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LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LA SOCIETÀ ROMANA - I CONFLITTI DURANTE LA TARDA REPUBBLICA, LE RIVOLTE DEGLI SCHIAVI, DEI PROVINCIALI E DEGLI ITAL

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la crisi della repubblica e la società romana


i conflitti durante la tarda repubblica

La crisi, provocata nella società romana dalla trasformazione strutturale compiutasi a partire dalla Seconda Guerra Punica, raggiunse, dopo la metà del II secolo a.C., una fase nella quale lo scoppio di aperti conflitti era inevitabile: l'inasprimento dei contrasti all'interno della struttura sociale romana e le debolezze del sistema di dominio repubblicano, ebbero come conseguenza che divamparono le lotte politiche e sociali. La storia degli ultimi cento anni della repubblica romana è segnata dal continuo divampare di questi conflitti. Questo periodo viene designato come "età della rivoluzione"; tuttavia, è più appropriato parlare della crisi politica e sociale della repubblica.



La natura eterogenea di tali conflitti è riconoscibile, da una parte, dalla loro tipologia, dall'altra, dalla fluttuazione del loro carattere complessivo. Gli aperti conflitti di questa epoca possono essere suddivisi in quattro tipi. I primi tre furono le guerre servili, la resistenza dei provinciali contro il dominio romano e la lotta degli Italici contro Roma. Nelle guerre servili si contrapposero fronti sociali chiari, poiché si trattò di una lotta degli schiavi delle camne contro i proprietari di schiavi e contro l'apparato statale romano. Le rivolte dei provinciali e degli Italici contro il dominio romano furono sostenute da gruppi sociali compositi ed il loro obiettivo fu la liberazione di comunità, Stati o popolazioni un tempo indipendenti dall'oppressione dello Stato dei Romani; non mancò un carattere sociale, poiché spesso furono gli strati sociali inferiori della popolazione ad opporre contro Roma una resistenza violenta.

Il quarto tipo di conflitti della tarda repubblica furono quei contrasti e quelle lotte che si svolsero all'interno del corpo cittadino romano tra differenti gruppi di interesse. Nel periodo dei Gracchi, i motivi sociali furono predominanti. La richiesta centrale era la soluzione dei problemi sociali delle masse proletarie di Roma. Questi due gruppi furono designati come populares e optimates. Questi conflitti furono contrasti politici, condotti nell'ambito delle istituzioni politiche e con mezzi politici ed in cui fu in gioco anche il potere politico dello Stato. I fronti sociali in questi conflitti non furono del tutto chiari e l'eterogeneità sociale crebbe nel corso del tempo. Il contenuto sociale fu relegato in secondo piano, mentre aumentò l'importanza della questione del potere politico.

A partire dagli anni '80 e '70 di questo secolo, gli altri conflitti si placarono. Il problema fu soltanto il potere nello Stato. La conseguenza dei conflitti fu il cambiamento non della struttura della società romana, ma della forma di Stato da quest'ultima sostenuta.


le rivolte degli schiavi, dei provinciali e degli italici

Mai, nel corso di tutta la storia antica, i contrasti tra gli schiavi ed i loro padroni si espressero nella stessa misura e con la stessa violenza come nei movimenti servili dell'ultimo terzo del II e del primo terzo del I secolo a.C., che cominciarono con la rivolta degli schiavi siciliani e finirono con la ribellione di Spartaco. Diodoro Siculo ne mise in rilievo le cause nella descrizione dello sfondo storico della prima rivolta servile siciliana. Queste rivolte erano il prodotto dello sviluppo della schiavitù romana a partire dalla Seconda Guerra Punica.

Non si arrivò ad un movimento rivoluzionario unitario: mancava un'ideologia rivoluzionaria unitaria e le possibilità di comunicazione tra gli schiavi erano limitate. Gli interessi e gli obiettivi dei singoli gruppi di schiavi erano differenti: gli obiettivi politici andavano dalla costituzione di uno Stato autonomo all'interno del mondo romano fino al rimpatrio degli schiavi nelle loro terre d'origine. Le rivolte servili, dunque, poterono scoppiare solo isolate l'una dall'altra nello spazio e nel tempo.

La prima guerra servile ebbe luogo in Sicilia, nel 135-132 a.C. Partì da gruppi minori di schiavi, tra i quali erano presenti pastori armati, che formarono bande incontrollate di briganti. S'impossessarono di Enna e proclamarono re il loro capo, Euno. Dopo che ai rivoltosi fu unito un altro gruppo di schiavi ribelli, sotto la guida del cilicio Cleone, i seguaci di Euno conseguirono notevoli successi e furono sconfitti solo dopo una guerra piuttosto lunga.

Nel 133-129 a.C., nella zona occidentale dell'Asia Minore, scoppiò la rivolta di Aristonico: questo lio illegittimo del penultimo sovrano di Pergamo rivendicò la signoria su questo Stato che, per testamento, era stato lasciato ai Romani: egli mobilitò gli schiavi ed i contadini poveri e poté essere battuto solo dopo una guerra lunga e sanguinosa.

