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DAL LATINO AL VOLGARE (LE ORIGINI DI UNA LINGUA)

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DAL LATINO AL VOLGARE (LE ORIGINI DI UNA LINGUA)


1° TESTO: INDOVINELLO VERONESE (FINE IX SECOLO)

1° scheda: storia di un indovinello

2° TESTO: ISCRIZIONE DI COMMODILLA (METÀ IX SECOLO)

2° scheda: sostrati e lingue neolatine

3° scheda: appendix probi: il volgare nasce dagli errori



3° TESTO: I PLACITI DI MONTECASSINO (960)

4° scheda: storia di parole colte e di parole popolari

4° TESTO: ISCRIZIONE DI SAN CLEMENTE (1084-l100CA.)

5° scheda: etimologie e mutamenti di significato






































PRIMI DOCUMENTI DEL VOLGARE



NASCE LA LETTERATURA ITALIANA.


INDOVINELLO VERONESE (fine IX sec.)


Nella Biblioteca modulare di Verona, in un manoscritto liturgico (Codice 89), sul retro del terzo foglio nel margine in alto, compaiono due versi, scritti in una lingua che non è più il latino classico, che non è ancora il volgare del Trecento. Questi due versi sono conosciuti col nome di 'Indovinello Veronese' e possono essere considerati uno dei primi esempi di letteratura non-latina. Siamo negli ultimi anni dell'VIII secolo o nei primi del IX e colui che scrive, molto probabilmente un copista veronese, usa intenzionalmente il latino parlato, il latino non colto. Utilizza una nuova lingua scritta che ben presto chiameremo 'il volgare'.

E' un testo scherzoso, contiene, come tutti gli indovinelli, un insieme di metafore, non è una formula giuridica, non è una nota di carattere amministrativo, è quindi un testo letterario. I due versi sono seguiti da una formula in latino classico e corretto. Nel testo originale la grafia è più complessa:


separebabouesalbaprataliaaraba&alboversoriotenebae&negrosemen seminaba

gratiastibiagimusomnip[oten]ssempiterned[eu]s






Se pareba boves, alba pratalia araba,

albo versorio teneba, et [?] negro semen seminaba.


Gratias tibi agimus onnipotens sempiterne Deus.



Spingeva davanti a sé i buoi, un bianco campo arava,

teneva un bianco aratro, e un seme nero seminava.


Ti rendiamo grazie in eterno dio onnipotente





SUGGERIMENTI PER L'ANALISI

La soluzione dell'indovinello è evidente: un amanuense, un copista spinge avanti le dita e scrive su un foglio bianco, tenendo una penna d'oca che versa inchiostro nero. Particolarmente interessante il fatto che la soluzione di questo indovinello scaturisca dalla stessa azione del trascriverlo.

I verbi pareba, araba, teneba, seminaba hanno perso la 't' finale (tenebat). Al posto di se, in latino, sibi. Da pratalia il dialettale odierno pradalia.

Invece di un corretto accusativo latino album versorium abbiamo le forme  'volgari' albo, versorio. Invece di un corretto accusativo latino nigrum semen abbiamo la parola, già italiana, negro.

Non possiamo considerare questo insieme di errori casuale, è frutto di una scelta.

Si utilizzano forme popolari, del latino parlato, del volgare.





SCHEDA N. 1: STORIA DI UN INDOVINELLO


Negli 'Aenigmata Anglica' leggiamo un indovinello di Aldelmo (640 ca.-709) monaco benedettino anglosassone :


Pergo per albentes directo tramite campos,

candentique viae vestigia cerula linquo

lucida nigratis fuscans anfractibus arva.


TRADUZIONE: procedo diritto attraverso bianchi campi, e sulla candida via

lascio tracce celesti, campi bianchi macchiando con oscuri solchi


Anche Paolo Diacono (Cividale 720 ca.-Montecassino 799), il grande storico e maestro di grammatica alla corte di Carlo Magno, autore della 'Historia Langobardorum' riporta un indovinello simile:


Candidolum bifido proscissum vomere campum

visu et restrictas adii lustrante per occas


TRADUZIONE: Un candido campo solcato da un vomere a doppia lama mi apparve

e per gli stretti solchi avanzai riflettendo.


Ancor oggi in alcuni dialetti sopravvive l'indovinello (il campo è bianco / nera è la semente / tre buoi lavorano / due non fanno niente). Basta guardare come si impugna una penna per capire chi sono i due 'buoi' che non fanno niente.


