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MADONNE DIPINTE SU TAVOLA, DUCCIO DI BONINSEGNA, CIMABUE, GIOTTO

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MADONNE DIPINTE SU TAVOLA

LA PITTURA DEL GOTICO:Nella seconda metà del Duecento l'influenza bizantina sulla pittura è ancora notevole; la linea che disegna le ure diviene però più ondulata e gli spazi tra linea e linea sono differenziai non solo dal colore, ma anche da diverse luminosità. Le ure acquistano così il senso del volume ed un maggiore realismo. Attraverso l'affresco, che diviene la tecnica tipica di questo periodo assieme alla pittura su tavola, la narrazione di storie sacre raggiunge livelli di altissima esecuzione. La tradizione delle croci e tavole dipinte continua ad affermarsi in tutta l'Italia centrale. La rappresentazione della Madonna in trono, fra Angeli e Santi, detta «Maestà», diviene ricca e complessa: la tavola è suddivisa in sti da elementi architettonici che ripetono gli schemi delle facciate e delle finestre gotiche. Tale composizione viene definita trittico, se divisa in tre sti, polittico, se divisa in numero maggiore di tre. Anche in pittura si formano vere e proprie scuole: nell'Italia centrale assai attiva è la scuola romana, nella quale spiccano le personalità di Jacopo Torriti e Pietro Cavallini. La pittura più rappresentativa di questo periodo viene però elaborata nell'ambito della scuola senese e della scuola fiorentina.





Cimabue:La Maestà di Santa Maria dei Servi, la Madonna della Pinacoteca, Maestà con san Francesco, Madonna in trono col Bambino, Maestà di Santa Trinità ,Madonna in trono con angeli


Coppo di Marcovaldo: Madonna del Bordone, Madonna del Carmelo


Duccio di Boninsegna: Madonna Ruccellai, Madonna con bambino, Maestà del Duomo di Siena, Madonna con bambino e due Angeli, Madonna Rucellai, Madonna Gualino


Giotto Madonna col Bambino,  Maestà degli Uffizi, La Madonna di San Giorgio alla Costa, Madonna d'Ognissanti






DUCCIO DI BONINSEGNA

MADONNA RUCCELLAI:In questa grande pala d'altare troviamo già alcuni dei tratti stilistici che caratterizzano la pittura di Duccio e della successiva scuola senese che da egli nasce. La tavola è stata attribuita a Cimabue, almeno fino alla fine dell'Ottocento, ma la paternità di Duccio è sicuramente attestata dal contratto di commissione ritrovato nel XVIII secolo. Tuttavia l'equivoco è ben comprensibile, in quanto in questa pala d'altare le influenze di Cimabue sono fin troppo evidenti. Del resto è stato più volte ipotizzato che il giovane Duccio sia stato uno dei collaboratori di Cimabue, anche nel cantiere di Assisi, e proprio grazie al maestro fiorentino egli riuscì forse a ricevere nel 1285, a poco più di vent'anni, la commissione di questa grande pala dalla Comnia dei Laudesi, destinata alla loro cappella in Santa Maria Novella. Intorno al 1570 la pala fu successivamente spostata nella Cappella dei Rucellai, una delle più potenti famiglie fiorentine del tempo, e da qui ha poi preso il nome di 'Madonna Rucellai'.

Rispetto alla pala di Santa Trinità di Cimabue, questa Maestà di Duccio ha una costruzione spaziale molto più incerta e labile. Il trono è posto in tralice, ma non dà profondità alla scatola prospettica. Del resto il suo aspetto appare decisamente poco solido, quasi che non abbia neppure la resistenza sufficiente a sostenere il peso della Madonna su di esso seduta. Il rapporto tra il trono e il piano d'appoggio è infine decisamente incongruo, a ulteriore dimostrazione dell'indifferenza di Duccio a risolvere il problema della costruzione tridimensionale della scena. Gli angeli, posti sui lati del trono, sono collocati in verticale perfetta: non hanno un piano reale d'appoggio ma si pongono uno sulla testa dell'altro. È fin troppo chiara la loro funzione solo simbolica, senza alcun reale rapporto dimensionale e spaziale con la scena nella quale entrano.