Scoppiarono sommosse tra gli schiavi nell'Italia meridionale, a Nocera ed a Capua; un'altra rivolta ebbe origine perché un cavaliere romano di nome Tito Vettio armò i propri schiavi contro i suoi creditori.

Dopo queste rivolte, si giunse alla seconda guerra servile siciliana, nel 104-101 a.C.: nella situazione di crisi della politica estera, provocata dalla guerra contro i Cimbri, il senato decretò che i cittadini deportati ed asserviti, originari degli Stati alleati di Roma, fossero rimessi a piede libero, ma in Sicilia i proprietari di schiavi sabotarono l'attuazione di questo provvedimento. Nell'isola scoppiò una guerra servile. La rivolta prese le mosse da due gruppi di schiavi, che si formarono attorno al siriaco Salvio ed al cilicio Atenione; fu necessaria una dura guerra prima che i Romani fossero padroni della situazione in Sicilia.

Il movimento guidato in Italia dal gladiatore trace Spartaco, tra il 74 ed il 71 a.C., scoppiò una generazione più tardi. La rivolta nacque da un complotto di gladiatori a Capua, la cui resistenza fu possibile spezzare solo dopo una lunga guerra, nella quale Roma, sotto il comando di Marco Licinio Crasso, dovette impiegare contro gli schiavi otto legioni.

I singoli movimenti servili erano uniti da una serie di elementi strutturali comuni che rispecchiavano la natura di questi conflitti. I movimenti prendevano le mosse da singoli gruppi servili più ristretti, che erano difficilmente controllabili e disponevano di armi; dopo i primi successi, queste rivolte crescevano in movimenti di massa. Le masse ribelli si organizzavano agli ordini di capi capaci, la cui autorità veniva riconosciuta o in considerazione delle loro capacità organizzative e militari, o del loro carisma. Il loro obiettivo era o la fondazione di un proprio Stato o, come nel caso di Spartaco, l'evasione dall'Italia verso la Gallia e la Tracia. I ribelli non abolirono l'istituto della schiavitù, ma rovesciarono soltanto le parti. Questa è la ragione per la quale questi movimenti non erano adatti a cambiare la struttura della società romana; senza appoggio da parte di altri gruppi sociali, senza un'organizzazione rivoluzionaria unitaria e senza un programma rivoluzionario, essi erano votati al fallimento.

Le conseguenze storiche delle guerre servili non furono decisive per la successiva storia di Roma. Nei circoli dei proprietari di schiavi cominciò a diffondersi l'idea che il trattamento brutale e lo sfruttamento degli schiavi erano una forma di economia servile inadeguata per motivi tanto politici quanto economici. La condizione degli schiavi cominciò a migliorare dopo la sollevazione di Spartaco. Molti schiavi furono pronti a seguire i politici, che promettevano loro libertà e benessere. Le conseguenze delle rivolte servili per la società romana non furono diverse da quelle degli altri conflitti della tarda repubblica.

A conseguenze simili a quelle delle guerre servili portarono i conflitti tra la popolazione oppressa delle province e coloro che beneficiavano del dominio romano. L'opposizione dei provinciali poteva essere collegata con una sollevazione servile: la rivolta di Aristonico fu una sollevazione servile, ma, nello stesso tempo, fu un'insurrezione degli strati più poveri della popolazione contadina dell'Asia Minore occidentale. Quarant'anni dopo, nell'Asia Minore occidentale ed in Grecia si verificò un altro movimento di massa anti-romano; questo poté scoppiare con l'aiuto straniero, grazie all'attacco del re del Ponto, Mitridate, contro i territori sotto l'influenza romana. I sostenitori di tale rivolta furono gli strati sociali inferiori della popolazione libera, il cui odio era indirizzato contro i commercianti, gli imprenditori e gli esattori delle tasse dell'ordine equestre.

Movimenti di questo genere non produssero alcun cambiamento strutturale nel sistema sociale romano, poiché miravano non alla trasformazione dei questo ordinamento sociale dall'interno, ma alla caduta del dominio dello Stato romano. Fallirono come le rivolte servili. Tali conflitti contribuirono ad una mitigazione della brutale oppressione delle province e portarono al convincimento che gli strati sociali superiori locali potevano essere inseriti nel sistema di dominio di Roma, con la concessione della cittadinanza e di altri privilegi, a sostegno dell'ordinamento politico e sociale romano.

Le tensioni tra Romani e Italici aumentarono a partire dalla metà del II secolo a.C. Queste provocarono, nel 125 a.C., una rivolta a Fregelle, dopo che il console Marco Fulvio Flacco aveva perseguito un'estensione della cittadinanza. Dopo i tentativi di riforma di Caio Sempronio Gracco e di Lucio Appuleio Saturnino, il programma riformatore del tribuno della plebe Marco Livio Druso dovette naufragare contro l'opposizione dell'oligarchia: la tensione si trasformò nella sollevazione degli alleati italici contro Roma (bellum sociale) che, dal 91 all'89 a.C., trasformò l'Italia in un campo di battaglia.

