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La scrittura in Egitto

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La scrittura in Egitto

I primi documenti di scrittura in ambito egiziano risalgono all'età predinastica tarda o 'tinita' (forse 3000-2850 a.C.). Il documento più antico è la cosiddetta "tavolozza di Narmer", una lastra di scisto trovata a Hierakonpolis, l'odierna Kom el-Ahmar in Egitto che celebra la vittoria del sovrano N3rmr sui nemici del Basso Egitto. Seguendo le indicazioni di Giorgio Raimondo Cardona vediamo che i segni egiziani (per i quali è invalso il nome di geroglifici, "lettere sacre incise" dato ad essi dagli scrittori greci) possono assumere tre valori differenti:

¡   un valore logografico: un segno sta per la parola di cui esso rappresenta il referente;

¡   uno fonetico: un segno sta per i suoni della parola di cui esso rappresenta il referente;

¡   uno pittografico: il segno sta a specificare quale si intenda, tra le varie parole di stesso suono[1].

Ne risulta un sistema volutamente complesso, in cui una parola è suggerita da prospettive diverse. Ma insieme c'è un'evidente cura per l'aspetto estetico urativo dei segni.

Se nelle prime epoche i segni sono allineati con una certa libertà, già con la II dinastia si afferma una "serie di regole compositive che presiedono all'iminazione dei simboli": i segni sono disposti in quadrati successivi, da destra a sinistra o anche da sinistra a destra, in verticale o in orizzontale; gli esseri animati guardano sempre verso l'inizio della riga di scrittura; i vari segni si inseriscono sempre all'interno di un modulo basato sui sottomultipli del quadrato (intero, mezzo, un quarto), senza lasciare "antiestetici spazi vuoti". Questa iminazione fa sì che il "tessuto" stesso del testo, oltre ai singoli segni che lo compongono, abbia un "valore estetico decorativo e ricopra in maniera omogenea pareti, basamenti, oggetti"[2].

Sempre seguendo il cammino di Cardona, vediamo poi che ben presto ai geroglifici si affiancò un "sistema secondario", che permetteva di realizzare segni con pennello e inchiostro. Questo  riduceva molto gli aspetti urativi e otteneva una scrittura "di tipo corsivo", anche se "pur sempre accurata e di scuola"; è il cosìddetto "ieratico", d'uso non monumentale.



Dallo ieratico, poi, progressivamente si viene ad elaborare una forma autonoma, il "demotico", che serve anche a trascrivere una varietà di lingua diversa, il neoegiziano; esso si allontana ancor di più dall'aspetto urativo del geroglifico e a questo concorrono anche le tecniche di realizzazione, più semplici e povere, che prevedono l'uso del calamo a becco in luogo del pennello.






Cfr. su questo argomento A. Gardiner, Egyptian grammar, being an introduction to the study of hieroglyphs, Oxford University Press, London 1953.

Giorgio Raimondo Cardona, Storia universale della scrittura, cit., . 127.


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