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Raffaello Sanzio

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Raffaello Sanzio


Il padre, Giovanni Santi, modesto pittore seguace di Melozzo e di Piero della Francesca, morì nel 1494, quando R. era ancora troppo giovane per riceverne gli insegnamenti; il fanciullo fu avviato alla pittura da Evangelista di Pian di Meleto, ma ebbe il primo vero contatto artistico al di fuori dell'ambiente umbro attraverso Timoteo Viti, ritornato nel 1495 a Urbino da Bologna, dove aveva conosciuto la pittura emiliana del Francia e del Costa. Urbino, l'ambiente nel quale R. iniziò la sua formazione, era stato un centro culturalmente attivo, dove avevano operato Luciano Laurana e Piero della Francesca, protetto di Federico da Montefeltro; in particolare Piero aveva elaborato pittoricamente la ricerca di una spazialità prospetticamente ordinata, in una classica e serena luminosità. In questo ambiente lavorava con successo Pietro Perugino, che dal 1500 al 1504 circa ebbe come allievo R., il quale assimilò il suo mondo pittorico un po' chiuso, formato da ure dolcemente mistiche e malinconiche. Nelle prime opere di R., infatti, l'influenza del maestro si manifestò evidente, arricchita peraltro da quella pierfrancescana, con la concezione di spazi classicamente misurati e luminosi: nel 1501 dipinse la Pala di San Nicolò da Tolentino, per la Chiesa di Sant'Agostino a Città di Castello, attualmente smembrata in tre pezzi, conservati a Napoli e a Brescia: nel 1503 l'Incoronazione della Vergine, destinata alla Chiesa di San Francesco a Perugia, ora alla Pinacoteca Vaticana, e, probabilmente nel 1504 il Sogno del Cavaliere. Le prime due opere erano di chiaro stampo peruginesco, mentre la terza rivelava già, almeno in parte, la poetica di R.: il soggetto diede adito a svariate interpretazioni (Ercole al bivio, o Ercole tra le Esperidi, o Scipione incerto tra Pallade e Venere, simboli rispettivamente delle dignità superiori e delle glorie terrene), ma, prescindendo dalle diverse ipotesi, è certo che un tipo di spiritualità originale scaturisce dall'unità della composizione: il paesaggio, descritto con amore, trasmette la sua dolcezza al personaggio inerte nel sonno, attraverso le due classiche ure femminili: soprattutto appaiono evidenti le doti di colorista e compositore innate in R. Sempre in questo brevissimo periodo, dipinse il San Sebastiano, ora a Bergamo, La Madonna in trono con San Giovanni Battista e San Nicola, e la Crocifissione, di cui il Vasari disse: 'Se non vi fusse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di R., ma sibbene di Pietro (Perugino)'; queste due ultime opere sono ora alla National Gallery di Londra, mentre al Louvre di Parigi sono conservati il San Giorgio e il San Michele, ed al Museo di Leningrado la dolcissima Madonna Connestabile, umana e semplice sullo sfondo del vasto paesaggio percorso da sottili alberelli. Al 1504-l505 risalgono anche la tavoletta delle Tre Grazie (Museo di Chantilly), realizzazione pittorica della perfezione plastica e ritmica cara al '500, e quella dello Sposalizio della Vergine, conservata alla Pinacoteca di Brera, a Milano: in questa tavoletta il legame con il Perugino, soprattutto quello della Consegna delle chiavi a San Pietro, rimane formalmente valido, ma lo spirito che informa l'opera è totalmente differente. La luce chiarissima, fluendo dal fondo sul tempio, si gradua nella fuga prospettica delle lastre del piazzale, fino a comporsi armoniosamente, senza bruschi passaggi, con quella che investe i personaggi: R. fa sua la tecnica luministica di Piero della Francesca e realizza magistralmente l'unità tra i personaggi, l'architettura e il paesaggio. Nell'estate del 1504 il pittore giunse a Firenze, con una lettera di presentazione di Giovanni Feltria: qui ebbe il primo incontro approfondito con la cultura contemporanea, nella quale si inserì ben presto come protagonista, accogliendo ed assimilando nella propria vicenda spirituale ed artistica le conquiste dell'ambiente fiorentino. Firenze vedeva in quegli anni i geni pittorici di Leonardo e Michelangelo, tormentati nella ricerca di una nuova plasticità e di un nuovo linguaggio visivo. R. non ebbe questi travagli spirituali, ma da uomo ancora pienamente inserito nel rinascimento, seppe selezionare con straordinaria capacità critica i risultati che i due grandi gli offrivano: il chiaroscuro, lo sfumato ed il