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LA CRISI DELL'IMPERO ROMANO E LA TRASFORMAZIONE DELLA STRUTTURA SOCIALE - LA CRISI DELL'IMPERIUM ROMANUM E LA SOCIETÀ ROMANA, MUTAMENTI NEGLI S

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la crisi dell'impero romano e la trasformazione della struttura sociale


la crisi dell'imperium romanum e la società romana



Si può parlare di una crisi generale dell'Impero romano, i cui elementi costitutivi sono individuabili in tre fattori:

l'instabilità dell'ordinamento di Roma in vigore fino ad allora;

la trasformazione accelerata delle strutture alla base di questo ordinamento;

il riconoscimento che quest'epoca era contrassegnata da precarietà e cambiamento.

La crisi non cominciò ovunque nello stesso momento ed ebbe effetti differenti nelle diverse parti dell'Impero. In tutto l'Impero, tuttavia, si compì una trasformazione che interessò tutti i settori della vita e produsse profondi cambiamenti nella struttura della società romana. Questa trasformazione consistette non solo in una forte stratificazione della società, ma anche nella formazione di un nuovo modello sociale.

La crisi si manifestò nella maniera più chiara nella situazione catastrofica della politica estera dell'Impero. Dopo la pausa costituita dalla controffensiva di Marco Aurelio contro i Germani, la tempesta scoppiò a partire da Alessandro Severo e da Massimino il Trace, tanto con le aggressioni dei Germani e dei loro alleati ai confini del Reno e del Danubio, quanto con la politica espansionistica dell'Impero persiano, a spese delle province romane d'Oriente. La disfatta dell'imperatore Decio di fronte ai Goti, la cattura di Valeriano da parte dei Persiani, le invasioni barbariche sotto Gallieno e la penetrazione dei Germani in Italia sotto Aureliano, segnarono per Roma il punto più basso durante le guerre di difesa.

La situazione politica interna era ugualmente catastrofica. La rivendicazione di potere da parte degli imperatori fu spinta all'estremo. Nel nuovo sistema politico, il dominato, lo Stato si sviluppò in un'istituzione onnipotente che richiedeva ai sudditi una totale dedizione e li irrigimentava brutalmente. Tuttavia, il potere dei singoli sovrani divenne sempre più labile. Non ci fu imperatore che non fosse portato al trono con violenza, con rivolte militari o guerre civili e che non ne fosse rovesciato allo stesso modo. Questa instabilità della monarchia discendeva dall'egemonia dell'esercito.

Anche la vita economica dell'Impero versava in una profonda crisi: i generi alimentari scarseggiavano, i prezzi salivano, le miniere erano esaurite, le attività artigianali erano in declino; c'era mancanza di contadini per l'economia agricola. Il commercio fu interrotto nelle province di confine, teatro di guerre.

Grandi cambiamenti si verificarono nella struttura sociale. La posizione di forza e la condizione economica di singoli strati sociali privilegiati furono scosse; il sistema gerarchico degli ordini degli honestiores cominciò a vacillare. Gli strati bassi della popolazione soffrivano sotto una crescente oppressione. Il significato sociale delle differenze giuridiche tra i gruppi più bassi della popolazione diminuì fortemente: a partire da Caracalla, a tutti i cittadini "liberi" dell'Impero fu concessa la cittadinanza romana e non esistette più la funzione di divisione sociale di un privilegio personale in precedenza molto importante. Furono gettate le basi per la formazione di uno strato di humiliores di tipo nuovo. Da questi cambiamenti economici e sociali emersero nuove tensioni sociali e nuovi conflitti. Aumentava il vuoto ideologico e morale, in cui penetrarono nuove tendenze spirituali ed intellettuali, le religioni misteriche orientali, il cristianesimo, la filosofia neoplatonica.

