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LA DECADENZA DELL'ITALIA, LA CRISI ECONOMICA ITALIANA, LO SFRUTTAMENTO DEL MEZZOGIORNO, LE RIVOLTE DEL SUD, LO STATO DELLA CHIESA E IL GRANDUCATO DI T

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LA DECADENZA DELL'ITALIA


Nel Seicento l'Italia attraversò un periodo di grave e progressiva decadenza economica. La Sna occupava direttamente Milano, il Mezzogiorno e le isole, e faceva sentire la sua influenza sugli altri Stati della penisola.

Come abbiamo visto nel modulo precedente, nel corso del Seicento la Sna attraversava una profonda crisi: infatti la sua economia era stata praticamente rovinata dal fallito tentativo di dominare l'Europa. Per aumentare le proprie entrate, la Sna decise allora di tassare pesantemente i suoi possedimenti italiani che così si impoverirono. A questo si aggiunse la guerra dei Trent'anni, che investì in particolare la Lombardia, con le sue distruzioni e i suoi saccheggi.


LA CRISI ECONOMICA ITALIANA




Il grave declino economico dell'Italia del Seicento fu dovuto anche ad altri motivi, che si sommarono ai precedenti.

Sicuramente i mercanti e i produttori italiani non seppero rinnovarsi e stare al passo con i tempi, e questo avvenne proprio mentre gli Stati nazionali europei favorivano in ogni modo lo sviluppo delle proprie manifatture e dei propri commerci.

Un altro motivo di arretratezza fu il sopravvivere delle arti e corporazioni. Nel Duecento e nel Trecento, queste organizzazioni avevano rappresentato un fattore di progresso e di miglioramento tecnico. Ora, invece, ostacolavano i nuovi produttori, si opponevano a qualsiasi nuova tecnica, facevano resistenza a tutte le innovazioni che avrebbero potuto permettere alle manifatture italiane di competere con quelle straniere.

Inoltre, la scoperta dell'America aveva ormai spostato il centro del commercio internazionale dal mar Mediterraneo all'oceano Atlantico. I traffici con l'Oriente di vennero secondari rispetto a quelli con l'Occidente. Le città mediterranee, e quindi i porti italiani, persero la loro importanza a beneficio di quelle collocate sull'Atlantico.

Il crollo del commercio internazionale svolto dall'Italia portò con sé anche quello delle attività collegate: l'assicurazione e la banca. Grandi banche e grandi assicurazioni sorsero nei maggiori paesi europei.

Infine, sulla crisi economica dell'Italia del Seicento influì in modo rilevante l'epidemia di peste, che colpì l'Italia settentrionale nel 1630-31 e il mezzogiorno nel 1656-57:

Le città di Milano e Napoli persero quasi la metà della loro popolazione.

Insomma, l'Italia, che era stata un paese sviluppato, grande esportatore di beni 'ricchi' e costosi (prodotti delle mani fatture, servizi delle banche, assicurazioni, trasporti di merce, divenne nel Seicento un paese arretrato che esportava pochissimo e solo beni 'poveri', cioè prodotti dell'agricoltura.


LO SFRUTTAMENTO DEL MEZZOGIORNO


I dominatori snoli portarono in Italia una mentalità orgogliosa e aristocratica, che disprezzava ogni attività volta al lavoro o al guadagno. Di conseguenza, favorirono i nobili e i proprietari terrieri a svantaggio dei ceti produttivi. La società italiana, che era stata così dinamica e vivace, divenne spenta e inefficiente.

Essi, inoltre amministrarono in modo differente Milano e Napoli.

La Lombardia, infatti, era un territorio di confine, considerato un baluardo contro Francesi e Austriaci, e la Sna cercò di guadagnarsi il favore della popolazione. Per questo motivo, evitò di colpire l'economia lombarda con troppe tasse, cosa che le consentì, sul finire del Seicento, una certa ripresa. Al contrario, il Mezzogiorno fu considerato una colonia da sfruttare e quindi colpito da fortissime tasse.

