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Che cos'è un testo?



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Che cos'è un testo?

In questo modulo ci soffermeremo, con l'aiuto sempre di Paul Ricoeur, su alcune caratteristiche della scrittura, del testo, in rapporto alla parola fissata. Questo ci porterà ad analizzare il rapporto tra spiegazione e comprensione che così tanti frutti ha dato nella storia della filosofia e che aiuterà anche noi a cogliere nuovi risultati sul versante da noi studiato. 

Un testo è "ogni discorso fissato dalla scrittura". Ma che rapporto c'è fra testo e parola? Si sarebbe tentati di dire che "la scrittura si aggiunge ad una qualche parola anteriore", e in effetti, se vogliamo utilizzare un vocabolario proprio della linguistica, la scrittura sta alla parola come la parola sta al "realizzarsi della lingua come accadere del discorso". La scrittura inoltre sembra non "aggiungere nulla alla parola, è una parola fissata", che assicura durata e conservazione nel tempo. Ma siamo proprio sicuri che la scrittura abbia a che fare solo con la fissazione di una "parola anteriore"? E invece, spesso non "iscrive direttamente nella lettera quel che il discorso vuole dire", cioè il discorso non passa prima attraverso il linguaggio parlato, ma viene fissato direttamente con la scrittura. Nelle parole di Ricoeur "ciò che giunge a scrittura è il discorso in quanto intenzione di dire . la scrittura è una diretta iscrizione di questa intenzione"[1]. Con l'affrancarsi della scrittura dalla semplice fissazione dei segni e con questo mettersi al posto della parola, è segnato, per Ricoeur, l'atto di nascita del testo. La "liberazione" del testo dall' "oralità" causa "un vero e proprio rovesciamento sia dei rapporti tra linguaggio e mondo che della relazione tra il linguaggio e le diverse soggettività coinvolte" (autore e lettore).



Per quanto riguarda il "rapporto referenziale tra linguaggio e mondo", "nello scambio di parola i locutori sono presenti l'uno all'altro" e sono presenti anche "la situazione, l'ambiente, le circostanze del discorso", solo in rapporto a quest'ultime il discorso è pienamente significante, tant'è che il linguaggio ordinario è ricco di "indicatori deittici" (dimostrativi, avverbi di tempo e di luogo, pronomi personali, tempi del verbo) che "servono ad ancorare il discorso nella realtà circonstanziale" che circonda il discorso.

La situazione cambia quando un testo prende il posto della parola. Si verifica allora un "occultamento del mondo contestuale", la referenza, che nello scambio di parola era "ancorata" all'ambiente, ora è "sospesa". Questo dà la possibilità al testo di "entrare in rapporto con tutti gli altri testi" che costituiscono la letteratura e creare così un "quasi-mondo dei testi". Solo la lettura, "in quanto interpretazione", realizzerà successivamente la referenza.

Per quanto riguarda il rapporto tra il linguaggio e la soggettività dell'autore e del lettore, si può dire che "l'autore è istituito dal testo", poiché non si può più parlare di locutore, nel senso di "un'autodesignazione immediata e diretta". Così vista, la nozione di testo "richiede un aggiornamento delle due nozioni di spiegazione e di interpretazione' e di una concezione "meno antinomica" del loro rapporto.

Dilthey è il primo ad elaborare la "dualità" di spiegazione e comprensione. O meglio, in Dilthey l'opposizione tra spiegare e comprendere è quella che c'è tra "due sfere della realtà": la scienza della natura e la scienza dello spirito. Tra la "regione della natura" e la "regione delle individualità psichiche". Dilthey vuole instaurare un parallelismo epistemologico, che consenta alle scienze dello spirito di avere un criterio epistemologico adeguato a quello delle scienze della natura. Se, allora, le scienze della natura si basano sulla spiegazione, le scienze dello spirito si dovranno basare sulla comprensione. La comprensione, precisamente, dei prodotti delle "individualità psichiche" estranee. L'interpretazione, a sua volta, è un settore particolare della comprensione, è "l'arte di comprendere" tutte le manifestazioni di cui la scrittura è il carattere "distintivo":

