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Il mestiere di storico

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Il mestiere di storico



March Bloch, nato a Lione nel 1886, insegnò all'Università di Strasburgo dal 1919 al 1936, poi alla Sorbona. Arruolatosi nel 1939, fu coinvolto nella ritirata di Dunkerque e prese successivamente parte alla Resistenza. Arrestato dai Tedeschi, venne fucilato il 16 giugno 1944. L'Apologia della storia fu scritto durante la prigionia e pubblicato postumo.



"Papà, spiegami a che serve la storia". Così, pochi anni or sono, un ragazzo che mi è molto vicino interrogava suo padre, uno storico. Vorrei poter dire che questo libro rappresenta una risposta, perché non credo ci sia lode migliore per uno scrittore che di saper parlare, con il medesimo tono, ai dotti e agli scolari. Il problema che tale domanda pone è, né più né meno, quello della legittimità della storia.

Eravamo nel giugno 1940, proprio il giorno, se ben ricordo, dell'ingresso dei Tedeschi a Parigi. Nel giardino normanno in cui il nostro Stato Maggiore, privo di truppe, si cullava nell'ozio, noi rimuginavamo le cause del disastro. "Dobbiamo dunque credere che la storia ci ha ingannati?", mormorò uno di noi. Così l'angoscia dell'uomo maturo coincideva, con un accento più amaro, con l'ingenua curiosità del giovinetto. Bisogna rispondere all'una e all'altra.




Certamente, anche se la storia dovesse esser giudicata incapace di servire ad altro, resterebbe pur sempre a suo favore il fatto che procura uno svago. Personalmente, per quanto riesco a ricordare, la storia mi ha sempre divertito molto. Come tutti gli storici, suppongo. Altrimenti, per quali altre ragioni avrebbero scelto questo mestiere? Tutte le scienze sono interessanti per chi non sia del tutto stupido. Ma ogni dotto ne trova una sola ch'egli si diverta a praticare. Scoprirla, per dedicarvisi, è propriamente quella che si suol chiamare "vocazione".

Se tuttavia la storia non fosse che un piacevole passatempo, meriterebbe davvero la fatica che spendiamo per scriverla? O dovremo sconsigliare lo studio della storia agli ingegni suscettibili di miglior impiego, oppure la storia dovrà dimostrare di avere le sectiune in regola come conoscenza.


Talvolta si è detto: "La storia è la scienza del passato". A mio parere, non è esatto. Anzitutto, è assurda l'idea stessa che il passato, come tale, possa essere oggetto di scienza. In che modo, senza una preliminare decantazione, potremmo fare oggetto di conoscenza razionale fenomeni non aventi altro carattere comune fuorché quello di non esser stati nostri contemporanei?

E' vero, il linguaggio tradizionale conserva volentieri la denominazione di "storia" a qualsiasi studio di mutamento nel tempo. In questo senso, esiste una storia del sistema solare, una storia delle eruzioni vulcaniche. Ma come individuare quale di esse sia di competenza degli storici, piuttosto che degli astronomi o dei geologi? Qual fatto nuovo è accaduto, ogni volta, che abbia richiesto imperiosamente l'intervento della storia? E' l'elemento umano che ha fatto la sua sa. L'oggetto della storia è per sua natura l'uomo. O meglio: gli uomini. La storia vuol cogliere gli uomini aldilà delle forme sensibili del paesaggio, degli arnesi, delle macchine, delle istituzioni. Chi non vi riesce non sarà che, nel migliore dei casi, un manovale dell'erudizione. Il buono storico somiglia all'orco della fiaba: là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda.

"Scienza degli uomini", abbiamo detto. E' ancora troppo vago. Bisogna aggiungere: "degli uomini nel tempo". Lo storico non pensa solo "all'umano". L'aria in cui il suo pensiero naturalmente respira è la durata. Ora, questo tempo è per sua natura continuità. Ma anche perpetuo mutamento. Dall'antitesi tra questi due attributi derivano i grande problemi della ricerca storica.


