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Guerra in corea - Antefatti, L'Inizio, L'amaro risveglio e il Generale di ferro, L'intervento Cinese, Il 'Great Debate'

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Guerra in corea

Antefatti

Prima di addentrarsi nella discussione delle vicende strettamente legate agli avvenimenti storici che vanno solitamente sotto il nome di Guerra di Corea, è bene fare un flashback per delineare quali siano stati gli antefatti che hanno condotto gli Stati Uniti e con loro diverse nazioni appartenenti all'ONU, a partecipare attivamente al conflitto. Fin dalla Conferenza di Casablanca del 1944, il Presidente americano Roosevelt aveva tracciato i confini di quello che avrebbe dovuto essere il mondo dopo la sconfitta del nazismo. Le linee guida del nuovo ordine mondiale sarebbero state principalmente due. Primariamente, in campo politico i governi avrebbero dovuto ispirarsi al principio di democrazia in stile americano e in ambito economico la forma di mercato liberista e capitalista doveva essere ampiamente supportata dalle nazioni quale strumento di sostegno della libertà politica (ciò avrebbe portato agli accordi di Bretton Woods sulla conversione aurea del dollaro). Non approfondiremo in questa sede quali siano stati gli errori di fondo di tale impostazione né i pregi innegabili che ebbe, ma ci limiteremo a rilevare che per il compimento del Grand Design rooseveltiano rimaneva un unico ostacolo: l'Unione Sovietica. La grande nazione eurasiatica si era dimostrata un'insostituibile alleata durante la seconda guerra mondiale e nella visione dello statista americano avrebbe dovuto partecipare anch'essa alla riorganizzazione mondiale. Su tali basi si erano sempre appoggiati i rapporti intrattenuti con Stalin sia a Casablanca sia a Yalta e a Potsdam. Del resto il gigante sovietico, duramente provato dai combattimenti contro i tedeschi, si era visto costretto ad accettare l'amicizia americana, soprassedendo alle diversità ideologiche di fondo. Winston Churchill al contrario del presidente americano si era sempre mantenuto diffidente nei confronti dell'alleato orientale, considerandolo uno scomodo vicino pronto a pugnalare alla schiena alla prima occasione. Purtroppo per l'inglese, la sconfitta alle elezioni politiche nazionali non gli permise di mettere il proprio saggio consiglio al servizio del mondo occidentale.



E' difficile prevedere quale piega avrebbe preso il corso della storia se non fosse sopraggiunta la morte di Roosevelt a mutare i rapporti tra le due nascenti superpotenze. Ancor più gravoso è tracciare un quadro esauriente dello scenario politico di quegli anni senza il suo successore: Harry S. Truman. Egli, giunto quasi inaspettatamente a raccogliere abbastanza consensi da divenire vicepresidente durante il terzo mandato presidenziale di Roosevelt, si poteva identificare come lo stereotipo americano del self-made man. Ex-giudice della contea di Jackson (Missouri), ex-negoziante fallito ed ex- capitano d'artiglieria durante la prima guerra mondiale, Truman rappresentava quella classe di americani tradizionalisti che rasentavano il fondamentalismo. Nella sua semplice politica di base non potevano esistere dei compromessi, tutto era o bianco o nero. Di lui scrisse così David E. Lilienthal, esponente del Partito Democratico: 'Il paese e il mondo non si meritano di essere abbandonati nelle sue mani, con Truman alla testa degli Stati Uniti in un momento simile'. La Germania era già stata sconfitta, ma il Giappone resisteva ancora. Per venire a capo dell'orgogliosa nazione del Pacifico, il neo Presidente accettò un ultimo favore dagli alleati russi, cioè la dichiarazione di guerra contro il paese del sol levante (denuncia del trattato di neutralità russo-giapponese nell'Aprile 1945). Da quel momento in avanti le relazioni tra i due paesi non avrebbero fatto altro che peggiorare.

