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IL FASCISMO

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Le vicende del Fascismo italiano sono strettamente connesse con gli eventi storici che coinvolsero il paese nel periodo intercorrente fra le due grandi guerre mondiali. La data di nascita ufficiale del Fascismo è ormai da tutti riconosciuta nel 23 marzo 1919, quando Benito Mussolini, durante una riunione tenuta nella sala del circolo degli interessi industriali e commerciali in piazza S. Sepolcro a Milano ,annunciò ai suoi seguaci e simpatizzanti la costituzione dei Fasci italiani di combattimento. Mussolini intendeva dar vita ad un movimento più che ad un partito (creato infatti soltanto il 7 novembre 1921), avente lo scopo di valorizzare con l'azione il contributo offerto dall'Italia alla vittoria degli Alleati e di porre ordine nell'assetto statale della nazione che, se pure uscita vittoriosa dalla Guerra, ne risentiva le gravose conseguenze, esasperate dal disaccordo dei vari partiti politici. Si trattava però, di un programma piuttosto vago e generico, in quanto, come vedremo in seguito, solo moltoi più tardi si passò ad una vera e propria elaborazione della teoria del Fascismo. Nello stesso anno, 1919, il movimento fascista fece il suo primo tentativo elettorale, ma ne riportò una clamorosa sconfitta, di fronte alle pur sempre valide forze liberali, socialiste e del giovane ma agguerrito Partito popolare. La prevalenza di questi partiti fu però momentanea: lo stato liberale-giolittiano, ancorato su posizioni nettamente superate dalla naturale evoluzione dei tempi, andava infatti disgregandosi logorato dalle polemiche interne e dalla mancanza di quel prestigio e di quella autorità necessarie a tener testa ad un delicato periodo di crisi economica e sociale quale era quello del dopoguerra. E' dunque spiegabile come, in quel momento, il Fascismo, con le sue promesse facenti leva sulla resurrezione patriottica, potesse acqui­starsi una certa simpatia, nei ceti sostenitori dello stato ordinario e legalitario e nei gruppi agrari e industriali, che vedevano in un indirizzo autoritario la migliore difesa dei loro interessi, minacciati soprattutto dalle correnti ugualitarie e livellatrici marxi­ste e specialmente dalle rivoluzioni comuniste. 
Ebbe cosi inizio un periodo partico­larmente triste per il paese, durante il quale il Fascismo - che aveva ben compreso la possibilità di superare con pochi elementi decisi (gli squadristi, che si fregiavano di nere insegne ornate di teschi) i molti raziocinanti avversari dei partiti - passò ad una azione intimidatrice di violenza e costrizioni, quasi sempre incoraggiate dall'incer­tezza e dalla tolleranza dell'autorità costituita, anche con manifestazioni particolar­mente disgustose come quelle delle abbondanti «manganellature» e delle sommini­strazioni di olio di ricino. Si arrivava in tal modo al paradosso di un movimento che, sostenitore della legalità, cercava di aprirsi la strada del potere servendosi della più evidente illegalità, e creando un doloroso disordine mentre si pregeva di "norma­lizzare" la situazione.  I partiti marxisti, che avrebbero potuto costitui­re un ostacolo difficile per il Fascismo, dispersi da troppe scissioni in altrettante correnti sempre in urto tra di loro, furono quelli più violentemente colpiti, cosicché, elimina­ta la loro concorrenza, il nuovo movimento, per di più organizzato quasi militarmen­te colse l'occasione, e promosse la nota marcia su Roma delle colonne fasciste (28 ottobre 1922). Mentre gli avversari peccavano ancora una volta di indifferenza e di incredulità nelle conseguenze dell'avventura, la marcia ebbe il potere di impressiona­re fortemente la monarchia e gli uomini più eminenti dello stato. Infatti, re Vittorio Emanuele III, rifiutando la proposta del capo del governo Facta di proclamare lo stato d'assedio, per il timore di una deprecata guerra civile, nella speranza effettiva di migliorare la situazione, ed a seguito del rifiuto degli esponenti delle diverse correnti politiche di assumere il mandato governativo, chiamò al Quirinale Mussolini, e gli offerse l'incarico di formare il gabinetto. L'ordine tanto auspicato non si verificò: per parec­chio tempo i contrasti di piazza tormentarono il paese, anche perché l'appoggio gover­nativo all'azione delle squadre fasciste non poteva che inasprire le opposizioni, or­mai rivelatrici di quella che tra poco sarebbe stata la loro completa soffocazione. In questo clima vennero indette le elezioni politiche del 1924, con il preordinato scopo di rendere legale lo stato di cose che certo imbarazzava gli stessi esponenti fascisti. Si introdusse uno speciale sistema elettorale basato sul «premio di maggioranza», capa­ce di dare praticamente tutto il Parlamento in mano alla lista che avesse ottenuto una maggioranza relativa; maggioranza relativa che infatti il Partito nazionale fascista (PNF) ottenne, impostando la sua camna elettorale sulla intimidazione e sulla violenza. Si formò così un Parlamento che non rispecchiava affatto le forze politiche italiane; tuttavia le opposizioni parlamentari, sia pure spente e non bene organizza­te, dimostrarono in quella occasione un alto spirito battagliero. Tra i più tenaci oppositori si rivelò subito il deputato socialista Giacomo Matteotti, il quale, mentre si riprometteva