Si dice: "Tra tutte le cose umane, le origini anzitutto sono degne di studio". Ma questa delle origini per gli storici può diventare una vera e propria ossessione. "Origini" significa semplicemente "inizi"? O per "origini" si dovrà invece intendere "cause"? Di frequente, tra i due significati avviene una contaminazione, tanto più temibile in quanto, in generale, poco avvertita. Nel vocabolario comune, le "origini" sono un inizio che spiega. Peggio ancora: che è sufficiente a spiegare. Qui sta l'ambiguità e il pericolo. Troppo spesso il passato fu usato, con tanto zelo, per spiegare il presente al solo scopo di giustificarlo o condannarlo. Così che forse, in parecchi casi, il demone delle origini fu solamente un'incarnazione di quest'altro diabolico nemico della storia genuina: la mania del giudizio. In conclusione: un fenomeno storico non è mai compiutamente spiegato se si prescinde dallo studio del momento in cui avviene.


L'incomprensione del presente nasce fatalmente dall'ignoranza del passato. Forse però non è meno vano affaticarsi a comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente. Penso alle battaglie del passato. Le conoscevo davvero prima di averne provato io l'atroce nausea, che cosa sono l'accerchiamento per un esercito e la disfatta per un popolo? In verità, consciamente o no, noi deriviamo sempre dalle nostre esperienze quotidiane, gli elementi che ci servono a ricostruire il passato. L'erudito che non ami osservare intorno a sé né gli uomini, né le cose, né gli eventi, meriterà forse il nome di utile antiquario. Ma farà bene a rinunciare a quello di storico.


Si dice: "Lo storico non si propone altro che di descrivere le cose così come sono avvenute". E già Erodoto aveva detto: "Raccontare ciò che fu" (ton eonta). In altre parole, lo storico è invitato a eclissarsi di fronte ai fatti. Ci sono due modi di essere imparziali: quello dello studioso e quello del giudice. Essi hanno una radice comune: l'onesta sottomissione alla verità. Quando uno studioso ha osservato e spiegato, ha concluso il suo compito. Al giudice tocca ancora di dare la sua sentenza. Lo storico non deve giudicare dunque. Ma comprendere.


La storia si sofferma su aspetti diversi del fatto storico, senza però dimenticare l'unità che sottostà a eventi e uomini. Homo religiosus, homo oeconomicus, homo politicus: sarebbe pericoloso prenderli per qualcosa di diverso da quello che essi sono in realtà: fantasmi comodi, a patto di non diventare ingombranti. Il solo essere di carne e ossa è l'uomo, l'uomo senza aggettivi, che ricongiunge in sé tutto quanto. Quanti protagonisti del Terrore sono stati anche ottimi padri di famiglia. Quanti uomini conducono, su tre o quattro piani differenti, parecchie vite, che essi desiderano distinte e riescono a volte a mantenere tali! Di qui a negare l'unità fondamentale dell'Io, ci corre. Erano, forse, estranei uno all'altro il Pascal matematico e il Pascal cristiano?


Passiamo dagli individui alla società. Siccome questa, in qualsiasi modo la si consideri, non può che essere in definitiva, non dico una somma (sarebbe troppo poco) ma per lo meno un prodotto delle coscienze individuali, non ci stupirà di ritrovarvi lo stesso gioco di incessanti interazioni.

Non basta la storia politica. Occorre tenere conto dei diversi elementi della storia (religione, diritto geografia, letteratura, arte, . ) per cogliere il movimento vitale che collega tutti i tasselli di un quadro storico. Ma il lavoro di ricomposizione non può che avvenire dopo l'analisi. Diciamo meglio: è soltanto il prolungamento dell'analisi, nonché la sua ragion d'essere.


Nello studio della storia un ruolo determinante è giocato dalle cause. Non sarebbe privo di rischi elevare a dignità di assoluto una classificazione gerarchica che non è, in verità, altro che comodità della mente. La realtà ci presenta una quantità quasi infinita di linee di forza, tutte convergenti verso un medesimo fenomeno. La scelta da noi fatta tra esse può fondarsi sì su caratteri, in pratica, degnissimi di attenzione; ma non è che una scelta. C'è segnatamente molto di arbitrario nell'idea di una causa per eccellenza opposta alle semplici "condizioni".

La superstizione della "causa unica", in storiografia, è molto spesso la forma insidiosa della ricerca di un responsabile, quindi di un giudizio di valore. "A chi la colpa, o il merito?" lo dice il giudice. L studioso si limita a domandare: "Perché?" e accetta che la risposta non sia semplice.

E poi, nella natura, non è proprio l'uomo la variabile per eccellenza?



(Selezione e adattamento di brani da Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Einaudi, Torino 1950, 1959)




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