La crisi maturò dietro le quinte della monarchia antoniniana. La crescente pressione dei barbari ai confini dell'Impero fu un fattore estremamente importante, ma fu soltanto una delle cause della crisi. La debolezza di Roma risaliva ai mutamenti all'interno dell'Impero, come il calo demografico a causa di epidemie. L'indebolimento dell'ordine dei decurioni fu una causa del declino delle città in varie parti dell'Impero, ma questo è un sintomo della crisi economica generale ed è una conseguenza della debolezza strutturale delle città, la cui prosperità economica era dovuta al temporaneo boom provocato dall'apertura delle province. La grande proprietà terriera significò, per molti proprietari medi, una pericolosa concorrenza; il declino della schiavitù e il legame delle masse contadine ai grandi proprietari terrieri, tramite il sistema del colonato, provocò ai proprietari medi una mancanza di forza-lavoro. Non si può separare la crisi degli ordini dei decurioni dalla trasformazione dell'Impero da principato a dominato, con la conseguenza che i governi imperiali ricorsero alle fonti economiche dei decurioni. A ciò si aggiungevano le distruzioni provocate dai barbari.

La crisi dell'imperium Romanum, dunque, è riconducibile ad un concorso di cause interne ed esterne.


mutamenti negli strati sociali superiori

Nessuno degli strati della società romana rimase immune dalla trasformazione durante il periodo di crisi. Non ci fu alcun cambiamento radicale nella composizione etnica dell'ordo senatorius, dopo la metà del II secolo. Il numero dei senatori di origine provinciale continuò ad aumentare, e furono rappresentati soprattutto gli Africani e l'aristocrazia delle province orientali. Tuttavia, anche nel III secolo, un terzo dei senatori era di origine italica. Le ure-guida dell'esercito non aspiravano all'ammissione nell'ordine senatorio; quindi non si arrivò ad alcun cambiamento cella composizione dell'ordine.

Anche la ricchezza e l'alto prestigio sociale dei senatori rimasero intatti. La principale fonte di ricchezza delle famiglie senatorie era la grande proprietà terriera. Dal momento che l'economia agraria fu colpita in minima parte dalla crisi economica, le basi della ricchezza dei senatori non furono scosse; poterono ingrandire i propri latifondi con l'acquisto di piccole e medie proprietà, i cui proprietari erano stati colpiti più fortemente da guerre, difficoltà di investimenti o catastrofi naturali. Il titolo dell'ordine, clarissimus, continuò a designare il più alto rango sociale dopo quello dell'imperatore.

Diversa era la situazione delle funzioni e del potere politico dell'ordine senatorio. I clarissimi persero quel potere di cui avevano goduto durante il Principato nei più importanti organi esecutivi del governo imperiale. Gli imperatori del periodo del dominato, infatti, dovettero tenere unito l'imperium Romanum con mezzi differenti da quelli dei precedenti sovrani. A questo fine furono necessari, da una parte, organi statali più efficienti del senato; d'altra parte, gli imperatori dovettero ricorrere ad una più vasta cerchia di persone, più qualificate. Si compì una trasformazione che portò alla depoliticizzazione dell'ordine senatorio, in due modi:

il senato fu escluso dalle decisioni politiche: al suo posto crebbe l'importanza del consilium imperiale e della burocrazia imperiale;

le cariche amministrative ed i comandi furono trasferiti ai cavalieri.

Il rapporto armonico tra imperatore e senato fu scosso sotto Commodo: tra questo imperatore e l'élite dell'ordine senatorio si venne a conflitti politici che costarono la vita a molti senatori. Dopo la caduta di Commodo e del suo successore, Pertinace, l'ordine senatorio si divise in singoli raggruppamenti politici che appoggiavano i vari pretendenti al trono.

Il senato fu preso sempre meno in considerazione per importanti decisioni. Massimino il Trace non fece sanzionare la sua proclamazione dal senato e non entrò nell'aula del senato e nella città di Roma durante il suo regno triennale. L'iniziativa politica fu nelle mani dell'esercito. I senatori furono rimossi dalle loro cariche più importanti. I cavalieri, grazie alla carriera militare, avevano più esperienza bellica di un senatore. Gli imperatori ricorsero all'ammissione di ufficiali equestri meritevoli nell'ordine senatorio ed al trasferimento ad essi dei comandi delle forze armate. La burocrazia imperiale, inoltre, aveva bisogno di personale specializzato per l'amministrazione civile; anche quest'ultimo era reperibile tra i cavalieri.