Un'ultima versione ce la offre Pascoli nella poesia 'Il piccolo aratore' tratta da Myricae:


'Scrive (la nonna ammira): ara bel bello,

guida l'aratro con la mano lenta;

semina col suo piccolo marrello

il campo è bianco, nera la sementa.


(1) il marrello è la piccola zappa: il bambino che impara a scrivere sotto gli occhi della nonna, tiene la penna come una zappa.

Pascoli costruisce anche una poesia sul bambino che impara a leggere


'Il piccolo mietitore'.

C'è il campetto bianco, il grano nero, le lunghe righe, ecc.













UN GRAFFITO IN ITALIANO ( prima metà del IX secolo)


ISCRIZIONE DI COMMODILLA


A Roma, a poche centinaia di metri dalla chiesa di S. Paolo fuori le mura, c'è l'ingresso nella catacomba di Commodilla. Dentro la catacomba è ricavata una cappella, detta basilichetta o cripta, dedicata ai santi Felice e Adàutto. Sul lato sinistro di un affresco e una iscrizione graffita, piuttosto piccola, realizzata nel seguente schema:




N O N

D I C E

R E I L

L E S E

C R I T A

A BBOCE


NON

DIRE

LE

COSE

SEGRETE

AD ALTA VOCE




La catacomba fu 'riscoperta' nel 1903, e da allora il dibattito si è svolto principalmente su due aspetti: quali lettere vi sono realmente nell'ultima riga (AR OCE, ABOCE, ABBOCE) e a quando risale tale iscrizione. Per le lettere dell'ultima riga sembra davvero che vi sia scritto ABOCE, con un intervento successivo che inserisce una piccola B tra la B e la O. Per quanto riguarda invece la datazione si può individuare un termine post quem (dopo il quale) la catacomba deve essere caduta in disuso: intorno all' 846 vi sono devastazioni di saraceni vicino alla basilica di san Paolo, nell' 851 il papa Leone IV fa traslare i corpi dei due santi dalla catacomba e li consegna all'imperatrice Ermengarda che li fa trasferire in Alsazia.

Il significato dell'iscrizione non è oscuro, durante la messa vi sono preghiere da recitare a voce alta, in coro, e preghiere che il sacerdote deve recitare mentalmente.



SUGGERIMENTI PER L'ANALISI


1. Non dicere: è un imperativo e la costruzione di non + l'infinito è tipica dell'italiano e di altre lingue neolatine. Dicere non è latino, è già una forma volgare che sopravviverà per altri secoli.

2. ille: non è più il pronome dimostrativo latino, sta diventando l'articolo femminile plurale. 3. secrita: questo termine presenta qualche problema, manca la g di segreto e vi è una i al posto di una e. Potrebbe essere una costruzione volgare che tenta di imitare il latino. Il finale in a è invece un normale neutro plurale, spesso conservatosi fino a noi come in braccia, ciglia, ecc.

4. abboce: in latino avrebbe dovuto essere ad vocem. Ma non è più latino, è caduta la consonante finale e le due consonanti d+v si sono assimilate in una doppia b, volgare e dei dialetti centromeridionali. Si tenga presente che anche nel toscano moderno esiste il verbo, leggermente spregiativo come si conviene ad un divieto e ad un imperativo negativo, bociare.









SCHEDA N. 2: SOSTRATI E LINGUE NEOLATINE


Il latino era la lingua di alcune tribù indoeuropee che, intorno al 1000 a.C. si stabilirono nel territorio italiano. Questa lingua si impose sulle lingue preesistenti, che divennero lingue 'sotterranee' o sostrati e si impose successivamente sulle altre lingue 'sorelle' dei popoli italici (Sanniti, Umbri, Sabini, Equi, Volsci, Piceni, ecc.). Stessa sorte subirà il greco di Calabria e Sicilia, l'etrusco, il veneto e il ligure (lingue non indoeuropee) e stessa sorte subiranno le lingue dei popoli che entreranno a far parte dell'impero romano.


Le lingue vinte dal latino non spariranno ma manterranno suoni, parole, forme e sintassi al di sotto - sostrato - del sistema latino imperante. Questi sostrati modificheranno in parte lo stesso latino, per cui il latino di un abitante della Gallia (celtico) sarà diverso dal latino di un abitante della Sicilia (greco).


