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LA DORATURA

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LA DORATURA



Le tecniche di doratura adoperate per i metalli (argento, rame, bronzo) possono essere a base chimica o meccanica. Esiste la doratura a placca (la lamina d'oro viene saldata sul metallo a fuoco o a pressione, L'oro doublé), la doratura a freddo che viene eseguita strofinando l'oggetto con polvere d'oro. Poi c'è anche la doratura a fuoco, ottenuta mediante amalgama d'oro e mercurio: è così chiamata perché il mercurio viene fatto evaporare mediante riscaldamento. Nella doratura a guazzo l'oggetto è sottoposto a un bagno in una soluzione d'oro a base di cloruro di sodio. Oggi sono diffusi anche metodi di doratura elettrolitica, nei quali l'oggetto da dorare viene fatto funzionare come catodo in un bagno contenente cianuro d'oro; tale doratura può essere eseguita direttamente su oggetti di rame, ottone o bronzo, mentre gli altri metalli devono venire prima sottoposti a ramatura. Poiché col passare del tempo, l'oro tende a diffondersi nelle leghe di rame, su di esse viene applicato, prima della doratura, uno strato di nichel lucido, dello spessore di almeno 10-20 micron. Talvolta la doratura può essere eseguita mediante vaporizzazione nel vuoto, arroventando un filo d'oro che, vaporizzando, si deposita sull'oggetto. In età greca e romana era diffusa l'usanza di dorare armi, mobilio, statue, vasi, ecc. applicando a martello sulle superfici sottilissime foglie (brattee) d'oro o lamine auree un poco più spesse; un esempio di statua bronzea dorata a foglia è l'Eracle della Rotonda del Museo Vaticano.




Durante il Settecento il bronzo dorato trova nuove applicazioni nella vasta produzione di suppellettili domestiche, oggetti ornamentali e soprattutto nell'inesauribile invenzione di forme e di motivi per le preziose guarnizioni del mobilio. La doratura delle ceramiche si sviluppò nel Seicento e dilagò nel secolo successivo, allorché si ricoprirono vaste superfici di porcellane con effetti di oro massiccio di dubbio gusto. Le tecniche usate erano quattro: doratura a freddo, in cui la foglia d'oro veniva applicata su una base di appretto; la doratura a lacca, in cui l'applicazione dell'oro sull'oggetto avveniva per mezzo di un pennello su un fondo di lacca; un terzo procedimento (che assicurava migliori risultati) consisteva nell'applicare con un pennello una mistura di foglia d'oro macinata e miele, fissandola poi con una leggera cottura; un quarto metodo, usato a partire dal 1780, fu l'amalgama di oro e mercurio già usato per i metalli. La doratura dei mobili, anch'essa conosciuta fin dall'antichità, ebbe larga fioritura in epoca gotica. In Italia si dorarono mobili soprattutto in età barocca; in Francia durante i regni di Luigi XIV, XV e XVI; in Inghilterra nella prima metà del Settecento. La tecnica di ricoprire i mobili con foglia d'oro si avvale di due procedimenti: ad acqua, in cui la superficie del legno viene preparata con una base di gesso; a olio, in cui la superficie viene preparata con biacca od ocra a base d'olio; in entrambi i casi viene poi applicato il mordente o altra sostanza adesiva su cui viene fissata la foglia d'oro. La doratura a olio, più semplice e più resistente, non permette però la lustratura dell'oro con il brunitoio e non consente quindi di ottenere quella lucentezza che si raggiunge con la doratura ad acqua. Nella decorazione dei libri si utilizzano fogli sottilissimi in genere di oro: sulla coperta del libro da dorare viene disteso albume d'uovo (con aggiunta di aceto bianco), ponendo quindi su questo strato, quando è asciugato, la foglia d'oro, e imprimendo poi a mano con i ferri di doratura o con pressa manuale o meccanica le decorazioni e i disegni, asportando poi le parti della foglia che non rimangono impresse. Sulle coperte in materiale plastico si utilizza una speciale pellicola adesiva, sulla quale è dispersa polvere d'oro, che viene quindi impressa a caldo.

