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L'ESTETICA DEL DISACCORDO: L'ARMONIA DELLA DISARMONIA



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L'ESTETICA DEL DISACCORDO: L'ARMONIA DELLA DISARMONIA


Da quanto detto finora, si comprende l'importanza rivestita dall'estetica nella cultura e nella vita quotidiana del Giappone. Per capire a fondo il concetto di spazio è necessario, infatti, capire la nozione di bellezza, che è, per i giapponesi, più soggettiva che oggettiva. La bellezza deriva da ciò che è transitorio, mutevole, ciò che viene chiamato mujo dalla dottrina buddista, secondo la quale tutte le cose e tutti gli esseri viventi sono in un flusso costante. Il cambiamento è la vera condizione della natura e i giapponesi hanno mantenuto nella loro indole una forte sensibilità verso il cambiamento; basti pensare alle grandi masse di persone che in primavera ed in autunno si spostano da una parte all'altra del paese per ammirare i ciliegi in fiore (hanami) o le foglie degli aceri che si tingono di rosso (koyo).

Un'espressione di fondamentale importanza per chiarirci tale accezione di bellezza è la famosa: Mano no aware, una frase che spesso viene tradotta come 'la tristezza delle cose', ed indica il dialogo dell'uomo con la natura, esprime una grande sensibilità verso il mondo che ci circonda. Questa espressione è basata sulla convinzione dei giapponesi che è necessario convivere, coesistere, con la natura, perché l'uomo è nato dalla natura e ritornerà alla natura. È per questo che aspetto della vita giapponese, come il cibo, il vestire, la pittura, l'architettura, il teatro, la cerimonia del tè, si sforza di raggiungere un risultato estetico apprezzabile, sintomo di una raggiunta armonia con la natura. Nella lingua giapponese esiste una grande varietà di parole che indicano espressioni o concetti estetici: una delle più note è shibui. Shibui condensa in sé il potere della tranquillità, dell'espressione attenuata o incompleta, e di una totale integrità dell'abilità, dei materiali e del design. L'incompletezza di qualsiasi espressione artistica dà all'osservatore l'opportunità di completarla con la sua stessa immaginazione e, infatti, il concetto di shibui contiene in sé la partecipazione attiva dell'osservatore. Altri concetti importantissimi alla base del senso estetico giapponese sono wabi e sabi, letteralmente severo e rustico, sui quali si fonda il rituale della cerimonia del tè, che rappresenta un po' la summa dell'ideale estetico giapponese.



L'architettura giapponese è derivata da un'armonia innata tra arte e natura. La bellezza si trova in natura, una natura considerata come inseparabile della vita umana. L'uomo quindi, nelle sue espressioni artistiche, tenderà ad imitare la natura che, per la sua specifica caratteristica, non è mai uguale a se stessa, mai simmetrica o ripetibile. È così che, a motivo di queste constatazioni, tutto ciò che è asimmetrico, irregolare, non pari, gode in Giappone di maggior favore. Ancora oggi, nel Giappone moderno, i numeri dispari sono considerati più felici dei numeri pari: nella crescita di un bambino, i compleanni festeggiati in modo speciale sono quelli dei tre, cinque e sette anni. I componenti poetici classici sono composti di tre o cinque versi di cinque o sette sillabe; nelle composizioni floreali (ikebana) viene usato un numero dispari di fiori, così come nel giardino il numero di pietre disposte per abbellirlo o per camminarci sopra, è sempre dispari. Non è un caso se, nelle costruzioni spaziali giapponesi, si usano spesso delle disposizioni senza asse di simmetria.