La carriera amministrativa dei senatori si ridusse a poche e basse cariche civili in Roma, al consolato, al governatorato di alcune province.

Il III secolo fu il periodo dell'ordine equestre romano: i cavalieri formarono lo strato sociale superiore più attivo, tanto militarmente quanto politicamente, ed il più importante sostegno dello Stato. Questa crescita di potere dell'ordine equestre era dovuta tanto alle qualità ed alle ambizioni dei suoi appartenenti quanto agli interessi dell'Impero. La promozione di questa cerchia di persone era nell'interesse degli imperatori, da una parte in considerazione dei crescenti compiti nella difesa e nell'amministrazione dell'Impero, dall'altra per costituire un corpo di sostenitori con la creazione di un'adeguata élite.

Dal momento che il fabbisogno da parte dello Stato romano di ufficiali ed amministratori specializzati crebbe, anche il numero dei cavalieri andò aumentando. Il numero dei provinciali dell'ordo equester aumentò consistentemente; tra i provinciali furono rappresentati gli abitanti delle province orientali, dell'Africa settentrionale e delle province danubiane. Con l'ascesa all'ordine equestre di molti soldati di bassa estrazione si verificò una ristrutturazione sociale; tuttavia, non si verificò una "barbarizzazione" dell'ordine equestre.

La condizione economica di questi cavalieri era ottima; molti provenivano da famiglie di grandi proprietari terrieri e la maggior parte investiva in terreni i propri alti stipendi.

I prefetti del pretorio erano eminentissimi, i più alti procuratori perfectissimi, gli appartenenti al livello inferiore al rango di procuratore egregii.

Questo processo non interessò l'intero ordine equestre; molti cavalieri dovevano l'appartenenza all'ordo equester al patrimonio minimo richiesto. Nel III secolo, le differenza sociali tra cavalieri impegnati politicamente o militarmente e cavalieri ordinari furono molto più grandi che durante il Principato e portarono ad una bipartizione dell'ordine equestre.

Nel III secolo, nell'ordo decurionum delle città vi furono uomini facoltosi e di prestigio. Tuttavia, la maggior parte dei decurioni erano molto meno ricchi. Ciò era dovuto alle debolezze economiche generali delle città. Dal momento che molti decurioni traevano profitto non solo dalla proprietà terriera, ma anche dall'artigianato e dal commercio, il declino di questi settori produttivi fu un colpo particolarmente duro. Mancanza di forza-lavoro, devastazioni dovute alle incursioni barbare e guerre civili produssero effetti gravi anche sulla produzione agricola delle proprietà municipali.

L'ordine dei decurioni rappresentò lo strato sociale la cui forza finanziaria era importante per le spese dello Stato romano. Ciò che il diritto romano prescriveva nel tardo Impero, in materia di obblighi (munera) dei decurioni delle città e dei titolari delle magistrature (honores), risaliva alle decisioni prese sotto Settimio Severo. Furono stabiliti gli obblighi dei componenti dell'ordo decurionum, di cui facevano parte l'approvvigionamento di generi alimentari e di acqua potabile per la città, il restauro delle strade, il riscaldamento dei bagni pubblici, l'organizzazione di giochi pubblici, l'avvocatura. Questi obblighi furono assegnati dallo Stato secondo regole stabilite: ciò significò la fine dell'iniziativa privata.

Neppure la decisione relativa all'ammissione di un individuo nell'ordo di una città fu lasciata al giudizio dei consigli della comunità e delle persone interessate. Il rango di decurione divenne ereditario. Gli honores civici divennero cariche obbligatorie che obbligavano ad altri munera, ed i decurioni consideravano i loro doveri come onera invita. Le molestie (vexationes), che i decurioni dovevano soffrire nell'impegno burocratico, e gli oneri finanziari avevano dissestato e rovinato questo strato sociale.

Quasi totalmente scomparso è un altro strato della popolazione urbana, attivo economicamente e molto ricco, quello dei ricchi liberti. Le corporazioni degli Augustali esistevano nelle colonie e nei municipi, nel III secolo, ma tra i loro componenti non vi erano più forze finanziarie.

