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L'UNITA'



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L'UNITA'


L'unità d'Italia raggiunta nel 1860  dopo due guerre è frutto della maturazione della società, di orientamento democratico, attuato da alcuni personaggi di rilievo i quali Cavour e Mazzini.

Bisogna però ricordare che negli anni prima si erano avuti molti moti insurrezionali e che gli abitanti della penisola sentivano già di possedere una lingua comune, un modo di vita comune, infatti, nella seconda metà del 1840 si incominciava ad avere le prime teorie su un'ipotetico stato unitario, queste considerazioni sono state esposte da Giolitti con la teoria neoguelfa, con Balbo che teorizzava una federazione di stati con a capo il regno Sabaudo e Cattaneo che teorizzò una federazione di stati sul modello Svizzero o degli Stati uniti

Ma l'artefice principale dell'unita fu Camillo Benson Conte di Cavour, che già capo del governo piemontese attuò una politica anti-austriaca che rispondendo mille voci che gli chiedevano di invadere con gli eserciti Piemontesi il regno lombarbo-veneto.



Il quale tramite una fitta rete d'alleanze libero, la maggior parte dell'odierna Italia settentrionale, le delegazioni pontificie del centro insorsero e tramite peblisciti deliberarono la loro annessione alla regno piemontese, il sud fu liberato da un grande personaggio Giuseppe Garibaldi che sbarcando a Marsala, da Quarto (Genova), con mille, o poco più, garibaldini liberò la Sicilia e con l'aiuto, non ufficiale, del Regno Sabaudo arrivò fino a Napoli dove incominciò a marciare per Roma, però fu fermato da Vittorio Emanuele II, il quale temeva un'intervento delle potenze cristiane (la Francia).

I problemi furono molteplici: la leva obbligatoria, l'eccessiva pressione fiscale, con la tassa del macinato, la non adeguata distribuzione delle terre comuni o del clero, il brigantaggio meridionale, la povertà generale o meglio il lavoro minorile, connessa all'analfabetismo generale e la questione romana:

1)La povertà delle famiglie lavoratrici e scolarizzazione sono stati storicamente fenomeni in concomitanza, infatti più si diffondeva la politica del lavoro minorile, più cresceva il numero di coloro che non potevano frequentare la scuola. Inoltre se si esclude il Lombardo-Veneto che era stato precedentemente austriaco, in tutti gli stati italiani per tutta la prima metà dell'Ottocento vi era un profondo disinteresse, quasi un'avversione per l'istruzione, perché la si riteneva inutile se non dannosa per la stabilità sociale. Ciò senza dubbio sta alla base del fatto che in tutta la penisola fino a tempi recenti i livelli d'analfabetismo raggiungessero punte elevatissime (dal 50% al 90%).

Nel Lombardo-Veneto, com'esposto prima, l'amministrazione austriaca si era fatta carico dell'istruzione pubblica, rendendo obbligatoria in ogni parrocchia la presenza di una scuola minore (le prime due classi delle elementari). La frequenza era inoltre gratuita ed obbligatoria per i ragazzi di entrambi i sessi dai 6 ai 12 anni. Questo sforzo diede i suoi risultati: se nel 1832 le scuole minori erano 2600, nel giro dei vent'anni successivi raggiunsero il numero di 4023 con una frequenza che nello stesso periodo si raddoppiò, passando da 107.000 a 216.000 alunni.

Invece nel Mezzogiorno. Basta confrontare queste poche cifre con quelle relative all'istruzione nel Mezzogiorno per rendersi conto della distanza che separava il Nord dal Sud: nel 1859 nel Regno delle Due Sicilie vi erano solo 66000 scolari.

Anche dopo l'unificazione dell'Italia, l'istruzione fu riservata ai li dell'aristocrazia e dell'alta borghesia, ed effettuata nei collegi o da precettori privati.

Solo alla fine del Settecento e nel corso dell'Ottocento, sotto la stimolo dell'opinione pubblica democratica, l'istruzione dei cittadini divenne un compito dello Stato.

Cosi anche in Italia nacquero le prime scuole pubbliche elementari.

2)Fra i problemi posti dall'unificazione nazionale, il giovane Regno d'Italia si trovava ad affrontare quelle 'questioni risorgimentali' che non avevano trovato soluzione nel pur straordinario biennio 1859-l861.
Primeggiava su tutte quella del compimento dell'unita' territoriale della nazione con l'acquisto di Roma e di Venezia.
Roma, in particolare, era stata proclamata capitale del regno d'Italia nella seduta del Parlamento del 27 marzo 1861.

