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CERNOBYL: UNA CATASTROFE PASSATA MA SEMPRE IN AGGUATO, DANUBIO 2000: UNA CATASTROFE ANNUNCIATA?



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Nel corso delle ultime lezioni di T.I.C. abbiamo avuto la possibilità di effettuare ricerche tramite Internet riguardo ai vari aspetti dell'ecologia. Si è trattato di usare i cosiddetti "motori di ricerca" e, nel nostro caso, anche il servizio on-line di un famoso quotidiano. Noi abbiamo scelto il tema "le crisi di oggi e di ieri". Ci siamo servite di vari siti a carattere informativo; per ciò che riguarda il passato abbiamo scelto la sciagura di Cernobyl, come esempio di una catastrofe passata che continua ad avere effetto nel presente abbiamo parlato dell'inquinamento del Danubio, infine abbiamo fatto un accenno a quanto sta accadendo nelle Galaos e delle conseguenze che tale catastrofe potrebbe avere in futuro.


CERNOBYL: UNA CATASTROFE PASSATA MA SEMPRE IN AGGUATO


Nell'aprile del 1986 saltò in aria il reattore numero quattro della centrale di Cernobyl, in Ucraina, dando vita a quello che può essere considerato il più grande disastro nucleare del mondo, le cui conseguenze drammatiche sono ancora in corso, e lo saranno per almeno alcuni altri decenni. Sono passati 15 anni e i morti sono saliti a decine di migliaia, eppure la sorte di Cernobyl non è ancora segnata. La centrale sovietica (ora ucraina), teatro il 26 aprile 1986 del peggiore incidente nella storia del nucleare civile, è stata oggetto pure quest'anno di commemorazioni, ma l'impegno per la chiusura definitiva entro il 2000 resta legato agli aiuti dell'Occidente: almeno 700 milioni di dollari che non arrivano, dice Kiev minacciando un rinvio. Il numero delle vittime è difficile da stabilire, ma secondo le ultime stime dei governi dei paesi più coinvolti (Bielorussia e Russia, oltre che Ucraina) può essere quantificato in cifre ormai lontane dal totale di 31 persone uccise sul colpo quel 26 aprile di 14 anni fa: fra i 3,5 milioni di individui contaminati nell'ex Urss (sette milioni in tutta l'Europa), negli anni vi sono stati altri 55mila morti e 150 mila invalidi solo contando i cosiddetti "liquidatori".Senza dimenticare i calcoli che legano alle conseguenze di Cernobyl le patologie che hanno portato in totale alla morte 300 mila persone. E i casi di tumori e deformazioni genetiche tra i bambini causati dalle radiazioni potrebbero ancora aumentare nei prossimi anni.Ciononostante persino nella 'zona di esclusione' - gli immediati dintorni della centrale - molta gente è tornata a vivere per mancanza di alternative. E sullo sfondo di un paesaggio spettrale, annichilito dalla tempesta radioattiva del 1986, Cernobyl resta per ora in funzione. Uno dei suoi quattro reattori continua, infatti, a fornire parte dell'energia di cui l'Ucraina ha disperato bisogno. Ogni anno, un piccolo gruppo d'italiani particolarmente sensibili al problema(ambientalisti, medici, europarlamentari, fotografi, giornalisti), si recano sul luogo del disastro, per portare aiuti concreti, organizzare l'ospitalità dei bambini colpiti dalle radiazioni in Italia, vigilare, documentare.






DANUBIO 2000: UNA CATASTROFE ANNUNCIATA?


