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Gioberti Vincenzo

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Gioberti Vincenzo

Nacque a Torino il 5 aprile del 1801 da Giuseppe, di condizione non agiata. 

Ricevette la prima istruzione dai padri dell'Oratorio e si diede successivamente agli studi e alla vita religiosa. 

Il 9 gennaio 1823 ottenne la laurea in teologia e nel marzo di due anni dopo fu ordinato prete. 

Nel 1830 ebbe rapporti con la società segreta di orientamento liberal-moderato dei Cavalieri della Libertà, quindi collaborò, nel 1833, alla rivista mazziniana La Giovine Italia, pur senza iscriversi all'omonima associazione. 

Caduto in sospetto dell'autorità di polizia per la sua condotta politica, fu arrestato nel giugno del 1833 e nel settembre dello stesso anno fu costretto a prendere la via dell'esilio, che trascorse dapprima a Parigi e dal 1834 a Bruxelles, dedicandosi all'insegnamento e agli studi filosofici e politici. Sarebbe tornato solamente dopo quindici anni di esilio, 'allietato solo dalle gioie dello spirito e della fede nella resurrezione d'Italia', accolto con grande entusiasmo.



Nella storia del Risorgimento italiano l'opera politica e filosofica di Gioberti ebbe una grande efficacia. Da giovane, molto probabilmente, egli appartenne alla società segreta chiamata dei 'Circoli', la quale con A. Brofferio, Giacomo e Giovanni Durando, Michelangelo Castelli e parecchi altri si proponeva di attuare la libertà e l'indipendenza italiana. La società fu ben presto scoperta e disciolta, ma Gioberti continuò ad esercitare, sul clero giovane e sul laicato, la sua azione potente e piena di idee antimonarchiche. 

Non volle mai iscriversi alla 'Giovine Italia' di Mazzini in quanto egli aveva sempre dimostrato disgusto per l'aggressività e la violenza della setta mazziniana e condannava i tentativi vani di insurrezione.

Il suo odio verso la monarchia, o la tirannide, si fece sempre più esasperato, ma con il passare del tempo, l'acceso convincimento per la repubblica dimostrato più volte durante i suoi giovani anni venne sostituito dall'amore verso le riforme e l'idea di una monarchia rappresentativa. 

Nel 1843 pubblicò la sua più importante opera 'Del Primato morale e civile degli italiani' nella quale, partendo dalla considerazione che presso altri popoli la fede religiosa era stato l'elemento di fusione e non ostacolo all'unificazione nazionale (ad esempio in Grecia nel corso della lotta contro i Turchi), egli si domandava perché la stessa cosa non dovesse accadere anche in Italia, culla della cattolicità e, come tale, maestra di civiltà al mondo. 

Inoltre egli preferiva l'instaurazione di una confederazione di tutti i principi italiani sotto la presidenza del papato e il suo intimo pensiero era rivolto ad una sola Italia forte e libera: il federalismo consisteva nel semplice mezzo per arrivare all'unificazione piena dell'Italia. Il pensiero di Gioberti si incontrò qui con quello di Cavour: il Piemonte con il suo giovane re doveva assumere l'egemonia della nazione e dare l'unità e l'indipendenza all'Italia prescindendo dalla confederazione degli altri principi e dall'aiuto del papato.

Quello di Gioberti rappresentava un programma apparentemente attuabile in quanto esso si ispirava fondamentalmente su idee molto diffuse sia in Francia che in Italia, tendenti a conciliare religione e patria, cattolicesimo e liberismo, ma con il merito di associare il papato alla causa del Risorgimento. Queste sue idee vennero accolte favorevolmente da scrittori famosi quali il Manzoni, il Rosmini, il Pellico e il Tommaseo e da una vasta corrente di opinione qual era quella cattolica, che non intendeva sacrificare l'ideale religioso all'ideale patriottico e aspirava a rinnovare l'Italia senza rivoluzioni. Aderirono inoltre al programma giobertiano anche tutti coloro che non se la sentivano di lottare contro le dinastie regnanti nei diversi Stati Italiani e speravano di poter realizzare un'unità di intenti fra i giovani e le classi dirigenti.

Ricordando il guelfismo medioevale, che aveva trovato nel papato un'appoggio e una guida nella lotta contro gli imperatori tedeschi, Gioberti venne definito neo-guelfo. C'era nel suo pensiero, come era evidente, quanto bastava per soddisfare i benpensanti: nessuna rottura con il presente, conservazione delle dinastie, assenza di ogni forma di insurrezione popolare, iniziativa dei principi e pieno rispetto dell'ordine costituito, pieno accordo con il papato, anzi subordinazione della rinascita nazionale alla sua alta direzione.

Nonostante la larga diffusione delle sue tesi presso l'opinione pubblica, Gioberti non andò esente da critiche. Infatti la rivoluzione sognata dai sostenitori delle sue idee era alquanto utopistica: tutto doveva svolgersi senza difficoltà, senza un contributo d'azione, nel migliore dei modi possibili, con la benedizione papale, con la condiscendenza benevola dell'Austria, col perfetto amore fra sovrani e sudditi. Inoltre il neo-guelfismo venne decisamente avversato dai Gesuiti e da altri scrittori cattolici come il Capponi e il Lambruschini, i quali avvertivano i pericoli di confusione fra l'ordine politico e l'ordine religioso.

sulla democrazia e il suffragio vale però la pena leggere questo passo del GIOBERTI 

'La mera democrazia (questo indicibile bamboleggiare degli scrittori, in Francia, in Inghilterra, nell'America boreale dei dì nostri, che adorano le moltitudini, esaltano il principio di associazione, invocano e celebrano l'alleanza dei popoli - tale è la piaga principale, vezzo prediletto del secolo) non può sussistere, durare, perchè radicalmente inorganicaIl numero accresce la forza, ma non la crea Un branco di pecore innumerabili è sempre men capace e men valido del mandrianoMentre il diritto del Principe è divino, poichè risale a quella sovranità primitiva onde venne organato ed istituito  il popolo di cui regge le sortiLa sovranità si riceve, ma non si fa e non si pigliaElla importa la sudditanza, come un necessario correlativo; e il dire che il sovrano possa essere creato dai suoi soggetti (con il suffragio Ndr) e trarne i diritti che lo previlegiano, inchiude contraddizione. Insomma, il sovrano è autonomo rispetto ai sudditi, e se ricevesse da loro l'autorità sua, non sarebbe veramente sovrano, perchè i suoi titoli ripugnerebbero alla sua origine I sudditi dipendono dal sovrano, e non viceversaL'obbligazione verso il sovrano dee dunque essere assoluta, altrimenti la sovranità è nulla'La potestà è ordinata, e da Dio procede' a ciò allude l'Apostolo (Paul. ad rom., XII,1,2).
Sapete donde nasce il più grave pericolo? Dal predominio della plebe, la quale promette una seconda barbarie più profonda di quella dei Vandali e degli Unni e un dispotismo più duro del napoleonico. Guai alla civiltà nostra se la moltitudine prevalesse negli Stati. (V. Gioberti, Studio della filosofia, cap. Della politica, vol III, Tipografia elvetica, Capolago 1849). (Nel '43 aveva scritto 'Del primato morale e civile degli italiani' . Una tesi contro le aspirazioni rivoluzionarie dei democratici).

Mentre in America il lio di un anonimo boscaiolo veniva nello stesso anno eletto dalla 'moltitudine' deputato a Washington. Si chiamava Abramo Lincoln, un lio della 'plebe che Gioberti non gradiva, perchè non aveva la 'potestà ordinata da Dio'.





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