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L'efficacia delle norme nel tempo

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L'efficacia delle norme nel tempo

Ci si riferisce a due ordini di problemi intrecciati, ma distinti. Il primo problema riguarda il momento a partire dal quale le norme devono essere applicate da parte degli organi giurisdizionali e amministrativi e il momento a partire dal quale non devono più essere applicate. Il secondo problema riguarda il contenuto stesso delle norme, ossia le fattispecie alle quali esse devono essere applicate: in quale momento deve essersi verificata una fattispecie perché una norma sia ad essa applicabile?

I)  L'intervallo temporale entro il quale una norma deve essere applicata è determinato da due serie o regole: le prime definiscono il momento in cui una norma acquista vigore (e deve dunque essere applicata); le seconde definiscono il momento in cui una norma perde vigore (e dunque non deve più essere applicata).

Ciascuna legge entra in vigore - o, "diviene obbligatoria" - nel momento che essa medesima stabilisce (art. 73, comma 3, Cost.). Le leggi che nulla stabiliscono a riguardo entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione (art. 73, comma 3, Cost.; art. 10, comma 1, disp. prel. c.c.). Quanto ai regolamenti, essi entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione (art. 10, comma 1, disp. prel. c.c.) - "vacatio".



Le norme possono prendere il vigore essenzialmente in due modi: per annullamento o per abrogazione.

L'annullamento ha luogo quando una norma contrasta con una norma superiore nella gerarchia delle fonti, ed è pertanto invalida. È un atto giurisdizionale: deve cioè essere pronunciato da un giudice (competente per le leggi è la Corte costituzionale, per i regolamenti il giudice amministrativo). Di regola, l'annullamento retroagisce: è come se la norma annullata non fosse mai venuta alla luce. Concretamente: la norma annullata non è più applicabile neppure nei processi iniziati prima che fosse annullata (quando ancora la si riteneva valida), quindi neppure alle fattispecie nate prima che l'annullamento intervenisse.

L'abrogazione. Ci interessa l'abrogazione della legge e degli atti aventi forza di legge - è frutto non di una pronuncia giurisdizionale, ma di una decisione politica. L'abrogazione può essere espressa o tacita.

i) L'abrogazione espressa può avvenire in due modi: (a)mediante referendum popolare abrogativo, ai sensi dell'art. 75 Cost.; (b)per dichiarazione espressa del legislatore (art. 15 disp. prel. c.c.), ossia mediante la promulgazione o l'emanazione di una norma di rango legislativo, la quale espressamente dichiari qualcosa del tipo: "l'art. x della legge y è abrogato".

ii) L'abrogazione tacita si produce quando il legislatore, pur senza abrogare espressamente una vecchia norma, (a) adotta una norma nuova incompatibile con la vecchia (si ricorderà: norme dello stesso tipo, la norma successiva abroga la precedente), oppure (b) detta una nuova disciplina (non necessariamente incompatibile con la vecchia) per un'intera materia. Se l'annullamento, di regola, retroagisce, l'abrogazione al contrario, di regola, non retroagisce. Retroagisce solo quando ciò sia espressamente stabilito dal legislatore. Questo significa che, in mancanza di dichiarazione espressa dal legislatore, le norme abrogate - a differenza  di quelle annullate - sono ancora applicabili nei processi iniziati prima che l'abrogazione intervenisse, e più in generale restano applicabili alle fattispecie nate prima che fossero abrogate.

II) In nessun caso una norma può essere applicata prima che sia stata pubblicata; ma resta il problema di sapere a quali fattispecie o controversie possa essere applicata. Occorre domandarsi se per caso una norma possa essere applicata - dopo la sua entrata in vigore - anche a fattispecie o controversie nate prima della sua entrata in vigore. La risposta a questa domanda è: no.

In virtù del principio generale di irretroattività (art. 11, comma 1, disp. prel. c.c.), le leggi e i regolamenti non hanno effetto retroattivo; leggi e regolamenti non solo non possono essere applicati prima che siano entrati in vigore, ma neppure possono essere applicati a fattispecie nate prima della loro entrata in vigore.

Il principio di irretroattività, tuttavia, ha una diversa efficacia nei confronti delle diverse fonti e nei diversi settori dell'ordinamento:occorre distinguere tra leggi (e atti aventi forza di legge) e regolamenti. L'art. 11, comma 1, disp. prel. c.c. esprime una norma di rango legislativo. Ciò implica due cose. La prima è che tale norma non può essere derogata o contraddetta dai regolamenti (i regolamenti sono subordinati alla legge). Pertanto, nei confronti dei regolamenti, il principio di irretroattività ha valore tassativo. La seconda è che la norma in questione può però essere derogata da leggi e atti aventi forza di legge (tra fonti pari-ordinate vale il principio che la norma successiva prevale su quella antecedente). Pertanto, nei confronti delle leggi, il principio non ha valore tassativo: può essere derogato. La legge dunque può avere effetto retroattivo, sempre che il legislatore così espressamente disponga.

In diritto penale il principio è inderogabile poiché, in relazione alla sola legge penale, esso è ribadito da una norma costituzionale (art. 25, comma 2, Cost.): e le leggi - non possono contraddire la costituzione, e in relazione alle leggi penali vale l'art. 25, comma 1, Cost., che non è derogabile da leggi successive. Sicché una legge penale retroattiva sarebbe incostituzionale.






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