La riformulazione della politica statunitense verso l'Unione Sovietica fu fortemente influenzata dalla corrispondenza da Mosca di George F. Kennan, sovietologo accreditato del Dipartimento di Stato, che in una sua relazione sull'Unione Sovietica, traccia sommariamente i punti cardine su cui si fonderà l'operato dell'Amministrazione Truman. Kennan si pose in una via di mezzo tra i favorevoli ad oltranza (tutti appartenenti alla corrente del New Deal) e i cacciatori di streghe antisovietici (il Maccartismo era sul punto di nascere), definendo i russi come un popolo psicologicamente portato all'espansionismo, quale unico rimedio all'insicurezza di fondo della nazione. Seguendo tale preconcetto articolò due direttive precise conosciute come teoria del contenimento (o balance of power) e del domino. Con la prima gli Stati Uniti avrebbero dovuto provvedere a creare intorno al paese comunista una cintura di sicurezza costituita principalmente dalle nazioni democratiche dell'Europa Occidentale e dell'Estremo Oriente, mentre con la seconda si sarebbero dovuti attivare per limitare le reazioni a catena dei rivoluzionari comunisti al loro primo verificarsi senza che si attendesse l'espansione del cosiddetto 'pericolo rosso'. Parallela a queste due concezioni si sviluppò il principio della 'aggressione pezzo per pezzo', dove si ipotizzava una serie di attacchi sovietici contro stati amici sia attraverso gli stessi partiti comunisti interni a tali nazioni, sia con aggressioni militari dirette.

A mantenere gli Stati Uniti in una posizione di vantaggio rimaneva comunque l'esclusiva dell'armamento nucleare. Su di essa si basò tutta la politica estera fino al 1949. In quell'anno il monopolio nucleare ebbe fine, con un anticipo di diversi anni rispetto a quanto preventivato dalla National Security Agency (Agenzia per la Sicurezza Nazionale). Trovarsi nuovamente con un avversario di pari potenza fu abbastanza sbalordente per l'opinione pubblica americana. I sovietici non avevano per nulla perso le proprie tendenze aggressive ed ora potevano sorreggerle con armamenti atomici. Perso il vantaggio tecnologico, il comando militare americano si avvinghiò al postulato seguente: arma più potente = vittoria sicura. Furono così collaudate le bombe all'idrogeno, ben più distruttive di quelle originarie di Hiroshima e l'arsenale atomico delle due parti cominciò a crescere vertiginosamente. Si era arrivati al ben noto fenomeno dell'overkill, cioè al possedere (ed eventualmente utilizzare) armi molto più potenti di quanto fosse necessario per distruggere il bersaglio per cui erano state costruite. A far precipitare la situazione sulla sponda asiatica del Pacifico, sopraggiunse il mutamento di regime in Cina, sempre nel 1949.

Il governo cinese fino a quell'anno era rimasto saldamente nelle mani di Chiang Kai Schek, leader del Partito nazionalista Cinese e fedele alleato degli americani. Gli Stati Uniti avevano sostenuto la Cina fin dall'aggressione giapponese del 1934, spingendosi fino al punto di permettere la sua entrata nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La vittoria dei comunisti di Mao giunse come un fulmine a ciel sereno. (stessa situazione si sarebbe ripetuta nel 1958 per i ribelli castristi.) Attraverso un'indagine pubblicata dal Dipartimento di Stato americano subito dopo la cacciata di Chiang, possiamo comprendere come i vertici politici statunitensi avessero notevolmente sottovalutato la corruzione e il dispotismo del regime nazionalista, permettendo che il malcontento popolare si radicalizzasse su posizioni estremiste di sinistra. Nello stesso documento si dichiara la necessità di interventi più tempestivi negli affari esteri, per evitare di trovarsi di fronte al fatto compiuto. La rivoluzione cinese ebbe impatto sconvolgente sull'elettorato americano. Esso aveva appena confermato a sorpresa Truman quale presidente proprio in ragione della sua politica di resistenza all'espansione comunista solo per ritrovarsi come nemico un paese che per lunghi decenni era stato considerato, a ragione, come un caposaldo delle idee americane in Asia. Per rimediare alla debacle, nelle gerarchie politiche si provvide immediatamente a colpire duramente ogni forma di filocomunismo interno. Nei primi mesi del 1950 il senatore del Wisconsin Taylor McCarthy dava inizio a quel clima di Terrore degno della rivoluzione francese che avrebbe caratterizzato il successivo lustro (sotto i suoi strali sarebbero finiti persino ineccepibili patrioti quali Marshall e Acheson). I tempi erano maturi per uno scontro diretto sul campo tra Democrazia e Comunismo e l'occasione si presentò nel Giugno del 1950 nella semi sconosciuta Corea.