I rivoltosi erano interessati al conseguimento della cittadinanza romana, e alla lotta contro Roma presero parte anche gli strati sociali superiori degli Italici. Per le masse della popolazione italica, tuttavia, era in gioco anche la risoluzione di problemi sociali. Roma riuscì a scongere i rivoltosi, ma solo dopo che, nel 90 a.C., con la lex Iulia, la cittadinanza romana fu estesa a tutti gli Italici che si erano mantenuti fedeli a Roma, e nell'89 a.C., con la lex Plautia Papiria, anche a quei ribelli che si arrendevano; i ribelli poterono raggiungere il proprio obiettivo politico, mentre i movimenti servili e le rivolte nelle province avevano fallito. L'ordinamento sociale esistente fu rafforzato, perché gli strati sociali superiori degli Italici erano diventati beneficiari del sistema di dominio romano. I nuovi cittadini di stirpe italica facevano parte dell'assemblea popolare, ma erano discriminati, perché potevano essere iscritti soltanto in otto tribù elettorali e, nelle guerre civili, molti di loro furono perseguitati ed uccisi dalla reazione oligarchica. Dopo che, nel 49 a.C., anche la popolazione dell'Italia settentrionale ottenne la cittadinanza romana, il cuore dell'imperium Romanum non fu più soltanto Roma, ma tota Italia.


i conflitti principali della tarda repubblica ed il loro contesto sociale

I conflitti più importanti nella società romana durante la tarda repubblica si verificarono tra le fazioni politiche del corpo cittadino romano e condussero dal movimento dei Gracchi alle guerre civili della declinante repubblica. La violenza di questi conflitti andò aumentando durante gli ultimi cento anni della repubblica: essi cominciarono con l'assassinio di Tiberio Sempronio Gracco, il primo spargimento di sangue nell'assemblea popolare romana, cosa che inaugurò l'era della continua esplosione di scontri che furono sempre più frequentemente armati; questi degenerarono in guerre civili, che terminarono con il sorgere della monarchia. In questi contrasti, il contenuto sociale fu sempre più decisamente sostituito da quello politico, con la conseguenza che la catena di questi conflitti modificò soltanto la cornice politica dell'ordinamento sociale romano e non l'ordinamento stesso.

Le cause degli scontri all'interno del corpo cittadino romano stavano nella trasformazione strutturale che si verificò nella società romana a partire dal periodo annibalico. Si trattava di tensioni all'interno dell'aristocrazia senatoria, tra le fazioni della nobiltà dominante, appoggiate da vaste masse di clienti, tra l'aristocrazia senatoria e l'ordine equestre di nuova formazione con i ricchi imprenditori ed appaltatori nelle proprie file, e tra i dominatori nello Stato romano e le masse del proletariato affollatosi a Roma, tra i ricchi proprietari terrieri ed i contadini poveri. Negli anni '30 del II secolo a.C., queste tensioni raggiunsero un livello preoccupante, spingendo a tentare le riforme. Il tentativo fu iniziato nel campo agrario, poiché l'impoverimento di molti contadini metteva in questione il reclutamento continuo dell'esercito romano e perché il pericolo politico più evidente stava nella scontentezza delle masse proletarie confluite a Roma. Il fallimento del primo tentativo riformatore condusse all'inasprimento di altre tensioni sociali e lo scontro sui problemi sociali provocò un conflitto tra gruppi di interessi politici.

Nel 133 a.C., spinto dalla preoccupazione del reclutamento dell'esercito romano, il tribuno della plebe Tiberio Sempronio Gracco, discendente di Scipione Africano e cognato di Scipione Emiliano, fece approvare nell'assemblea popolare una legge agraria che mirava alla rivitalizzazione dello strato contadino romano. Ricorrendo alle leggi Licinie-Sestie, fu previsto che nessuno potesse disporre di un possedimento superiore a 500 iugeri di ager publicus, ma che questi fondi diventassero proprietà di coloro che li avevano occupati fino ad allora. Le terre, rese libere, dovevano essere divise tra i contadini poveri in lotti di 30 iugeri, ma dovevano rimanere proprietà statale e non potevano essere acquistate. All'attuazione della riforma doveva pensare una commissione di tre membri, composta dal tribuno, da suo suocero, Appio Claudio Pulcro, e da suo fratello, Caio Gracco. Quando Tiberio Gracco tentò di farsi eleggere tribuno della plebe anche per l'anno successivo, i suoi oppositori organizzarono una rissa di massa, nella quale furono uccisi il tribuno e molti suoi seguaci. Il fallimento di questo primo tentativo di riforma non evitò il ripetersi di simili tentativi.