plasticismo arricchirono il suo linguaggio nelle opere di questo periodo: la Madonna degli Ansidei (Londra, National Gallery); dove le ure sono raccolte in una quiete monumentale, la Madonna del Granduca (Firenze, Palazzo Pitti), nella quale lo sfumato leonardesco viene assunto ad esprimere valori spirituali elementari, il Ritratto di Ignota (La Muta della Galleria di Urbino), l'espressione forse più notevole del processo evolutivo dell'artista, che recepì originalmente lo sfumato per scorporare la compattezza e la piattezza del modellato, conferendogli leggerezza e morbidezza. R. approfondì il tema della Madre e del Bambino in una serie di quadri delicatissimi: la Madonna detta del Belvedere di Vienna, la Bella Giardiniera di Parigi e la Madonna del Cardellino degli Uffizi. Dipinte tra il 1506 e il 1508, descrivono il rapporto tra la Vergine ed il lio, in una natura idillica e vastissima: la struttura piramidale delle composizioni e lo sfumato, che penetra il colore delle ure e del paesaggio, avvolgendoli entrambi in un'atmosfera rarefatta e misteriosa, sono di chiara derivazione leonardesca. A questo periodo risalgono anche la Madonna Tempi, nella quale la motivazione lirica e sentimentale è intensissima, e arricchisce il tema divino di una sostanza umana spiritualizzata, e la Deposizione, dipinta per commemorare l'uccisione di quattro membri della famiglia Baglioni: i numerosissimi disegni preparatori dimostrano l'estrema elaborazione della struttura della composizione. Lo schema dell'opera è centrico e R. volle fondere in essa i due temi della deposizione di Cristo e dello svenimento della Vergine; gesti e pose michelangioleschi esprimono la tragedia: il paesaggio, riflettendo il sentimento dei personaggi, concorre ad unificare le due azioni. Anche in questa fase della sua produzione, il Maestro rivelò le sue doti di ritrattista geniale. Nel Ritratto di Signora con liocorno (Roma, Galleria Borghese) e in quelli di Agnolo e Maddalena Doni (Firenze, Palazzo Pitti), egli tradusse in immagini di altissima poesia la ricerca psicologica dell'essenza interiore del soggetto, pure restando assai fedele al modello. Altre due opere di contenuto religioso sono databili tra il 1506 e il 1507: la Sacra Famiglia con San Giovannino e Sant'Elisabetta (Monaco, Pinacoteca) e la Madonna del Baldacchino (Firenze, Palazzo Pitti), che, lasciata incompiuta da R., chiamato a Roma da Papa Giulio II, fu terminata nel 1697 da Niccolò e Agostino Cassano. Il papa stava facendo affrescare le Stanze Vaticane dal Sodoma e dal Bramantino, i quali avevano già dato inizio ai lavori nella Stanza della Segnatura: qui l'artista urbinate concepì la celebrazione dei tre principi basilari della dottrina neoplatonica (il Vero, il Bene, il Bello), attraverso affreschi che per la loro grandiosità gareggiavano con quelli che Michelangelo eseguiva contemporaneamente nella Cappella Sistina. Il Vero è rappresentato dalla Teologia e dalla Filosofia, sul soffitto, accanto al pannello del Peccato di Adamo, cui corrisponde sulla parete la Disputa del Sacramento: l'anima umana, perduta con il peccato di Adamo la conoscenza della verità divina, è redenta da Cristo, con il sacrificio rinnovantesi nell'Eucarestia. Sempre sul soffitto è rafurata la Contemplazione dell'Universo, e sulla parete sottostante la Scuola di Atene, ancora a simboleggiare l'idea del Vero. L'immagine della Giustizia e il Giudizio di Salomone, sul soffitto, rappresentano il Bene, mentre sulla parete appaiono le urazioni allegoriche delle Virtù del Giudice (Forza, Verità e Moderazione), e i due affreschi glorificanti il Diritto Civile e il Diritto Canonico: Giustiniano che rimette le Pandette a Triboniano e Gregorio IX che sancisce le Decretali. Infine la Poesia, con la Gara di Apollo e Marsia sul soffitto e la celebrazione del Parnaso sulla parete, rafura il Bello. La complessità della concezione venne risolta genialmente in immagini da R., che articolò perfettamente il rapporto mito-religione, secondo i dettami della dottrina neoplatonica. Cronologicamente la prima delle decorazioni parietali è la Disputa del Sacramento, in cui sono celebrate la Chiesa Militante e la Chiesa Trionfante, unite dalla ura di Cristo che rinnova il miracolo dell'incarnazione nell'Eucarestia: dall'ostensorio la composizione si irradia nelle curve divergenti dei due emicicli, la massa dei fedeli è resa in un moto mistico e corale verso la ura di Cristo, del Padre, dello