L'Inizio

'Atto di aggressione iniziato senza avvertimento e senza provocazione in esecuzione di un piano accuratamente preparato' così recita il Documento delle Nazioni Unite S/1507 del 26 Giugno 1950. Esso si riferiva naturalmente all'azione iniziata il giorno precedente da parte delle forze armate della Corea del Nord che avevano invaso la Corea del Sud superando il 38° Parallelo. L'affaire coreano era tutt'altro che inatteso. La zona era ad altissimo rischio fin dal 1910, anno in cui la Corea era stata presa con la forza dal Giappone. La penisola asiatica era stata trasformata in una vera e propria colonia di sfruttamento a favore dell'impero nipponico, trampolino di lancio (attraverso lo stato fantoccio del Manciukuò) verso la conquista della Cina. Durante la seconda guerra mondiale gli alleati, in conseguenza della sconfitta del Giappone, avevano già previsto di renderla indipendente e ciò sarebbe avvenuto senza traumi se non fosse intervenuta una divisione del paese analoga a quella occorsa in Germania. I russi avevano preso possesso del Nord del paese, mentre al Sud l'ordine era garantito da truppe statunitensi. Al momento del ritiro delle forze occupanti, anziché provvedere a una riunificazione che doveva rientrare nello stato delle cose per una nazione che aveva una storia comune millenaria, furono invece creati due stati separati e antagonisti: la Corea del Nord col regime comunista di Kim Il Sung e la Corea del Sud del nazionalista Sygman Rhee.

L'attacco comunista alla Corea del Sud parve la conferma della teoria dell'aggressione pezzo per pezzo. A Washington ne erano certi. Un rapporto del National Security Council, noto come NSC 68, proponeva come risposta a interventi simili, un intervento adeguato e pronto sul piano militare e fu ciò che effettivamente avvenne. Sebbene la Corea non rientrasse in quell'area di sicurezza (dalle isole Aleutine attraverso il Giappone fino alle Filippine) che era stata delineata come cerchia di sicurezza esterna da parte degli Stati Uniti, l'abbandono dopo la Cina di un'altra nazione considerata amica non sarebbe stato tollerato dall'opinione pubblica. L'intervento americano aveva però bisogno dell'investitura della legalità per rispettare quegli stessi principi di giustizia e costituzionalità che il governo di Washington aveva fortissimamente voluto alla base del nuovo ordine mondiale. Tale investitura doveva provenire assolutamente dalle Nazioni Unite. E' singolare notare che l'Unione Sovietica quale membro permanente del consiglio di sicurezza avrebbe potuto benissimo porre il veto a una risoluzione d'intervento, ma proprio nel giugno del 1950 il rappresentante russo era assente in protesta contro gli americani che ostinatamente si rifiutavano di sostituire il membro della Cina Nazionalista con uno del neo governo comunista cinese. Non si può dire quanto calcolo politico ci fosse in questa assenza programmata, sta di fatto però che gli americani ottennero il benestare che serviva loro.

Fin dal principio apparve chiaro che l'interventismo americano non aveva fondamenta solo in un'oculata politica estera di contenimento del nemico sovietico, ma anche in necessità puramente interne. Truman non avrebbe potuto fare altro di fronte ai continui attacchi repubblicani al Congresso e a mezzo stampa. In particolare il senatore Robert Taft si accanì con vigore contro il presunto immobilismo presidenziale che aveva, a detta del suo detrattore, colpevolmente ignorato alcuni rapporti della CIA che segnalavano con chiarezza il riarmo e la preparazione dell'esercito nordcoreano. La determinazione dell'azione comunista mise alle strette i vertici militari americani che non poterono fare altro che dichiarare l'intervento in forze. E' da sottolineare come dal punto di vista giuridico, il conflitto che si stava per svolgere in Corea non fu mai qualificato tecnicamente come guerra, ma unicamente come azione di polizia sotto l'egida delle Nazioni Unite. Ora, sebbene sia corretta questa dizione, è palese che l'escalation progressiva dei combattimenti e l'impiego estremamente limitato dei contingenti di altre 16 Nazioni (ad esclusione delle forze armate inglesi che furono subito al fianco del loro potente alleato d'oltre Atlantico) non può far alto che qualificare quell'impresa come una guerra americana. Anche il popolo degli Stati Uniti la sentiva come tale. Dopo gli eccessi anticomunisti del 1949 e dei primi mesi del 1950, il desiderio di dare una lezione ai 'Rossi' era largamente diffuso. Si sentiva la necessità di una Crociata contro l'oscurantismo e il dispotismo, uniche qualità che si riconoscevano al regime sovietico. Se non fosse stato in Corea, sarebbe avvenuto in Germania, ma in ogni caso lo scontro tra le due super potenze era fin troppo maturo.

