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Gli aztechi



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Gli aztechi


Le fonti a disposizione non consentono ancora di essere precisi circa l'origine degli Aztechi. È certo comunque che essi appartenevano al gruppo etnico nahua, giunto dal N nell'antico Messico intorno al VI-VII secolo. La zona che vide lo sviluppo di quell'insediamento fu la valle dell'Anáhuac, nella parte centrale del Paese, dove altre genti nahua (Toltechi, Chichimechi, ecc.) avevano dato origine a comini statali. L'ascesa degli Aztechi avvenne dopo che nel 1325 sotto la guida di Tenoch, ebbero edificato la città di Tenochtitlán. Lentamente il loro peso politico aumentò. Tenochtitián entrò in una specie di confederazione che comprendeva Texcoco (la capitale dei Chichimechi) e la città-Stato dei Tepanechi, Azcapotzalco. Nella prima metà del XV sec. gli Aztechi ampliarono ancora il loro potere e, per opera del loro sovrano Itzcoatl, relegarono gli alleati in posizione subordinata. Ai successori di Itzcoatl spettò il compito di ampliare il dominio: Montezuma I (1440-l469) domò Huasteca, Axayacatl (1469-l481) soggiogò Tlatelolco e Tarascán, Ahuizotl (1486-l502) si spinse fino al Guatemala. Montezuma II (1502-l520), lio primogenito di Axayacatl, realizzò ulteriori conquiste, ma a lui toccò anche confrontarsi con gli Snoli, sbarcati nel 1519 al comando di Hernán Cortés. Dopo alterne vicende, Montezuma morì, in seguito a ferite, nei giugno 1520; ereditò il potere suo fratello Cuitláhuac, che tentò invano di respingere Cortés. Sso pure Cuitláhuac, continuò a lottare contro gli Snoli il nipote Cuahtémoc (lio di Tilalcopatal, sorella di Montezuma e di Cuitláhuac), ma Cortés occupò Tenochtitlán (13 agosto 1521) e fece prigioniero il giovane principe, per poi farlo assassinare nel 1525. L'impero degli Aztechi non esisteva più. Lo Stato che essi avevano costruito era di tipo monarchico: il sovrano (tlacatecuhli) veniva eletto dal Consiglio dei dignitari di corte fra gli appartenenti agli strati sociali più elevati; ma generalmente lo scettro si trasmetteva di padre in lio o quanto meno restava nell'ambito di uno stesso clan. La società presentava un impianto verticale: il primo nucleo era la famiglia; più famiglie costituivano un clan, o calpulli; più calpullis formavano una tribù; ogni tribù inviava un proprio rappresentante al Consiglio dei dignitari che assisteva il monarca. Gli uomini erano catalogati sulla base del loro mestiere: il che favoriva una certa stratificazione di classi. Le donne, pur nell'ambito di uno status inferiore a quello degli uomini, godevano di molti diritti. In ordine alla scala sociale, all'apice stavano il sovrano e le supreme gerarchie, alla base i plebei e gli schiavi; fra i due estremi, i ceti che oggi sarebbero definiti medi. All'istruzione si attribuiva grande valore; funzionavano due modelli di scuole: il telpuchalli, o scuola aperta a tutti, e il calmecac, o scuola per l'ordinamento sacerdotale. La proprietà era collettiva, nel senso che ciascun calpulli, inteso come distretto amministrativo all'interno del quale viveva la collettività di un clan, disponeva della terra e degli altri mezzi necessari alla vita. Ma veniva riconosciuta pure la proprietà privata. Al sovrano erano dovuti a titolo di omaggio, beni e servigi, nonché l'esenzione da qualsiasi tributo. L'economia era basata prevalentemente sull'agricoltura e sull'artigianato, mentre il commercio si svolgeva soltanto mediante baratto. I militari erano tenuti in alta considerazione e appunto militare era, il più delle volte, il primo consigliere del monarca, una specie di viceré dotato di vasti poteri (celebre fu Tlacaélel, al servizio di Montezuma I). Queste strutture istituzionali permisero agli Aztechi di consolidare un grande impero, ma furono anche all'origine della loro decadenza e fine. Fattori determinanti di questo processo furono la rigidità della stratificazione sociale, che impediva i ricambi e la valorizzazione degli elementi migliori, nonché il fatto che gli Aztechi non trasformarono al momento giusto la loro entità politico-territoriale in un regno unitario, ma conservarono il sistema dei rapporti di vassallaggio all'interno del quale numerose erano ormai le ribellioni di cui approfittarono gli Snoli.




