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Diffusione della scrittura nell'Italia e nell'Europa antica



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Diffusione della scrittura nell'Italia e nell'Europa antica

Verso la fine dell' VIII sec., in una zona già da molti secoli particolarmente aperta e favorevole agli scambi come il golfo di Napoli, gli Etruschi vengono a contatto con i Greci delle Colonie, prevalentemente Euboici di Cuma e Pitekhoussa. Questo contatto coincide con una "fase di trasformazione delle strutture sociali ed economiche etrusche", che va nel senso di "un'apertura più dinamica ai commerci e agli scambi in una dimensione mediterranea" . Uno dei risultati più significativi di tale movimento è proprio l'adozione della scrittura. L'alfabeto, nella forma greca occidentale, comincia così a diffondersi tra i popoli dell'Italia antica.

5.1 La scrittura etrusca

Gli Etruschi, dunque, furono le prime genti italiche ad adottare l'alfabeto greco. La più antica prova di questo passaggio ci è fornita dall'alfabetario di Marsiliana, che è datato appunto al 700 a.C. Si tratta di una tavoletta d'avorio che porta inciso sul contorno un alfabeto completo, "modello di scuola ma anche, probabilmente, oggetto votivo"[2]. Gli Etruschi conservarono la serie alfabetica greca completa solo negli alfabetari; nell'uso testuale invece essi adattarono l'alfabeto alle specificità della loro lingua, abbandonando alcuni segni sentiti inutili per la notazione dell'etrusco.



A partire dal VI sec. l'alfabeto etrusco si diffuse in tutta l'Etruria propriamente detta, e poi a nord di essa e a sud, nell'Etruria campana, e in questo movimento si plasmò con l'assunzione di varianti locali. Sappiamo che l'insegnamento della scrittura era svolto soprattutto presso i santuari, come Pyrgi o Veii.

In lingua etrusca si è conservato un gran numero di testi, forse diecimila, tutti provenienti dall'Etruria. Le uniche eccezioni che possiamo nominare sono l'iscrizione di Lemno "dieci brevi righe scritte bustrofedicamente in un alfabeto greco del VI a.C. in una lingua molto vicina all'etrusco" , le bende della mummia di Zagabria e un amuleto trovato a Cartagine.

Le iscrizioni più antiche sono bustrofediche e senza separazione di parole; ma la maggior parte sono sinistrorse con pause o punti tra le



parole. La più antica è la stele di Vetulonia (VII sec. a.C.). Si tratta per la maggior parte di testi funerari, assai brevi, spesso brevissimi, con prevalenza di nomi propri e formule stereotipe. Le bende di Zagabria sono l'unico esempio conservato dei libri lintei ricordati dagli autori classici[5]; il lino di uno di questi libri venne riutilizzato in Egitto per farne bende per avvolgere una mummia, e come rilevano gli studiosi solo "quest'uso improprio" ce lo ha conservato.

Inoltre vi sono iscrizioni su una quantità di oggetti, specchi, vasi, affreschi nelle camere funerarie.



5.2 Scritture italiche encorie

Tutte le manifestazioni a noi note in lingue italiche sono scritte in alfabeti di diretta derivazione greca, in alfabeti di derivazione etrusca,e infine e in misura minore, in alfabeto latino. I Messapi per notare la loro lingua si servirono di un adattamento dell'alfabeto greco, nella versione tarantino-ionica. In realtà anche questo alfabeto, "pur non essendo di immediata derivazione etrusca" , poiché i Messapi erano al di fuori dell'influenza etrusca diretta, mostra "alcune affinità" con l'alfabeto etrusco . In alfabeti greci di diversa provenienza sono notate le iscrizioni anelleniche di Sicilia, si tratta del siculo ( tipo euboico-calcidese), dell'elimo (tipo corinto-megarese) e del sicano.


Le altre lingue italiche si sono servite soprattutto dell'alfabeto etrusco: la varietà di alfabeto etrusco settentrionale di Lugano è usata per notare un gruppo di iscrizioni, che secondo gli interpreti, non sono più antiche del 400 a.C. e che sono distribuite nella zona dei grandi laghi dell'Italia settentrionale (Maggiore, Orta, Como, e Lugano). Poiché questa era la sede storica dei Leponzi - dice Cardona - "questo nome diamo alle iscrizioni e alla lingua che vi è notata e che sembra essere celtica"[8].