La ura di Tiberio Sempronio Gracco da una parte diventò un simbolo della politica "popolare", aperta alle riforme e favorevole al popolo, dall'altra, per i sostenitori dei privilegi dell'oligarchia, che si designarono come "ottimati", divenne il prototipo dell'agitatore. Episodi simili, dopo il tribunato di Marco Livio Druso, nel 91 a.C., si trasformarono in guerre civili.

La seconda fase del conflitto cominciò con il tribunato della plebe di Caio Sempronio Gracco, negli anni 123 e 122 a.C., dopo che il tentativo di riforma di Marco Fulvio Flacco a favore degli italici era fallito, nel 125 a.C. Fece varare una legge, in base alla quale un cittadino romano poteva essere condannato a morte soltanto dal popolo. Rinnovò l'appalto delle imposte ai publicani dell'ordine equestre nella provincia d'Asia; trasferì ai cavalieri il compito di condurre i processi relativi a casi di abuso di potere da parte dei senatori. Questa riforma significò la politicizzazione dell'ordine equestre. Conseguenze ebbe anche il provvedimento di Caio Gracco di concedere grano a basso prezzo al popolo di Roma; i suoi provvedimenti per il miglioramento della rete viaria della penisola e per l'istituzione di depositi di grano servirono al migliore sostentamento della plebe urbana di Roma.

Si pose mano alla realizzazione della riforma agraria di Tiberio Gracco, ma con risultati modesti; data la scarsità di terreni nell'Italia centrale si tentò di provvedere terre alle masse popolari con fondazioni coloniali in Africa, ma questo tentativo fallì. Senza successo rimase il programma di concedere ai Latini la cittadinanza romana ed ai socii il diritto di voto nell'assemblea popolare. Questo programma riformatore mobilitò la reazione e, nel 121 a.C., Caio Gracco morì. L'attuazione della riforma agraria fu continuata con scarso entusiasmo, finché, nel 111 a.C., una nuova lex agraria abolì la regolamentazione del canone d'affitto introdotto da Tiberio Gracco; fu distrutto, dunque, il principale obiettivo del programma riformatore, quello di assicurare l'esistenza economica dei contadini proteggendo i loro lotti dall'acquisto da parte dei ricchi.

Negli anni 104-100 a.C., fu console un homo novus antiaristocratico, nella persona di Caio Mario. Il vero capo dei riformatori fu Lucio Appuleio Saturnino, tribuno della plebe nel 103 e nel 100 a.C. I temi della politica "popolare" furono la risoluzione della questione agraria, la distribuzione di grano ai poveri e provvedimenti a favore degli alleati italici. Il problema principale fu il sostentamento dei veterani di Mario, con l'assegnazione di terre e con la colonizzazione nelle province: dovettero essere creati nuovi insediamenti contadini, cosa che in Italia non era più possibile. I popolari fecero ora ricorso alla demagogia ed al terrore, il che spinse i loro alleati naturali, i cavalieri, dalla parte della reazione senatoria. Nel 100 a.C., fu dichiarato lo stato d'emergenza della repubblica, che Mario, come console, dovette difendere contro i propri partigiani.

Non furono visibili le conseguenze derivanti dal più importante provvedimento di Mario, la riforma dell'esercito: mentre fino ad allora l'esercito veniva reclutato tra i possidenti, che dovevano provvedere anche al proprio equigiamento, Mario completò i ranghi dell'esercito con proletari nullatenenti (capite censi), equigiati dallo Stato. Con questa riforma furono gettate le basi per la risoluzione di conflitti tramite il ricorso alle guerre civili con eserciti regolari. Fu riaccesa la questione agraria, poiché l'obiettivo dei nuovi soldati consisteva nell'essere ricompensati con terra dopo il servizio militare; le masse proletarie insoddisfatte furono allontanate da Roma, ma potevano far valere i propri diritti con la forza delle armi. Nacquero legami tra i capi politici ed i soldati: questi comandanti potevano garantire con i loro patrimoni che i soldati ricevessero regolarmente il soldo e soltanto il loro impegno politico poteva assicurare che i soldati, al momento del congedo, ottenessero terre.

Dopo la caduta di Lucio Appuleio Saturnino, il conflitto entrò, nel 91 a.C., in una fase nuova e decisiva, quando il tribuno Marco Livio Druso intraprese un tentativo per la soluzione dei problemi. Il programma di Druso interessava tutti gli strati sociali impegnati nel conflitto. Agli alleati italici, promise la cittadinanza romana, ai proletari la soluzione della questione agraria, ai cavalieri l'accesso alle cariche senatorie, ai senatori la partecipazione alle giurie. Druso, tuttavia, cadde vittima della reazione. Dopo il suo assassinio, seguì la degenerazione del conflitto in un contrasto politico e militare permanente tra i gruppi d'interesse in lotta fra loro. La guerra sociale, del 91-89 a.C., era una guerra civile, in cui gli ottimati ed i popolari furono costretti a difendere in comune gli interessi calpestati dal sistema di dominio romano. Subito dopo, cominciò la guerra civile tra ottimati e popolari.

