di comunicazione con un diverso grado di centralizzazione. La ruota è un modello centralizzato, mentre il circolo è decentralizzato; la catena e la Y hanno un grado di centralizzazione moderato. Ogni struttura determina un grado di produttività diversa. I gruppi aventi una struttura altamente centralizzata danno produttività maggiore nei compiti molto semplici e nei casi in cui è necessario prendere una decisione in tempo brevi, inoltre, è una struttura efficace nel caso di un gruppo numeroso ove sarebbe problematico lo scambio di informazioni. Ma se il compito è complesso, è il gruppo decentralizzato a dare risultati migliori e, all'interno di questi, la soddisfazione personale dei singoli è maggiore. In linea generale, i processi decisionali migliori sono quelli prodotti da un gruppo che, in situazioni diverse, adotta la struttura di comunicazione più adatta alla situazione.

Il secondo fattore da considerare è la scelta dei membri. All'interno dei gruppi, infatti, uomini e donne danno prestazioni diverse. Gli uomini producono di più, ma le donne sono più attente alla qualità. Bales propone un sistema di classificazione, in seguito ad una lunga esperienza all'interno di gruppi di discussione. In tali gruppi, si verificano frequentemente delle dinamiche che possono evidenziare lo stile che ciascuno preferisce adottare nell'interazione con l'altro, come apparire amico, dare suggerimenti o chiederli, entrare in tensione. Lo stile individuale può assumere tre forme principali: 1) preminente o subalterno; la posizione preminente viene assunta da chi si mostra più attivo, dà suggerimenti rispetto a chi li chiede che, all'opposto, tende ad assumere una forma subalterna; 2) forma positiva o negativa; si colloca al polo negativo della scala chi appare ostile o distaccato e chiede agli altri la loro opinione; all'opposto chi è cordiale si colloca al polo positivo della scala; 3) forma propositiva o indifferente; chi assume la forma propositiva è sensibile alle finalità del gruppo e vi partecipa, all'opposto chi si mostra indifferente è facile che entri in tensione con gli altri membri del gruppo. In conclusione Bales afferma che la persona che sia positiva, propositiva e preminente appare la ura ideale all'interno di un gruppo, per il suo carattere di cordialità e di iniziativa. Questo è vero soprattutto se il gruppo ha compiti di carattere additivo. Infatti, nel caso di compiti discrezionali, la presenza di soggetti meno preminenti, possono evitare il pericolo della formazione delle mentalità di gruppo. Per cui lo stile personale più idoneo dipende dal tipo di compito.

Per quanto riguarda dal scelta della strategia, in generale, i gruppi, non analizzano le decisioni che prendono, ma ciò influenza l'efficienza del gruppo. E' necessario adottare una serie di strategie al fine di trovare la risoluzione migliore ad un problema del gruppo, ovvero: 1) è necessario mettere in discussione le abitudini che vengono prese da tempo ed in maniera continua; 2) la valutazione deve riguardare il maggior numero di elementi positivi e negativi; 3) bisogna riflettere sulle conseguenze della decisione presa; 4) in caso di difficoltà, è opportuno rivolgersi ad un consulente esterno.

Il problema del leadership è un fattore importante per il miglioramento del processo decisionale in un gruppo. La leadership può essere esercitata in vari modi, ma non è sempre efficace. Lewin, Lippitt e White studiarono gli effetti della leadership autoritaria, rispetto agli effetti della democrazia. Furono formati gruppi di attività con ragazzi di 10 anni. All'interno dei gruppi, vi erano leadership diverse. In una il leader era autoritario, nell'altro, era democratico. I gruppi lavorarono per 6 settimane e si vide come nei gruppi con il leader democratico, in cui i ragazzi decidevano in maniera autonoma le proprie attività ed erano aiutati nella realizzazione, i ragazzi stessi si divertivano e la produttività del gruppo era maggiore. Mentre nei gruppi con il leader autoritario, i ragazzi si mostrarono apatici, poco interessati alle attività.