Quando l'impero romano, dopo il III secolo d.C., entrerà in crisi e meno presente sarà nelle province la presenza culturale, militare ed economica di Roma, i diversi latini locali subiranno l'influenza dei sostrati. Il latino scritto sopravviverà con poche modifiche, il latino parlato, modificato dai sostrati preesistenti e arricchito da parole dei popoli invasori (dai longobardi agli arabi), si trasformerà in un insieme di lingue che noi chiamiamo neolatine: italiano, ladino, sardo, francese, provenzale, catalano, snolo, portoghese e rumeno.


Come in ogni lingua ci sono differenze tra la lingua scritta e la lingua parlata, così anche in latino esisteva una lingua classica, colta, letteraria che è giunta fino a noi, negli scritti di Cicerone, Cesare, Catullo, Sallustio, ecc. ed un sermo rusticus o sermo plebeius (lingua rozza, lingua popolare) che cerchiamo di ritrovare in frammenti di commedie realistiche, nelle scritte sui muri di Pompei, in parole onomatopeiche, nei testi per studenti (gli errori degli studenti sono la documentazione di un latino vulgaris).

Gli autori latini parlano di un sermo urbanus (parlata delle città), di un sermo provincialis (parlata delle province), di un sermo vulgaris o plebeius (parlata popolare), di un sermo rusticus (parlata dei contadini) e di d'un sermo militaris (il gergo dei soldati).


A Pompei, su un rotolo di papiro disegnato su un muro leggiamo i seguenti versi


QUISQUIS AMA VALIA PERIA QUI NOSCI AMA[RE]

BIS [T]ANTI PERIA QUIQUIS AMARE VOTA


(Traduzione: chi ama stia bene (valga), perisca chi non sa amare, due volte perisca chi proibisce di amare).


Un professore di quei tempi avrebbe dovuto correggere ama in amat, valia in valeat, peria in pereat, vota in vetat. Il latino popolare o volgare ha già fatto cadere le consonanti finali.

Sempre a Pompei, su un'insegna di negozio leggiamo:


VERECUNNUS LIBARIUS HIC..


(Traduzione: Verecondo (pulito ? o è un nome proprio?) venditore di focacce qui..)

Nella parola verecunnus, al posto del latino verecundus vi è uno dei più comuni passaggi dal latino, al latino parlato, dal latino parlato all'italiano, l'assimilazione (da nd a nn).








SCHEDA N.3: APPENDIX PROBI, IL VOLGARE NASCE DAGLI ERRORI


In un testo di grammatica, Appendix Probi, un vero e proprio testo per le scuole, troviamo degli appunti di un magister del III secolo d.C., impegnato a correggere gli errori (sermo vulgaris) dei propri studenti. Sono ben 227 avvertenze costruite secondo la formula: vetulus non veclus.

Riportiamo  una minima parte di tali raccomandazioni, in forma schematica, individuando alcuni meccanismi nel passaggio dal latino classico al latino parlato, e da quest'ultimo al volgare dei secoli successivi.














LATINO CLASSICO


SEMPLIFICAZIONE FONETICA


SERMO VULGARIS


SEMPLIFICAZIONE

FONETICA


VOLGARE


FRIGIDA


sincope della i


FRICDA


assimilazione


FREDDA


CALIDA


sincope della i


CALDA




CALDA


TURMA


vocalismo della u


TORMA




TORMA


COLUMNA


vocalismo della u


COLOMNA


assimilazione


COLONNA


CALCEUS


vocalismo della e


CALCIUS


vocalismo e caduta della consonante


CALCIO


AURIS

AURICOLA


diminuzione e contrazione

del dittongo au in o


ORICLA


assimilazione


ORECCHIA


MASCULUS


sincope della u


MASCLUS


clus = chio


MASCHIO


PERSICA


assimilazione


PESSICA


sincope della i


PESCA


VIRIDIS


sincope della i


VIRDIS




VERDE


VETULUS


sincope della u e della t


VECLUS


clus = chio


VECCHIO




Sincope o caduta, assimiliazione o rendersi uguali, vocalismo o semplificazione di una vocale, sono meccanismi tuttora in atto. Qunate persone preferirebbero dire e scrivere 'tennico' invece che 'tecnico'? Anche l'italiano del duemila si sta trasformando e quelli che ora sembrano errori, forse tra cinquanta anni saranno italiano corrente. Qualche cambiamento è già avvenuto. Uno studente delle superiori di 50 anni fa vedeva segnato come grave errore l'uso di gli per un complemento di termine al plurale (sbagliato: ho incontrato Marco e Luca e gli ho detto...- corretto: ho incontrato Marco e Luca e ho detto loro...). Oggi la forma gli per il plurale è accettata.


