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IL PRINCIPIO DI MATERIALITA' (Nullum crimen sine actione)



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IL PRINCIPIO DI MATERIALITA' (Nullum crimen sine actione)



Uno dei principi cardine del diritto penale del fatto, esercita la funzione di delimitazione dell'illecito penale. Con la massima: "Nullum crimen sine actione", si vuole esprimere il principio secondo cui, per il nostro ordinamento può essere reato solo il comportamento umano materialmente estrinsecantesi nel mondo esteriore e, perciò suscettibile di percezione sensoria e, quindi munito di una sua corporeità.

Tale principio è rinvenibile nell'art.25/2 Cost. nell'espressione "fatto commesso", inoltre si desume, a fortiori, dal principio costituzionale della offensività del fatto, essendo la materialità il supporto della offensività del fatto stesso.


Nella sua materialità il fatto di reato è costituito da un insieme di componenti che danno luogo al c.d. elemento oggettivo; nel fatto oggettivamente inteso vanno compresi:



gli elementi positivi (che debbono esistere) rappresentati:

dalla condotta e ove richiesto,

dall'evento,

dal rapporto di causalità tra la prima ed il secondo,

dall'offesa

gli elementi negativi (che debbono mancare) rappresentati dalla assenza di cause di giustificazione.


Sezione I: La condotta


La condotta(rif. 1.1) può consistere in un'azione ovvero in un omissione.

Secondo GRISPIGNI la condotta può essere definita come "il comportamento o contegno di un soggetto nei confronti del mondo esterno". L'azione consiste nel movimento del corpo idoneo ad offendere l'interesse protetto dalla norma o l'interesse statuale perseguito dal legislatore attraverso l'incriminazione.

L'omissione non è percepibile come essenza fisica ma normativa, consistendo essa appunto nel non compiere l'azione possibile, che il soggetto ha il dovere di compiere.


Si sono succedute nel tempo diverse teorie volte a ricercare un concetto pregiuridico unitario di condotta che svolga ad un tempo la triplice funzione: a) dogmatico-applicativa b) classificatoria c) limitativa o negativa.


A)   Superata è l'originaria concezione dei giuristi tedeschi che definivano la condotta come "volontà che si realizza", comprensiva tanto del movimento corporeo quanto delle sue conseguenze, tagliando così completamente fuori dal concetto di condotta il fatto colposo, il tentativo e l'omissione.


B)    La concezione naturalistica o causale, sorta alla fine del secolo scorso definisce la condotta come "movimento corporeo cagionato dalla volontà", quindi una modificazione del mondo esterno causata da influsso della volontà, recepibile con i sensi.

Critica:

* Tale teoria pur ricomprendendo la condotta colposa (in quanto il contenuto del volere  rileverebbe in sede di colpevolezza), non consente di comprendere la condotta omissiva e i reati di mera condotta colposi.


C)   Teoria finalistica dell'azione, sviluppatasi in Germania, dopo il secondo conflitto mondiale, sulla base del postulato filosofico che nella realtà pregiuridica sussistono strutture ontologiche, vincolanti per il legislatore, tra le quali vi è la condotta umana con la sua essenza finalistica, si concepisce l'azione penalmente rilevante come "attività finalisticamente rivolta alla realizzazione dell'evento tipico".

Critica:

* Tale teoria è stata elaborata sulla base del reato commissivo/omissivo doloso, mancando di giustificare i reati colposi, nei quali è postulata l'assenza di volontà per l'evento tipico.

* Mentre l'azione dolosa è certamente finalistica, quella colposa è stata definita, in una prima formulazione, come "potenzialmente" finalistica; poi si è precisato che l'azione non è finalistica rispetto all'evento tipico, ma soltanto rispetto ad un altro evento.


Il concetto di condotta, come viene rilevato:

a)  quanto alla funzione dogmatico-applicativa, può consentire di ritagliare, nella serie ininterrotta di movimenti corporei del soggetto, la singola condotta nella sua unità ed individualità. L'idoneità offensiva consente di individuare già sul piano materiale "l'unità minima" della condotta nella pluralità frammentaria dei singoli movimenti muscolari in sé insignificanti e irrilevanti.

