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FEDERICO II DI SVEVIA: IMPERATORE DI GERMANIA E RE DI SICILIA - IL REGNO DI SICILIA: DA ENRICO VI A FEDERICO II, FEDERICO II: RE DI SICILIA, IL CROLLO



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FEDERICO II DI SVEVIA:


IMPERATORE DI GERMANIA

E

RE DI SICILIA



IL REGNO DI SICILIA: DA ENRICO VI A FEDERICO II


Federico II, lio di Enrico VI e di Costanza d'Altavilla, nacque a Iesi il 26 dicembre 1194, giorno in cui il padre veniva incoronato a Palermo come sovrano di Sicilia.


A seguito dell'improvvisa morte dell'Imperatore Enrico VI nel 1197, in Germania divampò per oltre un decennio una terribile guerra civile fra guelfi e svevi. In Italia si scatenò l'odio represso contro i tedeschi, e rivolte scoppiarono contro duchi e signori germanici insediati da Enrico. Quest'ultimo, probabilmente, aveva presagito il crollo della sua politica, come dimostra il testamento redatto poco prima della morte. L'Imperatore disponeva che Costanza e Federico, secondo la consuetudine dei sovrani normanni, riconoscessero il Pontefice quale signore feudale della Sicilia; reclamava tuttavia che la Chiesa rinunciasse ai possedimenti da lui annessi all'Italia centrale, e ad altri territori contestati.



Accadde, però, che Costanza non ebbe mai modo di vedere quel testamento, fatto sparire dal tedesco Marcovaldo di Anweiler, siniscalco, amico e amministratore di fiducia dell'Imperatore, nonché vassallo di regioni destinate ad essere cedute. Il testamento venne alla luce solo tre anni dopo quando Marcovaldo fu sconfitto a Monreale.

Pur senza conoscere le ultime volontà del marito, Costanza ne eseguì la disposizione più importante: il riconoscimento del Papa quale signore feudale e protettore della Sicilia.

Costanza aveva un unico obiettivo: ricostruire la Sicilia come regno normanno, assicurane l'indipendenza conservandone l'eredità al lio. Dell'appoggio papale poteva essere sicura.


Mentre il regno di Enrico VI si dissolveva, al novantaduenne Celestino III era succeduto sulla cattedra di Pietro, col nome di Innocenzo III, l'energico e astuto Lotario di Segni. Dominato da un concetto altissimo della dignità del proprio potere, Innocenzo III reclamava, verus Imperator, di regnare su tutti i regnanti temporali. Egli ricompose nell'Italia centrale l'originario stato patrimoniale ecclesiastico, chiese il distacco della Sicilia dall'Impero e l'ottenne riuscendo, grazie ai contratti conclusi con Costanza, ad aumentare notevolmente l'influenza della Chiesa nel Regno siciliano.

Costanza aderì con molta riluttanza alle richieste papali, il che però fece sì che il Regno fosse assicurato a lei e al lio difendendoli dai nemici.


Morto Enrico, Costanza condusse a Palermo Federico, allora, di appena tre anni, e la domenica di Pentecoste del 1198 lo fece incoronare Re di Sicilia nella Cattedrale. Da quel giorno, l'allora consueto titolo di Rex Romanorum sve dai documenti. Costanza reclamò per il lio solo quello di Re di Sicilia, duca delle Puglie e principe di Capua.

Nello stesso anno anche Costanza morì. Nel testamento ella nominava papa Innocenzo III reggente della Sicilia e tutore del lio, cosa per la quale il Pontefice avrebbe ottenuto annualmente, a titolo di compenso, una somma di trentamila tarenti.


