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Taccia A) Analisi del testo



La lirica "Alla luna", scritto probabilmente nel 1819, fa parte dei "Piccoli idilli", ovvero cinque testi comprendenti anche "L'infinito", "La sera del dì di festa", "Il sogno" e "La vita solitaria". Questi sottolineano il passaggio di Leopardi verso dei componimenti di carattere soggettivo ed esistenziale, in contrapposizione al significato civile e tendenzialmente oggettivo delle contemporanee canzoni. In questi anni il poeta vive una condizione di pessimismo definito "storico", poiché le sue radici risalgono al sensismo settecentesco nel quale la natura umana è predisposta verso il piacere infinito, solo che questa insopprimibile tensione si scontra con l'impossibilità di realizzarsi, portando così nell'uomo dolore, noia e insofferenza. Gli idilli dunque esprimono una condizione interiore, soggettiva, che si collega ad un bisogno di interrogazione e riflessione, rendendo di conseguenza anche lo stile più intimo e colloquiale.  Infatti Leopardi rivolge due allocuzioni alla luna sua confidente: la prima nel verso iniziale, "Graziosa luna", piuttosto fredda e formale, ma che con l'avanzare del dialogo diventa progressivamente più stretta e intima grazie anche all'uso del pronome possessivo, "Mia diletta luna" al verso 10. Il colloquio con la luna è un tema tipicamente preromantico nel quale il poeta, ritornando esattamente un anno dopo ("or volge l'anno) la sua ultima salita sul monte Tabor e rendendo nuovamente l'astro suo confidente, confessa le proprie angosce e inquietudini. In questo idillio la trasurazione della realtà attiva il motivo della rimembranza: il poeta ricorda di aver vissuto un anno angosciante come il presente, però la rimembranza è un'esperienza piacevole e comunque consolatoria, anche se gli oggetti del ricordo sono spiacevoli. Quindi il piacere degli anniversari sommato al piacere doloroso dei ricordi danno come risultato in Leopardi un potenziamento della propria vitalità psichica. "E pur mi giova" dice il poeta al verso 10 riferendosi al ricordo; con questo latinismo il poeta richiama la lezione di Pietro Bembo e la sua convinzione di Petrarca come modello lirico per eccellenza, ma, dimostrando la sua adesione sentimentale all'età degli antichi, richiama anche "l'Ultimo canto di Saffo", testo conosciuto all'interno della biblioteca del padre.



La luna è spesso scelta come rappresentante dell'indefinito perché con la sua luce illumina la realtà circostante, ma i contorni restano sfumati e non ben delineati, per questo era concepita dagli antichi come portatrice di illusioni benefiche. Il termine al verso 4  "pendevi" appartiene al lessico dell'indefinito, infatti rende l'idea di qualcosa che sfugge a ogni significato preciso; inoltre Leopardi richiama gli stessi suoni di espressione del verso precedente,"pien d'angoscia" , in modo da creare omofonia e musicalità.

Nell'idillio "l'Infinito" , l'elemento che suscita nel poeta il senso dell'indefinito dello spazio è la siepe, la quale impedisce al poeta di vedere cosa si trova di fronte a lui, permettendogli così di immaginare sterminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete, tanto da provare sensi di smarrimento e paura. Intanto, udendo stormire le foglie mosse dal vento, il poeta pensa all'eternità, al tempo passato e quello presente, che sente vivo nel fruscio delle foglie. Così, tra queste immensità di spazio e di tempo si prede il suo pensiero, dicendo che "il naufragar gli è dolce in questo mare". Poetica del vago e dell'indefinito si sviluppa in questo componimento attraverso l'immaginazione, mentre nell'idillio "Alla luna" attraverso la rimembranza.




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