Appello: aiutiamo il Danubio a vivere

Il cianuro fuoriuscito dalla miniera d'oro nel nord-ovest della Romania sta avvelenando i principali corsi d'acqua che attraversano i Balcani, con effetti terribili sulle popolazioni danubiane. Questa non è che l'ultima ferita inferta al Danubio, già vittima della guerra della Nato contro la Repubblica federale jugoslava. Le conseguenze ambientali dei bombardamenti sono pesantissime, ma non ancora conosciute nel dettaglio dalla comunità scientifica internazionale. Da un viaggio a Pancevo di una delegazione di Legambiente dopo la distruzione del Petrolchimico, è nata l'idea di lanciare un progetto di monitoraggio del più importante fiume europeo che unisce - unirebbe, guerre e veleni permettendo - le popolazioni dell'Europa centrale e sud-orientale. Inquinanti chimici e uranio impoverito sono i primi killer del Danubio, per non parlare delle macerie dei ponti bombardati che hanno paralizzato la navigazione: il monitoraggio dovrebbe consentire una prima diagnosi sulla gravità della malattia del fiume. Il progetto, promosso da Legambiente, dall'Ics e da il manifesto, e reso più necessario e urgente dall'ultimo disastro ambientale, prevede la costituzione di un gruppo di volontari che insieme a tecnici e ricercatori italiani e jugoslavi di tutte le etnie, stabiliscano le caratteristiche metodologiche di un'indagine da effettuarsi sul campo, e cioè sul Danubio da Novi Sad fino al mar Nero. A questo scopo è necessario, preventivamente, un corso di formazione da tenersi in Italia, prima del trasferimento nei Balcani dell'équipe italo-jugoslava. Nostra intenzione è trovare interlocutori interessati a finanziare il progetto, in particolare il corso di formazione, le spese di viaggio e per l'acquisto di un completo laboratorio d'analisi da consegnare alla città di Novi Sad, dove i ricercatori locali (biologi, chimici e ingegneri) coadiuvati da quelli italiani, dovrebbero mettere in atto le operazioni di bonifica dell'acqua, del cielo e della terra dei territori danubiani preventivamente monitorati. I volontari italiani saranno messi a disposizione dall'Arpa della regione Emilia e Romagna. In questo modo pensiamo di aiutare innanzitutto le popolazioni colpite dalla guerra, a prescindere dal loro credo, dall'etnia e dalla religione d'appartenza, e a prescindere dal fatto che le città serbe colpite siano rette da sindaci contrari o favorevoli al regime di Milosevic. In secondo luogo pensiamo di fornire un aiuto a noi stessi: il Danubio è un patrimonio dell'umanità, non un qualsiasi fiume che ha la sfortuna di scorrere tra una guerra e l'altra. (Il manifesto 14/02/00)



BELGRADO, 14 FEBBRAIO 2000- La concentrazione di cianuro nel Danubio è al di sotto dei livelli di guardia dopo l'ingresso del veleno nella più grande via d'acqua dell'est europeo; resta però il timore per il futuro del fiume blu. La massa di cianuro sfuggita dalla miniera rumena di Aurul il 31 gennaio 2000 è entrata nelle acque del Danubio attraverso l'affluente Tibisco. La portata di acque del Danubio, ha diluito il veleno fino a livelli apparentemente innocui. L' 'onda' è arrivata a Belgrado senza grande scalpore: la capitale utilizza per le sue necessità idriche il fiume Sava risparmiato, per la sua posizione geografica, dal contagio. Al momento non si registrano morie di pesci, però si crede che il danno ecologico rimarrà a lungo e che il cianuro non sirà con il passaggio dell'onda avvelenata. Si teme per le falde acquifere, invece di prendere provvedimenti stanziando fondi per la bonifica del Danubio, ministri e deputati si incolpano l'un l'altro. In Serbia è intanto polemica sull'eliminazione delle tonnellate di pesce morto finora recuperate dal Tibisco il governo, infatti, non ha varato nessun piano per la sua eliminazione; seppellendole si rischia di contaminare le falde acquifere. Tutti gli abitanti lungo le rive di quell'affluente del Danubio sono minacciati mentre in Serbia, col passaggio nel Danubio, si sono abbassati i limiti di guardia. Ma le ripercussioni non mancheranno: microflora e microfauna possono essere distrutti anche da basse concentrazioni. Se particelle di cianuro resteranno in quei fiumi, la catastrofe ecologica potrà dilagare. L'onda velenosa provocata dalla fuoriuscita di acqua mista a cianuro da un bacino di raccolta di una miniera nel nord della Romania, dopo avere devastato il fiume Tibisco in Ungheria e il Danubio in Jugoslavia, ora è tornata a far danno nel sud della Romania. A Bazias, una cittadina sul confine tra Serbia e Romania, i campioni di acqua fluviale prelevati dal Danubio mostrano valori di cianuro 30 volte superiori al massimo consentito. Nello stesso tempo continuano i preparativi anti inquinamento negli insediamenti lungo il Danubio in Bulgaria e poi in Ucraina, dove il fiume sfocia nel mar Nero. Il Wwf ha reso noto che l'inquinamento da cianuro e metalli pesanti si estende ora su 700 chilometri di corso dei fiumi Tibisco (Tisza in ungherese) e Danubio.




