Critica del 4° canto del Purgatorio
Le distinzioni
psicologiche che aprono il canto, le successive designazioni astronomiche, il
senso di fatica dell'ascesa, l'ironia familiare che circola nell'incontro con Belacqua, essendo momenti sovrapposti in ritmi e tempi
diversi, parrebbero negare la possibilità d'una lettura unitaria del
canto, limitando l'interesse alle singole parti. Invece esso si dispone nella
linea di quei canti la cui validità è da cercarsi nel rapporto
dei momenti informativi e dottrinali con gli episodi umani e più
chiaramente poetici, e nell'analisi dei precisi scopi che attraverso questo
canto Dante si propone di raggiungere. Anzitutto la ura del Poeta si impone
come protagonista, spostando il polo di interesse dalla pensosa immagine di Virgilio
e dalla regale apparizione di Manfredi, che occupano tutto il canto IlI, su se
stesso: parla più che ascoltare, interroga più che tacere, agisce
più che smarrirsi, nella raggiunta certezza della purificazione, laddove
nell'Inferno essa gli pareva quasi impedita dalla continua visione del peccato
nelle sue forme più aberranti. Pur faticosamente, in lui si fa luce uno
stato d'animo nuovo, quello dell'uomo che si prepara a godere della sua
conquista spirituale, che riprende coraggio nei suoi mezzi umani, che riaccosta
con fiducia i misteri dell'anima e del mondo. Il dottrinalismo
che occupa tanta parte del canto, ben lungi dall'opporsi alla poesia, nasce
dalla stessa radice, cioè dal bisogno di accostarsi al sovrannaturale,
contemporaneamente studiando e sistemando il cosmo nel quale il sovrannaturale
vive e si esprime: il canto IV, nel quale è diffusa quest'ansia di
conoscere e questa ricerca di saggezza e di virtù nel cerchio della
redenzione, costituisce l'esplicita risposta del mondo cristiano-medievale di
Dante all'ammonimento del ano Virgilio, state contenti, umana gente, al quia, e all'amara conclusione finale, disiar
vedeste sanza frutto. Il Fergusson,
commentando i canti dcll'antipurgatorio, afferma che
essi costituiscono il prologo al dramma della crescita spirituale che inizia a
questo punto e culminerà alla fine del terzo giorno nella visione di
Dio, prologo nel quale Dante desidera che il lettore senta la forza di
un'aspirazione che non si può ancora realizzare, presentando anime che,
fuori del vero mondo del purgatorio, devono tuttora scoprire come cominciare la
loro crescita spirituale. Tuttavia il critico americano non sembra rilevare
l'importanza di questo canto posto proprio al centro degli otto dedicati
all'antipurgatorio, poiché il Poeta, resosi conto dell'orgoglio che si era
insinuato nella sua scienza e nella sua baldanza, trova nella calma lentezza di
Belacqua un 'provvido invito all'umiltà
per il pellegrino mortale, ansioso quasi di anticipare all'anima sua le gioie
di un processo purificatore stabilito dall'eterno consiglio, e dal quale
consiglio l'anima non può che accettare rassegnatamente e perciò
serenamente, il ritmo esterno, il rituale della purificazione'
(Romagnoli). L'equilibrio raggiunto - difficile ma non precario - non frena il
'volo' del pellegrino, ma lo inserisce in quella zona di attesa
propria di tutte le anime penitenti, aiutandolo nello stesso tempo ad
allontanare man mano le vicende e i ricordi della vita in una penombra che vela
l'asprezza delle forme ma non la chiarezza dei contorni. Secondo il Fergusson Dante si trova ora nella condizione psicologica
di un bambino: le sue conoscenze letterarie, filosofiche, storiche, teologiche
dopo la visione del mondo dannato servono a ben poco; egli deve ricominciare e
'nel suo candore, nell'obbedienza all'impressione immediata, nella
libertà del sentimento è come un bambino Ciò che il
pellegrino vede, guardando fuori di sé, è il mondo naturale come
l'occhio dell'innocenza lo percepisce'. In realtà questa
interpretazione appare troppo semplice, o meglio, si oppone ad un'attenta
lettura del canto IV, perché se Dante scopre con gioia, attraverso le parole di
Virgilio, la legge del corso del sole nel purgatorio, non si limita ad
accettare, come è sempre avvenuto finora, la verità propostagli,
ma vuole completare egli stesso e concludere la spiegazione del maestro (versi
76-84): non l'accoglimento passivo, ma la fattiva penetrazione sostenuta da una
profonda saldezza intellettuale - per spiegare la quale è insufficiente
l'immagine del fanciullo. Se il canto è impegnativo da un punto di vista
dottrinale e si presenta estremamente importante dal punto di vista
psicologico, da alcuni critici è stato però considerato privo di
quel movimento drammatico che, dopo aver contraddistinto il canto di Manfredi,
ritorna con la stessa intensa commozione nel quinto: una pausa narrativa che
culmina nel gioco scherzoso di battute dell'episodio di Belacqua.
Il giudizio è esatto solo in parte, potendosi definire pausa il fatto
che Dante sembra raccogliersi in se stesso dopo il primo lungo incontro con
un'anima del purgatorio, quasi volesse esaminare le proprie reazioni, e
studiare la sua nuova dimensione spirituale dopo l'affannoso susseguirsi di
fatti in sul lito diserto. Ma tale esame non avviene attraverso
una lenta e distesa esposizione, bensi attraverso
l'angustia e l'asprezza di una salita che impegna all'estremo i due pellegrini
in una rappresentazione che ha tutto il vigore della realtà, vigore che
non si disperde nello scherzo di due battute finali, ma da esse prende forza
nuova. Perché, infatti, il valore dell'episodio di Belacqua
è sì nel richiamo all'umiltà e all'ubbidienza paziente
delle leggi del purgatorio e nella funzione di antitesi, affinché dall'immagine
della pigrizia meglio venga esaltato lo sforzo morale del Poeta, ma anche nella
tonalità indulgente, nella bonarietà affettuosa del dialogo,
nella voce del ricordo associata a luoghi e tempi passati. Occorre
perciò non vedere l'episodio solo in una visuale allegorica, ma cogliere
in esso un altro momento autobiografico di Dante, dopo quello di Casella, fatto
di consuetudine di affetti e di conversazioni.