* Mentre il finalismo soggettivo è proprio soltanto del reato doloso, il finalismo oggettivo della condotta caratterizza ogni tipo di condotta.

[frammentarietà]


b)  quanto alla funzione classificatoria, consente di assumere una funzione categoriale di comportamenti ontologicamente diversi (attivi ed omissivi, dolosi e colposi), postulando tutte una estrinsecazione dell'uomo nel mondo sociale, che fa dello specifico umano il loro referente comune ed il centro del diritto penale. Da rilevare le differenze fra reati omissivi e commissivi con riferimento alla causalità, dolo, tentativo, concorso di persone ecc.)


c)  quanto alla funzione limitativa del penalmente rilevante, appare escludere le estrinsecazioni umane non coscienti, non volontarie, non espressive della personalità del soggetto non imputabile.

[suitas della condotta]



L'azione.(n.48)

Classificazione:

Reati a forma vincolata: reati patrimoniali (rif. truffa e furto) [frammentarietà]

Reati a forma libera: reati contro beni personalissimi quali vita, incolumità individuale e collettiva, onore.


[Problema dell'unità o della pluralità dell'azione.]


L'omissione.(n.49)

La tendenza espansiva dei reati omissivi è una caratteristica del passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale di diritto o solidaristico, il quale, addossandosi nuovi compiti in ampie sfere, impone ai cittadini l'obbligo di determinate azioni volte al raggiungimento di alcune finalità che esso assume come proprie, quali anzitutto l'adempimento dei doveri di solidarietà del corpo sociale in vista di una omogeneizzazione economico-politico-sociale (come prevede l'art.2 Cost.) con conseguente ampliamento dell'omissione penalizzata (es.: in materia tributaria, di rapporti di lavoro, di assistenza familiare, di istruzione e mantenimento dei li, assicurativa, economica, industriale, commerciale, urbanistica, edilizia, ecc.) Il ricorso a fattispecie omissive risponde, inoltre, ad una esigenza imposta dalla sempre maggiore complessità della vita di relazione, causata anche dai progressi tecnologici e dalla sempre più complicata meccanizzazione, che comportano la emanazione di un sempre maggior numero di norme cautelari di condotta, la cui violazione consiste sovente in atteggiamenti omissivi (es.: legislazione in materia di circolazione stradale, di sicurezza del lavoro).



* Una serie di teorie riguardano l'individuazione dell'essenza dell'omissione: naturalistica o normativa?


A)    Omissione intesa come azione interna (nihil facere).

Critica: i reati omissivi colposi hanno un vuoto psicologico per definizione, quindi sono esclusi da tale teoria, inoltre non si distinguerebbe dalla mera inerzia.

B)    Omissione intesa come aliud facere. Permane una realtà naturalistica, estrinsecantesi in un'azione alternativa a quella doverosa.

Critica: (Es.: casellante che si addormenta non azionando lo scambio per passaggio a livello) ammesso che sia sostenibile che il soggetto, nel dormire stesse compiendo un'altra attività, l'azione diversa è, comunque, del tutto irrilevante, per l'esistenza del reato, bastando appurare che il soggetto pur potendolo, non ha tenuto il comportamento dovuto.

C)    La dottrina oggi concorda nel riconoscere alla omissione una essenza non fisica ma normativa, consistendo essa appunto nel non compiere l'azione possibile, che il soggetto ha il dovere di compiere.

L'omissione sul piano naturalistico può tradursi anche in un facere, ma difficilmente può essere compresa senza il riferimento ad una norma. L'omissione, infatti, non consiste in un non facere, ma in un non facere quod debetur.


Caratteri costitutivi dell'omissione:

a)  dovere giuridico di fare;

b)  possibilità materiale di adempiere;


Date le differenze strutturali, fondamentale è la bipartizione dei reati omissivi tra:

Reati omissivi propri, consistenti nel mancato compimento dell'azione comandata, ne sono elementi costitutivi oggettivi: a) i presupposti (rif. art.593 c.p.), b) la condotta omissiva c) il termine entro cui l'obbligo deve essere adempiuto. In tale tipologia di reato manca elemento naturalistico.