Spirito Santo. Accanto alla celebrazione del mistero cristiano, R. pose quella del pensiero antico, con la Scuola di Atene: inserite in un contesto architettonico grandioso, le severe ure dei sapienti acquistano vigore da questa stessa monumentalità, e rappresentano forse la più compiuta esaltazione dell'umanesimo: la compattezza del colore e del chiaroscuro rivelano un rinnovamento nella pittura dell'artista, colpito dalla plasticità delle ure della Sistina. La presenza della porta nella terza parete costrinse R. ad una composizione dalla struttura forzata: il Parnaso è il meno felicemente concluso degli affreschi, per il tono enfatico dei personaggi, mentre il livello compositivo torna a più alti valori nelle classiche urazioni delle tre Virtù e nell'affresco di Papa Gregorio IX. Contemporaneamente alla decorazione della Stanza della Segnatura, conclusa nel 1512, R. produsse la Madonna di Foligno della Pinacoteca Vaticana con il tipico schema compositivo a due piani ripetuto poi più volte nel '500, il Ritratto di Cardinale (Madrid, Museo del Prado), dove ancora una volta l'artista rivelò le sue eccezionali capacità di analisi del personaggio, e la Galatea della Farnesina, celebrazione gioiosa e di intensa plasticità del trionfo ano. Nel 1512 iniziarono i lavori per la decorazione della seconda Stanza Vaticana, nella quale R. intese celebrare il pontificato di Giulio II: gli affreschi rappresentano l'intervento di Dio negli eventi umani, con la Cacciata di Eliodoro dal tempio, il Miracolo di Bolsena, Attila davanti a Leone Magno, la Liberazione di San Pietro. Il Sacrificio di Isacco, la Visione di Giacobbe, il Roveto ardente e l'Uscita di Noé dall'arca costituiscono la decorazione del soffitto, quasi certamente compiuta dagli aiuti ed ora in pessimo stato di conservazione. Dalla solennità della stanza della Segnatura l'artista trascorse qui a visioni piene di pathos e di tensione lirica. I mezzi espressivi si erano arricchiti; per il contatto con la pittura veneziana di Sebastiano del Piombo, del Lotto e del Dosso: R. approfondì lo studio del colore, e riuscì a sviscerarne tutte le possibilità espressive, superando i limiti del cromatismo veneto; il colore, distribuito sui piani con intensità e gradazioni legate al ritmo della composizione, diventa luce vibrante sui volti e nei gesti dei personaggi. Il capolavoro della stanza è il Miracolo di Bolsena, dove il maestro, spostando l'asse della composizione, supera brillantemente la difficoltà, costituita dalla finestra inscritta nella parete in posizione insolita: il movimento inizia da sinistra con il gruppo delle madri, in sintonia con il graduarsi dei colori che passano dai toni dolcemente rosa e gialli ai rossi intensi e caldi degli abiti dei cardinali e delle guardie immobili. Anche nella Liberazione di San Pietro la luce assurge al ruolo di protagonista, irradiandosi dalla ura dell'angelo a dare corposità alle guardie ed al santo prigioniero; un'intensa drammaticità caratterizza la Cacciata di Eliodoro, pure con toni talvolta enfatici, mentre la forte presenza degli aiuti di Giulio Romano e Gian Francesco Penni spezza nell'Arresto di Attila il discorso altissimo svolto da R. sulle altre tre pareti. Una serie di opere attribuibili completamente a R. appartengono a questo periodo (1512-l516): il ritratto di Baldassarre Castiglione (Parigi, Louvre), incarnazione perfetta dell'uomo del Rinascimento, sereno, colto, intelligente; la Donna Velata (Firenze, Palazzo Pitti), nella quale si è voluta vedere per molto tempo la Fornarina; il ritratto di Fedra Inghirami (Firenze, Palazzo Pitti), del quale esiste un altro originale conservato a Boston; e ancora la Madonna della Seggiola (Firenze, Palazzo Pitti), la Madonna del Pesce (Madrid, Prado) e la Madonna Sistina (Dresda, Gemäldegalerie). La Madonna della Seggiola ripropone il tema del tondo risolto con l'annullamento dello spazio circostante, con la morbidezza dei gesti che accomnano l'andamento circolare della composizione, quasi esaltando l'atteggiamento affettuoso e dolce della madre e del lio. Nella Madonna Sistina, dipinta su tela per l'altare maggiore di San Sisto, R. rappresenta una 'apparizione' solenne e maestosa della Madonna col lio, mossa nel drappeggio del velo e dell'abito, calda per i toni di colore che coprono una gamma dal giallo dorato al rosso all'azzurro. Nel 1514, morto Giulio II, R., carissimo a papa Leone X, venne nominato 'architetto