Per quanto riguarda la doratura del vetro, questa è presente nella colorazione che viene ottenuta per miscelazione nel fuso di metalli quali rame, argento, oro, in presenza di agenti riducenti quali ossido di antimonio o zinco; inoltre i vetri dorati con ritratti di privati o di martiri erano frequenti nelle tombe cristiane. I prodotti dell'arte vetraria risentirono di diverse influenze stilistiche (persiane, indiane, arabe). Sono vetri a fondo scuro (azzurro o violaceo) dipinti a smalto o in oro, di notevole spessore, decorati con motivi derivanti dalle miniature della scuola di Baghdad e dalle ceramiche persiane. L'influsso di questi vetri è rintracciabile nella produzione vetraria veneziana del secolo XV. All'epoca classica risalgono anche i colossi "crisoelefantini" in avorio e oro di Fidia (lo Zeus di Olimpia; l'Atena del Partenone). Le più antiche tecniche di lavorazione del vetro permettevano soltanto la produzione di oggetti di ridotte dimensioni, per lo più destinati a usi rituali o a scopo ornamentale. La difficoltà di produzione del vetro faceva sì che esso fosse assimilato nell'uso a materiali preziosi e semipreziosi, come le pietre dure e le gemme; a questi, oltre che alla ceramica, la lavorazione del vetro si rifaceva sia per le tipologie sia per le decorazioni degli oggetti riprodotti. In Egitto e in Mesopotamia l'uso di impasti vetrosi risale almeno al III millennio a. C. I primi vasi vero però verso il 1500 a. C. e la tecnica più diffusa era quella del vetro fuso attorno a un'anima di sabbia. Si ottenevano così piccoli vasi, per lo più balsamari, a colori vivaci con effetti di policromia, largamente diffusi fino all'età ellenistica in tutto il bacino del Mediterraneo. Accanto alla tecnica a sabbia, si sviluppò quella dei vasi tagliati a freddo da un blocco di vetro e levigati con la ruota e quella dei vetro fusi, pressati dentro una matrice. Una più larga e qualitativamente più alta diffusione della lavorazione artistica del vetro si ebbe a cavallo fra il sec. I a. C. e il sec. I d. C. con l'introduzione della tecnica della soffiatura, iniziata probabilmente in Siria. Successivamente in Egitto fiorì la fama di Alessandria, i cui v. colorati e integrali erano apprezzatissimi nella Roma imperiale. Roma portò poi a grandissimo sviluppo l'arte vetraria con una vasta produzione che si estendeva anche alle province con fornaci nelle Gallie, lungo il Reno e altrove. Complesse le tecniche di decorazione, soprattutto nei vasi ellenistici e romani; famosi i vasi-cammeo, con più strati di vetro, come il celebre vaso di Portland di età augustea; di grande finezza i diatreti (sec. I-IV), con traforo a giorno; i vetri dorati con ritratti di privati o di martiri, frequenti nelle tombe cristiane. Dopo la caduta dell'Impero romano, Bisanzio accentrò il meglio della produzione vetraria unendo alle esperienze romane il gusto per il colore, secondo le tendenze orientali. La produzione del vetro nel mondo islamico fu altrettanto ricca e varia di quella del mondo romano. Famosi i vetri smaltati e dorati di Aleppo e Damasco; da Damasco provenivano anche le caratteristiche lampade per moschee, decorate con disegni epigrafici e simboli araldici, soprattutto mamelucchi. I decori, piuttosto grandi ad Aleppo e più minuti a Damasco, accolsero, dopo il sec. XIV, anche motivi cinesi (soprattutto la fenice) e una più vistosa coloritura. Nei Paesi d'Occidente l'industria vetraria attraversò un periodo di limitato sviluppo per tutto l'alto Medioevo. Successivamente, un risveglio in questo settore si ebbe nella bassa valle del Reno, i cui centri di lavorazione diedero vita ai cosiddetti vetri teutonici o merovingici, caratterizzati da decorazioni applicate a forma di grosse bugne, tipiche della produzione germanica e in particolare del boccale tedesco, il Römer, che ebbe ampia fortuna in epoche successive. Per giungere tuttavia a una produzione più sistematica e qualitativamente più alta bisogna arrivare al Medioevo inoltrato con l'organizzazione, a iniziare dal sec. X, delle vetrerie veneziane. Queste assunsero caratteri di produzione artistica vera e propria dalla fine del sec. XIII quando furono concentrate in Murano. Il grande momento di diffusione della produzione muranese risale peraltro al sec. XV (anche attraverso i contatti con Bisanzio e l'Estremo Oriente), quando l'introduzione di nuove tipologie e di nuovi sistemi decorativi (smalti, pittura a freddo, ecc.) resero la produzione veneziana incontrastata in tutta Europa; ciò grazie anche alla fabbricazione di un vetro di particolari doti di trasparenza e lavorabilità, il cristallino. Nel sec. XVI la decorazione incisa a punta di diamante conferì ulteriore pregio alla produzione muranese; così come la tecnica di lavorazione del vetro a ghiaccio (o verre craquelé), per cui sottoponendo all'azione di un agente freddo il vetro rovente, la superficie di questo, solidificata, assume un aspetto ruvido e leggermente opaco.