Il reato si considera consumato nel momento in cui viene a scadere il termine prescritto per il compimento dell'azione dovuta, ne consegue che non è conurabile il tentativo.

MANTOVANI ritiene possibile il tentativo per i reati di omissivi propri plurisussistenti a condotta frazionata.


NUVOLONE

- "Problemi particolari del reato omissivo:

l'evento e il dolo nei reati omissivi propri, i rapporti tra la violazione dell'obbligo giuridico di impedire l'evento e il principio di legalità nei reati omissivi impropri, la causalità dell'omissione, la tecipazione criminosa in tema di omissione."-




CADOPPI:

-"Grispigni teorizzò l'esistenza accanto a dei comandi di azione, di altri comandi detti di evento, costituenti il substrato materiale per la commissione di reati di omissione di evento. Ne sono esempio l'omessa denunzia di reato (artt. 361, 362 c.p.), l'omissione di referto (art. 365), l'omissione di soccorso (art.593).

Ponendo una distinzione dei reati omissivi propri, a) taluni di essi non sono altro che reati omissivi impropri "a tutela anticipata", pensiamo all'omissione di soccorso, o all'omesso riparo di edifici minaccianti rovina (art. 677 c.p.), essi possono essere denominati reati omissivi "quasi impropri" e sono caratterizzati dal fatto che non possono per natura, atteggiarsi ad illeciti di danno; b) la seconda classe è costituita da norme dirette a tutelare la realizzazione di un evento (naturalistico) positivo, socialmente utile. Il bene giuridico ledibile non abbisogna di essere "menomato" o "distrutto"; al contrario, il mero "mancato arricchimento", la "mancata alimentazione" di un simile interesse è sufficiente ad offenderlo. (artt. 355, 731 c.p.).


Il reato di pura omissione costituisce una categoria a sé nel mondo dei reati: unico reato senza evento, ed anzi produttivo del "non-evento" ed offensivo di interessi relativi o positivi la cui mancata alimentazione è il "sostrato" (non fattuale ma normativo) che funge da indice dell'offesa".-


Reati omissivi impropri, che consistono nel mancato impedimento di un evento materiale.

In tale ambito vanno ulteriormente distinti:

a)  reati espressamente previsti dalla parte speciale (es.: art.659 c.p. "mancato impedimento di strepiti di animali);

b)  reati risultanti dalla combinazione della clausola generale dell'art.40/2 con la norma di parte speciale, conurante un reato commissivo (art.575 c.p.); l'art.40/2 si innesta su fattispecie commissive convertibili in fattispecie ommissive improprie: cioè i reati commissivi di evento causalmente orientate. I reati di evento perché solo rispetto ad essi è conurabile la causalità e, quindi l'assimilazione del non impedire al causare. E causalmente orientati, perché, concentrando essi il loro disvalore sulla causazione e non sulle modalità di causazione dell'evento, consentono quella equiparazione che l'art.40/2 limita, appunto, alla sola causazione.

Non convertibili sono, invece, i reati a condotta vincolata, partecipando al disvalore anche le modalità di causazione.

Non è conurabile un reato richiedente una condotta necessariamente attiva, tramite una omissione generica (art.640 c.p.).


Presupposti della condotta sono gli antecedenti logici della stessa (es.: stato di gravidanza per procurato aborto, precedente matrimonio per bigamia, altrui detenzione della cosa nel furto). La categoria dei presupposti acquista rilevanza pratica sotto il profilo dell'elemento soggettivo.

L'oggetto materiale della condotta consiste nella entità su cui cade la condotta tipica: cosa inanimata(es.: art.427), animale(es.: art.727), corpo umano vivente(es.:art.575), cadavere(es.: art.410).



Sezione II: L'evento


Dal punto di vista giuridico-penale, evento è "quella parte delle modificazioni del mondo esterno prodotte o non impedite da una condotta, alle quali il diritto oggettivo ricongiunge conseguenze giuridico-penali".

