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Piero della Francesca

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Piero della Francesca


Nacque a Borgo S. Sepolcro (Arezzo) nel 1415 - 1420.

E' senz'altro uno dei massimi artisti del rinascimento.

Fece il suo alunnato presso un oscuro pittore locale, Antonio D' Anghiari. Successivamente nel 1435 si trasferisce a Firenze e nel 1439 collabora con Domenico Veneziano, negli affreschi oggi perduti del coro di S. Egidio. A Firenze apprese e approfondì lo studio della composizione geometrica e prospettica.

Nel 1442 ritornò a Borgo S. Sepolcro dove risiedette prevalentemente, spostandosi di tanto in tanto per lavorare in altre città: Ferrara, Rimini, Arezzo, Roma, Perugia, Urbino.

La sua opera venne riscoperta nel 1913 dal critico Roberto Longhi, che lo vide come un antesignano dei movimenti artistici del '900 e in particolare della metafisica, per la purezza geometrica e l'astrazione della sua opera.

Fu influenzato da: Masaccio, Beato Angelico, Filippo Lippi e Paolo Uccello. Dell'Angelico prese l'ordine compositivo, di Masaccio la monumentalità delle ure, di Uccello il rigore geometrico e compositivo e di Veneziano la luce diafana. Entrò anche in contatto con gli influssi fiamminghi lavorando nel 1449 a Ferrara con Roger van der Weyden. Lavorò a Rimini al tempio Malatestiano dove gli influssi fiamminghi si trovano soprattutto nei ritratti di Federigo da Montefeltro e della moglie Battista Sforza. Inoltre nell'opera di Piero troviamo una media proporzionale tra l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande. Morì il 12 ottobre 1492, cieco.



Oltre ad includere la componente fiamminga, l'arte di Piero d. F. adempirà ad una vera funzione unitaria, facendo da cardine tra la cultura dell'Italia centrale e meridionale (con Antonello da Messina) e Venezia (con Giovanni Bellini).

Dall'opera di P. emerge una solenne impostazione prospettica degli spazi architettonici e una monumentale e statuaria definizione delle ure, che sembrano essere immobili e immerse in una calma metafisica. Emerge inoltre una certa simmetria compositiva nell'articolazione dello spazio e delle scene.

Scrisse il " De Prospettiva Pingenti", trattato di pittura.







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