della nuova fabbrica di San Pietro' e nel 1515 'conservatore delle antichità romane': dopo il ritorno di Michelangelo a Firenze, l'urbinate divenne protagonista assoluto dell'ambiente culturale curtense. La mole degli incarichi affidatigli divenne vastissima, perciò le opere sicuramente autografe di quest'ultimo periodo sono scarse, mentre la mano dei numerosissimi aiuti ai quali R. ricorreva per assolvere gli impegni è sempre più evidente. Le numerose cariche assegnategli lo allontanarono dalla pittura, di cui divenne solo 'ideatore', per approfondire invece gli studi di architettura ed urbanistica, e per cercare i rapporti tra architettura e decorazione scenografica. Così la decorazione della terza Stanza Vaticana venne affidata quasi completamente agli aiuti, con uno scadimento del tono artistico, anche se alcune parti dell'Incendio di Borgo sono ancora di mano raffaellesca: qui la struttura spaziale acquista nuovi elementi, la narrazione si inserisce entro quinte improvvise, come il muro con l'incendio e il nudo discendente o il colonnato dove si svolge la catena delle donne; il linguaggio è arricchito dagli studi archeologici che occupano ora l'artista e dall'impronta latineggiante data dal pontificato di Leone X. La fantasia archeologica di R. si esprime con estrema raffinatezza nella 'decorazione per la stufetta del Cardinale Bibbiena', con le 'grottesche', nelle Logge Vaticane, nella Farnesina (Sala di Psiche), lavori 'ideati' dall'artista, ed eseguiti da Giulio Romano, dal Penni, da Giovanni da Udine; sempre gli aiuti eseguirono le idee del maestro per i dieci arazzi (di cui sono conservati sette cartoni al Victoria and Albert Museum di Londra) che dovevano decorare lo zoccolo sotto gli affreschi della Cappella Sistina: la Pesca miracolosa e la Consegna delle chiavi sono i due capolavori della serie, notevoli per la perfezione di struttura e l'intensità poetica: i vasti paesaggi sereni accolgono i personaggi disposti in un ordine perfetto, la tensione drammatica è espressa da gesti raccolti e dai volti illuminati da luci radenti, senza atteggiamenti enfatici e declamatori. Giulio Romano è quasi sicuramente l'autore materiale di altre due opere composte tra il 1516 e il 1518, la Visione di Ezechiele (Firenze, Palazzo Pitti) e la Sacra Famiglia di Francesco I, mentre sicuramente autografi sono il ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi e l'ultima opera, incompiuta, la Trasurazione: nel ritratto, R. si abbandona al gusto della definizione psicologica dell'individuo, con una sontuosa ricchezza di toni cromatici, che ricordano la Messa di Bolsena; la Trasurazione, terminata da Giulio Romano e dal Penni, vuole rappresentare, anche se forse con troppa insistenza, il conflitto tra mondo celeste e terreno: alla luminosissima quiete dell'apparizione si contrappone la livida luce che illumina violentemente il concitato agitarsi delle ure ai piedi della roccia. R. aveva operato anche come architetto, seguendo le orme del Bramante con l'ideazione della Cappella Chigi di Santa Maria del Popolo, e l'interno di Villa Madama, realizzato in termini di accentuata sensibilità pittorica: anche in questo campo, si rivelò interprete dell'universalismo rinascimentale e studioso della classicità; alla sua morte, avvenuta il 6 aprile 1520, il Michiel scriveva: 'Morse il gentilissimo et excellentissimo pittore Raphaelo da Urbino con universal dolore de tuti et maximamente de li docti E' stato sepolto alla Rotonda, ove fu portato honoratamente. L'anima sua indubbiamente sarà ita a contemplare quelle celesti fabbriche che non patiscono oppositione alcuna; ma la memoria e il nome resterà qua giù in terra et nelle opere sue, et nelle menti degli uomini da bene longamente'. Questo giudizio espresso da un contemporaneo, rende l'idea della fortuna di cui R. godette in vita: dotato di un'estrema facilità espressiva, di un senso del colore e della composizione eccezionali, sviluppò un discorso spirituale ed artistico assai complesso, ma sempre intimamente coerente. Pienamente inserito nel suo tempo esaltante l'uomo nella sua perfezione, espresse pittoricamente l'umanesimo e la classicità, arricchendo man mano il suo linguaggio descrittivo con i mezzi formali che gli venivano offerti dalle esperienze del tempo, assorbendoli ed elaborandoli nell'ambito della propria personalità Poetica (Urbino 1483 - Roma 1520).







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