Contrariamente all'arte cinese (architettura compresa), fortemente caratterizzata dalla simmetria, in quella giapponese si riscontra raramente un ordine simmetrico; anzi, i giapponesi introdussero volutamente un elemento che creasse un certo disordine, così da eliminare il bilanciamento tra le parti e, conseguentemente, la monotonia dell'insieme. Un chiaro esempio di quanto detto ora è costituito dalla disposizione degli edifici nel recinto occidentale del tempio Horyu-ji a Nara, la cui struttura originale risale all'VIII secolo. Da un insieme di costruzioni più basse si stacca una oda di cinque piani, che è il 'fuoco' centrale di tutto il recinto, ma questa non è posta al centro del complesso, bensì ad un'estremità, esercitando così, con l'altra grande costruzione della sala principale, una mutua tensione su tutto l'insieme e rompendo la simmetria dei corridoi che congiungono i vari edifici. L'effetto che se ne trae è quello di una sorta di simmetria dinamica. L'esito finale dell'introduzione di questo elemento di disordine è così una composizione dello spazio senza un asse portante di simmetria. Se osserviamo un castello con due torri, operiamo a livello inconscio una operazione di centratura con l'individuazione di un asse visivo tra i due corpi. Se le torri sono tre, il nostro asse visivo non è più controllato: il nostro occhio è mantenuto costantemente in movimento. I tre corpi formeranno un sottile bilanciamento e permetteranno di cogliere, da qualsiasi angolatura si guardi, una composizione sempre diversa di spazi aperti o, secondo la terminologia giapponese, di ma. Il centro della forma non coincide mai con il centro dello spazio: questo è ciò che viene chiamato il bilanciamento dinamico. Ora possiamo passare al principio del ten-chi-jin. L'applicazione diretta di questo principio si ha nell'arte di esporre i fiori. Esso significa letteralmente paradiso-terra-uomo ed esprime una disposizione non assiale, non esplicitamente armoniosa di tre elementi: uno più alto, uno più basso ed un terzo che sta tra i due. Questo principio costituisce la base concettuale per una grande varietà di composizioni, non solamente nelle disposizioni dei fiori, ma anche nel disegno delle decorazioni poste all'ingresso della casa nel giorno di capodanno (3 pezzi di bambù) o in quello dei giardini classici tradizionali, in cui le pietre sono raggruppate in gruppi di 7,5 o 3 pezzi alla volta. Altri esempi si ritrovano anche nell'arte e nella letteratura, come la triade neve-luna-fioritura, una metafora per indicare le quattro stagioni, o quella: pino-bambù-susino, i cui elementi rappresentano rispettivamente la longevità, la pazienza e la felicità. Anche il teatro Noh viene rappresentato in una spazio costituito da tre elementi - uno vicino (il palcoscenico), uno lontano (la stanza dello specchio) ed uno che collega i due (il ponte) - che insieme formano una composizione assenza asse centrale di simmetria. In questo modo la linea della visuale del pubblico non è limitata ad una sola direzione, come avviene nella maggior parte dei teatri, ma anzi, si è in grado, da qualsiasi angolazione si guardi, di avere l'immagine di una composizione divergente. Complementare al concetto di paradiso-terra-uomo è quella dello shin-gyo-so. Letteralmente esso significa verità, movimento, come l'erba, e può esser interpretato come formale, semi formale, informale. In riferimento agli stili di calligrafia, shin sarà simile al nostro carattere stampatello, gyo si avvicinerà ad uno stile semicorsivo e so sarà uno stile fluente, molto veloce, in cui il pennello non viene staccato dal foglio, ottenendo così un tratto unico.



Potremmo dire che questo principio viene applicato per dar forma ad un modello essenziale di composizione basato sull'altro principio. Il shin-gyo-so è un principio di progressiva trasformazione che porta ad una maturazione o ad un completamento. I bambini giapponesi imparano a scrivere i caratteri ideogrammatici (kanji) prima nella forma squadrata, semplificata e facilmente scomponibile nel numero dei tratti di cui è composta; gli adulti possono andare oltre e scrivere in forma corsiva, più veloce; ma soltanto i calligrafi esperti possono scrivere con disinvoltura secondo lo stile fluente ed elegante detto come l'erba. Va ricordato infine che questo principio si ritrova in molte altre arti, come ad esempio l'arte dei giardini e della cerimonia del tè.






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