Con il nome di "retiche" si definiscono le iscrizioni che all'incirca ricoprono il territorio della provincia della Rezia augustea, tra la Val Camonica a occidente, Padova a oriente e il Tirolo a nord. L'alfabeto è di tipo etrusco, ma si aggiungono alcune peculiarità. Anche gli abitanti di lingua indoeuropea del Veneto preromano assunsero la scrittura nella forma etrusca settentrionale, tra il VI e il I sec. a.C.; in venetico esistono un buon numero di iscrizioni funerarie e votive, da Este, Padova,Vicenza, Belluno .

Vicina agli alfabeti etruschi settentrionali e al venetico è la grafia del norico, una lingua prelatina usata nella prima età imperiale accanto al latino e attestata da iscrizioni a Magdalensberg.

Come rappresentanti della scrittura nordpicena si assumono le iscrizioni di Novilara, rinvenute tra Pesaro e Fano e scritte in una lingua non meglio conosciuta.

Il falisco, parlato principalmente a Falerii veteres, odierna Civita Castellana, è testimoniato in iscrizioni su vasellame e stele funerarie; l'alfabeto è di derivazione probabilmente etrusca, anche qui con peculiarità della zona.

In una ventina di iscrizioni su stele, cippi, ciottoli è attestata una lingua detta convenzionalmente sudpiceno, o anche medioadriatico o sabellico. L'alfabeto è originariamente quello etrusco, ma con varie peculiarità, per esempio l'andamento "bustrofedico serpentino", con "rovesciamento delle lettere" .

L'umbro è rappresentato soprattutto dalle Tavole di Gubbio, il "più importante testo rituale di tutta l'antichità classica", ritrovate nel 1444, e scritte in due alfabeti, l'uno in latino e l'altro locale di origine etrusca cortonese .

L'osco è notato in tre diversi alfabeti, greco e latino, ed uno encorio di derivazione etrusca. Le popolazioni osche centrali della


Campania, del Sannio e dell'Irpinia hanno adottato nel V sec l'alfabeto delle città etrusche della Campania, creandone una loro "varietà nazionale a base etrusca", e integrandolo poi "con l'uso di un modello accessorio greco". Più tardi, le popolazioni osche della Lucania e del Bruzio e i Mamertini di Messina adottarono non questa scrittura campana, ma quella greca, evidentemente per un "sentimento di appartenenza al mondo ellenico, e creando così la varietà nazionale a base greca"[12]. Un caratteristico documento osco sono le 'iovile', tavole di terracotta o tufo, proprie della cultura campano-sannita tra il IV e II sec. a.C. Sono così chiamate convenzionalmente a partire dalla parola <iúvilas>, che vi e frequentemente; il loro uso - come rileva Cardona - è incerto, probabilmente funerario .

In vari casi, per esempio per le iscrizioni anelleniche di Sicilia, la "scarsezza e frammentarietà della documentazione rende estremamente difficile decidere se la singola attestazione faccia tipo a sé e dunque rappresenti una scrittura e magari anche una lingua non altrimenti conosciuta, o non si tratti invece di una semplice variante locale" . Spesso le variazioni si risolvono in una "variante grafica", oppure un segno scritto "specularmente" rispetto al tracciato normale, ma appunto per questo è difficile - secondo gli studiosi - delimitare con esattezza la portata di queste innovazioni o discrepanze. Pertanto a volte è proprio l'esame degli aspetti grafici ( delle formule, dei nomi propri ecc.) che "permette di avviare nello stesso tempo l'esame delle forme linguistiche che vi sono notate" ; ma altre volte non è possibile spingersi al di là dell'oggettivo esame della forma dei segni .





5.3 La scrittura latina

L'alfabeto che chiamiamo latino è una trasformazione di quello etrusco; esso servì a notare soprattutto il latino, ma anche occasionalmente altre lingue dell'Italia antica, come venetico, osco, peligno, marrucino.

L'andamento delle prime iscrizioni romane è dapprima bustrofedico, poi destrorso e tale rimarrà; l'alfabeto repubblicano è di


ventun lettere, e tale rimane fino al I sec. Le uniche innovazioni fino a quel periodo sono la scrittura con <r> delle parole che originariamente avevano <s> tra vocali: siamo verso il 340 a.C. quando Papirio Crasso decide di scrivere il suo nome Papirius e non Papisius. L'atto formale con cui si sancisce che negli atti ufficiali si debba scrivere <r> anziché <s> tra vocali è del 312, quando era censore Appio Claudio. La necessità di notare con più esattezza le numerose parole greche entrate in latino farà sì che nel I sec. a queste si aggiungeranno alcune lettere, quali <Y> e <Z>[17].

Ma nel complesso "la scrittura latina mostra una sua stabilità che non si modifica nelle diverse epoche della sua storia" .