FEDERICO II: RE DI SICILIA


Federico trascorse la sua giovinezza a Palermo, ma prima che potesse salire al trono, Innocenzo III elevò alla corona imperiale Ottone di Brunswick (Ottone IV); poi, deluso dal nuovo imperatore che cercava di accrescere la propria influenza in Italia e progettava di invadere il Regno di Sicilia, lo scomunicò. Il 27 luglio 1214, a Bouvines, le truppe di Ottone IV furono sconfitte dall'esercito francese del re Filippo Augusto e, a seguito di questo, Federico si mosse alla conquista di Aquisgrana. I cittadini, scacciato il governatore di Ottone, spalancarono le porte a Federico e, dopo Aquisgrana, modulò anche Colonia.

Nel corso di due anni città regioni, una dopo l'altra, si consegnarono a Federico. Ottone morì nel 1218 e, prima di spirare, aveva disposto che le insegne imperiali ancora in suo possesso venissero consegnate a colui che i principi avrebbero eletto all'unanimità: Federico II di Svevia.

La vittoria di Bouvines spalancò a Federico le porte dell'incoronazione che ebbe luogo un anno più tardi, il 25 luglio 1215, nella Cattedrale della città di Carlo Magno.

Cinque anni più tardi, Federico ricevette anche l'incoronazione a Re di Sicilia. A papa Innocenzo III era succeduto papa Onorio III e fu proprio lui incaricato di ufficiare la cerimonia. Ancora una volta Federico rinnovò la promessa di governare la Sicilia con amministrazione separata da quella imperiale, confermando, d'altra parte, lo statuto di vassallaggio del Regno alla Chiesa. Si impegnò anche a che, nella patria che era stata di sua madre, venissero assunti solo funzionari locali. Ogni momento della sua vita, assicurò Federico, sarebbe stato improntato al rispetto del suo signore feudale, e mai egli avrebbe acconsentito all'unificazione del Regno con l'Impero.


A seguito della sua incoronazione, Federico si dedicò completamente al consolidamento del suo potere. Il desiderio, anzi la volontà di Federico era di fare della Sicilia "lo specchio, la norma di ogni dominio regale e l'invidia dei principi": così è scritto nelle Costituzioni di Melfi. Era anche necessario ricostruire il demanio imperiale e imporre l'autorità della corona su tutte le forze centrifughe che in circa vent'anni di anarchia avevano esteso abusivamente la loro autonomia: il clero, i baroni, le città.

Federico procedette in quest'opera con grande fermezza: le concessioni feudali ottenute illegalmente furono abolite, le fortezze e i castelli costruiti abusivamente furono rasi al suolo. La ricostruzione di uno Stato di diritto del Regno di Sicilia si presentava come un'impresa eccezionale. Era inevitabile che la pretesa di Federico di esercitare un potere personale e illimitato, unita a quella di annullare i trent'anni precedenti ripristinando l'originaria sovranità normanna, provocasse aspre reazioni. I baroni, abituati a spadroneggiare senza il controllo di un'autorità centrale, esercitavano la giustizia nelle loro terre, imponevano dazi a piacimento e governavano a seconda degli umori. Ma l'azione dell'imperatore fu favorita dalle rivalità che dividevano i feudatari l'uno dall'altro.



La centralizzazione del potere operata da Federico e la sua nuova legislazione eliminarono l'arbitrarietà del dominio di innumerevoli feudatari apportando alla popolazione la pace, l'ordine, la sicurezza giuridica, la difesa dei deboli garantita dalla persona dell'Imperatore e l'uguaglianza di tutti dinanzi alla legge.


Per ottenere la corona imperiale, Federico si era solennemente impegnato col pontefice a intraprendere, al più presto, una nuova crociata, ma gli impegni del governo e la sua profonda ammirazione per la civiltà araba lo avevano trattenuto entro i confini del mondo cristiano.

Il nuovo papa, Gregorio IX, era però ben diverso dal suo mite predecessore Onorio III: uomo energico e autoritario, non si accontentava delle promesse e, nel 1227 scomunicò Federico, accusandolo apertamente di non avere a cuore il primo e supremo compito di ogni sovrano: la lotta agli infedeli.