L'amaro risveglio e il Generale di ferro

L'eccitazione delle prime ore ci mise ben poco a scemare. L'attacco nord coreano era stato pianificato con minuziosa precisione, tenendo conto della debolezza dell'esercito sud coreano e anche della lentezza della macchina militare americana. Per tutto il mese di Luglio del 1950 le truppe comuniste progrediranno nella loro entusiasmante avanzata nel Sud del paese, travolgendo in sequenza Seoul, Incheon, Chung-chu, An Dong. La resistenza nazionalista fu davvero minima e non servì a molto neppure l'appoggio dei marines americani provenienti dal Giappone. Questi ultimi, ormai da anni abituati alla vita di retrovia e alla tranquillità di Tokyo non bastarono ad arrestare la travolgente marea avanzante. Ai primi del mese di Agosto, il 90% del territorio sudcoreano era caduto in mano comunista e solo il grande porto di Pusan con il suo entroterra rimaneva sotto il controllo degli americani e delle Nazioni Unite. Di fronte a una situazione militare che rasentava la disfatta, qualunque comandante militare avrebbe optato per l'evacuazione della penisola coreana. Qualunque comandante tranne Douglas McArthur.

Discendente da una famiglia di militari da lunga data, si era particolarmente distinto già dal suo servizio di prima nomina, avvenuta nel 1903. Legò le sue fortune a quelle del popolo filippino. Seguendo il padre (comandante delle truppe americane d'occupazione) nelle isole poco dopo che queste passarono sotto la giurisdizione statunitense, si distinse sia per genio tattico sia per coraggio durante tutta la camna per la pacificazione dell'arcipelago. Fu il più giovane direttore dell'Accademia Militare di West Point e il più giovane capo di stato maggiore. Purtroppo tra le sue qualità non spiccava di certo la diplomazia che, al contrario, necessitava per rimanere così in alto nella gerarchia militare. Così nel suo momento di massimo fulgore prima della seconda guerra mondiale, accettò di condurre l'esercito filippino in attesa dell'indipendenza promessa per il 1946. Il suo buon lavoro fu tragicamente interrotto a causa dell'invasione giapponese. Già reintegrato da Marshall nell'esercito americano ebbe il compito di arrestare l'avanzata del nemico avvalendosi unicamente delle poche truppe filippine ben addestrate e dei pochi reparti americani di stanza nell'isola principale di Luzon. La sua stella si ammantò di leggenda quando, costretto dagli eventi avversi della guerra, è costretto ad abbandonare Corregidor (la rocca difensiva dichiarata inespugnabile che cadrà presto nelle mani giapponesi) su di una motosilurante, correndo il rischio di essere catturato insieme con la propria famiglia. Egli promise solennemente che avrebbe speso la propria vita per ritornare da liberatore in quella terra e fu ciò che avvenne realmente. Agì in modo tale che il Comando americano per il pacifico ratificasse la sua strategia di avvicinamento al Giappone attraverso salti di isola in isola che consentirono la liberazione di Manila avvenuta il 3 Marzo 1945.

Con la resa del Giappone, McArthur divenne comandante delle truppe d'occupazione dell'arcipelago del Sol Levante e in quanto tale, allo scoppio delle ostilità in Corea, si ritrovò ad affrontare praticamente da solo la grave situazione. Non ci si sarebbe potuto aspettare altro da un uomo che trascorso anni della sua vita e sacrificato risorse di un'intera nazione per mantenere fede a una promessa che un'ostinata e a tratti insensata resistenza sulle posizioni continentali che ancora erano mantenute dagli americani. Mai si sarebbe piegato a una seconda fuga. Quello che poteva sembrare un'inutile spreco di energie per salvaguardare l'onore statunitense, si trasformò nel trampolino per una potente controffensiva, una volta giunti i rinforzi dalla madre patria. Con un dominio dell'aria e dei mari pressoché incontrastato, McArthur progettò un attacco da manuale. Sbarcando i propri uomini nei pressi di Incheon e Wonsan, tagliò in due le linee di rifornimento Nord Coreane, procedendo successivamente al rastrellamento delle truppe sbandate che erano rimaste intrappolate nell'enorme sacca venutasi a creare. Nell'arco di tempo che va dal 15 settembre al 26 Ottobre 1950, le truppe dell'ONU riattraversarono tutta la penisola coreana in senso inverso, conquistando la capitale comunista Pyongyang fino a raggiungere lo Ya-Lu, a pochi chilometri dal confine cinese. La vittoria finale sembrava davvero a portata di mano.