Qualche giorno dopo . 'Oltre cento tonnellate di pesce morto è già stata portata via dal fiume' ha detto un portavoce dell'organizzazione. L'Ungheria, il Paese più colpito dall'inquinamento, ha chiesto aiuto all'Ue e all'Onu per combattere le conseguenze. Allo stesso tempo ha annunciato che chiederà risarcimenti legali ai romeni e agli australiani proprietari della miniera. La Francia ha messo il proprio aiuto a disposizione dei Paesi vittime dell'inquinamento al cianuro del Danubio: lo ha annunciato il ministro dell'ambiente Dominique Voynet, avvertendo però che il compito di restaurare l'ambiente fluviale è difficile: 'Il veleno è nell'acqua e non lo si può togliere facilmente'. Nella scia della Voynet, i Verdi francesi hanno lanciato un appello alla Commissione europea perché stanzi un aiuto d'urgenza per impedire

l'estensione dell'inquinamento del Danubio e risponda alle richieste della Romania e della Ungheria. I Verdi francesi, inoltre, chiedono l'applicazione globale del principio 'chi inquina a', tenendo conto non solo dei danni ecologici, ma anche di quelli economici per l'agricoltura, la pesca e il turismo.



GALAPAGOS: QUALI SARANNO LE RIPERCUSSIONI

DI QUESTO ULTIMO DISASTRO?!


Il presidente ecuadoriano ha decretato lo stato di emergenza nelle Galaos, minacciate dalla marea nera che rischia di distruggerle. Il disastro che minaccia il più importante paradiso terrestre del nostro pianeta è stato innescato il 16 gennaio dalla petroliera ecuadoriana Jessica, vecchia di 27 anni, che si è incagliata a 800 metri dalle coste di San Cristobal, l'isola più orientale delle Galaos: da uno squarcio nello scafo è fuoruscito gran parte del carburante (600 tonnellate su 800) che la nave stava trasportando proprio nelle isole per rifornirle. Le Galaos sono un arcipelago di 7.964 chilometri quadrati composto da 13 isole, 17 isolotti e 47 scogli in pieno Pacifico, a mille chilometri a ovest dell'Ecuador.


La fondazione Charles Darwin, intitolata a colui che elaborò la Teoria dell'Evoluzione studiando i comportamenti e la fisionomia degli uccelli, ha rivolto da Quito un "sos" alla Comunità Internazionale per cercare di scongiurare una catastrofe ambientale. L'unità coinvolta è la petroliera 'Jessica', salpata dal porto di Guayaquil con 640 mila litri di benzina diesel e altri 320 mila di un pericolosissimo combustibile (Ifo) a base di 'bunker': era diretta alle Galaos per conto della comnia Petroecuador. A quanto pare, una leggerezza nella manovra del capitano ha causato l'impatto della 'Jessica' con un banco di sabbia al largo di Puerto Barquerizo Moreno, dove si trova l'aeroporto turistico dell'arcipelago. L'urto con il fondo ha aperto una falla nello scafo, causando l'inondazione della sala macchine. Da soli non ce la fanno a salvare le Galaos. Quito l'ha ammesso subito, senza illusioni: le forze dell'Ecuador non bastano per evitare un disastro ecologico nelle isole del Paradiso.



