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Antonello da Messina

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Antonello da Messina


Antonello da Messina proveniva, appunto, dalla città di Messina, in Sicilia, ma trascorse gran parte della sua fanciullezza a Roma, dove imparò a disegnare. Essendo inoltre "di buono ingegno, desto e accorto in quel mestiero, aveva fatto bonissimo profitto del disegno" ed aveva già incominciato a farsi un buon nome a Roma. In seguito si ritirò a Palermo, dove lavorò per qualche anno, per poi fare ritorno a Messina, la sua città natale.

Da giovane fece anche un viaggio a Napoli, che risultò molto importante per la sua formazione artistica. Qui trova Renato I il Buono, duca d'Angiò e conte di Provenza, re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme, lio di Luigi II re di Sicilia. Questo sovrano, amante dell'arte e appassionato di pittura, creò attorno a sé un ambiente culturale molto vivace nel quale le influenze iberiche e provenzali si intrecciavano con quelle fiamminghe; è in questo tipo d'ambiente che Antonello, mentre imparava l'arte alla bottega di Colantonio, incominciò ad avviarsi ad una pittura che integrava le diverse esperienze, rifacendosi in particolare a quella fiamminga di Jan Van Eyck, con il quale Antonello entrò direttamente in contatto, restando influenzato dalle sue opere e dalle sue tecniche pittoriche. Grazie a questa influenza diventerà uno dei primi fautori, in Italia, della tecnica fiamminga, dipingendo ad olio anziché a tempera. Infatti, sempre a Napoli, durante un suo futuro soggiorno nella città, Antonello venne a sapere che il re di Napoli Alfonso aveva portato dalle Fiandre una tavola dipinta ad olio, donatagli dallo stesso inventore di questa nuova tecnica pittorica, Giovanni da Bruggia. Questa tavola, dipinta con olii, si poteva lavare e poteva reggere a qualsiasi percossa. Preso dalla curiosità e dall'interesse per questa innovazione, Antonello andò a vedere di persona questa opera, rimanendo colpito da "la vivacità de' colori e la bellezza et unione di quello dipinto. Decise quindi di recarsi nelle Fiandre per imparare quel "colorire", sotto l'insegnamento dello stesso Giovanni da Bruggia, "e così non si partì egli di quel luogo sino a che ebbe appreso eccellentemente quel colorire, come egli medesimo desiderava". Quando Giovanni morì, Antonello, che non aveva più alcun motivo di restare nelle Fiandre, fece ritorno in Italia e si fermò a Venezia, dove, grazie al suo virtuosismo, ottenne un finanziamento dalla Repubblica.



Ritornato a Messina dove rimase fino alla fine, si ammalò "di un mal di punta" e all'età di soli 39 anni "se ne passò a vita migliore", il 14 febbraio 1479. "E sommamente fu onorato nelle esequie da gli artefici del mestiero, per il dono che aveva fatto loro de la nuova maniera del colorire".

Antonello ha voluto lasciare nei suoi dipinti la prova tangibile del suo amore per Messina attraverso la visione del suo mare, delle colline, delle case della sua città. Sebbene abbia fatto fortuna, è tornato a morire nella sua terra, a casa sua. Purtroppo la sventura si è abbattuta su tante delle sue opere, finite sepolte sotto le macerie del terremoto e della storia. E, in un certo senso, si è abbattuta anche su di lui: prima di morire dettò un testamento nel quale dispose di venire sepolto nel convento di Santa Maria del Gesù; il cimitero sve a causa di una piena nel 1863, e con esso anche le spoglie dell'artista.



Tra i dipinti del periodo veneziano si citano anche "Le Crocifissioni". La più famosa è nota come "Crocifissione di Sibiu", dal nome della località in Transilvania dove rimase collocata fino al 1948; è oggi conservata al Muzeuf de Arta di Bucarest, ed è uno dei primi dipinti di Antonello, infatti risale al 1455. Questo dipinto trasporta l'azione in un ambiente siciliano immaginario ma vero. La piccola tavola ha suscitato un grande interesse nella critica per la singolare tessitura iconografica e per il suo stile: il paesaggio rivela un evidente omaggio di Antonello alla sua città natale, andando inoltre a collocarsi tra le più antiche immagini esistenti di Messina. Lo sfondo, infatti, propone la falce naturale del porto con in primo piano il monastero del Salvatore e la Rocca, mentre oltre le colline si intravedono le isole Eolie. La base delle tre croci è lunghissima. Cristo risulta spinto verso l'alto, quasi come se stesse per ritornare nel cielo dal quale discese per salvare l'umanità dal peccato; invece i due ladroni sono appesi soltanto per le braccia e pendono verso il basso, verso il mondo terreno al quale appartengono.

Un'altra della "Crocifissioni" è conservata al Musée Royal des Baux-Arts di Anversa. In questa, più che la crocifissione di Cristo, è la straziante uccisione dei due ladroni ad interessare Antonello. Violenta e crudele, non si consuma sulla croce, ma su veri e propri alberi, dalle cui sommità pendono, legati, i due corpi sanguinanti, agonizzanti, contorti dal dolore.