Il tratto più saliente della religione azteca, quello che più impressionò i cronisti snoli, è senza dubbio il sacrificio umano. Un'importante divinità, Xipe, sembrerebbe personificare l'idea stessa del sacrificio umano tipicamente azteco (ossia con esclusione dei sacrifici di bambini agli dei della pioggia, comuni alle regioni andina e mesoamericana). In questo genere di sacrificio si è voluto vedere una specie di mortificazione della materia in vista di una rinascita «spirituale»; e Xipe, in verità, estendeva la sua azione anche alla «liberazione» penitenziale, ottenuta di solito con le scarificazioni. Il tutto è espresso con un simbolismo che accoglieva analogicamente la sorte della pannocchia di mais, quando, spogliata - o «scorticata» come Xipe, il cui nome significa appunto lo Scorticato, o come la vittima sacrificale umana - mostra l'oro interiore dei grani maturi. Durante le feste di Xipe avvenivano carneficine sacrificali: prigionieri di guerra (di guerre sostanzialmente «rituali», distinte dalle guerre di conquista), decapitati e scuoiati, erano i «sostituti» dei catturatori che danzavano tenendo in mano le loro teste, mentre le pelli venivano indossate da altri che rappresentavano la condizione migliore ottenuta con la morte. Le carni della vittima erano ritualmente mangiate in un banchetto offerto dal catturatore ai suoi amici. L'identificazione tra catturatore e vittima è rilevata da vari fatti, tra cui: nella formula di cattura il vincitore si dichiarava «padre» del vinto; egli non partecipava al pasto cannibalico («Dovrei mangiare me stesso?», diceva); era compianto, quasi fosse colui che doveva morire, e nel corso del rito veniva ornato di paramenti propri delle vittime sacrificali. In tal modo il catturatore subiva, attraverso la vittima, l'esperienza sublimatrice di morte e rinascita. E d'altro canto ai prigionieri sacrificati si prospettava una sorte privilegiata nell'aldilà, pari a quella dei caduti in guerra. Insomma il catturatore otteneva una sua salvezza personale con una cerimonia che affonda le sue radici nella pratica primitiva della caccia di teste e dell'antropofagia rituale. C'è in più l'esperienza politeistica, rivelata dalla presenza di Xipe.