"Nella coppia comprendere-interpretare, la comprensione offre il fondamento, cioè la conoscenza attraverso segni di uno psichismo estraneo al mio, mentre l'interpretazione conferisce il grado di oggettività, grazie alla fissazione e alla conservazione garantita ai segni dalla scrittura."[3]

Negli sviluppi successivi del suo pensiero Dilthey tenderà a "depsicologizzare" sempre più l'interpretazione, per renderla più scientifica, non cercando più "la sua norma di intellegibilità nella comprensione dell'altro". Ma allora, si domanda Ricoeur, non è necessario "smettere di considerare" l'interpretazione come un caso particolare della comprensione e riconsiderare l'interpretazione in rapporto con la spiegazione?

Per fare questo, il Nostro sostiene che oggi la spiegazione "non è più un concetto preso a prestito dalle scienze naturali . ma è trasferito dalla stessa sfera del linguaggio"[4], dalla linguistica. Riprendendo l'analisi del testo, Ricoeur dice che davanti ad un testo noi lettori abbiamo due possibilità. La prima consiste nello spiegarlo "per mezzo delle sue relazioni interne", della sua struttura, e riusciremo a fare questo solo con il "modello esplicativo strutturale", la cui ipotesi di lavoro consiste:

" . nel riconoscere che in particolari condizioni le grandi unità linguistiche, cioè le unità di grado superiore alla frase, forniscono organizzazioni paragonabili a quelle delle piccole unità linguistiche, cioè le unità inferiori alla frase, quelle che propriamente sono di pertinenza della linguistica."[5]

Facciamo un esempio. Nel caso del mito di Edipo, analizzato da Levy Strauss, si hanno quattro colonne che dividono le frasi del mito in quattro classi (rapporto di parentela sovrastimato, rapporto di parentela sottostimato, i mostri e la loro distruzione, i nomi propri il cui significato suggerisce una difficoltà a camminare diritto); queste quattro classi sono a due a due in relazione tra di loro. Questo evidenzia come "il mito appare . come una sorta di strumento logico che mette vicino delle contraddizioni per superarle"[6]. Questo metodo evidenzia la "logica delle operazioni che mettono in rapporto reciproco i fasci di relazioni; questa logica costituisce la legge strutturale del mito considerato". Questo metodo però ci consente di spiegare il mito non di interpretarlo.

È con la seconda possibilità - che noi abbiamo come lettori - che possiamo interpretare un testo e così far "confrontare" spiegazione e interpretazione. La spiegazione strutturale non fa altro che restituire "ad un livello di ancora maggiore radicalità" gli interrogativi che il mito si pone. La sua "funzione" è quella di far apparire una "semantica profonda", la "semantica viva" del mito. Essa è una "tappa" necessaria tra "un'interpretazione ingenua e un'interpretazione critica, tra un'interpretazione di superficie e un'interpretazione in profondità"[7]. È così, per il Nostro, che spiegazione e interpretazione si "ricollocano"su un unico "arco ermeneutico":



" . spiegare è liberare la struttura, cioè le relazioni interne di dipendenza che costituiscono la statica del testo; interpretare è intraprendere il cammino di pensiero indicato dal testo, mettersi in marcia verso l'oriente del testo."[8]

Cogliere l' "oriente" del testo significa, come dicevamo in precedenza, far riferimento al mondo che esso descrive e al cui orizzonte il lettore può immaginativamente trasportarsi.

Da quanto siamo venuti dicendo, appoggiandoci sull'analisi di Ricoeur, è chiaro che il fenomeno della scrittura è considerato in chiave positiva, anche se non immediata, ai fini della comunicazione.




Paul Ricoeur, Dal testo all'azione, Jaca Book, Milano 1989, . 135.

Ibidem

Ibidem

Ibidem, . 142.

Paul Ricoeur, Dal testo all'azione, cit., . 143.

Ibidem

Ibidem

Ibidem






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