Tuttavia la tavola ha caratteri stilistici che sono molto diversi dallo stile bizantino, stile dal quale, del resto, anche Duccio proviene per formazione. Il sottile bordino dorato che circonda il manto della Madonna crea una circonvoluzione con una curva molto elaborata. È questa una linea di chiara matrice gotica. Di gusto gotico è anche il cromatismo molto intenso della tavola, con colori squillanti e intensi. Il panno che copre la parte superiore del trono ha anch'esso una decorazione floreale di chiaro gusto gotico. In pratica Duccio mostra una sensibilità verso l'arte gotica, che sarà una costante di tutta la successiva arte senese della prima metà del Trecento.

Anche l'umanizzazione del volto della Madonna, lontano dai caratteri ieratici della pittura bizantina, risente dell'influenza gotica. L'umanizzazione dei personaggi avviene con una ricerca di dolcezza che si ritrova più nell'arte francese che in quella italiana. In pratica Duccio introduce nella ricerca pittorica toscana quell'elemento gotico, che sarà un ulteriore elemento di modernità utile a superare le stanche formule dell'arte bizantina.

MAESTA DEL DUOMO DI SIENA:La Maestà che Duccio realizzò per il Duomo di Siena tra il 1308 e il 1311, è sicuramente una delle opere più impegnative realizzate in campo artistico in quegli anni. Essa era una grande apparecchiatura, oggi purtroppo largamente smembrata, che si componeva oltre la tavola principale di m3,70x4,50, di una grande predella e di cuspidi oggi non più legate alla tavola principale e che risultano alcune disperse, altre conservate in musei stranieri, altre conservate nel Museo dell'Opera del Duomo nel quale è conservata anche la tavola principale.

La fortuna di questa grande opera è attestata già dalla cronaca di quegli anni che sottolinea ed enfatizza la grande processione che si realizzò per trasportare l'enorme tavola dalla bottega di Duccio al Duomo. In questo si vuole soprattutto cogliere il carattere di grande valore civile, oltre che religioso, che la tavola rappresentò per il popolo senese di quegli anni. In pratica in opere del genere si celebrava non solo il gusto estetico di una città, ma soprattutto si affermava la propria grandezza in un simbolo che ne rendeva visibili i valori condivisi.

Il programma iconografico è ampio ed articolato. Al centro della tavola è posto un grande trono marmoreo di stile cosmatesco, sul quale è seduta la Madonna con il Bambino in braccio. Sui due lati, disposti su tre file verticali, sono collocati numerosi santi ed angeli. Ne risulta una composizione decisamente affollata, ma con un ordine compositivo ben preciso. In prima fila, inginocchiati, sono collocati i quattro santi protettori di Siena: a sinistra sant'Ansano e san Savino, a destra san Crescenzio e san Vittore. La seconda fila è occupata da altri sei santi, tre per lato che, partendo da sinistra a destra, sono: a sinistra santa Caterina d'Alessandria, san Paolo, san Giovanni Evangelista, e, a destra, san Giovanni Battista, san Pietro e sant'Agnese. Questi santi occupano i posti più estremi della fila, mentre ai lati del trono, sempre nella seconda fila, si trovano due angeli per lato. Altri sedici angeli sono disposti nella terza fila superiore: sei su ciascun lato mentre altri quattro si collocano al di sopra dell'altare, con la testa che si poggia su un braccio.