Sul significato di tale espressione e sul legame che deve intercorrere tra condotta ed evento si scontrano due concezioni:


a) Per la concezione naturalistica, maggiormente seguita, evento è l'effetto naturale della condotta umana, penalmente rilevante. In base a tale concezione l'evento non può essere elemento costante di tutti i reati, poiché certe fattispecie prescindono da ogni modificazione del mondo esteriore (reati di pura condotta quali ad es. i reati omissivi propri, delitti come l'evasione, la maggior parte delle contravvenzioni).


b) Per la concezione giuridica l'evento è, l'effetto offensivo della condotta, e cioè la lesione o messa in pericolo dell'interesse tutelato dalla norma, ad essa legata logicamente da un nesso di causalità.

Il nesso causale viene concepito in termini di derivazione logica, perciò non necessariamente di successione temporale, e poiché il reato sarebbe, per definizione, offesa dell'interesse protetto, l'evento in senso giuridico esisterebbe in tutti i reati, anche in quelli di pura condotta, essendo ravvisabile un nesso logico di causalità tra condotta ed offesa all'interesse protetto anche senza alcun evento naturale.

Critica: tale dottrina ha una componente aprioristica, postulando una offesa anche nei reati di mero scopo e pretendendo di dare un contenuto offensivo a fattispecie che ne sono prive.

[Principio di Offensività]


Sono reati con "evento non offensivo" l'istigazione a commettere reati (artt.302, 303 c.p.), cospirazione politica mediante accordo (art.304), calunnia (art.368), falso giuramento (art.371), falsa testimonianza (art.372), ingiuria (art.594), diffamazione (art.595), e in genere tutti i reati in cui la condotta consiste in parole, le quali è bensì necessario che siano udite, ma che il giudice accerti che esse hanno prodotto un danno oppure un pericolo.


Può parlarsi di pericolo solo quando la legge richiede che si accerti che l'evento presenti tale carattere.

Solo nei reati di danno che non ammettono il tentativo (es. omicidio colposo) il pericolo è irrilevante.


GRISPIGNI:

- "I reati con evento offensivo possono essere di due tipi: di danno o di pericolo.

Il pericolo è quella situazione nella quale esiste una rilevante possibilità di un evento dannoso. Il giudizio è dato dopo che il fatto si è verificato senza aver prodotto l'evento di danno, e per dare tale giudizio bisogna riferirsi al momento del fatto stesso; cosicché si tratta di prognosi postuma.

Nella distinzione tra pericolo concreto e pericolo astratto o presunto, si avrebbe il secondo quando non è necessario accertarne l'esistenza nel singolo caso concreto. Tale distinzione deriva da un equivoco, e cioè si confonde il momento legislativo con quello giudiziale e dommatico. La non necessarietà dell'accertamento per il verificarsi del pericolo, giuridicamente parlando esclude il riferimento ad alcun evento di pericolo, ed è appropriato parlare di reati di mera condotta ".-


Quando l'evento è assunto come circostanza aggravante si hanno i cosiddetti delitti qualificati dall'evento.



Sezione III: Il rapporto di causalità


Il nesso causale fa parte dei requisiti oggettivi del reato.

L'evento è sempre la conseguenza di un insieme di condizioni contingentemente indispensabili, ciò è statuito nel basilare principio enunciato dall'art.40/1 e ribadito nella prescrizione dell'art.41/1, relativa alla equivalenza delle condizioni: per l'imputazione causale dell'evento è (necessario) e sufficiente che l'agente, con la sua condotta, abbia realizzato una condizione contingentemente necessaria [necessaria solo nell'ambito di un determinato contesto di condizioni].

L'imputazione di una conseguenza concreta ad una circostanza concreta, viene effettuato tramite la formulazione di un giudizio controfattuale, cioè di un giudizio compiuto pensando assente (=contro i fatti) una determinata condizione e chiedendosi se, nella situazione così mutata sarebbe "stata da aspettarsi", oppure no, la medesima conseguenza.


Il problema eziologico va considerato sotto il duplice profilo: 1) della causalità della azione; 2) della causalità della omissione.