L'intervento Cinese

Nei primi giorni di novembre, le linee alleate furono investite da ben trenta divisioni di 'volontari' cinesi che giunsero in soccorso dei fratelli comunisti coreani. L'intervento cinese nel conflitto era stato più volte ventilato nei mesi precedenti, ma McArthur aveva sempre sminuito l'importanza di tale apporto anche nell'evenienza che si fosse verificato. Nel momento in cui avvenne concretamente, l'enorme massa di soldati che si riversò sui malcapitati rappresentanti dell'ONU oscurò molte delle disfatte storicamente più famose. Aiutati dall'inclemente inverno che non permise un adeguato supporto aereo tattico, i cino-coreani cominciarono una marcia vittoriosa liberando tutta la parte settentrionale del paese fino a superare nuovamente il 38° parallelo e giungere per metà Gennaio del 1951 sulla linea di Chung-chu, dove gli americani riuscirono ad arrestare l'avanzata. L'attacco cinese ebbe come conseguenza primaria la perdita di sicurezza da parte dei soldati americani. Infatti la lunga ritirata dal confine cinese si trasformò in più di un momento in una vera e propria rotta, causando enormi perdite umane e di materiali. McArthur che in precedenza aveva tanto denigrato la consistenza dell'esercito cinese, chiese addirittura che fossero usate le armi atomiche per arrestarne l'avanzata.

Fortunatamente, Truman ebbe il buon senso di non ascoltarlo, temendo per la prima volta nella storia di causare un vero e proprio conflitto nucleare mondiale. Ciò che la rivista Times definì 'la peggiore sconfitta mai subita dagli americani' era dovuta non soltanto all'intervento cinese, ma anche ad alcuni errori strategici di McArthur che aveva lasciato troppo scoperte le linee di comunicazione arretrate allargando eccessivamente il fronte. Vista offuscata la propria nomea di generale invincibile, McArthur cominciò ad avventurarsi in dichiarazioni troppo azzardate in campo politico. Dopo aver richiesto un intervento con armi nucleari senza averlo ottenuto, propose di andare a colpire il cuore stesso della Cina con bombardamenti convenzionali sui porti e sulle città costiere che si affacciavano sul Mar Cinese. Ciò avrebbe inevitabilmente comportato un allargamento del conflitto con conseguenza al momento non ipotizzabili. Esattamente il contrario di quanto andava predicando Truman.

Egli preferiva localizzare anziché allargare il conflitto. Questo nuovo modo di pensare corrispondeva perfettamente alla volontà di ridurre al minimo l'impegno militare americano. Si ipotizzava (ed era anche questa una novità mondiale) la possibilità di una guerra che non dovesse essere necessariamente vinta. Si voleva ottenere un leggero vantaggio tattico con cui costringere la controparte a trattative politiche separate. McArthur si oppose anche pubblicamente a una simile concezione della guerra, arrivando ad affermare che l'evacuazione della Corea sarebbe stata inevitabile se non si fosse proceduto all'allargamento del conflitto. Sebbene il pensiero del generale fosse smentito dall'andamento degli scontri che portarono a una stabilizzazione del fronte già nel marzo del 1951, le sue critiche trovarono un terreno fertile dove attecchire sia nell'opinione pubblica sia nell'opposizione repubblicana a Truman.

Gli oppositori politici vedevano nel nuovo corso del presidente un ammorbidimento nei confronti dell'Unione Sovietica con la conseguenza di una possibile ripresa della sua offensiva non solo ideologica in Europa. Truman si adoperò a lungo per smentire le accuse, arrivando persino a nominare Eisenhower, il suo generale più famoso, comandante dello scacchiere europeo. Nonostante quest'azione di dissuasione, il Congresso fu profondamente scosso tanto da dare origine a una lunga discussione in aula conosciuta come il 'Grande Dibattito.'