I popolari si raccolsero attorno al tribuno della plebe dell'88 a.C., Publio Sulpicio Rufo, attorno a Mario e attorno al console dell'87 a.C., Lucio Cornelio Cinna; gli ottimati puntarono su Cornelio Silla. Il colpo decisivo lo dettero le armate che appoggiavano le singole fazioni politiche. Gli ottimati uscirono vittoriosi dalla guerra civile: Silla fece giustiziare in massa i suoi avversari ed assunse pieni poteri come dittatore dall'82 al 79 a.C., per rendere sicuro il regime oligarchico con drastiche misure di riforma. Le sue leggi mirarono alla restaurazione del dominio senatorio: il senato fu allargato con l'immissione di 300 nuovi esponenti dell'ordine equestre; le cariche senatorie e la carriera amministrativa furono legate all'approvazione del senato; i poteri dei tribuni della plebe vennero limitati; le decisioni in materia criminale furono restituite al senato; per evitare il sorgere di una potenza militare in Italia, il potere militare non fu più assegnato ai consoli ed ai pretori in carica, ma ai proconsoli ed ai propretori. Parecchi fondamenti della repubblica aristocratica furono minati, ed il potere assoluto di Silla rappresentò il primo passo dello Stato romano sulla strada verso la monarchia.

Una soluzione duratura non poteva venire da questo sistema costituzionale che voleva salvare la posizione dirigente dell'oligarchia in rovina. Dal tempo della guerra civile tra Mario e Silla, si delineò la sola possibilità di soluzione duratura della crisi, cioè il potere monarchico dei capi delle fazioni politiche con eserciti propri. Quando, nel 70 a.C., i provvedimenti di Silla a favore dell'egemonia senatoria furono revocati con una riforma giudiziaria e con l'eliminazione delle restrizioni relative al tribunato della plebe, non si poté parlare di una restaurazione dell'antica repubblica. Gli incarichi dei tribunali furono divisi tra senatori e cavalieri (ed un terzo gruppo di ricchi, i tribuni aerarii), ed i tribuni della plebe furono influenti solo come agenti dei titolari di poteri eccezionali.

Nei primi due decenni dopo la disgregazione del sistema sillano, si ebbe l'ascesa di due uomini politici dei popolari: Gneo Pompeo, che si distinse per la sua vittoria in Oriente, tra il 67 ed il 63 a.C., e Caio Giulio Cesare, che si guadagnò la gloria militare con la sottomissione della Gallia a partire dal 58 a.C. La guerra civile tra questi due rivali (dal 49 a.C.) era una lotta relativa alla forma dello Stato, in quanto Pompeo si era schierato dalla parte del senato; il potere assoluto di Cesare, che fu il risultato di questa guerra, significò la vittoria della monarchia sulla repubblica. Questa vittoria non fu più revocabile nemmeno con l'assassinio di Cesare, nel 44 a.C.: con la sconfitta degli assassini di Cesare, per mano di Marco Antonio ed Ottaviano, la repubblica cadde, nel 42 a.C. Dopo l'eliminazione dei personaggi di secondo piano, dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) e la morte di Antonio (30 a.C.) restò vincitore il futuro Augusto.

I conflitti tra i gruppi d'interesse nel corpo cittadino divamparono nei momenti in cui lo Stato romano si trovava in particolari difficoltà. Tali debolezze del sistema oligarchico misero i capi dei popolari in condizione di tentare una politica di riforme. Tiberio Gracco cominciò la sua opera di riforma dopo le sconfitte romane in Sna, in un momento in cui la prima rivolta servile siciliana era già in svolgimento, e la sollevazione di Aristonico era agli inizi. Suo fratello entrò in scena poco dopo la prima rivolta degli alleati italici a Fregelle. Mario e Saturnino sfruttarono l'impotenza della nobiltà nella conduzione della guerra contro Giugurta in Africa e le conseguenze della guerra contro i Cimbri ed i Teutoni, oltre alla situazione del sistema oligarchico creatasi con la seconda rivolta servile in Sicilia. Marco Livio Druso tentò di sfruttare una situazione tesa per scandali di politica interna. L'attività più violenta della politica popolare prese avvio in un momento in cui la guerra sociale era appena conclusa e, in Oriente, Mitridate, appoggiato dai provinciali ribelli, iniziava l'attacco contro le province romane. Lo scioglimento del sistema costituzionale sillano coincise con la rivolta di Spartaco.