Federico partì per la Terrasanta, ma imprese alla sua crociata un carattere davvero insolito: al linguaggio delle armi preferì quello sottile della diplomazia. Cominciò col sottoscrivere una pace decennale col sovrano d'Egitto al-Kamil, che s'impegnò a non ostacolare i pellegrinaggi cristiani; raggiunse poi la Terrasanta, dove fu incoronato re di Gerusalemme, titolo che gli spettava per aver sposato Isabella di Brienne, lia di Giovanni di Brienne, che deteneva formalmente quel titolo e lo aveva trasmesso al genero. La Palestina era dunque nuovamente aperta ai cristiani, e senza versare una sola goccia di sangue: un risultato che nessun altro sovrano prima di Federico era riuscito a ottenere.

Ma tutto questo non piacque al papa, che accusò Federico di essere sceso a patti con gli infedeli, di aver condotto le trattative in modo eccessivamente personale, senza chiedere il parere delle autorità ecclesiastiche; cosa non meno grave, lo accusò anche di essere entrato nel Sepolcro di Cristo malgrado la scomunica. Era evidente che il pontefice non intendeva riconoscere a Federico il notevole successo di quella crociata.

Ma il pontefice si spinse ben oltre, e lanciò il suo esercito contro il Regno di Sicilia. Rientrato prontamente dalla Palestina, l'imperatore sconfisse con facilità le truppe del pontefice che si vide costretto a ritirare la scomunica e ad accettare un accordo (pace di San Germano, 1230).

Federico poteva ora dedicarsi a una vasta opera di riorganizzazione e di consolidamento del proprio potere, il cui centro fu il Regno di Sicilia, comprendente tutta l'Italia meridionale. Il suo manifesto politico, pubblicato nel 1231, fu il Liber Augustalis: un corpo di costituzioni (chiamate «melfitane»), in cui si proclamava solennemente la suprema e assoluta autorità del sovrano sui baroni, sui comuni, sulla Chiesa. Il Liber è la più grande opera legislativa emanata da un'autorità laica nel Medioevo, e rimase, fino all'età napoleonica, il fondamento del diritto vigente in tutto il Mezzogiorno. Esso rivela la straordinaria complessità del modello di governo di Federico e le sue fonti d'ispirazione: il diritto romano, operante in primo luogo nella giustificazione del potere assoluto del sovrano come fonte d'ogni legge, il diritto canonico, che si manifesta soprattutto nell'assimilazione tra l'eresia e il reato di lesa maestà e la tradizione normanna, evidente nella ferma determinazione con cui si contrastava il particolarismo feudale.


Questa autentica rifondazione del potere si sarebbe basata sull'azione capillare di un corpo di funzionari dotati di compiti amministrativi e giudiziari. I quadri della politica amministrativa preposti a tali compiti - notai, giudizi, esperti di diritto - sarebbero stati formati da scuole giuridiche appositamente costituite, prima fra tutte quella dell'Università di Napoli, fondata nel 1224 in concorrenza con la scuola di Bologna. Nella famosa scuola medica di Salerno, Federico istituì la prima cattedra di anatomia d'Europa.


A Palermo, Federico insediò una corte sfarzosa, che ricordava il lusso delle corti orientali. Ma la corte di Federico era soprattutto un luogo di alta cultura, dove confluivano le più vive esperienze intellettuali del mondo arabo e del mondo cristiano e dove si praticava una poesia tra le più raffinate dell'epoca. La "Scuola siciliana", come viene comunemente chiamato il circolo di poeti radunatisi intorno all'Imperatore, è la prima scuola letteraria fiorita nel nostro paese durante l'età medievale.