Qui gli Snoli pensarono soprattutto a mantenere il controllo di Napoli (allora la terza città d'Europa, dopo Londra e Parigi), dove risiedeva il viceré.

Per governare il resto del territorio, comprese le isole, si appoggiarono soprattutto alla nobiltà feudale (i cosiddetti 'baroni', molti dei quali ne approfittarono senza scrupoli per arricchirsi e imporre il loro potere.

Si sviluppò così ancora di più, l'agricoltura dei latifondi enormi proprietà terriere coltivate da miseri braccianti.

Inoltre, fu particolarmente ostacolato lo sviluppo di una classe borghese, costituita da mercanti o produttori. Secondo molti studiosi, l'assenza di questa classe è stata in seguito la principale causa del minore sviluppo economico del Mezzogiorno rispetto a quello delle altre parti d'Italia.


LE RIVOLTE DEL SUD


Nel regno di Napoli e anche in Sardegna, le tasse dei dominatori snoli colpirono sia le attività economiche sia i generi alimentari di più largo consumo (pane, vino, frutta).

Ciò provocò svariate rivolte da parte del popolo, esasperato e stremato dalla miseria. La più celebre di queste insurrezioni fu quella che scoppiò a Napoli nel 1647, capeggiata da un pescivendolo, Tommaso Aniello detto Masaniello. La rivolta dalla città dilagò anche nelle camne e durò diversi mesi, anche dopo la morte dello stesso Masaniello. Altri tumulti ebbero luogo a Palermo e a Messina.

Si trattò in genere di moti disordinati, nati dalla protesta popolare ma privi di un fine preciso. Gli Snoli riuscirono sempre a reprimerli, in modo sanguinoso ma senza troppe difficoltà.


LO STATO DELLA CHIESA E IL GRANDUCATO DI TOSCANA


Nel Seicento i pontefici avevano ormai perso gran parte della loro autorità politica: le grandi potenze, infatti, ormai non subivano più l'influenza del papato. Tuttavia in Italia riuscirono ancora a impadronirsi delle città di Ferrara e Urbino, dove le fami glie degli Estensi e dei Della Rovere si erano estinte per mancanza di eredi.

Lo Stato della Chiesa si caratterizzò per il forte contrasto tra lo splendore di Roma e la miseria delle camne circostanti. Roma venne infatti abbellita di edifici che il nuovo stile barocco rendeva splendidi e imponenti. Ma appena fuori Roma lo spetta colo cambiava. Gli enormi latifondi delle famiglie nobili romane, in genere tenuti a pascolo, erano fonte di ricchezza per pochi proprietari e di miseria per i contadini e i pastori.

Quanto alla Toscana, essa riuscì a rimanere indipendente sotto la dinastia dei Me dici, ma conobbe una grave decadenza economica. Le manifatture fiorentine, un tempo fonte di enormi ricchezze, non erano più competitive e vennero progressivamente chiuse. Solo la fondazione del porto di Livorno produsse qualche miglioramento a una situazione economica ormai in forte difficoltà.


L'INDIPENDENZA DI VENEZIA

Venezia vide via via la sua importanza commerciale ridursi, a causa dello spostamento dei maggiori traffici dal Mediterraneo all'Atlantico e dei conseguenti successi di inglesi e olandesi.
Per sostenere la propria economia, essa cercò allora un'alternativa e si dedicò a sviluppare l'agricoltura nella cosiddetta terraferma, cioè nelle camne venete e friulane.
Bonificò vasti territori paludosi, sviluppò un sistema di canali per irrigare i campi, costruì dighe, introdusse nuove colture come il riso, il mais e il gelso. Questo non le consentì di accumulare la stessa ricchezza dei tempi d'oro, ma tuttavia rallentò il suo declino.
Anche sul piano politico l'importanza di Venezia si ridusse. Minacciata nel Mediterraneo dalla presenza dei Turchi, essa via via rinunciò ai domini di Cipro (1573), di Creta (1669) e delle altre isole greche.
Per mantenere la propria indipendenza, fu obbligata a tenersi in equilibrio fra le grandi potenze, conservando una stretta neutralità.





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