I diversi conflitti all'interno della società romana durante la tarda repubblica non si collegavano tra loro: né le guerre servili, né le rivolte nelle province, né i movimenti dei socii contro Roma furono attuati in alleanza. Gli interessi degli schiavi ribelli e del movimento popolare erano differenti. Anche tra i popolari ed i provinciali in lotta contro il dominio romano non poteva esserci alcuna alleanza. Ci furono rapporti tra i popolari ed i socii italici. Nella guerra sociale, ottimati e popolari combatterono insieme contro gli Italici ribelli: non appena un movimento politico o sociale voleva mettere in discussione il sistema di dominio romano, a Roma esso veniva respinto unitariamente dai diversi gruppi politici. Nei conflitti non si contrapposero schieramenti sociali formati da oppressori ed oppressi ed i risultati di tali conflitti non furono quelli di un cambiamento violento dell'ordinamento sociale.

Appiano rileva che, al tempo di Tiberio Sempronio Gracco, gli schieramenti erano costituiti dai ricchi proprietari terrieri da una parte e dai poveri dall'altra, e che i gruppi della popolazione restante si associavano all'uno o all'altro di questi schieramenti in relazione ai propri interessi. Cicerone pensa che, dal tempo dei Gracchi, la società romana era divisa in due schieramenti, in modo tale che si sarebbe potuto parlare di "duo senatus et duo paene iam populi". A partire dalla guerra civile tra Mario e Silla, il conflitto si trasformò in una lotta di gruppi d'interesse politici molto eterogenei tra loro contrapposti, la cui composizione poteva cambiare secondo gli interessi del momento dei singoli uomini politici e della fazioni.

Non solo i capi degli ottimati, ma anche quelli dei popolari erano sempre senatori, uomini che cercavano di realizzare i propri interessi nella lotta all'oligarchia. La loro origine e le loro motivazioni personali potevano essere molto differenti: molti provenivano dall'alta aristocrazia; altri erano accaniti avversari dell'alta aristocrazia, provenienti dalla cerchia degli homines novi; alcuni furono guidati da motivazioni disinteressate, altri erano imbroglioni; alcuni avevano dovuto sopportare pesanti sconfitte politiche e moltissimi avevano pesanti debiti. I capi dei popolari provenivano dall'aristocrazia senatoria ed esistevano molti altri senatori che appoggiavano la causa dei popolari. Dopo Silla, la presa di posizione dei senatori fu ancora più volubile.

Anche altri strati sociali non si comportarono in maniera coerente. Nel 133 a.C., una parte dei cavalieri appoggiò l'oligarchia ed una parte Tiberio Sempronio Gracco. Un decennio più tardi, essi furono mobilitati contro il senato da Caio Gracco, con l'istituzione dei tribunali equestri, ma ciò non impedì loro di prendere parte, nel 121 a.C., alla distruzione del movimento graccano. In seguito, si ebbero continui conflitti tra i cavalieri ed i senatori, ma fu la concordia ordinum, l'accordo tra l'ordine senatorio e quello equestre, che Cicerone affermò essere il fondamento della repubblica romana. Le masse del proletariato urbano potevano essere manipolate dall'agitazione demagogica e dalle donazioni, e di questo metodo fecero largo uso i popolari. Anche gli ottimati potevano mobilitare le masse a proprio vantaggio. I veterani appoggiarono sempre il loro antico generale: essi costituirono la spina dorsale di tutti i movimenti politici che si formavano attorno a singoli leaders.

Tiberio Sempronio Gracco aspirava ad una riforma sociale a favore dei contadini poveri e dei proletari con mezzi politici. Suo fratello perseguì questo obiettivo, ma introdusse nel conflitto anche l'ordine equestre e gli alleati italici, e pose nuovi obiettivi politici. A partire dal passaggio tra II e I secolo a.C., il motivo determinante fu il problema costituzionale; la questione agraria e la frumentatio divennero un pretesto nella lotta dei politici per il potere nello Stato. I popolari utilizzarono gli istituti del tribunato della plebe e dell'assemblea popolare come strumento ed ambiente della lotta; gli atti di forza politici furono compiuti per mezzo della demagogia, di violazioni costituzionali, di tumulti, di assassini politici e dell'annientamento di avversari politici sconfitti.

A partire dagli anni '80 del I secolo a.C., i popolari mobilitarono armate ed istituirono a Roma un duro regime politico. La reazione oligarchica si era accontentata di perseguitare i popolari più attivi, ma non osò revocare le leggi di riforma strappate con la forza e si cullò nell'illusione che le cose darebbero tornate in ordine da sole; la dittatura di Silla fu un tentativo di repressione totale, non senza una serie di notevoli riforme politiche. Nuove furono le guerre civili: si contrapponevano eserciti regolari, le operazioni di guerra coinvolgevano tutto l'imperium Romanum, gli avversari politici venivano uccisi in massa.


le conseguenze della crisi per la società romana

Il sistema sociale non subì mutamenti radicali, ma solo modificazioni; cambiò soltanto il sistema politico che teneva unita la società romana. I fondamenti economici dell'ordinamento sociale rimasero gli stessi che esistevano a partire dal tempo della Seconda Guerra Punica. La vita economica si basò sulla produzione agraria, praticata nelle grandi proprietà terriere; tuttavia, avevano un ruolo importante anche la produzione artigiana ed il commercio, collegato con l'attività imprenditoriale, con gli scambi con l'estero, con l'economia monetaria e con l'industria mineraria.