Una politica tanto ambiziosa aveva naturalmente bisogno di notevoli mezzi finanziari: per questo l'Imperatore istituì monopoli regi su prodotti di prima necessità e sulle materie prime, creò nuove aziende agricole di proprietà della corona e soprattutto riorganizzò e appesantì il sistema fiscale: qualsiasi attività produttiva, fosse essa rurale e urbana, fu sottoposta a tributi ordinari e straordinari. La situazione delle classi più povere, oppresse dal duplice peso delle prestazioni feudali dovute ai signori e delle esazioni regie, si fece molto difficile. Questo drenaggio delle risorse per finanziare l'esercito e l'apparato amministrativo ebbe, nel complesso, conseguenze negative sull'assetto economico e sociale dell'Italia meridionale, che si ritrovò ancora una volta attardata rispetto alla vivacità del Nord. Quello che caratterizzava il Meridione italiano era, in effetti, una notevole debolezza del ceto mercantile e, in genere, della vita economica urbana.



Uno dei limiti della politica di Federico II sta proprio nel non aver inteso pienamente, e di conseguenza favorito, il ruolo trainante dell'economia cittadina in quella crescita economica che in molte regioni d'Europa era ormai un'evidente realtà.




IL CROLLO DI FEDERICO II


Mentre nell'Italia meridionale si costruivano le strutture di una comine accentrata, nell'Italia settentrionale si accentuavano quelle tendenze all'autonomia comunale che da tempo insidiavano l'autorità del potere imperiale: le alimentava anche il papato, sempre assillato dal timore di un'eventuale unione di tutta l'Italia sotto la corona sveva, che avrebbe inevitabilmente soffocato la Chiesa e compromesso la sua libertà d'azione.

Lo scontro fu scatenato nel 1234 da Enrico VII, il lio cui Federico aveva affidato il regno di Germania. Enrico, che poteva contare sull'appoggio dei comuni della Lega Lombarda, affermava che la politica del padre, tutta incentrata sulla Sicilia, nuoceva alla stabilità del potere imperiale in Germania, lasciandolo in balìa dei baroni.

Federico domò senza grandi difficoltà la rivolta del lio nel 1235 e lo prese prigioniero; mosse poi contro le forze della Lega e, con l'appoggio del signore della Marca Trevigiana Ezzelino da Romano, le sconfisse duramente il 27 novembre 1237 nella battaglia di Cortenuova sul fiume Oglio: un grande successo, che fu confermato nel 1241 dalla vittoria navale che le flotte congiunte di Pisa e di Sicilia, guidate da un altro lio dell'Imperatore, Enzo, riportarono all'Isola del Giglio sulle navi di Genova, alleate del papa Gregorio per un Concilio che avrebbe dovuto deporre l'Imperatore: molti prelati annegarono, molti altri furono catturati.


Papa Gregorio morì lo stesso anno. Il suo successore, Innocenzo IV ne raccolse in pieno l'eredità politica: senza perdere tempo convocò un Concilio a Lione nel 1245 in cui scomunicò l'Imperatore e gli scatenò contro una "crociata". La situazione di Federico cominciò a farsi difficile: ovunque si manifestavano tumulti e ribellioni, mentre i sospetti di congiure coinvolgevano anche la stessa corte imperiale. Nel 1249 i soldati di Bologna inflissero una pesante sconfitta alle truppe imperiali e catturarono addirittura lo stesso principe Enzo. L'anno dopo Federico II preparò il contrattacco: la potenza della sua macchina bellica e la cura con cui aveva organizzato la camna militare lo rendevano certo dal successo. Ma la morte lo colse inaspettata a 56 anni.



Con la morte dell'Imperatore si dissolvevano anche le aspirazioni egemoniche dell'Impero. Sopravvisse però il mito imperiale. Nel giudizio dei contemporanei, come nella riflessione degli storici, Federico II è una ura molto discussa. Fu chiamato "sultano battezzato" o anche "re dei preti" e fu definito crudele e generoso, leale e traditore, fu nemico della Chiesa e persecutore degli eretici, uomo d'azione e diplomatico, seguace della magia e della scienza, poeta e filosofo.

E' evidente nella sua personalità una certa contraddizione nel gusto e l'attaccamento alla più rigida tradizione del potere imperiale, che bloccava la sua azione politica in schemi che non gli consentirono di recepire a fondo quanto di nuovo andava maturando nella società contemporanea.














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