C'è infine ancora un'altra "Crocifissione", conservata alla National Gallery di Londra.


Fece anche molti ritratti tra i quali un "Ritratto d'uomo" considerato il più celebre dei ritratti dipinti da Antonello da Messina, risalente al 1473 ed oggi conservato alla National Gallery di Londra. E' il ritratto, forse un autoritratto, rappresentante un uomo giovane, visto in posizione di tre quarti. Con attenta osservazione dei dettagli sono rappresentati i capelli, il copricapo a zucchetto usato dai giovani dell'epoca, la veste in stile rinascimentale a pieghe sotto la quale si intravede una camicia bianca. Accuratissimo è il disegno degli occhi, che sembrano guardare intensamente l'osservatore, vivi e acuti nell'espressione e accentuati dalle sopracciglia decise. I colori sono caldi e pastosi, graduati dal chiaro allo scuro, e sembrano quasi essere imbevuti di una luce che colpisce frontalmente la ura, la avvolge e la fa emergere dal fondo scuro. Su questo ritratto di Antonello è evidente, sia nell'impostazione che nella tecnica pittorica, l'influsso di Jan Van Eyck.


La parentesi ritrattistica della vita di Antonello è una delle più importanti, poiché fa di lui un pittore straordinario. Infatti caratteristica comune dei suoi ritratti è la rappresentazione, fatta con assoluta precisione, di volti dalle espressioni familiari e allo stesso tempo ambigue e sfuggenti. Lo spettatore si domanda a chi appartengano quei volti che lo scrutano con attenzione, ironia, distacco o malizia, e che gli ricordano una somiglianza con qualcuno già visto. E' intervenuto anche Leonardo Sciascia alla spiegazione di questo "gioco delle somiglianze": "Il gioco delle somiglianze è in Sicilia uno scandaglio delicato e sensibilissimo, uno strumento di conoscenza. A chi somiglia il bambino appena nato? A chi il socio il vicino di casa, il comno di viaggio? () I ritratti di Antonello 'somigliano; sono l'idea stessa della somiglianza. A ciascuno si possono adattare tutte le definizioni che sono state date dei siciliani da Cicerone a Tomasi di Lampedusa. () E provatevi a stabilire la condizione sociale e la particolare umanità del personaggio. Impossibile. E' un nobile o un plebeo? Un notaio o un contadino? Un uomo onesto o un gaglioffo? Un pittore, un poeta, un sicario? 'Somiglia, ecco tutto." (Tratto dal brano di Leonardo Sciascia riportato nell'introduzione al volume monografico sull'opera pittorica di Antonello da Messina edito da Rizzoli).  

Questo misto di riconoscibilità e mistero che accomna tutti i ritratti di Antonello è presente anche nella sua opera più famosa: la "Vergine Annunziata" (Museo Nazionale di Palermo), l'ultima opera che portò a termine, a Messina, prima di morire. La donna rappresentata somiglia a una giovane siciliana con una mantellina azzurra che le copre i capelli e, ricadendo sulle spalle, le incornicia il volto, girando nello spazio come in una nicchia, tanto da  dare l'impressione di una statua. La mano sinistra ne chiude i lembi all'altezza del seno, nascondendo una parte del collo. Il leggio, sopra il quale Maria ha aperto il libro, è in stile gotico. A differenza della maggior parte dei ritratti maschili, gli occhi di Maria non si soffermano sullo spettatore, non lo fissano, ma discretamente distolgono lo sguardo. Ha un'aria familiare e misteriosa, somigliante e sconosciuta, persino ambigua: non si capisce l'espressione del suo volto è riservata o distaccata, timida o assente. E' sfuggente, come in tutti i ritratti di Antonello. La mano destra, scorciata in modo da sembrare quasi storpiata, si allunga verso lo spettatore, oltre la tela: si avvicina come per toccarci, o per tenerci a distanza, o forse ancora ci avverte che non possiamo spingerci oltre. Altrettanto atteggiata ad un'espressione di stupore ma anche di mistero è la "Vergine Annunziata" di Monaco (Bayerisches Staatsgemaldesammlungen), anche lei con un libro aperto davanti.


"Breve parentesi" sulla Pittura fiamminga:

I pittori fiamminghi si rivolgono allo studio di ogni elemento: tutto viene selezionato e precisato nei particolari più minuti. I punti di fuga sono numerosi per mostrare gli oggetti, le architetture e le ure secondo il loro lato più comunicativo e rappresentativo, come ruotando gli occhi di continuo da un punto all'altro, badando ad ottenere una resa spaziale libera e senza costrizioni. L'uomo non è che una delle infinite presenze che compongono la realtà. I fiamminghi badano ad ogni particolare anatomico o di panneggio e nulla viene dimenticato, allo scopo di pervenire ad una rafurazione estremamente realistica del corpo umano. La luce proviene da più fonti e illumina con precisione ogni oggetto ponendolo alla ribalta come se fosse il solo protagonista della scena. Ma questa molteplicità di soggetti principali non può che privare i termini "soggetto" e "protagonista" di ogni significato, ed è la luce che, allora, unifica le infinite parti di un dipinto.








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