Un destino simile attendeva un altro strato sociale ricco e influente durante il Principato, quello degli schiavi e dei liberti imperiali. I cambiamenti di vertice, infatti, provocarono una continua oscillazione nella composizione del personale di corte.

A questi cambiamenti nei più alti ranghi della piramide sociale si aggiunse il mutamento della posizione sociale dei militari. I soldati formavano un gruppo sociale omogeneo con influenza politica, prestigio, privilegi e con una posizione economica favorevole. I soldati si riunirono in associazioni (scholae o collegia); a ciò si aggiungevano i culti comuni dei soldati e la consapevolezza dell'importanza politica dell'esercito. Nelle province di confine, si sviluppò uno strato sociale indipendente costituito dai soldati e dai loro congiunti. I soldati, dopo il congedo, rimanevano nella vicinanze del luogo in cui avevano prestato servizio. Facevano parte dello strato sociale superiore negli insediamenti vicini agli accampamenti ausiliari e nelle città vicino ai campi delle legioni. Un ruolo ulteriore nel rafforzamento di questo strato sociale è rappresentato dall'ereditarietà della professione militare.

I vantaggi sociali consistevano in privilegi finanziari e fiscali. Ancora più importanti erano le donazioni, quando cambiava imperatore. A ciò si aggiungeva la possibilità di fare bottino ed il fatto che l'esercito riceveva viveri ed abbigliamento.


mutamenti negli strati sociali inferiori

Anche gli strati sociali inferiori della popolazione furono interessati dal processo di ristrutturazione sociale. Le vittime della crisi furono le masse lavoratrici tanto delle città quanto della camna. Nel III secolo, aumentò la miseria e l'oppressione degli strati inferiori della popolazione. La loro condizione era migliore nelle zone militari, dove traevano profitto dagli stretti rapporti con l'esercito; ma nella maggior parte delle zone dell'Impero, la situazione degli appartenenti agli strati sociali inferiori era pessima, ed il vasto strato degli humiliores andò assumendo una forma omogenea.

Dura era la repressione, necessaria per la salvaguardia delle prestazioni lavorative. A questo scopo, lo Stato impiegò un apparato di forze di sicurezza e di funzionari. Il potere dello Stato era presente ovunque. Le masse urbane erano raccolte obbligatoriamente in collegia, cosicché la loro attività poteva essere controllata e guidata.

Il fatto che uno fosse libero o non libero non valeva più come fattore decisivo della dipendenza sociale. Nel III secolo, il numero degli schiavi e dei liberti diminuì notevolmente. Le ragioni stavano, da una parte, nelle difficoltà di reclutamento di schiavi; dall'altra, nel fatto che lo sfruttamento di schiavi e liberti non si rivelò più redditizio nelle nuove condizioni economiche. La schiavitù non sparì; le differenziazioni giuridiche tra schiavi, liberti e liberi continuarono ad essere mantenute e formulate nel diritto romano. Tuttavia, lo sviluppo giuridico seguì la trasformazione sociale e consolidò le nuove forme di dipendenza.

Il declino di piccoli e medi proprietari, durante la crisi economica del III secolo, portò alla concentrazione della proprietà terriera, e la diffusione dell'economia latifondista provocò la proazione del colonato. Una grande parte delle norme del diritto romano che si riferiscono ai coloni nacque nel III secolo. Fu stabilito il modello secondo il quale un proprietario terriero ed un colonus dovevano concludere un contratto (locatio, conductio): il proprietario affittava il podere per cinque anni ed il colonus s'impegnava al amento annuale di una somma di denaro. ve la perpetua conductio, il vincolo a vita. Gli affittuari debitori furono trattenuti dai proprietari nella proprietà come forza-lavoro a basso prezzo. Si formò nelle camne un vasto strato popolare oppresso e poverissimo, omogeneo.




la trasformazione strutturale

I cambiamenti nella composizione e nella condizione della popolazione ebbero conseguenze importantissime per la struttura della società romana. La crisi del III secolo esercitò sulla struttura sociale dell'imperium Romanum un effetto più profondo di quello della crisi della repubblica romana. L'ordinamento sociale tradizionale si disgregò e prese forma un ordinamento nuovo.