Per proporre una risoluzione al problema giuridico della causalità(collegamento dell'evento alla condotta), quattro sono le teorie che si contendono il campo:

A)    Teoria della causalità naturale (detta anche teoria dell'equivalenza causale ovvero t. condizionalistica);

B)    Teoria della causalità adeguata;

C)    Teoria della causalità umana (ANTOLISEI);

D)    Teoria della causalità scientifica.

Le ultime tre possono essere considerate correttivi della teoria della causalità naturale.


A) Teoria della causalità naturale.

Enunciata nel secolo scorso da un criminalista tedesco von Buri, concepisce la causalità in termini logico-naturalistici, considerando causa dell'evento la condotta umana che sia condicio sine qua non del verificarsi dell'evento, valutata secondo un giudizio causale ex post, ad evento avvenuto. La condotta è accertabile come causa necessaria quando, utilizzando il procedimento dell'eliminazione mentale, l'evento verrebbe meno.

Critica:

Tale teoria porta a considerare causa dell'evento la condotta umana indispensabile, anche quando vi sia stato il concorso di condizioni estranee del tutto eccezionali.

Consente il regresso all'infinito da condizione a condizione, portando a considerare causa dell'evento un numero indefinito di condotte umane, fino agli antecedenti più remoti.



Il dolo specifico permette di correggere l'eccessiva ampiezza del concetto di causa, limitando sul piano oggettivo la causalità, considerando che nel nostro ordinamento esistono ancora ipotesi residuali di responsabilità oggettiva(rif. art.571 c.p. "Abuso di mezzi di correzione").

Il procedimento di eliminazione mentale risulta impraticabile qualora manchi la previa conoscenza delle leggi causali esprimenti la regolarità tra fenomeni.[casi del talidomide, malformazioni al feto e sostanze medicinali assunte durante la gestazione e caso delle macchie blu, fabbrica di alluminio e patologie dell'epidermide]

B) Teoria della causalità adeguata.

Teoria sorta alla fine del secolo scorso, per ovviare al rigorismo della causalità naturale, considera causa la condotta umana che, oltre ad essere condicio sine qua non, risulta altresì - secondo un giudizio ex ante, rapportato al momento della condotta stessa - adeguata secondo criteri della scienza ed esperienza comune, fondati su giudizi di probabilità propri della vita sociale.


Critica:

Teoria che pecca per difetto, in quanto espelle dal campo della causalità giuridica tutti quegli eventi che, anche se in generale debbono ritenersi conseguenza non probabile, straordinaria di quel certo tipo di condotta, tuttavia rispetto alla specificità della situazione concreta e alla specifica scienza dell'agente, possono essere preventivamente calcolati come del tutto probabili o pressoché certi (chimico, nuova sostanza mortale, omicidio).

Rilievo codicistico: il nostro codice nella formulazione degli artt.40, 41 non racchiude nessun riferimento alla idoneità o adeguatezza "in generale" di un tipo di condizione rispetto ad un tipo di evento. Antolisei aveva rilevato l'incompatibilità tra la suddetta teoria dell'adeguatezza e il nostro ordinamento dalla formula "sono state da sole sufficienti", usata dall'art.41/2, la quale testimonia che il nostro codice implica un giudizio a posteriori.


C)    Teoria della causalità umana.

Teoria formulata dall'Antolisei, per la quale la condotta umana è causa dell'evento quando ne costituisce condicio sine qua non e l'evento non sia dovuto all'intervento di fattori eccezionali. Solo i risultati che rientrano nella sfera di controllo del soggetto possono considerarsi da lui causati; a differenza della causalità adeguata, sfuggono al controllo umano non tutti gli effetti atipici, ma soltanto gli effetti che hanno una probabilità minima, di verificarsi: gli eventi eccezionali, fuori della dominabilità dell'uomo.

Critica:

L'eccezionalità dell'evento non può che avere un carattere relazionale rispetto ad una regolarità nella successione di eventi, enunciata da una legge universale o statistica. Tale caratterizzazione presenta inevitabilmente un aspetto soggettivo, nel senso che non si può prescindere dal punto di vista dal quale, ex ante, il giudizio viene effettuato.

Si verifica una contaminazione fra nesso di causalità e colpevolezza, col far dipendere il nesso di causalità da una ambigua prevedibilità, dominabilità.