Un ulteriore sviluppo della pratica in senso politeistico si può chiaramente scorgere a livello del culto pubblico, fondato su una «teologia» solare (equazione di base: Sole=Stato, come presso gli Inca e altrove), nella quale non sono più gli uomini i «cannibali», ma «cannibale» è il dioSole a cui è offerto il cuore e il sangue delle vittime. Né le vittime sono più «sostituti» di altri uomini, ma diventano i «sostituti» di divinità che, a turno, come è narrato in un drammatico mito cosmogonico, si sacrificano per dare forza («movimento») al Sole. E anche il Sole, in questo stesso mito, è assurto alla sua attuale splendida condizione soltanto dopo essere «morto» volontariamente, gettandosi in un rogo; prima era un dio malato, sifilitico e scabbioso, come talvolta veniva rappresentato anche quel Xipe di cui si è detto sopra. Per dare «movimento» al Sole cade in una festa annuale Tezcatlipoca, grande dio mago, rappresentato per lo spazio di un anno da un giovane scelto nella riserva dei prigionieri nobili. Cade Huitzilopochtli, il dio tribale che avrebbe guidato gli Aztechi alle sedi storiche, anch'egli impersonato per un anno dalla vittima che realizzava il suo sacrificio. Cade la «dea del Sole», impersonata, durante una cerimonia riservata alle donne, da una fanciulla che viene poi sacrificata. Cade la «Madre degli dei», rappresentata da una donna costretta a morire lietamente «come se andasse a nozze»; la sua pelle veniva indossata da un giovane che poi celebrava riti nel tempio di Huitzilopochtli; un frammento di coscia serviva a un altro giovane per personificare Centleot, il dio-mais. Insomma tutte le divinità del pantheon azteco venivano idealmente immolate al Sole. Unica eccezione era Quetzalcoatl, il Serpente Piumato. Ma questi più che un dio era un antico eroe cultuale assurto a condizione divina per adattamento al sistema politeistico. Insieme a Tezcatlipoca egli è l'eroe delle azioni cosmogoniche che danno al mondo l'assetto attuale (p. es. la separazione del cielo e della terra). In altre imprese i due si presentano come antagonisti e allora su Quetzalcoatl si polarizzano la saggezza e la benevolenza mentre su Tezcatlipoca la forza bruta (era rappresentato come giaguaro) e il potere magico. D'altra parte sono proprio queste sue qualità «dinamiche» che fanno di Tezcatlipoca una vittima del Sole che ha bisogno della sua forza e dei suoi poteri, ma non ha bisogno della saggezza di Quetzalcoatl. Il dio tribale Huitzilopochtli dona al Sole le sue facoltà guerriere e il suo calore (è il dio dell'estate e del sud); e il Sole che incorpora Huitzilopochtli diventa esso stesso un grande guerriero che scaccia dal cielo la Luna e le stelle. In questa identificazione del tribale Huitzilopochtli con l'universale Sole sta forse il nucleo dell'ideologia azteca che portò questa nazione alla fondazione di un impero e dunque di un universo superetnico dominato dalla loro supremazia etnica. Tale supremazia, sorretta dalle armi, parrebbe il punto di arrivo logico di un popolo cui la religione comandava di far guerra di continuo per procurare vittime umane sacrificali. Si sarebbe avuto così un passaggio dalla guerra rituale alla guerra imperialistica vera e propria, che trovava una società e una cultura perfettamente rispondenti allo scopo. A questo proposito c'è da notare che quando gli Aztechi, consolidata la loro potenza, conclusero trattati di pace con alcuni popoli vicini, si riservarono tuttavia la facoltà di intraprendere guerre al solo scopo di procurarsi vittime sacrificali.




Ultimi venuti sull'altopiano del Messico ed eredi di civiltà anteriori, anche notevolmente sviluppate (Toltechi e Mixtechi, in particolare), gli Aztechi diedero opere originali, sia alle lettere sia alle arti. Il nahuatl era ed è tuttora una lingua agile e ricca, adatta per la sua struttura grammaticale e la fonologia ai parallelismi, alle assonanze e alla retorica «fiorita» e pertanto ai discorsi e alla poesia. Inoltre gli Aztechi, che possedevano un'acuta sensibilità musicale, associarono sempre la musica e la danza alla recitazione dei poemi (il termine cuicaní designava al tempo stesso il poeta e il cantore). Esistevano «case del canto» destinate alla formazione dei poeti-cantori e concorsi di poesia dotati di ricchi premi. Comune era l'uso di declamare poemi alla fine dei banchetti, alla corte e presso le famiglie aristocratiche; molto praticata era anche la poesia corale, a più voci, con preurazioni di dialogo drammatico. Alti personaggi, come Nezahualcoyotl, re di Texcoco, non disdegnavano di comporre versi e musiche. Di molta stima godeva anche l'arte oratoria, e tutte le cerimonie pubbliche e private erano sempre accomnate da discorsi, ammonimenti degli anziani, esortazioni morali, ecc.; e pure largamente coltivate furono la prosa storica (annali pittografici) e quella didattico-narrativa, con particolare predilezione per la favola, l'aneddotica umoristica e il racconto mitologico. Resti di questa ricca tradizione esistono tuttora presso molte tribù indigene messicane, e le ricerche di studiosi come A. M. Garibay hanno riportato in luce molti testi dell'antica letteratura azteca: poemi religiosi e cosmogonici, spesso oscuri perché irti di metafore e di allusioni, espressione comunque di un pensiero teologico ricco ed evoluto; poemi epici in cui si fondevano dati storici e mitologia (particolarmente importanti quelli intorno a Quetzalcoatl, il Serpente Piumato); poemi lirici di ogni genere, che cantavano l'amore, la bellezza della natura e della donna, i fiori, la guerra, la morte, spesso con eleganza e originalità ammirevoli. Particolarmente belle le «elegie» di Nezahualcoyotl, che è stato definito il «Leopardi messicano». Molti altri testi di grande interesse storico e artistico sono stati trascritti o messi in prosa da cronisti e missionari cristiani subito dopo la Conquista; in particolare da Bernardino de Sahagún, Toribio de Benavente e Bartolomé de las Casas.