La scena ha uno sviluppo rettangolare, con un triangolo che si apre al centro per contenere il maggiore sviluppo della ura della Madonna, la cui imponenza è ovviamente dettata da quel criterio simbolico, anche chiamata 'prospettiva gerarchica', che vuole che le ure di maggiore importanza abbiano necessariamente una dimensione maggiore, indipendentemente dai corretti rapporti ottici che le ure hanno nello spazio della scena. Lo spazio rimanente tra il rettangolo principale e il triangolo superiore, è occupato da dieci ure di apostoli: altri due erano sicuramente rafurati negli sportelli che componevano il coronamento superiore della tavola.

Nei pannelli della predella erano collocate diverse scene con il racconto dell'Infanzia di Gesù, mentre nei pannelli del coronamento superiore vi erano pannelli con la narrazione della Morte della Vergine. La grande tavola era riccamente decorata anche nella parte posteriore. La grande tavola centrale era suddivisa in due fasce sovrapposte, e in ventisei riquadri viene narrata la Passione di Cristo, dall'entrata in Gerusalemme fino alla resurrezione. Altre scene erano rafurate nella predella inferiore con episodi dalla Vita pubblica di Cristo, mentre nel coronamento erano rafurati episodi con le Apparizioni di Cristo dopo la morte. In pratica, questo complesso programma iconografico, si sviluppava secondo un percorso di lettura ben preciso: si partiva dalla predella anteriore, si proseguiva sulla faccia posteriore dal basso a salire verso l'alto, da sinistra a destra, secondo quattro righe orizzontali sovrapposte (predella, fascia inferiore della tavola, fascia superiore della tavola, coronamento), infine si passava alla fascia anteriore del coronamento. In questo modo la grande opera si componeva di due momenti distinti: quello 'presente' con la grande immagine paradisiaca della Madonna e del Bambino circondanti da Angeli e Santi; quello 'passato' con il racconto dei passi principali del Nuovo Testamento, dalla nascita di Gesù all'Assunzione della Vergine in Cielo.

Da un punto di vista stilistico l'opera rappresenta l'esito più importante del percorso stilistico di Duccio, e rimane per gli artisti a lui successivi come il grande modello dell'arte senese. In esso si ritrovano sia gli elementi bizantini ancora presenti nello stile duccesco (una certa fissità ieratica delle ure insieme ad un uso esteso dell'oro, anche in alcune lumeggiature delle vesti) sia gli elementi di gusto gotico che più segneranno la successiva arte senese per tutto il Trecento: il gusto per il calligrafismo lineare, l'attenzione al dettaglio, il piacere per il senso decorativo prima che razionale delle parti che compongono una scena.

CIMABUE

MAESTA' DI SANTA TRINITA':In questa tavola, che secondo la tradizione Cimabue realizzò per la chiesa di Santa Trinità di Firenze e oggi conservata agli Uffizi, troviamo alcuni dei maggiori traguardi raggiunti dal maestro fiorentino. Essa è stata realizzata tra il 1280 e il 1290, in una fase quindi molto matura del percorso artistico di Cimabue. Il tema della Maestà in trono è molto diffuso in tutta la pittura del Duecento italiano, ed è una delle composizioni che, nella sua immanente ieraticità, più risente della influenza dello stile bizantino, dal quale i pittori italiani cercano di distaccarsi. Ed anche questa tavola del Cimabue risente dei grandi precendenti bizantini, conservandone alcuni tratti stilistici, in particolare la visione frontale, l'uso molto esteso del colore oro, nonché le lumeggiature dorate che utliizza per la veste della Madonna.

Ma la grande novità di questa pala d'altare sta soprattutto nella straordinaria costruzione spaziale, che viene impostata secondo una composizione del tutto inedita per il tempo. La Madonna siede su un trono che è quasi un'architettura, con il suo ritrarsi in una forma convessa, lasciando aprire al di sotto tre campate dal quale si affacciano quattro profeti. Nel suo complesso, questo trono così articolato sembra quasi la sezione di una cattedrale a tre navate, e non è quindi da escludere il significato simbolico del trono sul quale la Madonna siede e che quindi rappresenta la Chiesa.