Lo stesso Antolisei riconosce la necessarietà di un giudizio ex ante formulato dal punto di vista dell'agente e dell'uomo ossequiente alle leggi. Ciò sembra un riproponimento della causalità adeguata.

[concorso di persone art.116]


D)    Teoria della causalità scientifica.


La condotta è causa dell'evento se tramite un giudizio ex post, ad evento avvenuto, seguendo il procedimento dell'eliminazione mentale, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico (cioè secondo il "metodo scientifico causale"), l'evento è conseguenza, certa o altamente probabile, dell'azione, in quanto senza di essa l'evento non si sarebbe, con certezza o con alto grado di probabilità, verificato.


La causalità scientifica, nella logica dell'accertamento giudiziale costituisce il momento primario, passando all'accertamento della colpevolezza solo dopo aver accertato il nesso causale.

Il metodo scientifico, consiste nella sussunzione del caso sotto le leggi scientifiche di copertura.

Le leggi scientifiche sono rinvenibili nelle c.d. leggi universali e le leggi statistiche.

La distinzione presenta una tendenziale rilevanza giuridica, inoltre ai fini del diritto penale non si può prescindere dalle leggi statistiche; ciò sia per la inadeguatezza del ristretto numero delle c.d. leggi universali, conosciute, sia perché molte spiegazioni scientifiche hanno una base probabilistica.

Richiamandoci a particolari ipotesi, condizione necessaria è la condotta nei casi della c.d. causalità alternativa ipotetica, quando cioè l'evento, cagionato dall'agente, si sarebbe, pur sempre verificato per altra causa pressoché contestuale.

L'evento rispetto al quale si pone la causalità della condotta è quello concreto e non astratto. (es.: distruzione con esplosivo della casa, che sarebbe stata egualmente distrutta dal vasto incendio scoppiato nelle vicinanze; uccisione con arma da fuoco di soggetto che sarebbe egualmente morto perché precedentemente avvelenato).

Condizione necessaria è altresì la condotta nei casi della c.d. causalità addizionale, quando cioè l'evento è cagionato dal concorso di più condotte ad efficacia simultanea, ciascuna però sufficiente a produrlo. (es.: A e B, indipendentemente l'uno dall'altro, incendiano contemporaneamente la casa che sarebbe andata parimenti distrutta se uno solo dei due avesse agito).

La eccezionalità dell'evento dipende, di regola, dal concorso di fattori eccezionali sopravvenuti, cioè successivi alla condotta, nonché dal concorso di fattori preesistenti o simultanei alla condotta.



La causalità nel codice. (n.56)


L'art.41/2 "..sono state da sole sufficienti.." fa riferimento ad una serie causale autonoma, indipendente che escluderebbe il nesso di causalità tra l'evento generatosi e la condotta dell'agente.

Non accoglibile l'interpretatio abrogans della disposizione come duplicato dell'art.40. Il codice Rocco contiene molte disposizioni descrittive che ribadiscono principi già enunciati altrove. Trattasi di tecnica legislativa perfino raccomandabile quella di spiegare, rienunciandolo in modo diverso, un principio basilare dell'ordinamento che è quello della necessità di un nesso di condizionamento. Principio ribadito dall'art.41 anche nel primo e terzo comma.

Rubrica fuorviante che parla di "concorso di cause", l'art.41/2 si riferisce alle cause sopravvenute. La riconduzione della serie causale autonoma al concorso di cause non potrebbe essere considerata impropria: si può considerare una specie del genus "concorso" il fenomeno che si verifica allorché, dopo una causa che rimane ipotetica (non operante), interviene una causa autonoma ed effettivamente operante.

Usando le parole della Corte di Cassazione: "in tema di rapporto di causalità, per causa sopravvenuta, da sola sufficiente alla produzione dell'evento, deve ritenersi quella del tutto indipendente dal fatto del reo, avulsa dalla sua condotta, operante con assoluta autonomia".

Il fatto che l'art.41/2 includa solo "Le cause sopravvenute" crea una ingiustificabile disparità di trattamento con le altre cause citate nell'art.41/1. Antolisei propose di estendere la disciplina delle cause sopravvenute a quelle concomitanti o preesistenti tramite un procedimento analogico in bonam partem (rif. Analogia).