Il 'Great Debate'

Le voci repubblicane, prima fra tutte quella di Taft, furono piuttosto contraddittorie. Ci fu qualcuno che parlò a favore di un ritorno all'isolazionismo prebellico, dipingendo l'idea di una 'fortress America' come soluzione di tutti i mali, ma tutti gli antagonisti di Truman si concentrarono sull'ampliamento degli aiuti militari all'Europa, a discapito dell'Asia (esattamente il contrario di ciò che gli si rinfacciava in precedenza). Le ragioni che fondavano queste critiche si possono rinvenire nel diffuso senso di abbandono di quelle stesse zone (Asia sudorientale e Cina) per le quali migliaia di giovani americani avevano perso la vita durante la seconda guerra mondiale. Il conflitto contro il Giappone, condotto in massima parte dai soli Stati Uniti, aveva creato una sorta di legame prediletto con tali nazioni che le forze di minoranza nel paese vedevano a poco a poco sfumare. Accanto a queste ragioni del cuore si ebbero anche delle vere e proprie diatribe su di una concezione strettamente militare che si a andata diffondendo subito dopo il successo contro la Germania e cioè che fosse sufficiente avere il dominio dell'aria per garantirsi la vittoria in ogni occasione. Sebbene questa affermazione trovasse riscontri nelle operazioni in Europa durante il 1944 e il 1945, sul piano squisitamente pratico, l'infondatezza della teoria si doveva dimostrare già prima del raggiungimento della parità atomica da parte dell'Unione Sovietica. La guerra di Corea non fece altro che riaffermare questa lapalissiana verità.

I pur potenti mezzi aerei americani dovettero scontrarsi con la nascente tecnologia sovietica (rappresentata dagli aerei Mig-l5 forniti ai fratelli comunisti) che aveva fatto passi da gigante rispetto a soli cinque anni prima. La successiva supremazia dell'aria fu conquistata in massima parte per il miglior addestramento dei piloti americani rispetto ai corrispettivi nordcoreani. Per controbattere alle accuse di abbandono e disfattismo che gli erano rivolte, Truman portò al Congresso un gran numero di esperti che confermarono l'impossibilità di sostenere uno sforzo bellico senza un apparato militare convenzionale adeguato. Inoltre, garantirono tali esperti, la perdita del potenziale industriale europeo in favore dei sovietici avrebbe fatto pendere l'ago della bilancia in favore dei comunisti. Attraverso quest'abile mossa di convinzione, il presidente aveva quasi raggiunto il proprio scopo di tranquillizzare l'ambiente circa l'impegno americano in Europa, quando erano intervenute le dichiarazioni di McArthur. Se fossero state pronunciate da qualunque altro generale, si sarebbero potute considerare come nulla più che opinioni personali, ma uscite dalla bocca di colui che era generalmente reputato il vincitore della guerra nel Pacifico, assumevano tutto l'aspetto di un monito. Che McArthur avesse delle aspirazioni politiche era più che evidente e in prossimità delle elezioni del 1952 la risposta di Truman a dichiarazioni tanto lesive per la sua politica non potevano essere differenti: il generale fu sostituito l'11 Aprile 1951.

Il suo successore, generale Matthew Ridgway, agì con prontezza, riuscendo a smentire tutte le fosche previsioni di McArthur. Un'ultima controffensiva americana consentì di ritornare a ridosso del 38° parallelo, in pratica sul confine precedente l'inizio degli scontri. Nella madrepatria però, l'operato di Ridgway fu completamente oscurato dal clamore provocato dall'allontanamento di McArthur. Egli, ritornato in patria in patria dopo 14 anni (ricordiamo che vi mancava dal 1937, anno in cui aveva accettato l'incarico presso il governo filippino) fu accolto come spettava ad un vero trionfatore. Non facendosi sfuggire l'occasione, si presentò a più riprese in pubblico, cavalcando l'onda della fama che sembrava doverlo spingere fino alla presidenza. Il sollevamento popolare che ne seguì andò a colpire molto pesantemente la ura di Truman. McCarthy in una dura requisitoria tenuta nei suoi confronti a Milwaukee arrivò addirittura a definirlo con testuali parole 'un lio di puttana'. Questi attacchi personali che spesso scadevano nel cattivo gusto se non nell'offesa aperta facevano leva su di un crescente sentimento popolare di appoggio alle forze armate. Singolare è infatti che si evidenziassero proprio in questo periodo le prime avvisaglie di un crescente potere dei militari, avvenimento di certo estraneo alla storia e alla cultura americana. Esso sarebbe sfociata nell'elezione come presidente di Dwight Eisenhower, ma vediamo più in particolare cosa mise fuori gioco da quella corsa McArthur.