Gli oggetti prodotti secondo questa tecnica si giovano spesso della presenza contrastante di decorazioni applicate in vetro trasparente colorato (si ricorda il bacile, del sec. XVI, conservato al Museo Vetrario di Murano). Inoltre, a quest'epoca risale la diffusione di vetri peculiari della produzione veneziana, quali i lattimi, i calcedoni, ecc. Fra il sec. XVI e il XVII i modi della produzione muranese si diffusero ampiamente in Europa, tanto da sviluppare nelle altre nazioni una produzione locale che ne riprendeva i modi, la cosiddetta façon de Venise; ciò avvenne particolarmente nelle Fiandre, in Olanda, in Francia e in alcuni Paesi germanici. Tuttavia la supremazia veneziana andò indebolendosi nel sec. XVII, allorché in Inghilterra si diffuse la produzione di cristallo piombico, che meglio si prestava alla sfaccettatura e all'incisione. Un'altra importante innovazione fu la scoperta, in area tedesca, del cristallo potassico, che portò a ulteriori sviluppi la decorazione incisa e quella a sfaccettature, ponendo in netta supremazia europea, per qualità e possibilità di lavorazione, la produzione tedesca (centri principali furono la Boemia, la Slesia, Potsdam), contrastata solo da quella inglese. L'uso del cristallo segnò praticamente la fine della supremazia veneziana (un certo revival lo si ebbe nel sec. XIX). Una nuova ripresa della lavorazione artistica del vetro, ormai su basi internazionali, si è avuta alla fine del sec. XIX, in coincidenza con l'Art Nouveau e lo sviluppo di nuove tipologie e di nuove forme attraverso l'opera di artisti come Tiffany, Gallé, i fratelli Daum e altri.


Esaminando la glittica, la sua doratura si ritrova soprattutto nei cammei, particolare lavorazione delle pietre dure consistente nell'inciderle a rilievo o a tutto tondo per mezzo di mole di durezza variabile secondo il tipo delle pietre impiegate. In genere si usano pietre policrome o zonate (sardonica, onice, agata) in quanto le differenti colorazioni permettono di ottenere delicati effetti di contrasto. Talune pietre dure dell'arte arcaica ionica ed etrusca possono essere considerate gli antecedenti del cammeo, l'uso e la tecnica del quale si svilupparono in modo particolare solo in età ellenistica, con lungo seguito in epoca romana Nell'Ottocento questo oggetto di piccole dimensioni, incastonato in oro o argento, con urazioni varie (spesso ritratti), fu gioiello molto apprezzato.


Il termine cammeo indica anche una particolare lavorazione del vetro (detta anche vetro stratificato o incrostato). Si ricopre un vetro colorato (in genere blu) con uno strato di vetro opaco (spesso bianco), dal quale si asportano le parti che non interessano la urazione da eseguire, che risulta quindi ricavata dalla parte opaca rimasta. Gli strati impiegati possono essere più di due. Già praticata in epoca romana (sec. I d. C.), questa tecnica ebbe in seguito largo sviluppo presso la vetraria veneziana e inglese (sec. XIX). Un tipico esempio ne è il cosiddetto Vaso Portland (Londra, British Museum). L'intaglio delle piccole pietre preziose fu praticato sin da epoca remota in Mesopotamia (gemme cilindriche e coniche con scene simboliche e religiose) e in Egitto (sigilli a forma di scarabeo ricchi di urazioni e simboli); presso gli Egizi si produssero anche vasi e recipienti in pietre dure e semipreziose (onice, agata, serpentino, lapislazzuli, cristallo di rocca), sempre decorati con la tecnica dell'intaglio. La civiltà cretese-micenea produsse caratteristiche gemme lenticolari o a ghianda con motivi di fiori, foglie, spirali e più tardi urati. In Grecia i repertori decorativi si arricchirono (ure di divinità, scene quotidiane e, dal sec. IV a. C., ritratti) e apparvero le firme degli incisori (gemme di Dessameno di Chio). Praticata anche dagli Etruschi dalla fine del sec. VI a. C., la g. è particolarmente documentata per l'età ellenistico-romana (tra gli incisori più noti vi sono Pirgotele, autore del sigillo di Alessandro Magno; Dioscuride, di età augustea; Aspasios, che riprodusse in una gemma il busto dell'Athena Parthenos di Fidia, Roma, Museo Nazionale). In epoca ellenistica fu particolarmente diffusa anche la produzione di statuette in pietre dure (calcedonio, agata, lapislazzuli, ecc.). La glittica bizantina predilesse i cammei d'agata, sardonica e diaspro rappresentanti per lo più scene religiose (la Crocefissione, la Madonna orante, ecc.); molto diffusa anche la produzione di coppe e vasi (preziosi esemplari conservati nel Tesoro di S. Marco a Venezia e al Cabinet des Médailles di Parigi). Nell'Europa romanica e gotica le gemme intagliate sono molto rare; frequenti invece le scene di vario genere incise su vetri e cristalli di rocca. Largamente importate in Occidente dall'Oriente islamico furono, soprattutto nei sec. X-XI, le coppe e le caraffe in cristallo di rocca, materiale nella cui lavorazione si specializzarono successivamente (sec. XIV) gli artisti veneziani. Dopo un periodo di decadenza, la glittica conobbe una nuova fioritura con il Rinascimento italiano, allorché l'amore per l'antichità classica riportò in auge le gemme greche e romane. Si produssero cammei, intagli, oggetti in cristallo (opere mirabili uscirono dai laboratori medicei a Firenze), mentre la glittica andava diffondendosi anche in Francia e poi in Boemia, dove gli artisti eccelsero, come a Venezia, nell'incisione del cristallo.




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