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La lotta politica a Roma dal 133 al 27 a.C.

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La lotta politica a Roma dal 133 al 27 a.C.

Dai Gracchi a Silla


Nello stesso periodo in cui Roma stava creando un impero di vasta portata, si accrebbe il livello dello scontro politico al suo interno. L'accordo tra le più ricche famiglie plebee e le antiche gentes patrizie diede luogo alla conquista delle più alte magistrature e al controllo totale dell'accesso al senato; inoltre, la graduale estinzione dei piccoli proprietari terrieri, dovuta a uno sviluppo - ancorché parziale - del latifondo e alle devastazioni delle guerre (soprattutto di quella annibalica), provocò la formazione di un proletariato, in larga parte inurbato, il cui malcontento era incapace di tradursi in organizzazione politica. Divenne così inevitabile lo scoppio di un duro conflitto tra l'aristocrazia più conservatrice, organizzata nella fazione degli optimates, e uomini politici con maggiore attenzione verso le fasce più basse della società, organizzati nella fazione dei populares: tra questi ultimi, i fratelli Tiberio Sempronio Gracco e Caio Sempronio Gracco, tribuni della plebe rispettivamente nel 133 e 123 a.C., che promossero riforme agrarie che non sopravvissero però alla morte violenta dei loro fautori.



Si stava inoltre sviluppando, all'interno della società romana, un nuovo soggetto sociale: l'ordine equestre. I cavalieri, infatti, avevano approfittato delle nuove conquiste in Oriente - che avevano ampliato l'orizzonte mercantile di Roma - per imporsi come ceto imprenditoriale e commerciale; inoltre, in molte nelle nuove province, l'esazione degli appalti fu appannaggio di società di cavalieri, detti pubblicani, che con questa attività si arricchirono moltissimo. Nonostante un'evidente promozione dal punto di vista economico, gli esponenti dell'ordine equestre restarono però esclusi dalle funzioni di governo dello stato, eccezion fatta per qualche isolato cavaliere che accedeva all'ordine senatorio, detto in tal caso homo novus. La lotta più dura che combatterono i cavalieri fu quella - iniziata nella seconda metà del II secolo d.C., e caratterizzata da fasi alterne - per accedere alla quaestio de pecuniis repetundis, commissione di controllo sull'operato dei governatori e amministratori delle province; se non potevano essere ceto di governo gli equites pretendevano almeno una funzione di controllo su chi governava, a tutela dei propri crescenti interessi economici.

Le comunità italiche alleate di Roma, che stavano perdendo progressivamente peso politico e privilegi, chiedevano il riconoscimento del loro decisivo contributo alle guerre di conquista. In questa situazione, il tribuno Marco Livio Druso propose leggi agrarie e distribuzioni di grano per le classi meno agiate, e promise la cittadinanza romana agli italici. Ma, quando anche Druso venne ucciso (nel 91 a.C.), gli italici insorsero, creando un proprio esercito e un proprio stato, che ebbe la sua capitale provvisoria nella città di Corfinium, nel territorio dei marsi. Il conflitto che ne seguì (90-88 a.C.) fu detto guerra sociale, cioè 'guerra degli alleati' (in latino socii), e si concluse con la sconfitta degli italici, ai quali venne però concessa la cittadinanza romana. Nell'89 a.C., inoltre, il console Pompeo Strabone concesse la cittadinanza agli abitanti della Pianura Padana, regione da tempo in bilico tra la condizione di provincia e quella di appendice dell'Italia.

Nel frattempo, gravi problemi continuavano a caratterizzare la politica interna di Roma. Durante la prima guerra combattuta contro Mitridate VI, re del Ponto, scoppiò un violento conflitto tra Caio Mario, rappresentante della fazione dei populares, e Lucio Cornelio Silla, il capo della fazione aristocratica degli optimates, per il comando delle forze di spedizione; entrambi valenti militari, avevano già dato prova delle loro capacità belliche. Mario aveva infatti già ricoperto per cinque volte il consolato, e si era distinto per le vittorie contro i teutoni nel 102 a.C. (ad Aquae Sextiae) e i cimbri nel 101 a.C. (ai Campi Raudii); aveva inoltre promosso una riforma che, favorendo gli arruolamenti volontari - anche tra i proletari - trasformava l'esercito in un corpo professionale, fedele più al generale che l'aveva reclutato che alla causa dello stato romano.