Le forme arcaiche delle prime iscrizioni latine si conservarono fino alla prima metà del III sec.; con la metà di questo secolo, per influsso della scrittura epigrafica greca, si afferma nella scrittura romana una "forte componente estetica". Dice Cardona: "Il disegno delle varie lettere della scrittura epigrafica viene reso più geometrico e normalizzato in modo da accentuare le simmetrie e le rispondenze tra lettere simili. Il canone dello stile monumentale è ormai definitivo nell'ultimo secolo a.C., e si conserverà poi in epoca augustea"[19].

Accanto all'uso ufficiale e monumentale, la scrittura ebbe a Roma anche un uso privato, almeno dal V sec; quest'uso, che si basava sulla tecnica del graffito su materiali duri, portava a modificare le forme della lettera capitale in senso corsivo.

Anche la scrittura libraria romana ha origini antiche; sappiamo da varie testimonianze che nel periodo arcaico si scriveva su tessuto e pelle; ma la vera e propria "produzione libraria" comincia nel periodo repubblicano, in connessione con una vera pratica sociale della letteratura e delle attività legate alla scrittura e alla riproduzione dei testi. La varietà di scrittura usata in questa produzione libraria, la "capitale" detta impropriamente "rustica", è vicina a quella epigrafica, ma "con le modificazioni e gli ammorbidimenti di tratto permessi dal calamo e dall'inchiostro" . Le lettere, tutte fortemente geometriche, sono "abbellite con tratti terminali", e mostrano "effetti di chiaroscuro" quali si possono ottenere solo con penna e inchiostro su materiali morbidi. La rustica è attestata dal I sec a.C. al VI d.C., per esempio nei papiri di Ercolano, e, nel IV-VI sec., in numerosi manoscritti di lusso commissionati dalla classe senatoria del basso Impero.

Accanto a queste forme, tra II e III sec a.C. ne emerge un'altra, con "caratteristiche minuscole", che ha particolare importanza per la storia della scrittura perché la conformazione delle sue lettere è quella che diverrà poi abituale nel mondo occidentale, sia nelle scritture a mano che in quelle tipografiche.

Sempre nel III sec. vediamo affermarsi una scrittura documentaria d'uso più corrente, detta corsiva, perché "il calamo corre sulla superficie scrittoria distaccandosene il meno possibile". Questa corsiva è attestata da una massa di materiali diversi: papiri, soprattutto di provenienza egiziana, tavolette cerate, graffiti, e iscrizioni private. Inizialmente si tratta di una maiuscola corsiva, ma già con le caratteristiche che noi attribuiamo alla minuscola (la forma di certe lettere, quattro linee di scrittura anziché due). La corsiva influenzò anche un nuovo tipo di scrittura libraria, anche per influsso delle coeve scritture librarie greche, l'onciale.

L'onciale è una scrittura particolarmente legata alla produzione libraria di contenuto cristiano, e rimase in uso fino all'XI sec., cioè fino alla riforma carolingia; altra scrittura usata tra il IV e il VII sec. per testi patristici, ma anche canonici e giuridici, fu la cosidetta "semionciale", "una derivazione della minuscola libraria, più irrigidita e compressa".

Nel V sec., con le invasioni germaniche, Roma e l'Italia vengono separate dal resto dell'Impero e viene a mancare "l'effetto unificante dell'amministrazione romana"; cominciano così a far sentire il loro peso le variazioni regionali, nel latino parlato così come nelle scritture usate. Verso il VII sec. si può già parlare di "varietà scrittorie locali", così come poco tempo dopo possiamo già parlare di "varietà nazionali di lingua" (tra cui la prima attestata è il francese). Il VII secolo, epoca in cui prendono forma le scritture nazionali, può essere assunto come "spartiacque temporale" da cui far iniziare il Medioevo; il modello di educazione diventa ecclesiastico e non più secolare, la cultura non cristiana sparisce pressoché del tutto.

La scrittura nazionale insulare che si sviluppò in Inghilterra e Irlanda era basata sulla semionciale; nel VII sec. questa insulare in una varietà 'arrotondata' ed una più 'appuntita' si diffuse in Inghilterra contrastando l'espansione dell'onciale introdotta dai missionari. Sono in questa scrittura due famosi evangeliari, il Libro di Kells, irlandese, e il codice Lindisfarne, scritto in Inghilterra verso il 700, in arrotondata, e il Libro di Armagh, dell'807, in appuntita. L'insulare venne diffusa anche sul continente, ad opera dei missionari irlandesi e inglesi; nelle isole rimase a lungo la scrittura propria dei testi anglosassoni, anche quando la carolina divenne la scrittura dei classici latini, fino a sire del tutto nell'XI sec. con la conquista normanna.