Anche il congiuntivo sta morendo e questa è una perdita vera e propria perché si perdono importanti differenze di significato. Se dico 'Penso che hai ragione' rivelo una mia opinione, sono d'accordo con te. Se dico 'Credo che tu abbia ragione' esprimo una mia opinione, a te favorevole, ma ho ancora qualche dubbio. Se tutti diremo e scriveremo sempre 'Credo che hai ragione', perderemo un'importante differenza di significato, il dubbio.


E' probabile che il congiuntivo sia moribondo, ferito a morte da giornalisti, politici, sindacalisti, speakers, comici, ospiti di talk show, ecc. Nella lingua non decidono poche migliaia di intellettuali ma la grande massa dei parlanti. D'altra parte nessuno rimpiange la morte dell'ottativo, un prezioso modo verbale greco (un congiuntivo con una sfumatura di augurio, di desiderio: credo e ti auguro che tu abbia ragione). Se questi meccanismi di semplificazione sono così inarrestabili, ci rimane solo la libertà di stile e la soddisfazione di sapere come e perché una lingua cambi.






SCRIVERE INTENZIONALMENTE IN VOLGARE



I PLACITI DI MONTECASSINO


In quattro pergamene scritte tra il marzo 960 e l'ottobre 963, e per la prima volta una lingua che intenzionalmente viene usata 'al posto' del latino.

Prendiamo in esame la prima di queste quattro pergamene, il placito di Capua del marzo 960, pubblicato per la prima volta nel 1734 dall'abate Erasmo Gattola.

Il giudice Arechisi deve decidere, in una controversia tra Don Aligerno, abate del monastero di Montecassino e un privato, Rodelgrimo di Aquino (evidente l'origine longobarda dei nomi), sul possesso di alcune terre. L'abate sostiene che appartengono al monastero per diritto di usu capione (principio ancor oggi valido: chi possiede e utilizza senza contestazioni da alcuno, un certo bene, per trenta anni, ne diventa l'effettivo proprietario). Don Aligerno è d'accordo col giudice Arechisi: la formula della testimonianza sarà Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte sancti Benedicti. Interverranno poi tre testimoni a favore del convento e ripeteranno la formula prescelta. Per questo motivo, sulla pergamena del marzo 960, la formula e, identica, quattro volte. I tre testimoni, Teodomondo diacono e monaco, Mari chierico e monaco, Gariberto chierico e notaio, devono giurare di fronte a Rodelgrimo ponendo la mano sul documento da lui prodotto. Il giuramento deve essere pronunciato e scritto in una lingua compresa non solo dal monaco benedettino ma anche dai testimoni e dalla parte avversa. L'atto del notaio è scritto, come di regola, in latino.


[+ In nomine domi]ni nostri Iesu Christi, bicesimo primo anno principatus domni nostri Landolfi gloriosi principis, et septimo decimo [anno principatus domni] Pandolfi, quam et secundo anno principatus domni Landolfi, excellentissimis principibus eius filiis, [] die stante mense martio, tertia indictione. Dum nos Arechisi iudex..


Ideo nos qui supra iudex iudicabimus et per nostrum [iu]dicium eos guadiare fecimus tali tenore, quatenus ipse qui supra Rodelgrimus plicaret se cum lege, et ipse [qui] supra Aligernus benerabilis abbas pro pars memorati sui monasteri faceret ei per testes talem consignationem se[cun]dum lege, ut singulo ad singulos ipsi testes eius teneat in manum supradictam abbrebiaturam, quam ipse Rodel[grim]us hostenserat, et testificando dicat:


'Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, [t]renta anni le possette parte sancti Benedicti'; et firmarent testimonia ipsa secundum lege per [sa]cramenta.


TRADUZIONE


In nome di nostro signore Gesù Cristo, nel ventunesimo anno del principato del nostro glorioso principe don Landolfo, e nel diciassettesimo del principato di don Pandolfo e nel secondo del principato di don Landolfo, eccellentissimi principi di lui li, nel giorno della seconda quindicina del mese di marzo, terza indizione (terza quindicina di anni, per noi marzo 960). Mentre noi, giudice Arechisi.