Silla, console nell'88 a.C., aveva avuto un ruolo fondamentale nella guerra sociale, e proprio alla testa delle legioni che aveva guidato nel corso di quel conflitto marciò su Roma. La fuga di Caio Mario gli lasciò libero il campo: Silla fu rieletto console e partì per la guerra contro Mitridate nell'87 a.C. Durante la sua assenza, però, Caio Mario e Lucio Cornelio Cinna, rivestendo nuovamente il consolato, si reimpadronirono del potere, finché morirono, Mario nell'86 a.C. e Cinna nell'84 a.C. Quando Silla, nell'83 a.C., di ritorno dall'Asia Minore, marciò di nuovo su Roma, stroncò la resistenza dei suoi avversari e instaurò un regime senza precedenti nella repubblica romana. Nominato dittatore, egli eliminò i suoi nemici mediante proscrizioni, e le terre appartenenti agli oppositori politici furono confiscate e distribuite ai veterani delle sue legioni; emanò poi numerose leggi (leges Corneliae) che restituivano all'aristocrazia senatoria il pieno controllo della vita politica dello stato, limitando non poco le prerogative dell'ordine equestre, cui Mario aveva concesso alcuni privilegi. Silla si ritirò dalla politica nel 79 a.C., lasciando un pericoloso esempio alle generazioni immediatamente successive: quello, cioè, di un potere che - pur nell'ambito di una struttura costituzionale repubblicana - aveva i caratteri autocratici della monarchia.


Dall'ascesa di Cesare alla fine della repubblica 


Nel 67 a.C. Pompeo Magno, uomo politico e generale che aveva combattuto i seguaci di Mario in Africa, in Sicilia e in Sna, liberò il Mediterraneo dai pirati e fu incaricato di condurre una nuova guerra contro Mitridate. Nel frattempo il suo rivale, Caio Giulio Cesare, acquistò progressivamente una notevole ingerenza politica come capo della fazione dei populares, e si alleò con il ricchissimo Marco Licinio Crasso. Pompeo, tornato vittorioso dall'Oriente, chiese al senato di ratificare le misure da lui prese in Asia Minore e distribuì le terre ai suoi veterani.

Le sue richieste si scontrarono con una serie di veti da parte del senato, fino a che Cesare, presentandosi come amico, formò con lui e con Crasso il primo triumvirato, nel 59 a.C.: si trattava non già di una magistratura, ma di un patto privato tra i più potenti uomini politici del tempo, ciascuno dei quali aveva propri interessi da proteggere e promuovere. Il grande oratore Marco Tullio Cicerone, di tendenze politiche conservatrici, si era accorto della sua pericolosità e lo avversò fieramente: il processo di 'personalizzazione' della vita politica romana, che aveva avuto nelle ure di Mario e Silla i più illustri precedenti, stava per assumere così una strada senza ritorno, che avrebbe minato la natura stessa della repubblica; quella stessa repubblica che solo pochi anni prima (63 a.C.) aveva anche dovuto fronteggiare, sotto il consolato di Cicerone, un tentativo di colpo di stato di natura demagogica capeggiato da Lucio Sergio Catilina.

L'accordo triumvirale consentì a Cesare di ottenere il consolato e a Pompeo di far accettare le proprie richieste. Gli interessi dei cavalieri - sul cui appoggio Cesare contava - vennero soddisfatti, garantendo ai pubblicani condizioni vantaggiose negli appalti per la riscossione dei tributi nelle province orientali; fu inoltre introdotta una legge agraria per consentire a Pompeo di ricompensare adeguatamente le sue truppe con donativi di terre. Il coronamento dei successi di Cesare fu il comando militare ottenuto in Gallia cisalpina, in Illiria e più tardi anche nei possedimenti romani nella Gallia d'oltralpe; di qui mosse alla conquista, per mezzo delle lunghe e faticose guerre galliche, di tutta la Gallia transalpina, che ebbe termine nel 52 a.C.

Nel 55 a.C. i triumviri rinnovarono la loro alleanza, e mentre a Cesare venne prorogato il comando della Gallia ancora per cinque anni, Pompeo e Crasso furono eletti consoli: al primo venne affidato il controllo di Sna e Africa, mentre Crasso ricevette la Siria; ma la morte di quest'ultimo, nel 53 a.C., sconfitto a Carre, presso l'Eufrate, mentre combatteva contro i parti, pose Pompeo in aperto conflitto con Cesare. Mancando un governo efficiente, a Roma scoppiarono violenti tumulti: il senato persuase Pompeo a restare in Italia, affidando le sue province a legati, e lo elesse unico console nel 52 a.C. decidendo di sostenerlo contro Cesare, a cui venne imposto di rinunciare al comando militare (per impedire la sua elezione a console).

