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Le magistrature repubblicane e la conquista dell'Italia (510-264 a.C.)

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Le magistrature repubblicane e la conquista dell'Italia (510-264 a.C.) 

Mentre nell'età monarchica il potere era attribuito unicamente al re, in età repubblicana venne affidato a due magistrati eletti annualmente dall'intera cittadinanza, riunita nei comizi centuriati, dapprima chiamati pretori e in seguito consoli. Il popolo romano, infatti, trasferiva loro l'imperium (la forza congiunta di dei e popolo di Roma), attributo necessario per comandare l'esercito. La collegialità e l'annualità di queste magistrature debbono intendersi in aperto contrasto con la natura monarchica del potere, che il popolo romano non voleva che fosse ripristinata; dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo per opera dei nobili Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino - considerati i primi magistrati della Roma repubblicana - il nome di re divenne infatti sinonimo di sopruso, e accuratamente evitato: l'unico suo relitto linguistico fu nella funzione sacerdotale di rex sacrorum, officiante dei pubblici sacrifici.

La composizione del senato, la più autorevole assemblea decisionale dello stato romano, venne progressivamente trasformata grazie all'inserimento di membri di estrazione plebea, chiamati conscripti (da cui la successiva denominazione dei senatori come patres conscripti): ciò venne decretato in seguito a un aspro conflitto tra patrizi e plebei. Non è facile cogliere la vera origine di questi distinti ordines, anche perché le risposte date finora dagli studiosi sono state estremamente diverse; patrizi e plebei, se ebbero tra loro profonde differenze di carattere economico, sociale e religioso (professavano infatti culti diversi) dovettero inizialmente (nel periodo monarchico) distinguersi soprattutto per motivi etnici. C'è chi ha voluto vedere, ad esempio, nei patrizi i latini che si imposero sull'etnia sabina, cioè i plebei; oppure individuare nei patrizi gli etruschi conquistatori (etruschi erano i re Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo) che sottomisero la componente etnica latino-sabina, riducendola a plebe; e non mancano teorie innovative, che tendono a ridimensionare di molto il ruolo del patriziato in epoca arcaica. Certo è che la lotta che si sviluppò tra patrizi e plebei nelle prime fasi dell'età repubblicana, portò alla progressiva abolizione di numerosi privilegi politico-sociali del patriziato.



Nel 494 a.C. la secessione della plebe guidata da Menenio Agrippa diede luogo all'elezione dei tribuni della plebe (tribuni plebis). Eletti annualmente, godevano dell'inviolabilità personale (sacrosanctitas) e del diritto di veto sulle deliberazioni dei magistrati patrizi (intercessio) e rappresentavano per i plebei il punto di riferimento politico nei conflitti con il patriziato: avevano cioè ufficialmente il diritto di soccorrere la plebe (ius auxilii ferendi plebi).

Oltre ai tribuni, vennero concessi l'istituzione di edili plebei addetti ai loro templi, nonché il diritto di riunirsi in assemblea nel concilium plebis. Nel 451 a.C. fu nominata una commissione composta da dieci uomini (decemviri legibus scribundis), prima tutti patrizi e poi metà patrizi e metà plebei, allo scopo di fissare il primo codice di leggi della storia romana (legge delle Dodici Tavole), ove furono raccolti i principi del diritto romano arcaico. Con la legge Canuleia, del 445 a.C., fu legalizzato il matrimonio fra patrizi e plebei, mentre le leggi Liciniae-Sextiae, del 367 a.C., stabilirono che uno dei due consoli eletti doveva essere plebeo. Queste ultime leggi sancirono la legalizzazione di una diffusa prassi, che aveva visto già dal 444 a.C. la frequente sostituzione del consolato con un tribunato militare 'dalla potestà consolare', carica cui era consentito l'accesso ai plebei. Progressivamente, anche l'accesso alle altre magistrature fu aperto ai plebei: la dittatura, nominata nei momenti di grave pericolo esterno per lo stato romano (356 a.C.); la censura (350 a.C.); la pretura (337 a.C.); le magistrature connesse ai collegi pontificali e augurali (300 a.C.).

Questi cambiamenti politici segnarono la nascita di una nuova aristocrazia. Il senato, che originariamente possedeva solo una serie di limitate prerogative amministrative, divenne il fulcro del governo della repubblica, poiché a esso spettava ogni decisione in materia di pace e di guerra, nella scelta delle alleanze e delle colonie da fondare, nel controllo delle finanze statali. Sebbene l'emergere di questa nuova nobilitas patrizio-plebea avesse posto fine alle lotte fra i due ordini, la situazione delle famiglie plebee più povere non subì alcun miglioramento.

La politica estera di Roma, in questa fase della sua storia, fu caratterizzata da una serie di guerre di conquista che diedero luogo a una notevole espansione territoriale. Con la grande vittoria ottenuta presso il lago Regillo nel 497 o 496 a.C. contro latini e volsci alleati, Roma divenne la città egemone della Lega latina (l'antica confederazione che univa tra loro le città del Lazio), imponendo nel 493 a.C. il celebre trattato detto foedus Cassianum; condusse poi una serie di altre guerre contro etruschi, volsci ed equi: guerre nelle quali si affermò, tra gli altri, Lucio Quinzio Cincinnato, dittatore nel 458 a.C.

Tra il 449 e il 390 a.C. la politica espansionistica di Roma divenne particolarmente aggressiva: con la presa di Veio (396 a.C.) da parte di Marco Furio Camillo, l'Etruria iniziò a perdere la propria indipendenza. Intorno alla metà del IV secolo a.C., nell'Etruria meridionale vennero stanziate alcune guarnigioni romane. Le vittorie su volsci, latini ed ernici assegnarono a Roma il controllo dell'Italia centrale, facendola nel contempo entrare in contatto con i sanniti, stanziati più a sud, che vennero affrontati e vinti nel corso di tre durissime guerre (guerre sannitiche), tra il 343 e il 290 a.C. Stroncata una rivolta di latini e volsci, nel 338 a.C., la Lega latina fu sciolta; due potenti coalizioni si formarono allora per cercare di contrastare l'ascesa di Roma: etruschi, umbri e galli (che già avevano attaccato i romani saccheggiando l'Urbe nel 390 a.C.) a nord; lucani, bruzi e sanniti nel sud, che riuscirono a contrastare l'espansionismo romano fino al 283 a.C.

Nel 281 a.C. la colonia greca di Tarentum (l'odierna Taranto) chiese aiuto contro la minaccia costituita da Roma, della quale si temevano le mire espansionistiche in Magna Grecia, a Pirro, re dell'Epiro; dal 280 al 276 a.C. egli condusse la guerra in Italia meridionale e in Sicilia infruttuosamente - nonostante potesse contare sull'utilizzo bellico degli elefanti, sconosciuti ai romani - e dovette fare ritorno in Grecia. Durante i dieci anni successivi i romani completarono la sottomissione dell'Italia meridionale, riuscendo dunque a controllare l'intera penisola, dallo 'stivale' fino ai fiumi Arno e Rubicone.





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