L'espansione fu proseguita con la conquista della Siria da parte di Pompeo, con quella della Gallia da parte di Cesare e con l'ulteriore estendersi della dominazione romana in Sna, nella penisola balcanica ed in Asia Minore.

Il modello di una società dominata dagli strati sociali superiori, molto esigui e con le caratteristiche di un ordine, rimase intatto. Il mos maiorum non era più un sistema di valori comune, ma la maggior parte dei pensatori del tempo deplorava la distruzione di tale sistema di valori: le tendenze spirituali ed intellettuali dominanti miravano ad un suo rinnovamento e non ad una sua sostituzione. Completamente distrutti furono i legami che avevano permesso di tenere unita la società romana in un sistema politico, cioè la forma statale repubblicana con le sue istituzioni; tuttavia, negli ultimi decenni della repubblica, si profilava la soluzione che prometteva di rendere sicuro il vecchio sistema sociale grazie ad un nuovo quadro politico, la monarchia.

I criteri che determinarono le singole posizioni all'interno della società e la stratificazione sociale della tarda repubblica formavano un sistema complicato, in cui confluivano origine sociale, ambizioni e capacità personali, proprietà terriera e possibilità finanziarie, privilegi politici e formazione politica, cittadinanza o assenza di diritti, libertà personale o condizione servile, appartenenza etnica o regionale, attività economica urbana o in settori produttivi rurali; i fattori conferivano ai singoli la dignitas, necessaria per una posizione sociale migliore ed il cui contenuto sociale è definito da Cicerone. Questi fattori poterono influire in forma e misura diverse. Chi discendeva da una famiglia aristocratica era privilegiato per le iniziative politiche. Gli homines novi non ottennero l'equiparazione dei diritti con i nobiles nell'accesso alle magistrature superiori; tuttavia, la capacità personale e le ambizioni degli "uomini nuovi" poterono farsi valere molto più che nel secolo precedente a Mario.

Esisteva la possibilità che persone abili e senza scrupoli potessero guadagnare ricchezze: non solo i guadagni imprenditoriali e la continua espansione aiutarono questo fenomeno, ma vi contribuirono anche i sovvertimenti politici, con la conseguenza che famiglie eminenti furono sterminate e patrimoni enormi furono confiscati. Non c'erano soltanto senatori, ma anche cavalieri ricchi. Anche uomini di più bassa estrazione potevano sfruttare le occasioni offerte dalle guerre civili: i liberti ebbero la possibilità di guadagnarsi influenza e potere politico non soltanto con il denaro, ma anche grazie alle loro buone relazioni con potenti patroni.

Esperienza politica, abilità nel trattare con le masse e qualità militari potevano consentire carriere straordinarie. Il possesso della cittadinanza consentiva di ricevere donazioni, di essere politicamente corteggiati, di entrare nell'esercito.

Nel periodo degli aperti conflitti era possibile non solo guadagnare molto rapidamente ricchezze e posizioni, ma anche perderle. La maggior parte degli strati sociali fu decimata; in tutti gli strati della società, tuttavia, subentrarono continuamente nuovi gruppi. I cambiamenti nella composizione dei singoli strati sociali, determinati da questa fluttuazione, furono le conseguenze di natura sociale più importanti per la società romana derivanti dai conflitti della tarda repubblica. Anche la composizione dello strato sociale superiore delle città dell'Italia e delle province era mutata. La causa fu l'insediamento di veterani: questi ex soldati, ottenendo terreno coltivabile sul territorio delle colonie, formarono lo strato sociale superiore di queste città. Anche nei municipi, arrampicatori sociali entrarono nelle élites locali.

Anche proletari di Roma furono insediati in colonie. Lo strato sociale rappresentato da questi proletari, tuttavia, fu continuamente integrato dall'affluenza di nuovi gruppi e dalle manomissioni, durante l'ultimo secolo della repubblica. I numerosi liberti furono rimpiazzati da nuovi schiavi.

La società romana della tarda repubblica era permanentemente in movimento, dal momento che la composizione dei suoi strati sociali mutava continuamente. In numerose parti dell'imperium Romanum, venne gettata la base per un'integrazione della società in un ordinamento sociale unitario e per la formazione di uno strato sociale superiore costituito secondo criteri omogenei. Gli Italici furono integrati nel sistema sociale romano. Anche nelle province si fecero i primi passi verso l'integrazione. Una via fu la colonizzazione italica nelle province; l'altra fu la concessione della cittadinanza ai membri degli strati sociali superiori locali nelle province. I nuovi cittadini delle province potevano essere ammessi nell'ordine equestre e nel senato.

