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LA CONDIZIONE DELLA DONNA NELL' ITALIA FASCISTA

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LA CONDIZIONE DELLA DONNA NELL' ITALIA FASCISTA


La condizione della donna in Italia, ai primi del ' 900, in aspetto economico, giuridico e sociale, era nettamente peggiore rispetto a quella dell'uomo. Le concezioni antifemministe furono parte del credo fascista al pari del suo violento anti liberalismo, razzismo e militarismo.

Gli organi di stampa fascisti diedero vita ad un' intensa proanda contro l'inserimento della donna nel mondo del lavoro e a favore del suo ritorno al vero e unico posto: la casa.

Si trattava di un'opposizione determinata non solo dal timore di non poter più riavere il proprio posto di lavoro per la presenza delle donne, ma anche dal senso di insicurezza che le donne emancipate generavano nei maschi.

Il fascismo passò dalla teoria ai fatti per quanto riguarda la  politica di limitazione dei diritti delle donne.

I governi liberali non avevano offerto parità di diritti per uomini e donne;

esse non avevano il diritto di voto, nè potevano disporre del proprio patrimonio senza il controllo del marito.

Il ruolo della donna era strettamente collegato al problema demografico:

il progetto di difesa della razza italiana consisteva nel favorire la crescita della popolazione che avrebbe dovuto raggiungere almeno i 60 milioni nel 1950.


I motivi erano due:


- l'importanza per l'Italia di possedere abbondante manodopera a basso prezzo;


- la neccessità di avere una popolazione numerosa per poter competere sul piano politico e militare con le grandi potenze mondiali.


Questa neccessità derivava dal fatto che, la antalità, era andata via via diminuendo, così furono intraprese una serie iniziative in campo legislativo e sociale, finalizzate a favorirne l'aumento, ma per il fascismo, la natalità poteva essere difesa solo a condizione di riportare la donna all'interno della famiglia, escludendola dal lavoro fuori casa e sottomettendola al marito.



Il fascismo trovò un potente e influente alleato, la Chiesa Cattolica, in quanto è da sempre favorevole a una concezione della famiglia numerosa e patriarcale.


Gli interventi a favore della natalità furono di due tipi:


- repressivi, in quanto il fascismo inasprì le leggi contro l'aborto;


di incoraggiamento.


In entrambi i casi, i soggetti più colpiti, furono le donne.


Venne vietata la  proanda delle pratiche contraccettive, venne introdotta la tassa sul celibato, cioè tassa aggiuntiva per tutti gli uomini non sposati, si cercò di allontanare la donna dai posti di lavoro.

L'intervento più importante l'opera nazionale maternità e infanzia, istituita nel 1925;

si trattava di un organismo cui era attribuita la gestione di tutti gli interventi pubblici a favore delle madri e dei bambini piccoli;

Gestiva consultori rivolti a donne in stato di gravidanza e ai bambini fino ai 3 anni.

L'attività consisteva nel fornire aiuto alle donne più povere per quanto rigurdava l' alimentazione, l'igiene e la prevenzione delle malattiepiù diffuse.

Il tasso di natalità continuò a diminuire e, quanto alla presenza delle donne nel mondo del lavoro, rimase alta.

Le donne non volevano rinunciare a un ruolo nella società al di fuori della famiglia.




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