di documentare in piena Camera i soprusi e le prepotenze mediante i quali il Fascismo aveva raggiunto il successo, venne rapito da sicari fascisti e barbaramente assassinato nei pressi di Roma. Il martirio di Matteotti, uomo di alta statura morale e di indiscussa probità politica, coincise con il momento di crisi del Fascismo, che, aspramente attaccato per la responsabilità del crimine, personalmente attribuita allo stesso Mus­solini, rasentò l'orlo della caduta, anche per l'indignazione suscitata nel paese da tale misfatto. Mussolini, assai più tempista e sicuro di sé, ebbe pertanto il tempo di sollevarsi dallo stato di disagio in cui era venuto a trovarsi e riprese l'iniziativa, presentandosi il 3 gennaio 1925 alla Camera per dichiarare di assumersi tutta la responsabilità politica, morale e storica di quanto era accaduto e annunciare in termini rigidi le sue contromisure, consistenti in una serie di provvedimenti che sopprimevano in Italia ogni forma di libertà e rendevano impossibile ogni opposizione che non fosse soltanto clandestina. Il fallimento degli aventiniani trovava conferma l'anno successivo con la legge che dichiarava decaduti dal mandato i deputati che dal giugno 1924 si erano astenuti dal partecipare ai lavori parlamentari. Da allora, il Fascismo rimase padrone del campo e sop­presse le fondamentali garanzie costituzionali (libertà di stampa, di riunione, associazione, ecc.), mirò a consolidare la sua forza, basandosi soprattutto, da un lato, su di una efficiente organizzazione poliziesca, e dall'altro, su una crescente proanda di valorizzazione nazionale, ricca di suggestioni derivate dall'antico prestigio della romanità. Inoltre, dal punto di vista economico, giocando sulla adulazione verso le classi operaie e allo stesso tempo seguendo una politica protezionistica verso i maggiori industriali, lanciò il postulato della indispensabilità della autosufficienza economica dell'Italia, la cosiddetta «autarchia», al fine di sottrarsi ad ogni eventuale sottomissione straniera. In realtà, questa politica sempre più esaltatrice di un amor patrio inteso più che altro come superiorità della nostra nazione sulle altre, unitamente alla camna per l'incremento demografico e alla volontà di potenza, non tendeva che a dare dimostrazioni bellicose di una forza esistente più sulla carta che nei fatti, come per esempio nel campo militare. D'altra parte, alcune dichiarazioni fatte da alcune delle stesse grandi potenze, suscitarono in Mussolini e in molti Italiani l'illusoria opinione di essere veramente più forti di quanto non fossero e sfortunatamente anche uomini saggi e consapevoli non osarono in quei tempi, se non in casi eccezionali e comunque timidamente, mettere in guardia sul pericolo in cui il Fascismo stava gettando l'Italia. Per non dire della criminale ipocrisia di coloro che, mentre a parole esaltavano il regime, lo andavano sabotando nella speranza di liberarsi con poca fatica di un sistema ormai imbarazzante per loro. Così, quando Mussolini provò l'impresa di conquistare all'Italia il famoso «posto al sole» con la vittoriosa, per quanto piena di sacrifici, camna d'Etiopia (3ottobre 1935- 9maggio l936) il coro delle lodi salì alle stelle, accentuando l'utopia imperiale dell'Italia, la quale in effetti, non aveva trovato altra opposizione all'infuori delle sterili deplorazioni della Società delle nazioni. E cominciarono così le tappe dolorose: le gravi vicende della guerra, in Grecia (1941) e poi in Egitto (1942). Malgrado tutto, fu questo il periodo migliore del Fascismo: la stessa sopraffazione poliziesca e il Tribunale speciale per la difesa dello Stato davano segni di rilassamento. Sennonché Mussolini, non soddisfatto dei successi conseguiti, entrò nell'orbita della Germania di Hitler, tesa alla conquista dell'Europa. La sopravvalutazione della propria forza e la sopravvalutazione della forza germanica furono il fatale errore del Fascismo che, dal momento dell'entrata in guerra dell'Italia (10 giugno 1940) inizia la sua parabola discendente. La guerra infatti mostrò subito le deficienze di un regime composto da illusi, da inesperti consi­glieri, destinato pertanto alla rovina, malgrado le ine eroiche ancora una volta scritte dai soldati italiani, spinti al combattimento sui vari fronti di guerra in condi­zioni di spaventevole inferiorità in mezzi e materiali. Mentre la monarchia tentava di sganciarsi dal Fascismo, subito dopo lo sbarco degli Anglo-Americani in Sicilia, Mussolini cadeva nella storica seduta del Gran consiglio del 24-25 luglio 1943, per opera dei suoi stessi collaboratori, che gli negavano la fiducia. Di qui il suo arresto ordinato dal re Vittorio Emanuele III, e lo scioglimento del partito da parte del governo Badoglio, venne imprigionato al Gran Sasso. Ma fu liberato audacemente da Hitler il 12 settembre 1943, che lo volle libero per usarlo ai suoi finì, quale effimero sostenitore della Repubblica Sociale Italiana, ma che fu solo un periodo doloroso di continue guerre civili (29 settembre 1943 - 25 aprile 1945), periodo che conobbe il sacrificio di tante vite e gli strazi e le sofferenze della popolazione civile, e terminato infine con la Cattura a Dongo da parte degli insorti e la fucilazione di Mussolini insieme alla inseparabile Clara Petacci (28 aprile 1945).





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