Cambiarono i criteri della stratificazione sociale. Potere, ricchezza, prestigio ed appartenenza ad un ordo dirigente non stavano più in relazione come nella prima età imperiale. Notevole è la trasformazione di privilegi tradizionali in svantaggi sociali: il fatto che gli honores cittadini fossero diventati un peso contraddiceva il precedente ordinamento sociale, così come la tendenza da parte dello Stato a reclutare con la forza i componenti dell'ordine urbano dei decurioni.

Cambiò il rapporto tra origine e realizzazione personale nella sua importanza per la determinazione della posizione sociale. Lealtà politica, formazione giuridica e meriti militari godettero di una stima molto maggiore che in passato. Criteri giuridici come cittadinanza e libertà persero la loro decisiva importanza, così come il vantaggio derivante dall'origine italica o da quella da una provincia fortemente urbanizzata. Questi cambiamenti portarono al dissolvimento della precedente gerarchia sociale.

La piramide sociale si articolò in maniera diversa. Nel periodo del Principato, gli strati sociali superiori erano costituiti dagli ordini dei senatori, dei cavalieri e dei decurioni urbani, con distinzioni graduate in fatto di funzione, ricchezza e prestigio. L'articolazione degli strati sociali superiori all'interno del nuovo ordinamento sociale non fu omogenea e si presentò contraddittoria. C'era un ordine senatorio ricco e di grande prestigio, ma privato del potere; c'era un ordine equestre, il cui gruppo dirigente si distingueva per un potere enorme, ma i cui componenti ordinari si differenziavano scarsamente dall'ordine dei decurioni, che apparteneva agli strati sociali superiori, ma che mostrava i segni di uno strato sociale oppresso per via degli oneri imposti. I soldati ed i loro famigliari potevano essere enumerati tra gli strati sociali più alti della popolazione, per la potente posizione dell'esercito, ma anche per la loro condizione economica e per i loro privilegi giuridici. Essi formavano uno strato sociale organizzato quasi come un ordine.

Le differenze tra le posizioni dei singoli gruppi degli humiliores diventarono sempre più insignificanti; a causa del crescente aggravio finanziario e dell'oppressione politica di tutti i gruppi più bassi della popolazione, questo processo si rivelò inarrestabile.

La parte più elevata della società si frantumò in strati strutturati in maniera molto differente, mentre gli strati sociali inferiori manifestarono una struttura sempre più omogenea. Gli strati superiori della società romana disponevano di proprietà terriere, mentre per tutto il resto erano diversi anche rispetto al loro rapporto con il lavoro produttivo. Gli humiliores furono sempre troppo differenziati da un punto di vista determinante: i coloni e gli artigiani disponevano di mezzi di produzione, altri, come i contadini poveri, dovevano guadagnarsi il proprio sostentamento come lavoratori salariati o stagionali.

Le tensioni sociali si acuirono, sorsero nuove contese ed esplosero conflitti sociali, che non era più possibile risolvere con mezzi pacifici, ma solo con la forza e la brutalità. Questi conflitti furono molto differenti:

da una parte, si svolsero all'interno degli strati sociali superiori;

dall'altra, si svolsero tra singoli gruppi degli strati inferiori e quelli al potere.

Per tutti, il grande nemico era il nuovo strato dominante, costituito tanto dagli ufficiali e dai funzionari dell'ordine equestre quanto dall'esercito.

L'ordine senatorio non accettava la propria perdita di potere, ma era troppo debole per un'aperta rivolta. La sua opposizione agli imperatori autoritari si limitò a congiure finalizzate all'insediamento di un nuovo imperatore.

Ancora maggiore deve essere stata l'insoddisfazione per le condizioni esistenti di molti decurioni, i quali erano costretti a pesanti sacrifici finanziari.

La plebe urbana, costretta a prestazioni lavorative obbligatorie ed a are tasse, malamente assistita durante il periodo della crisi economica generale, si ribellò a più riprese a partire dalla fine del II secolo. Analoghi erano i sentimenti della popolazione semplice di molte città, tanto più che, nelle province, sotto il governo militare, doveva soffrire più che a Roma.