Già nei primi trent'anni del sec. XV gli Aztechi costruivano templi di pietra e alla fine di quel secolo essi erano alla pari, almeno per quanto riguarda l'architettura, con le civiltà che li avevano preceduti. Gli edifici religiosi erano certamente più imponenti rispetto a quelli civili, poiché anche i palazzi in fondo non erano che l'ampliamento del tipo comune di abitazione e rispettavano uno schema con camere rettangolari che si aprono su di un cortile interno. I templi erano costruiti su grandi piramidi tronche terrazzate, in cima alle quali si arrivava per mezzo di una ripida scalinata, fiancheggiata o divisa in due rampe da balaustre, che terminavano nella parte inferiore con la testa del Serpente Piumato. Numerose altre sculture, rappresentanti serpenti o crani umani, ornavano la piattaforma superiore della piramide. Il vero e proprio tempio era costituito da una cella che ospitava la statua del dio e da un'altra cella che serviva agli officianti, davanti alla quale era un altare di pietra. I più importanti templi aztechi si trovano a Tenayuca, Xochicalco e Malinalco; quelli della capitale Tenochtitlán, distrutti dagli Snoli all'epoca della Conquista, sono individuabili dalle fondamenta, ritrovate in alcuni casi sotto le abitazioni di Città di Messico. Malgrado la grandiosità degli edifici, l'architettura azteca non presenta particolari elementi di originalità, mentre la scultura a tutto tondo e il bassorilievo sono di livello molto elevato. L'arte scultorea era una produzione a carattere fortemente esoterico, riservata agli iniziati, sacerdoti o divinità. Gli scultori aztechi usarono ogni tipo di materiale ed ebbero un senso della proporzione tale da conferire alla loro produzione una severa monumentalità. Le ure di divinità sono statiche, in posizione eretta o seduta, scolpite con una grande cura dei particolari (quasi sempre legati a simboli di morte)  e un certo amore per il macabro e il grottesco. In contrasto con queste rappresentazioni simboliche di divinità (Statua della dea Caotlicue, Città di Messico, Museo Nazionale di Antropologia) vi sono esempi di straordinario realismo in ure animali o umane (Statuetta della dea Tlazolteotl partoriente, Washington, collezione Robert Wood Bliss). Per quanto riguarda i bassorilievi, essi dimostrano una grande maestria compositiva, come si può osservare nella Pietra del Calendario e nella Pietra di Tizoc (Città di Messico, Museo Nazionale di Antropologia), che hanno l'una un significato religioso e l'altra un valore storico (vi sono rappresentate simbolicamente le vittorie di Tizoc). Il disegno e la pittura sono modesti e anche gli affreschi di Tizatlán e Malinalco non sono di qualità superiore ai disegni che si vedono nei codici, che però hanno una certa attrattiva e molti caratteri umoristici. La pittura denota una preferenza per i colori forti, e un tipo di disegno secco e convenzionale. Gli artigiani aztechi fecero anche notevoli lavori nel campo dell'oreficeria, della ceramica (in genere decorata a motivi neri su fondo rosso o arancione), della glittica e dell'arte plumaria (scudi, ventagli, acconciature), ma l'architettura e la scultura costituiscono le manifestazioni artistiche più rappresentative della loro cultura.




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