Più fondatamente si è invece fatto ricorso al combinato disposto dell'art.41 e dell'art.45.



Approfondimenti:


Concorso di cause, Studium Juris, . 1089, 1997



Art.45 c.p.

Il caso fortuito è generalmente associato all'imprevedibilità. In giurisprudenza è definito come "un quid imponderabile, improvviso ed imprevedibile che s'inserisce d'improvviso nell'azione del soggetto soverchiando ogni possibilità di resistenza o di contrasto si da rendere fatale il compiersi dell'evento cui l'agente viene a dare, quindi, un contributo meramente fisico".

La divergenza d'inquadramento del caso fortuito è stata spiegata come uso del medesimo termine "fortuito" con significati diversi: da un lato, assimilazione alle cause sopravvenute che interrompono il nesso di causalità, dall'altro, riduzione al limite negativo della colpevolezza, o della colpa in senso stretto.

Assunto tradizionale in dottrina è che il fortuito esclude la colpevolezza e non la causalità. L'espressione "ha commesso il fatto", usata dal codice, dimostrerebbe appunto che il fortuito viene in considerazione solo quando esiste un rapporto di causalità tra azione umana ed evento.

La riconduzione del problema del fortuito al problema dell'imputazione per colpa è implicita nella limitazione dell'esimente del fortuito alle sole azioni lecite, sull'assunto della compatibilità del fortuito con la responsabilità indiretta da aberratio delicti.

Nel caso di forza maggiore, la dottrina pone l'accento sulla inevitabilità e secondo una ampia accezione trattasi di f.m. quando una energia estranea alla volontà dell'individuo, nella cui sfera di attività accade l'evento, impedisca allo stesso di esplicare quella ordinaria diligenza, che sarebbe sufficiente per adeguarsi al precetto penale.

[suitas della condotta]





Approfondimenti:


Caso fortuito e Forza maggiore. Studium Juris, .12, 1997.




La causalità dell'omissione. (n.58)

Il nesso di condizionamento è terreno d'indagine per i soli reati con evento naturalistico, e tale giudizio d'imputazione si fonda sul criterio di equivalenza normativa dell'art. 40/2 secondo cui il non impedire è come causare. Tale disposizione ha efficacia nei soli casi in cui vi sia un obbligo giuridico di attivazione per evitare l'evento ovvero sul soggetto persista un obbligo di garanzia verso determinati beni giuridici.

L'equivalenza normativa dell'omissione non impeditiva all'agire causale non riguarda i reati a condotta vincolata, per i quali siano richieste modalità tali da risultare incompatibili con una realizzazione omissiva.

"Il dominio naturale e (salvo il caso di concorso di persone) esclusivo dell'art.40/2 è quello delle fattispecie causalmente orientate".


La causalità nell'omissione si fonda su un giudizio ipotetico di evitabilità dell'evento previsto nella fattispecie incriminatrice tramite un comportamento attivo.


Perché l'omissione dell'azione impeditiva dell'evento possa essere equiparata alla causa umana dell'evento occorre, innanzitutto, che tramite un giudizio ex post, ad evento avvenuto, seguendo il procedimento dell'eliminazione mentale, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico (cioè secondo il "metodo scientifico causale"), l'evento è conseguenza, certa o altamente probabile, di detta omissione, in quanto l'azione suddetta l'avrebbe, con certezza o con alto grado di probabilità, impedito.


A differenza dell'accertamento della causalità attiva, nella causalità omissiva esso assumerebbe un valore ipotetico e prognostico, su come l'eventuale compimento dell'azione omessa avrebbe potuto modificare il corso degli avvenimenti impedendo l'evento.

In una moderna visione le entità che entrano nella relazione di causa ed effetto sono processi od eventi, e bisogna includere fra queste entità anche i processi che sono statici.

L'omissione non è condizione necessaria nei casi di inutilità del comportamento attivo, quando cioè l'evento si sarebbe verificato anche tenendo questo; né lo è pur essendo condicio sine qua non, quando l'evento è conseguenza non probabile dell'omissione, secondo la miglior scienza ed esperienza: quando cioè l'evento è eccezionale.