Le condizioni degli strati rurali della popolazione erano ancora peggiori, poiché essi trovavano scarsissima protezione contro la repressione e la violenza. Coloni indebitati, ma anche schiavi, fecero sempre più ricorso alla fuga. Questi fugitivi si univano in bande di briganti; dalla fine del II secolo, questi latrones mettevano così fortemente in pericolo la sicurezza pubblica, che si dovevano mobilitare forze di sicurezza. Da movimenti del genere scaturirono rivolte vere e proprie.

Il sistema di dominio del III secolo suscitava ripulsa ed opposizione tra l'ordine senatorio, tra i decurioni, tra le masse urbane e rurali. Tuttavia, la composizione di questa "coalizione" doveva impedire la formazione di un movimento rivoluzionario unitario degli oppressi. Gli interessi, infatti, erano molto differenti. Quasi tutti i movimenti di opposizione si rivelarono inutili, perché l'esercito era il fattore di potere decisivo.

La mobilità interna della società romana, che durante il Principato aveva contribuito all'eliminazione di conflitti e tensioni, nel III secolo creò nuovi motivi d'attrito. Per la popolazione delle zone periferiche dell'imperium si produssero, con il servizio militare, possibilità di avanzamento sociale. Per persone abili ed ambiziose di bassa estrazione, ma di un certo livello sociale, esistevano enormi possibilità di avanzamento nella burocrazia imperiale. Tuttavia, le vaste masse della popolazione dell'Impero potevano usare di queste possibilità di avanzamento sociale meno che nel primo Impero. Le possibilità di declassamento sociale aumentarono a causa di guerre, difficoltà economiche e repressioni.

Pieno di contraddizioni fu lo sviluppo di quelle forze politiche e ideologiche che la società romana doveva tenere unite. L'istituto imperiale si trasformò in un dispotismo. Non solo fu ingrandito il suo apparato di potere, ma mutò anche il concetto di sovrano: l'imperatore pretese il titolo di dominus e fu un "padrone" nei confronti dei propri sudditi; pretese dall'esercito e dalle comunità una dichiarazione ufficiale di disponibilità alla devotio; l'imperatore domandò di essere adorato come un dio. Al tempo stesso, tuttavia, il potere degli imperatori fu labile. L'Impero era abbastanza forte per reprimere con il proprio apparato di potere movimenti e rivolte sociali, ma non per offrire una consolidata cornice politica, nella quale potessero essere inseriti gruppi sociali a sostegno dell'ordinamento esistente.

Il precedente sistema di valori della società romana si dimostrò fallimentare. Le religioni misteriche orientali ed il cristianesimo non solo promettevano consolazione e redenzione, ma soddisfacevano profondi bisogni teologici, morali e liturgici; il cristianesimo era pronto a spiegare le ragioni di ogni male con una teoria sistematica. L'esercito si dedicò al culto di Mitra che, quale invincibile dio solare, incarnava l'ideale dei soldati; vaste masse della popolazione si riconobbero nel cristianesimo; i senatori si diedero alla filosofia neoplatonica. L'avanzata vittoriosa del cristianesimo fu evidente e l'attrattiva di questa religione per la società dell'imperium Romanum si manifestò non solo nella sua diffusione in tutto l'Impero, ma anche nella sua capacità di rivolgersi agli strati sociali più diversi. Lo Stato romano dovette reagire, cercando di rivivificare il mos maiorum nonché il culto imperiale.

Questo comportò, durante la crisi del III secolo, una divisione della società romana in fronti contrapposti anche dal punto di vista ideologico. Gli ambienti politicamente determinanti della società si aggrapparono al sistema di valori di quell'ordinamento sociale e statale che essi stessi avevano distrutto. Per i vasti strati della popolazione, tuttavia, questa ideologia non significava nulla e non era più possibile trovare una soluzione duratura.

Dalla crisi del III secolo emerse una società romana cambiata nei suoi fondamenti e profondamente scossa. Le forze sociali divergenti non potevano più essere riunite nel quadro di un sistema di dominio popolare: la soluzione della crisi politica interna ed esterna fu dovuta all'accresciuto dominio violento di un apparato militare e burocratico.




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