In un vibrante discorso Cavour aveva ricordato le profonde ragioni storiche che motivavano quella decisione; si era, inoltre, mostrato fiducioso che, con la restituzione di Roma all'Italia e la definitiva ssa del potere temporale della Chiesa, l'autorità' dei pontefici e l'autonomia del loro magistero spirituale non avrebbero subito alcuna diminuzione. Ne sarebbe anzi derivato ai papi maggior prestigio morale.

Con la precoce ssa di Cavour, morto cinquantunenne il 6 Giugno 1861, venne meno lo statista in grado di procedere con duttilità e intelligenza nello scioglimento di quella che allora cominciò a chiamarsi 'questione romana'.



Perché né l'Inghilterra, né l'Austria, né, soprattutto, la Francia, intendevano assistere senza reagire alla fine del dominio pontificio.

Solo nel 20 settembre 1873 Il generale Cadorna, favorito dal ritiro delle truppe francesi impegnate contro i prussiani, entra a Roma attraverso la breccia di Porta Pia.

3)Il distacco tra Nord e Sud si era già manifestato in forma gravissima sin dai primi giorni dell'Unità, con un fenomeno che investì l'intero Meridione tra il 1861 ed il 1865: il brigantaggio.
Le sue cause erano antiche e profonde, ma la delusione creata dal passaggio garibaldino prima e dall'accentramento amministrativo poi erano i motivi più recenti di questo fenomeno.
La situazione si aggravò subito dopo la vendita all'asta dei beni(terreni) demaniali ed ecclesiastici. I compratori appartenevano prevalentemente alla nuova borghesia rurale che si stava rivelando ancora più avara e tirannica dei vecchi padroni.
Quelli che riuscirono a farsi assegnare qualche lotto, furono poi costretti comunque a cederli ai vecchi proprietari terrieri per pochi soldi, se volevano sopravvivere.
Del resto le terre demaniali erano vendute (e poi gestite) dai consigli comunali, normalmente formati e guidati da proprietari terrieri. Quindi l'influenza locale se era assoluta prima, lo fu anche dopo.  

Il grosso delle bande era costituito da braccianti, cioè contadini salariati esasperati dalla miseria; accanto ad essi lottarono anche ex garibaldini sbandati, ex soldati borbonici e numerose donne.

All'inizio essi combatterono per due scopi l'uno in contrasto con l'altro ottenere la riforma agraria che Garibaldi non aveva concesso deludendo le loro speranze e impedire la realizzazione dell'Unità d'Italia per far tornare i Borboni.

Nel 1865 il brigantaggio era stato praticamente sconfitto. Lo stato aveva vinto la sua guerra, ma compiendo proprio gli errori che Cavour aveva cercato di scongiurare. Dopo la repressione e la legge marziale, la frattura tra il Sud ed il resto dell'Italia non fece che approfondirsi.
Le classi povere, soprattutto contadine, immaginarono spesso i briganti come degli eroi popolari e anche nella stampa dell'epoca furono proposte ure di briganti  buoni.

4) Il 5 gennaio. Luigi Guglielmo Cambray-Digny, ministro delle finanze del II Ministero Menabrea, appena costituito, parla alla Camera del disavanzo corrente dello Stato che è salito da 168 milioni nel 1866 a 224 milioni nel 1867; per il 1868 il ministro prevede un disavanzo di 240 milioni. Per risanare la situazione del deficit pubblico propone diversi provvedimenti fiscali tra i quali un'imposta sul macinato.

Il 5 febbraio 1869 il  disavanzo finanziario dello Stato, salito dopo la III guerra d'indipendenza a oltre 700 milioni, il governo propone, per sanare il deficit dello stato, un'imposta sul macinato che colpisce soprattutto i ceti popolari. La proposta solleva violenti polemiche in Parlamento e nel Paese, ma viene approvata il 21 maggio, nonostante la dura opposizione delle sinistre La legge viene approvata definitivamente alla Camera con 219 voti contro 152, non dimentichiamo che alla Camera non esiste un rappresentante delle classi popolari. I deputati sono ex principi, marchesi, baroni che vivono di rendita
La relativa convenzione lascia una scia di polemiche e di risentimenti e numerose accuse di corruzione vengono lanciate nei confronti di alcuni deputati che avrebbero ricevuto denaro da banchieri italiani e stranieri interessati all'approvazione della legge.









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