Questo sviluppo si attuò nel quadro della stratificazione sociale prodottasi già nel II secolo a.C. e non dette origine ad un ordinamento sociale nuovo. Il vertice della società della tarda repubblica era l'aristocrazia senatoria, in cui facevano spicco la nobiltà ed alcuni arrampicatori sociali. La sua composizione era mutata ed il suo prestigio era decaduto; tuttavia, il potere politico ed economico era nelle mani dei suoi membri. Ai cavalieri spettò una posizione di primo piano, benché le posizioni dirigenti istituzionalizzate all'interno della struttura statale si aprissero loro soltanto con l'accesso al senato; essi detenevano un potere politico ed economico, che dava loro la possibilità di dominare lo Stato. Gli strati dirigenti della società romana furono riuniti in queste due organizzazioni corporative, dette ordines. Nelle élites locali si riunì la ricca borghesia dei proprietari terrieri delle città che, con la concessione della cittadinanza agli Italici, nel 90 a.C., cominciò ad assumere una forma omogenea, e cui si aggiunse anche lo strato sociale superiore delle colonie. Nelle città, al di sotto di questi strati sociali, c'erano liberti, artigiani, commercianti, proletari e schiavi; in camna c'erano contadini con una grande differenziazione al loro interno, e le masse degli schiavi impegnati nelle proprietà terriere.

Questo ordinamento sociale fu carico di tensioni, che portarono allo scoppio di aperti conflitti. La repubblica poté risolvere soltanto alcuni problemi sociali. Fu risolta soltanto la questione degli Italici, mediante una concessione che fu fatta solo dopo una guerra sanguinosa. L'oppressione dei provinciali diminuì ed anche gli schiavi furono trattati meglio. Varrone raccomandava di spronarli a migliori rendimenti lavorativi non con un brutale sfruttamento, ma con agevolazioni e ricompense. Le province erano praedia populi Romani, e Cicerone considerava barbari i Galli della Narbonense; Varrone non nascondeva di considerare gli schiavi soltanto come forza-lavoro e non come uomini. La divisione tra i beneficiari del sistema di dominio romano e gli oppressi fu ridotta ma non eliminata. La questione agraria e la concessione di terre ai proletari si avvicinarono ad una soluzione con la colonizzazione nelle province e con la redistribuzione delle terre in Italia dopo le guerre civili. Simile fu l'esito dei conflitti all'interno degli strati dirigenti della società romana: invece che ad una reale soluzione dei contrasti, i conflitti portarono a ripetuti massacri reciproci. La tarda repubblica fu capace soltanto di scansare i suoi problemi più gravi grazie all'abolizione del suo ordinamento politico tradizionale e di affidare la soluzione definitiva dei problemi ad un nuovo sistema politico.

La società romana, durante la tarda repubblica, non fu in grado di trovare ideali. L'orizzonte ideologico e morale del mos maiorum andò perduto. Le cause della crisi risiedevano nell'insufficienza della costituzione della città-stato e nella trasformazione dei rapporti sociali; tuttavia, Sallustio valuta l'importanza della perdita delle antiche regole etiche, poiché con esse sve il sistema di valori della società romana. La repubblica non poteva nemmeno sostituire il mos maiorum con un nuovo sistema ideologico ed etico. La sola norma d'orientamento riconosciuta rimasero i costumi degli antenati, che avevano permesso di creare la migliore forma di Stato nella storia: il solo cammino possibile verso il futuro consisteva nel rinnovamento dell'antica tradizione in una forma adeguata ai tempi e in un suo legame con le acquisizioni della filosofia greca.

Nei conflitti della tarda repubblica andò perduto l'ordinamento politico tradizionale della società romana. I contrasti militari e politici tra i gruppi d'interesse del corpo cittadino romano mandarono in rovina il regime repubblicano, che si basava sulla collaborazione di magistrati ed assemblea popolare sotto l'autorità direttiva del senato e dell'oligarchia. L'imperium Romanum, che si estendeva dalla Gallia alla Siria, non poteva più essere tenuto insieme e governato nel quadro dell'antico sistema politico. Cicerone non era contrario all'idea di una sostituzione dell'oligarchia con il potere assoluto e la generazione successiva non conobbe alternative: la strada portava alla monarchia. Che personalità di successo potessero acquistare una preminenza all'interno dell'oligarchia lo aveva mostrato l'esempio degli Scipioni. Dai Gracchi, gli scontri politici offrirono l'occasione perché singoli aristocratici, a capo di masse insoddisfatte, si rivoltassero contro il regime oligarchico; i popolari, ma anche gli ottimati, si riunirono attorno a singole personalità politiche, che si presentavano come capi di un gruppo d'interessi. Con la riforma dell'esercito attuata da Mario, questi capi disponevano di uno strumento di potere, un esercito proletario, loro strettamente e personalmente legato; le guerre e le vittorie esterne offrirono l'occasione di tenere addestrato l'esercito, di far partecipare i soldati al bottino e di incrementare la dignitas dei capi grazie alla gloria militare. La monarchia di Augusto dette alla società romana quel quadro politico e quell'orientamento spirituale ed intellettuale che aveva cercato.




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