La visigotica, o littera toletana, è la scrittura che si manifestò in Iberia a partire dalla fine del VII fino al XII sec. Questa scrittura sviluppatasi da una corsiva, ha molte "abbreviazioni e legature", "tratti sottili", "occhielli".

In Italia, a partire dalla seconda metà dell'VIII sec., si sviluppa una scrittura nazionale della Longobardia minore, e cioè di tutta l'Italia centromeridionale direttamente o indirettamente influenzata dal dominio longobardo. Questa scrittura che è detta beneventana dal nome del Ducato di Benevento ha in realtà il suo centro principale nel monastero benedettino di Montecassino. La caratterizzano "visivamente" l'opposizione dei tratti sottili e di quelli spessi e l'effetto di 'cordellatto'. Spiega Cardona: "le aste verticali delle lettere che non oltrepassano le due linee guida della riga sono eseguite con due tratti della penna e non con un tratto unico, e possono arrivare a spezzarsi in due rombi l'uno sull'altro" . I codici cassinesi sono anche caratterizzati dalla particolare cura dedicata "all'iminazione del testo"; questo è frequentemente diviso su due colonne, con largo margine bianco, cosa che comporta quindi un maggior consumo di pergamena; i capoversi hanno una maiuscola ornata e tutti questi elementi, attentamente costruiti e pensati, concorrono a fare del libro un "oggetto fortemente investito di valori simbolici e sacrali" . Resta di fatto che la produzione libraria in questo monastero era vista come mezzo di "arrichimento spirituale" in senso esteso.

La scrittura beneventana comunque non fu soltanto d'uso librario e monastico; nella sua diffusione (attraverso le dipendenze di Montecassino la cassinese si estese a tutta l'Italia centrale e alla Dalmazia) essa giunse a toccare la realtà urbana, la produzione documentaria, il laicato alfabeta. Un'indagine condotta su dati d'archivio salernitani, datati tra il 792 e l'899, ha permesso di individuare 488 diverse 'mani'; tra questi scriventi solo 60 sono ecclesiastici, e 47 sono notai di professione .

Altra scrittura nazionale è la merovingica, un insieme di tipi sviluppatosi in Francia .

Tra il VI e VII sec in molti centri culturali della Francia carolina si matura un tipo scrittorio comune , una littera gallica.

Questa scrittura si accorda molto bene alla riforma dell'insegnamento e della liturgia voluta da Carlo Magno e da Alcuino. In seguito alla riforma carolingia, alle varie scritture locali e regionali si va "definitivamente sostituendo nei primi dell'800 una scrittura d'uso corrente, che si diffonde al di là dei confini dell'Europa franca; la carolina si afferma non solo nelle sectiune private ma anche nei documenti di cancelleria" .

Tra il XII e il XIII sec. dalla carolina si distacca un nuovo tipo, la scrittura che nei tempi moderni prese il nome di gotica, ma che per i contemporanei era la littera moderna; pur conservando "forma e ductus" della carolina, essa ne "ispessisce i tratti", "aumenta le legature", "elimina le curve" a favore degli "angoli vivi", dei "tagli a becco". L'uso della gotica coincide con "una nuova concezione del libro" come strumento di studio: basti pensare che in quegli anni nascevano le prime università. All'interno di uno stile complessivo, 'gotico', si distinguono numerose varietà specializzate, molte dellle quali italiane; si ricorderanno la cancelleresca italiana (XIV-XV sec.), le litterae scholasticae, di uso universitario, come la littera bononiensis e la littera parisiensis, e la cosiddetta bastarda francese, propria della corte di Borgogna.



5.3.1 La scrittura umanistica

Gli studiosi del problema fanno notare che da Petrarca a Boccaccio, ai primi Umanisti, un arco importante della nostra letteratura è pervaso da un profondo interesse per le forme grafiche; Petrarca stesso fu un raffinato copista di molte sue opere e creò una sua varietà libraria semigotica, adottata dal Boccaccio e imitata da altri.

Così come consideravano "artificiose, poco chiare, non


armoniose" tutte le scritture per loro 'gotiche', cioè altomedievali, gli "Umanisti apprezzavano grandemente le qualità estetiche della varietà carolina esemplificata nei codici che venivano riscoprendo nelle biblioteche conventuali"[26]. Soprattutto usata come libraria, questa scrittura umanistica ebbe anche una varietà corsiva, inclinata verso destra e con legamenti tra le lettere, che ebbe applicazione soprattutto nelle cancellerie tra la fine del XV e gli inizi del XVI.

