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La pazzia nell'arte

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La pazzia nell'arte


Nell'800 fa ingresso nell'arte la storia del quotidiano, per la prima volta e con sofferta partecipazione. Gli artisti cominciano a rappresentare gli uomini attraverso lo studio del loro vissuto rappresentando spesso personaggi comuni con uno studio approfondito dei loro volti cercando di rappresentare i loro sentimenti, le loro sofferenze, i loro disagi e le loro malattie.

Possiamo vedere come la pazzia sia trattata nelle opere d'arte da autori dell'800.

Alcuni ne traggono degli accurati ritratti, altri ne ritraggono le sale ad esse riservate, altri ancora ne subisco le conseguenze in prima persona e ne ritraggono da se stessi.


Il primo esempio è appunto quello di Théodore Géricault (1791 - 1824).

Egli ritrae, negli ultimi anni della sua vita, una serie di dieci visi di pazze, pervenuti a noi solamente in cinque, per studiarne i tratti somatici.

In questo quadro, intitolato "Una pazza", rende la pazzia e il dolore interiore attraverso la profondità espressiva degli occhi, il movimento dei piani facciali e il rapporto cromatico. In questo sguardo possiamo vedere il dolore che si prova a sentirsi diverso dalla società e non compreso perciò emarginato, lo stesso sguardo lo si nota nei geni e poeti del romanticismo non compresi e criticati dalla società stessa.



Théodore Géricault, Una pazza.

 




Altro personaggio, divenuto pazzo e respinto dalla società (suicidato dalla società), che ci lasciò molte opere rappresentanti il suo stato nevrotico insieme a molti altri capolavori è Van Gogh (1853 - 1890).

In questo quadro possiamo vedere quanto il suo stadio sia avanzato. Dopo una lite con l'amico pittore Gauguin, con il quale conviveva in una abitazione ad Arles, egli si sia autolesionato mutilandosi l'orecchio sinistro e portandolo, avvolto in un giornale, ad una prostituta. Dopo questo avvenimento molti furono i cittadini di Arles che chiesero con una petizione di allontanare il pittore dalla cittadina in quanto lo

giudicavano un "pazzo pericoloso". Quindi si allontanò e

Van Gogh, Van Gogh con l'orecchio fasciato e pipa.

 





si recò volontariamente in un ospedale psichiatrico nelle vicinanze. Sappiamo che la sua vita finì in modo tragico nel 1890 e possiamo ritrovare alcuni accenni dei suoi malori in altre sue opere in cui emerge l'angoscia, l'inquietudine e il senso di smarrimento.

Van Gogh utilizzava le pitture per trasmettere i suoi mali sociali e per rappresentare sé stesso in quanto emarginato sociale; egli non era stato accettato dalla società, le sue opere non erano state vendute e questo gli provocava un grande senso di frustrazione che lo portò alla pazzia. Egli stesso scrisse: "Mi sento senza patria e senza famiglia" e ancora scrive al fratello: " Durante le crisi mi sembra che tutto quello che mi immagino sia reale." I suoi dipinti possono essere quindi studiati in chiave psicanalitica giungendo alla sintesi visiva di tutto il suo complesso e agitato mondo interiore.

Dopo la sua morte, le sue opere vennero anche usate come ispirazione da molti giovani pittori del tempo come per esempio i fauves francesi e gli espressionisti fino anche ad alcuni pittori del secondo dopo guerra.


Colui che ritrae le sale adibite ai pazzi è il macchiaiolo Telèmaco Signorini (1835 - 1901) ne "La sala delle agitate al S. Bonifazio di Firenze".







































Telèmaco Signorini, La sala delle agitate al S. Bonifazio di Firenze.

 





In questo quadro si può notare la drammaticità grazie all'impostazione obliqua della prospettiva e all'ampiezza ed altezza dello stanzone. Le pareti sono calcinate e vi è riflessa una luce bianca; le uniche aperture che vi si ritrovano sono sbarrate da grate che ne accentuano il distacco tra colore che sono dentro e il mondo esterno. Le ure delle dementi sono stagliate, ammassate ed isolate quasi consapevoli della loro reclusione forzata perpetua.






































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