Cesare rifiutò e, nel 49 a.C., dalla Gallia cisalpina scese verso sud attraversando in armi il fiume Rubicone, confine del pomerium sillano; presa Roma, obbligò Pompeo e i membri più in vista dell'aristocrazia a ritirarsi in Grecia. Continuò quindi la guerra contro i pompeiani, sbaragliandoli prima in Sna e passando poi in Grecia, dove vinse la battaglia di Farsalo (48 a.C.). Pompeo fu ucciso poco dopo in Egitto, ma la guerra contro i suoi partigiani continuò finché questi non vennero sconfitti duramente nella battaglia di Tapso (46 a.C.) e definitivamente in quella di Munda (45 a.C.). Cesare, dopo avere progressivamente accentrato nella sua persona numerosi poteri e funzioni (la ripetuta assunzione della dittatura e del consolato; l'attribuzione di alcune prerogative dei tribuni della plebe; la praefectura morum, che sostituì la censura) si proclamò dittatore a vita: l'eccezionalità della sua posizione politica venne ribadita da forme di culto della personalità del tutto estranee alle consuetudini della repubblica romana.

Il nuovo 'leader' della politica romana aveva però sottovalutato il peso delle tradizioni repubblicane e si creò numerosi nemici nell'ambito dell'aristocrazia dell'Urbe: il 15 marzo del 44 a.C. venne quindi assassinato a seguito di una congiura, proprio mentre stava ideando una spedizione militare in Oriente che avrebbe eguagliato il suo prestigio militare a quello di Alessandro Magno. Cicerone cercò di restaurare la vecchia costituzione repubblicana, ma Marco Antonio, già luogotenente di Cesare, unì le proprie forze a quelle di Marco Emilio Lepido e del pronipote e lio adottivo di Cesare, Ottaviano (il futuro imperatore Augusto), per formare il secondo triumvirato, che questa volta fu una vera e propria magistratura straordinaria dello stato.

Fra le prime scelte dei triumviri vi furono le proscrizioni e l'eliminazione degli oppositori, fra cui Cicerone. Nel 42 a.C. Ottaviano e Antonio sconfissero gli assassini di Cesare, Marco Giunio Bruto e Caio Cassio Longino a Filippi, nella Grecia settentrionale, dopodiché i triumviri si divisero il controllo dei domini romani: Ottaviano ebbe l'Italia e l'Occidente, Antonio l'Oriente e Lepido l'Africa. Ottaviano cercò l'aiuto di quest'ultimo nella guerra contro Sesto Pompeo (il lio di Pompeo Magno), ma Lepido cercò di accaparrarsi la Sicilia, con il risultato di venire privato della sua provincia e del suo ruolo all'interno del triumvirato (36 a.C.).

Alla morte di Sesto Pompeo il possesso del Mediterraneo rimase una questione privata fra Ottaviano - che aveva nel frattempo rafforzato notevolmente la sua posizione in Occidente - e Antonio, ormai suo unico rivale; quest'ultimo, infatti, viveva ormai in Egitto alla corte della regina Cleopatra, mirando a trasformare l'insieme dei domini romani in una monarchia, su modello dei regni ellenistici. Con la battaglia di Azio (che vinse nel 31 a.C.), e il suicidio di Antonio, Ottaviano estese il suo dominio anche in Oriente (29 a.C.), divenendo in tal modo il solo padrone di tutti i territori di Roma.

Sia lo storico greco Polibio che l'oratore latino Cicerone avevano definito la repubblica romana il sistema politico migliore, poiché armonizzava in sé caratteristiche proprie della monarchia (il potere esecutivo e militare dei consoli), dell'oligarchia (il potere consultivo del senato) e della democrazia (il potere legislativo e la funzione elettorale dei comizi). Ma già con Silla, poi con Cesare, e ancor più con Ottaviano, era però chiaro che il primo dei tre poteri stava prendendo il sopravvento, e quando, nel 27 a.C., il senato tributò a Ottaviano il titolo di augusto (dalla radice di auctoritas, cioè 'autorità morale'), la repubblica romana - che di nome continuava a esistere - si poteva dire finita. In tale titolo, accomnato alle altre prerogative e funzioni che egli assunse, era infatti insita l'idea di un potere che non scaturisse dalla delega dell'imperium da parte del popolo romano, ma che fosse prerogativa individuale, personale, in alcun modo limitabile dalle annualità e collegialità tipiche delle magistrature repubblicane; che fosse, insomma, un potere di tipo monarchico.





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