Nello studio della leadership, rientra la teoria di Fiedler . Egli afferma l'esistenza di due stili di leadership: quella orientata al compito e quella orientata alla relazione. I primi, sono interessati affinchè il gruppo raggiunga determinati risultati, mentre i secondi sono più interessati all'esistenza di buoni rapporti all'interno del gruppo stesso. Entrambi i tipi di leadership possono essere efficaci, il cui successo dipende da fattori situazionali. Quello che cambia all'interno di ciascun gruppo è il controllo situazionale, ovvero la facilità o meno di controllare i membri del gruppo. La situazione favorevole è quella in cui la relazione tra il leader ed il gruppo è di fiducia, ogni membro del gruppo ha dei compiti ben precisi ed il leader può distribuire ricompense e punizioni. Lo stile orientato al compito risulta più efficace quando la situazione è al massimo o al minimo controllo situazionale, mentre lo stile orientato alla relazione è più efficace nelle situazioni ad un grado intermedio di controllo situazionale. L'interazione tra il tipo di leadership e i fattori situazionali è così descritta: 1) basso controllo situazionale: in questa situazione, i migliori risultati sono ottenuti dal leader orientato al compito, infatti in una situazione così difficile, riuscirà a far svolgere almeno qualche compito; 2) alto controllo situazionale: in questa situazione in cui i compiti dei membri sono fissati, il leader orientato al compito risulta più efficace; 3) moderato controllo situazionale: in questa situazione, l'efficacia maggiore la ha il leader orientato alla relazione, potendo al meglio risolvere i problemi di relazione all'interno del gruppo stesso. In conclusione, il modello di Fiedler si fonda sul fatto che non esiste una leadership migliore di un'altra, ma la cui efficacia dipende dalla situazione. Inoltre, ogni individuo, ha le potenzialità per essere un leader, se collocato al posto giusto.

40 - Il sistema di Bales per

Il processo decisionale di un gruppo può essere migliorato da una serie di condizioni che possano favorire il processo stesso, tra queste condizioni vi è la scelta dei membri.

All'interno dei gruppi, infatti, uomini e donne danno prestazioni diverse. Gli uomini producono di più, ma le donne sono più attente alla qualità. Bales propone un sistema di classificazione, in seguito ad una lunga esperienza all'interno di gruppi di discussione. In tali gruppi, si verificano frequentemente delle dinamiche che possono evidenziare lo stile che ciascuno preferisce adottare nell'interazione con l'altro, come apparire amico, dare suggerimenti o chiederli, entrare in tensione. Lo stile individuale può assumere tre forme principali: 1) preminente o subalterno; la posizione preminente viene assunta da chi si mostra più attivo, dà suggerimenti rispetto a chi li chiede che, all'opposto, tende ad assumere una forma subalterna; 2) forma positiva o negativa; si colloca al polo negativo della scala chi appare ostile o distaccato e chiede agli altri la loro opinione; all'opposto chi è cordiale si colloca al polo positivo della scala; 3) forma propositiva o indifferente; chi assume la forma propositiva è sensibile alle finalità del gruppo e vi partecipa, all'opposto chi si mostra indifferente è facile che entri in tensione con gli altri membri del gruppo. In conclusione Bales afferma che la persona che sia positiva, propositiva e preminente appare la ura ideale all'interno di un gruppo, per il suo carattere di cordialità e di iniziativa. Questo è vero soprattutto se il gruppo ha compiti di carattere additivo. Infatti, nel caso di compiti discrezionali, la presenza di soggetti meno preminenti, possono evitare il pericolo della formazione delle mentalità di gruppo. Per cui lo stile personale più idoneo dipende dal tipo di compito.

41 - Leadership e stili di comando con riferimento alla ricerca di Lewin, Lippitt e White.

Il processo decisionale di un gruppo può essere migliorato da una serie di condizioni che possano favorire il processo stesso, tra queste condizioni vi è il problema della leadership.

Infatti la leadership può essere esercitato in diversi modi, ma non necessariamente in modo efficace. In particolare Fiedler ha evidenziato due stili di comando: quello orientato al compito e quello orientato alla relazione. I primi, sono interessati affinchè il gruppo raggiunga determinati risultati, mentre i secondi sono più interessati all'esistenza di buoni rapporti all'interno del gruppo stesso. Entrambi i tipi di leadership possono essere efficaci, il cui successo dipende da fattori situazionali. Quello che cambia all'interno di ciascun gruppo è il controllo situazionale, ovvero la facilità o meno di controllare i membri del gruppo. La situazione favorevole è quella in cui la relazione tra il leader ed il gruppo è di fiducia, ogni membro del gruppo ha dei compiti ben precisi ed il leader può distribuire ricompense e punizioni. Lo stile orientato al compito risulta più efficace quando la situazione è al massimo o al minimo controllo situazionale, mentre lo stile orientato alla relazione è più efficace nelle situazioni ad un grado intermedio di controllo situazionale.