L'invenzione della stampa si colloca nel momento in cui sono in uso più varietà scrittorie, ciascuna con sue specifiche connotazioni, e i primi caratteri "vengono esemplati su un tipo o l'altro" ( al gotico si rifece Gutenberg, per esempio) fino a che "i tipografi non cominciarono a disegnare essi stessi i loro caratteri". I primi saggi a stampa "comprimono l'inventario di varietà calligrafiche e specializzate di ciascuna tradizione a favore di un dato tipo, che diventa in qualche modo quello canonico per la stampa in quel determinato carattere" .



5.4 Diffusione della scrittura latina

Col diffondersi del Cristianesimo occidentale e della cultura latina si diffuse di pari passo in Europa anche la scrittura latina, e la storia di questa proazione, come nota Cardona, è uno dei moduli più interessanti della storia delle idee . Molte lingue europee vennero



notate per la prima volta per iscritto proprio nella scrittura latina, per qualcun'altra esisteva una tradizione precedente che regredì di fronte alla nuova. È una storia che si distribuisce nell'arco di vari secoli, cominciando dall'irlandese, che fu tra le prime lingue ad essere notata in caratteri latini, e dall'ungherese per arrivare al suomi, o finnico, al romeno e al turco.

Dovunque l'adozione della scrittura latina - dice Cardona - fu un "processo colto e meditato, per nulla affidato all'improvvisazione o allo stimolo del momento, ma sempre originato da un progetto culturale definito, e poggiante su solide basi grammaticali e linguistiche, in cui aveva parte la conoscenza della tradizione grammaticale latina" . È caratteristico infatti che, nel processo di adattamento a lingue sufficientemente diverse, "ben poche torsioni vennero esercitate

sull'alfabeto vero proprio", non vennero inventati segni nuovi, e anzi "non venne addirittura modificata la forma dei segni esistenti". Fin dove era possibile vennero "conservati i valori dell'alfabeto latino" (molte divergenze tra grafia e suono delle lingue europee sono dovute solo a successivi cambiamenti fonetici della lingua), e "invece di moltiplicare i segni si preferi utilizzare la possibilità di combinazione"[30]. Questo era un "espediente classico": già i Romani erano ricorsi ai digrammi <ch, ph, th> per notare alcuni suoni del greco a loro non consueti, e questo espediente venne riadottato e sviluppato.




Ibidem

Ibidem

Ibidem, . 201.

Dal gr. boustrophedon 'che va nella direzione del bue che ara'; è l'andamento delle righe di scrittura proprio delle iscrizioni greche arcaiche: la direzione della scrittura è alternativamente da destra a sinistra e da sinistra a destra.

Cfr. su questo argomento Aa. Vv. Scrivere etrusco. Dalla leggenda alla conoscenza. Scrittura e letteratura nei massimi documenti della lingua etrusca, Electa, Milano 1985.

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 202.

Cfr. su questo argomento Parlangeli, Studi messapici, Olschki, Firenze 1984.

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 203.

Cfr. su questo argomento G.B. Pellegrini, A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I-II, Padova-Firenze 1967.

Cfr. su questo argomento A. Morandi, Le iscrizioni medio-adriatiche, Olschki, Firenze 1974.

Cfr. su questo argomento G.Devoto, Tabulae Iguvinae, Poligrafico dello Stato, Roma 1954.

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 204.

Cfr. su questo argomento A. Franchi De Bellis, Le iovile capuane, Olschki, Firenze 1981.

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 204.

Ibidem, . 205.

Cfr. su questo argomento L.Agostiniani, Iscrizioni anelleniche di Sicilia, Olschki, Firenze 1977.

Cfr. su questo argomento G. Bernardi Perini, Le "riforme" ortografiche latine di età repubblicana, «Annali del Seminario di Studi del Mondo Classico; Sezione Linguistica», vol. 5, Istituto Universitario Orientale, Napoli 1983, pp. 141-l69.

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 206.

Ibidem

Ibidem

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 211.

Ibidem.

Cfr. su questo argomento E.A. Lowe, The Beneventan script, Oxford 1914, 2 ed. a cura di V. Brown, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1980.

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 212.

Cfr. su questo argomento A. Petrucci, La scrittura di Francesco Petrarca, Citta del Vaticano 1967.

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 213.

Ibidem

Cfr. su questo argomento R. Marichal, L'écriture latine et la civilisation du Ier au XVI siècle, in L'écriture et la psycoloie des peuples, XXIIIe semaine de sinthèse, avec la collaboration de M. Cohen et al., Colin, Paris 1963.

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 214.

Ibidem, . 214.






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