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Anchise e Priamo: due vecchi coetanei vissuti insieme quasi con pari dignità, ma con così diversi destini nella loro e nella vita dei fi



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Anchise e Priamo: due vecchi coetanei vissuti insieme quasi con pari dignità, ma con così diversi destini  nella loro e nella vita dei li


Da secoli i poemi omerici e l'Eneide di Virgilio appassionano e dilettano le persone di tutto il mondo. Molti sono i personaggi che compaiono, spariscono, fanno da protagonisti; ma dei ruoli importantissimi sono certamente quelli svolti da Anchise e Priamo.

Il primo fu il padre del protagonista dell'Eneide: Enea, che peregrinò per tutto il Mediterraneo fino ad arrivare nella terra a lui destinata dal Fato: l'Italia; mentre il secondo fu il re di Troia, la città che sopportò dieci anni d'assedio da parte dei Greci e che poi crollò incendiata, e sve tra i campi anatolici sullo stretto dei Dardanelli.

Anchise e Priamo, per quanto possano sembrare simili a causa della loro stessa ed avanzata età, ebbero, secondo i poemi antichi, destini, ma anche caratteri, molto differenti. La loro condizione sociale era pressoché la stessa: Priamo, re di Troia, era il cittadino più importante della città, sempre stimato ed onorato per il suo saggio governo. Anchise fu, invece, il marito di Venere, dea della bellezza, che partorì Enea, l'eroe che diede le origini a Roma. Inoltre, a differenza di Priamo che ebbe molti li, l'unico lio di Anchise fu Enea.

Durante la distruzione di Troia la reazione dei due vecchi fu la stessa: entrambi volevano restare in patria e morire nella terra d'origine. Ma, mentre Priamo si rinchiuse nella rocca, nella stanza centrale, attendendo ormai la morte, ma pur sempre proteggendo i suoi familiari, fu Enea a proteggere Anchise, portandolo in salvo, insieme a suo lio ed altri troiani. Si può notare però, come Anchise, in principio, si lasciò andare, dicendo agli altri di fuggire, perché la responsabilità era solo verso sé stesso. Invece Priamo era il re della città ed era suo dovere tentare di salvarla fino alla fine. Infatti i Greci, giunti alla rocca, uccisero lui e alcuni suoi familiari in modo molto atroce.



Alla fine Virgilio ci presenta il corpo decapitato del re troiano sul lido fuori dalla città al tramonto, e giustissimo è il paragone con un tronco immobile che, finita la sua vita di albero rigoglioso, è abbandonato in balìa della terra che lo farà decomporre e sire.

Le vite di altri suoi li però ebbero lieti e orribili epiloghi, come Polidoro, che fu ucciso dal re di Tracia Polinestore, per sottrargli le ricchezze; mentre un lieto fine appunto ci fu per Eleno al quale, morto Pirro che aveva fatto schiavi lui ed altri troiani, andò parte del suo dominio. Il troiano poi, sposatosi con Andromaca, vedova di Ettore, fondò una nuova città: Butroto, ricostruendo in essa un Troia in miniatura.

Ben  diverso fu il destino di Anchise che, meravigliato da alcuni prodigi, si convinse a fuggire dalla città in fiamme. Seguì il lio lungo il suo viaggio; è però a lui dovuto un grave errore: dopo che a Delo l'oracolo di Apollo disse di andare nella "terra mater", Anchise pensò che l'antica patria fosse Creta, da cui proveniva Teucro, uno dei fondatori di Troia. Così, solo grazie al sogno di Enea si comprese che la terra promessa era l'Italia.

Infine a Trapani il vecchio padre di Enea morì, per cause naturali; e perfino nella morte Anchise e Priamo furono diversi.

Due uomini che, sempre secondo Omero e Virgilio, ebbero grandi compiti e grandi destini, che vissero in pace con gli dei, che insomma furono degni di essere inclusi in opere così grandi, da essere studiate a scuola dopo più di duemila anni dalla loro composizione.






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