Lewin, Lippitt e White studiarono gli effetti della leadership autoritaria, rispetto agli effetti della democrazia. Furono formati gruppi di attività con ragazzi di 10 anni. All'interno dei gruppi, vi erano leadership diverse. In una il leader era autoritario, nell'altro, era democratico. I gruppi lavorarono per 6 settimane e si vide come nei gruppi con il leader democratico, in cui i ragazzi decidevano in maniera autonoma le proprie attività ed erano aiutati nella realizzazione, i ragazzi stessi si divertivano e la produttività del gruppo era maggiore. Mentre nei gruppi con il leader autoritario, i ragazzi si mostrarono apatici, poco interessati alle attività.

42 - Caratteristiche della leadership e fattori situazionali: la teoria di Fiedler.

Nello studio della leadership, rientra la teoria di Fiedler . Egli afferma l'esistenza di due stili di leadership: quella orientata al compito e quella orientata alla relazione. I primi, sono interessati affinchè il gruppo raggiunga determinati risultati, mentre i secondi sono più interessati all'esistenza di buoni rapporti all'interno del gruppo stesso. Entrambi i tipi di leadership possono essere efficaci, il cui successo dipende da fattori situazionali. Quello che cambia all'interno di ciascun gruppo è il controllo situazionale, ovvero la facilità o meno di controllare i membri del gruppo. La situazione favorevole è quella in cui la relazione tra il leader ed il gruppo è di fiducia, ogni membro del gruppo ha dei compiti ben precisi ed il leader può distribuire ricompense e punizioni. Lo stile orientato al compito risulta più efficace quando la situazione è al massimo o al minimo controllo situazionale, mentre lo stile orientato alla relazione è più efficace nelle situazioni ad un grado intermedio di controllo situazionale. L'interazione tra il tipo di leadership e i fattori situazionali è così descritta: 1) basso controllo situazionale: in questa situazione, i migliori risultati sono ottenuti dal leader orientato al compito, infatti in una situazione così difficile, riuscirà a far svolgere almeno qualche compito; 2) alto controllo situazionale: in questa situazione in cui i compiti dei membri sono fissati, il leader orientato al compito risulta più efficace; 3) moderato controllo situazionale: in questa situazione, l'efficacia maggiore la ha il leader orientato alla relazione, potendo al meglio risolvere i problemi di relazione all'interno del gruppo stesso. In conclusione, il modello di Fiedler si fonda sul fatto che non esiste una leadership migliore di un'altra, ma la cui efficacia dipende dalla situazione. Inoltre, ogni individuo, ha le potenzialità per essere un leader, se collocato al posto giusto.

43 - Gruppi e rappresentazioni sociali nell'accezione di Moscovici.

Moscovici ,con il termine rappresentazione sociale, fa riferimento ad un insieme di convinzioni che sono convinzioni socialmente condivise ma anche pubblicamente e quindi espresse, che costituiscono la verità in una data cultura o in un gruppo. Per esempio, in un gruppo di appassionati al computer, la rappresentazione ad essa connessa, sono l'insieme delle pubblicazioni, le sue caratteristiche , le sue potenzialità, parlare di computer oggi, per esempio, equivale a parlare di Internet.

Questo insieme di idee, di convinzioni non sono necessariamente quelle che ha il singolo, che diversamente che in privato, può partecipare ad una rappresentazione sociale tentando di ottenere una collaborazione altrui.

L'esistenza di un gruppo è possibile proprio per la presenza di rappresentazioni sociali, che creano l'accordo di massima, su ciò che è reale, al di fuori delle singole convinzioni e le azioni devono essere coerenti alle idee. I ricercatori sono interessati a due aspetti della rappresentazione. Il primo aspetto riguarda il modo in cui le rappresentazioni di un gruppo influenzino quelle di un altro gruppo. Un esempio emblematico è dato dalla teoria freudiana, oggi i suoi concetti sono, seppur semplicisticamente, condivisi, e si ha una rappresentazione comune dell'inconscio e di come funzioni, tale da rientrare all'interno di un parlare quotidiano.

L'altro aspetto, sono gli aspetti impliciti della rappresentazione sociale. Per esempio, si ritiene che il matrimonio vada salvaguardato, si scrivono libri e lo si studia come un fenomeno, e ci si interroga sulla sua futura evoluzione.








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