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La moneta



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La moneta


Metà del 600: cessa la coniazione aurea (abbandono del bimetallismo) e in Europa vede la luce una nuova moneta d'argento, il denarius.


Importante riforma monetaria di Carlo Magno (fine VIII secolo):


³ lo jus monetae torna a essere prerogativa esclusiva dell'imperatore entro i confini del suo regno;

³ si fissa l'equivalenza 1 soldo (moneta immaginaria) = 12 denari e si stabilisce che da ogni libbra (lira) d'argento gli zecchieri traggano 240 denari (pertanto ogni libbra contiene 20 soldi).



Fra la metà del 900 e la fine del 1200 la popolazione aumenta, l'impero carolingio si frammenta, si moltiplicano i mercati e la domanda di moneta cresce. Dalla fine del 1000 i comuni italiani ottengono dagli imperatori la delega a battere moneta e coniano denari sempre più piccoli (detti piccioli) e leggeri; diminuisce contemporaneamente la percentuale d'argento (inferiore del 90% rispetto ai tempi della riforma), tanto che le monetine, rimpicciolite e scurite (anche per consunzione e limatura illegale), vengono dette bruni e brunetti.


Necessità di rivalutazione: il misero valore unitario dei piccioli rende difficile il amento di grosse somme ai mercanti e ai banchieri, che spesso ricorrono alle lettere di cambio (promesse di amento a distanza di tempo, in un'altra città e in moneta diversa) e alla contabilità in partita doppia (annotazione di debiti e crediti nei libri contabili) à per facilitare le transazioni internazionali, all'inizio del 1200, Venezia (imitata poi da altre città italiane) conia i grossi d'argento.


1 grosso = 12 piccioli

à 1 lira = 20 grossi

1 lira = 240 piccioli (ex denari)


Ritorno al bimetallismo: nel 1252, per facilitare i commerci con l'area bizantina e musulmana, Genova e Firenze coniano monete d'oro fino (genovini e fiorini); l'operazione è facilitata dal calo di prezzo dell'oro africano. Nel 1284, anche Venezia conia lo zecchino.


 


Quindi, dalla metà del 1200, nelle città-stato italiane circolano tre tipi di monete:


  1. le monete d'oro (genovini, fiorini, zecchini) e loro imitazioni, utilizzate come riserve di valore e per i amenti internazionali;
  2. le monete d'argento (grossi e ducati d'argento), usate localmente nei mercati e nelle botteghe (mercati privati di tipo B), dove i mercanti controllano attentamente l'argento che ricevono: non conta quindi il valore nominale, ma quello intrinseco (mercato commutativo);
  3. la moneta "nera" (bruni e brunetti), i piccioli e i relativi multipli di bassa lega d'argento, il cui valore nominale è inferiore a quello intrinseco (valore fiduciario); vengono usati nel mercato pubblico di tipo A.



Le monete piccole pesano sempre meno, pur mantenendo lo stesso valore nominale.

Separazione tra unità di misura, mezzo di scambio e peso.

1252: fiorino (grosso) = 1 lira

1300: fiorino = 3 lire.


Le relazioni tra i tre tipi di monete dipendono:


  1. dai rapporti di valore tra i metalli (oro, argento e rame);
  2. dal contenuto di metallo fino nella lega (misurato in carati per l'oro e in millesimi per l'argento);
  3. dalle proporzioni fra massa di moneta alta (d'oro e d'argento) e moneta bassa (di bassa lega d'argento) esistenti in ogni mercato monetario per effetto delle relazioni con l'estero, della tesaurizzazione (sottrazione della moneta dalla circolazione) e del comportamento degli zecchieri.

Alle tre monete reali si affianca una moneta di conto, ideale, usata come metro di valore in ogni piazza per misurare, convertire e cambiare i tre generi di monete circolanti.


Mentre nel 1400 in Europa diventa sempre più raro e, per contro, quintuplica la produzione d'argento (estratto da nuovi giacimenti tirolesi, boemi e sassoni), il rapporto tra i due metalli crebbe da 1 a 10 a 1 a 12, stimolando la ricerca dell'oro fuori dall'Europa (dalle Americhe sarebbero arrivate 170t d'oro e 17000t d'argento, che - solo in parte - avrebbero contribuito alla "rivoluzione dei prezzi").


A parte i proventi derivanti dalla coniazione di monete, le autorità municipali e feudali prelevano ricchezza, anche per conto di principi e sovrani, ricorrendo a una vasta gamma di imposte ordinarie (dirette: fuocatici, testatici . e indirette: dazi, che colpiscono i movimenti delle merci sul territorio, e gabelle, prelevate sulle quantità vendute di merci di largo consumo) e straordinarie (come i donativi, imposti in occasione dei matrimoni dei principi ereditari).






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