E l'aiuto internazionale, indispensabile, invocato disperatamente ieri anche dal governatore dell' arcipelago Fabian Parra, rischia di arrivare in ritardo. L'ombra nera del gasolio e del micidiale carburante 'bunker' continua ad allargarsi, moltiplicata dal mare in tante macchie. Ha già toccato l'isola di Santa Fe, tanto da farla chiudere ai visitatori, ha imbrattato una trentina di pellicani, quattro foche, sette sule, un raro gabbiano di Franklin. Sulla riva, raccontano i biologi del parco naturale, arrivano pesci morti, ricci di mare, altri invertebrati. E solo un braccio di mare separa la marea nera dalle colonie di leoni marini e di iguana. Ieri il carburante continuava ad avvicinarsi alle zone più preziose dell'arcipelago, fino a quando una corrente misericordiosa ha deviato le punte più avanzate verso il nord. Ma basta che il Pacifico cambi umore un'altra volta, perché l'incubo diventi realtà. I serbatoi della petroliera maledetta, a ottocento metri appena dalla capitale Puerto Baquerizo Moreno, continuano a versare il loro carico. Sono già usciti 600 mila, forse 700 mila litri: ormai fra le lamiere lacerate ne restano forse solo 150 mila. Una piccola parte è già stata recuperata da una barca della Guardia costiera americana, ma il resto continua a uscire. Per fermare almeno quello che resta, una nave cisterna militare cerca di avvicinarsi alla 'Jessica'. Per ora, dicono i bollettini di Quito, non è possibile. Il mare agitato non lo permette. Oltre alla rabbia delle onde, anche le modalità dell'incidente complicano le operazioni. La vecchia petroliera è inclinata di 45 gradi: per recuperare il carburante rimasto, dicono i Lloyd's di Londra, si dovranno usare speciali boe, in sostanza serbatoi galleggianti che potranno essere riempiti e rimorchiati anche da barche piccole.


Qualche giorno dopo l'incidente . Una squadra di tecnici dei guardacoste degli Stati Uniti, specializzata nei disastri ambientali, e dell'Amministrazione dell'atmosfera e dell'oceano sono già al lavoro nell'arcipelago per limitare i danni. Ma persino i turisti presenti sulle isole si danno da fare accanto ai pescatori e agli abitanti delle Galaos. Chi dalle spiagge, chi in mare, alle Galaos l'obiettivo è uno solo: cercare di salvare gli animali liberandoli dalla marea nera che li uccide. Alle Galaos vivono migliaia di leoni marini, le celeberrime testuggini giganti (circa dodicimila), lunghe fino a un metro e pesanti oltre cento chili, foche, uccelli rarissimi come le sule dalle zampe azzurre, e anche migliaia di altre specie di piante che ormai non si possono trovare in altre parti del mondo ma solamente all'interno del parco nazionale. Per la grande distanza dalla costa e per altri fattori naturali sull'arcipelago si è creato un habitat particolarissimo. Non è tutto. Le isole Galaos sono importanti non solo dal punto di vista scientifico ma anche culturale perché proprio le osservazioni compiute qui permisero al naturalista inglese Charles Darwin, nel 1859, di elaborare la sua fondamentale teoria sull'evoluzione della specie. Così le Galaos rappresentavano ormai la sicurezza che un francobollo di natura incontaminata, in un punto sperduto del mondo, continuava ad esistere. Un luogo nemmeno più meta di turismo ma d'autentico pellegrinaggio.










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