Problemi di riserva di legge e tassatività nella determinazione degli obblighi di garanzia.

In merito all'individuazione delle fonti dell'obbligo di garanzia, sono riscontrabili due alternativi orientamenti:


A) Concezione formale. Il dovere di agire va rilevato da fonti formali che prevedono certi obblighi di azione.

Critica:

Le fonti che vengono considerate si estendono dalla legge, al contratto, estendendosi alla consuetudine e alla negotiorum gestio; tali fonti dilatano eccessivamente il concetto di obbligo giuridico di attivarsi, che nel diritto penale è arginato nell'autentico obbligo di garanzia, più ristretto rispetto alle esigenze di tutela degli altri rami del diritto. Perciò il problema delle fonti si riverbera sulla eterointegrazione delle norme penali, che richiama al principio di legalità e di tassatività.

Nell'ipotesi dell'autonomia privata generatrice dell'obbligo di garanzia, porterebbe a negare l'obbligo stesso nei casi di invalidità del contratto.


B)    Concezione sostanzialistico-funzionale. Sviluppatasi in Germania negli anni '50. Essa si incentra sulla fattuale "posizione di garanzia" di certi soggetti rispetto a certi beni, che viene individuata in base non tanto agli obblighi formali di attivarsi, quanto alla funzione della responsabilità penale per non impedimento.

Decisivi sarebbero il fine di prevenzione della norma ed i criteri della rappresentabilità e prevenibilità dell'evento.

Critica:

Mentre da un lato urta contro la riserva di legge, dall'altro non ha soddisfatto pienamente l'esigenza di tassatività, non consentendo di circoscrivere la responsabilità omissiva entro confini sempre ben precisi.


C)   Nel nostro ordinamento si impone quella integrazione tra teoria formale e teoria funzionale dell'obbligo di impedire, quale mezzo per soddisfare:

a)  Riserva di legge, tramite la delimitazione delle fonti del dovere giuridico alle sole fonti formali, quali sono: 1) la legge penale o extrapenale, il contratto che pur sempre fonda la sua forza vincolante nella legge (art.1372 c.c.), 2) l'assunzione volontaria dell'obbligo, che viene ricondotta sotto l'istituto della negotiorum gestio (art.2028 c.c.); vengono escluse le fonti sublegislative, le quali possono intervenire soltanto per specificare elementi di un obbligo già posto dalla legge.

b)  Tassatività, attraverso la determinazione degli elementi tipici del reato omissivo improprio.

i.   Posizione di garanzia, avente la natura di obbligo giuridico del soggetto, fornito dei necessari poteri, di impedire l'evento offensivo di beni, affidati alla sua tutela.

ii.  Tale obbligo di impedire l'evento, è previsto dalle fonti formali sopraindicate, ma selezionato tra i molteplici obblighi giuridici di attivarsi e delimitato nella sua portata in rapporto alla funzione della responsabilità omissiva.

in.  situazione di pericolo per il bene da proteggere.

iv. astensione dall'azione impeditiva, idonea e possibile.

v.  evento non impedito, che è quello naturalistico, previsto dal reato commissivo (es.: art.575).

vi. nesso di causalità (normativa) tra l'omissione e l'evento.


Negativa valutazione d'insieme "o la posizione di garanzia, che è elemento costitutivo dei reati omissivi impropri, non è prevista dalla legge, e allora è violato il principio della riserva di legge, o è invece prevista, ma con scarsamente tollerabile genericità, e allora è violato il principio di determinatezza". La disciplina predisposta dall'art.40/2 non può essere condivisa perché rappresenta uno dei casi più clamorosi di creazione giudiziale delle fattispecie penali.


Gli obblighi di garanzia sono classificabili in:

a) obblighi di protezione di determinati beni contro tutte le fonti di pericolo.

b) obblighi di controllo di determinate fonti di pericolo per tutti i beni ad esse esposti.

c) obblighi di garanzia originari.

d) obblighi di garanzia derivati.



Approfondimenti:

Omissione, Studium Juris, .40, 1995










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