La simpatia del pubblico e l'appoggio dei politici più estremi cominciarono a scemare con il discorso tenuto dal generale all'apertura della Convenzione Repubblicana. Fu chiaro che il fine ultimo di McArthur fosse di candidarsi e non, come invece continuava a dichiarare nei suoi interventi, un interesse disinteressato e patriottico per il bene della Nazione. L'opinione pubblica che non aveva radicato in sé quel senso plebiscitario che sarebbe tornato comodo all'eroe di guerra, prese lentamente ad abbandonarlo. Di fronte a questo repentino voltafaccia, McArthur sfoderò ancora una volta quel suo sano pragmatismo che lo aveva sempre caratterizzato. Abbandonò ogni velleità politica per diventare presidente del consiglio di amministrazione della Sperry Rand. Come aveva detto lui stesso rifacendosi al ritornello di un antico canto militare 'Old Soldiers never die, they just fade away' (i vecchi soldati non muoiono, semplicemente svaniscono).

Nel frattempo i combattimenti in Corea non erano cessati. Quella che era stata una guerra di estremo movimento si era trasformata in un combattimento di logoramento, dove il conseguimento di vittorie militari aveva importanza solo a livello politico. I negoziati iniziati nell'estate del 1951 si sarebbero intrecciati con la camna politica delle presidenziali del 1952, arrivando, come spesso accade, a fissare i confini là dove si trovavano le truppe al momento del cessate il fuoco. Eisenhower si era impegnato a porre termine al conflitto coreano e ciò puntualmente avvenne nel 1953, una volta ottenuti i pieni poteri. Le conseguenze della guerra di Corea non si limitarono ad un aumento delle spese militari (che pure passarono da 13 a 44 miliardi di dollari nell'arco di due anni), ma si rifletterono anche sulla stessa società americana. Il rinnovato impegno bellico permise di aumentare la produzione industriale, sopperendo almeno in parte alla mancata domanda interna conseguente alla riconversione delle industrie alla fine della seconda guerra mondiale. Si diede così inizio a quell'era del benessere che sarebbe continuata fino alle crisi degli anni settanta e ottanta. Il nuovo potere economico del Pentagono (che si traduceva in contratti di inestimabile valore per le imprese che producevano armamenti) fu alla base di una rivoluzionaria concezione dell'economia, dove al fianco della libera impresa (dogma intoccabile del liberismo americano) nasceva un intervento pubblico che, a differenza di quello del New Deal, non aveva più finalità di sostentamento dell'economia stessa, ma intendeva mantenere a livello di massima efficienza l'apparato di pronto intervento degli Stati Uniti. Tale modifica avrebbe comportato anche un allargamento dei campi interessati. Non più soltanto quelli strettamente militari, ma anche le telecomunicazioni e le tecnologie d'avanguardia sarebbero state protette e sviluppate secondo direttive di carattere statale.

I risultati ottenuti nel contenimento dell'espansione sovietica in Asia, avrebbero dovuto essere visti come una vittoria secondo i canoni della dottrina Truman, ma agli occhi degli americani che uscivano né vincitori né vinti dalla guerra, assunsero un significato opposto. Il mito dell'invincibilità degli Stati Uniti era caduto, demolito da soldati comunisti (che comunque avevano subito perdite molte volte superiori rispetto a quelle americane). Si andò creando quel clima di terrore del nemico comunista che fomentato dalle idee estremiste di McCarthy avrebbe cementato quel periodo della nostra storia moderna conosciuto come Guerra Fredda.

Fonti: 'Storia degli Stati Uniti dal 1945 a Oggi' di Giuseppe Mammarrella, 'Politica estera degli Stati Uniti dal 1945 a oggi' di Giampaolo Valdevit, 'Seconda Guerra Mondiale' di Raymond Cartier.






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