Nelle tre nicchie sottostanti al trono si affacciano quattro profeti: ai due lati abbiamo Geremia e Isaia (il primo è quello a destra guardando), mentre nella nicchia centrale vi sono Abramo e David che rappresentano la dinastia dalla quale è disceso Gesù.

Ai lati della Madonna e del Bambino ci sono quattro angeli per parte, la cui collocazione spaziale appare decisamente inedita. Gli angeli non sono semplicemente uno sopra l'altro, ad occupare in verticale lo spazio ai lati del trono: ma appaiono come sfalsati in profondità. È questa la prima volta che ciò accade, con l'evidente intento di dare profondità spaziale all'intera costruzione spaziale dell'immagine. Del resto anche i due profeti Geremia e Isaia, nelle due nicchie in basso, con il loro alzare lo sguardo verso l'alto, già suggeriscono delle direzioni spaziali che sono di precisa tridimensionalità: essi non stanno 'sotto' ma 'davanti'. Quindi lo spazio non è pensato e realizzato sulla bidimensionalità della tavola, ma sulla scatola spaziale che visivamente avvertiamo oltre il piano della rappresentazione.

Il percorso della successiva arte italiana è così tracciato: in Giotto, e in tutti i suoi seguaci, il piano di rappresentazione diviene sempre più trasparente per aprirsi ad uno spazio virtuale, e tridimensionale, oltre il piano sul quale giace materialmente l'immagine.

GIOTTO

MADONNA D'OGNISSANTI: In questa tavola realizzata da Giotto intorno al 1310, vediamo l'interpretazione di un grande tema della tradizione, e confrontando questa tavola a quelle di analogo soggetto di Cimabue o di Duccio, appare subito evidente la grande novità della pittura giottesca. La Madonna è priva di qualsiasi ieraticità e ci appare del tutto 'umanizzata'. Il suo aspetto, il suo volto, la sua espressione, sono di una dolcezza tipicamente umana, senza alcuna astrazione di maniera. Ma ciò che appare di grande innovazione è soprattutto la costruzione del corpo della Madonna. Esso acquista una tridimensionalità volumetrica così evidente che sembra quasi una costruzione architettonica. Il mantello azzurro scuro che la ricopre non annulla i valori spaziali: lì dove si apre il busto della Madonna appare visivamente pieno e plausibile. Questo mantello scende dalla testa creando una linea verticale netta, ma poi si modella adagiandosi sulle gambe della Madonna: basta a Giotto una leggera scoloritura del colore del mantello per farci vedere pienamente il volume disegnato dalle due ginocchia della Madonna. Su questo piano orizzontale si pone la ura del Bambino che quindi trova un suo plausibile spazio di collocazione.

Il trono marmoreo che accoglie la ura della Madonna ha una costruzione prospettiva molto articolata e corretta: da notare soprattutto il virtuosismo di controllare i due lati trasversali del trono con una struttura traforata che fa chiaramente vedere gli spazi posteriori nei quali appaiono di scorcio le ure di due santi. Le due schiere di santi ed angeli collocati ai lati del trono sono tutti collocati su un piano di appoggio unico e per guardare la Madonna sono correttamente rappresentati di profilo. In realtà, nella concezione medievale e soprattutto bizantina, la rappresentazione di profilo era stata totalmente abolita. Nella pittura di Giotto queste limitazioni scompaiono del tutto, ed egli riesce a controllare la spazialità dell'immagine anche nel corretto rapporto di direzioni di sguardi tra le ure che compaiono nella scena.

In ossequio alla tradizione, anche Giotto alla fine utilizza il fondo dorato e una sproporzione 'gerarchica' tra la ura della Madonna e le altre ure. Tuttavia si comprende chiaramente che queste sono appunto concessioni che egli fa alla tradizione, senza nulla togliere alla sua grande capacità di controllare visivamente tutti i corretti rapporti spaziali e visivi tra le ure.





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