Perciò noi, suddetto giudice, decidemmo e per nostra sentenza facemmo loro giurare in tal modo che il suddetto Rodelgrimo si sarebbe sottomesso alla legge, e che il suddetto Aligerno, abate venerabile per la parte del citato monastero, avrebbe fornito prova secondo testimonianze legali, in modo che uno, per uno, gli stessi testimoni tengano in mano la citata memoria, che lo stesso Rodelgrimo ci aveva mostrato, e che giurando dicano:


'So che quelle terre, per quei confini che qui sono contenuti, trenta anni li ha posseduti la parte di San Benedetto'; e confermino la loro testimonianza, secondo legge, con giuramento


SUGGERIMENTI PER L'ANALISI

Sao, al posto di una forma corretta latina Scio o Sapio (io so). Da sapio deriverà poi la forma dialettale campana saccio.

ko, invece di una forme corretta latina quod (che).

terre, fini, invece dell'accusativo plurale latino terras, fines. Sono cadute le desinenze finali.

4. kelle deriva da eccu[m] illae e si trasformerà poi nell'italiano quelle.

5. ki deriva da eccu[m] hic e si trasformerà poi nell'italiano qui.




Formule simili sono riportate negli altri tre placiti di Sessa Aurunca (marzo 963), Teano (luglio 963) e ancora Teano (963).







Sessa

Aurunca

marzo 963



'Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette'




'So che quelle terre, per quei confini che ti mostrai, furono di Pergoaldo, e qui son contenuti e trenta anni li possedette'



Teano

luglio 963



'Kella terra per kelle fini que bobe mostrai, Sancte Marie è, et trenta anni la posset parte sancte Marie'




'Quella terra per quei confini che a voi mostrai, è di Santa Maria, e trenta anni l'ha posseduta la parte di santa Maria'



Teano

ottobre 963



'Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie'




'So che quelle terre, per quei confini che ti mostrai, trenta anni le ha possedute la parte di santa Maria'







Da notare ancora come il genitivo latino sanctae Mariae ceda il posto al volgare sancte Marie, come al posto dei pronomi latini tibi e vobis appaiano le forme tebe e bobe, come il passato remoto latino (perfetto) fuerunt diventi un dialettale foro.

Riteniamo utile infine, riportare un testo di epoca e luogo non lontani dai placiti citati, sia per mostrare quale sia la formula latina corretta, sia per documentare il fatto che i giuramenti dei Placiti di Montecassino siano l'eccezione in volgare e non la norma in latino.

Nel Chronicon Vulturnese (936), in una causa del giudice Ausenzio, tra un tale Maione di Capua e Rambaldo abate di San Vincenzo al Volturno, e la formula:


'Scio quia illas terras, per illos fines et mensuras quas tibi monstravi, XXXa annos possedit pars sancti Vincentii'


(so come quei terreni, per quei confini che ti mostrai, la parte di San Benedetto li ha posseduti per trenta anni).








SCHEDA N. 4: STORIE DI PAROLE COLTE E DI PAROLE POPOLARI


Sempre nel passaggio dal latino al sermo vulgaris e dal sermo vulgaris all'italiano vi sono fenomeni che riguardano il prevalere di una parola su un'altra dal significato simile.


L'antica parola ignis (fuoco) è ben presto affiancata dalla parola focus che non vuol dire solo fuoco ma anche fiamma domestica, focolare. Oltre a ciò la parola ignis è spesso usata in senso metaforico, urato. Col passare del tempo sopravviverà la parola più semplice, più usata, comune a tutti tanto che avremo non solo fuoco italiano ma anche feu francese, fuego snolo, fogo portoghese, foc romeno. ½ sarà poi un recupero 'colto' della parola ignis nei termini ignizione, ignifugo, ecc.


Sorte simile segue il termine equus al quale si affianca dopo il II sec. a.C. il termine caballus. Il primo è un termine colto, è il cavallo del condottiero, il secondo è il grosso e pesante cavallo, in genere un castrato che prima nella penisola balcanica, poi in Italia viene adibito al traino, al lavoro in camna. Nel passaggio dal latino alle lingue neolatine (romanze) sopravviverà il più comune e il più usato e darà origine a cavallo italiano, cheval francese, caballo snolo, cavalo portoghese, cal romeno. Anche in questo caso assistiamo al recupero 'colto' del termine latino che genera equino, equestre, ecc.


In latino esistevano due termini con significato simile: edere e manducare (mangiare). Edere (o comedere) era il termine classico. Dagli scrittori di teatro, e dalla maschera MANDUCUS (un buffone che muoveva le mascelle) deriva il termine manducare, usato, come ci scrive Svetonio, dallo stesso imperatore Augusto. Da manducare derivano l'italiano mangiare, il francese manger, il sardo mandigare, il romeno manca. Dal latino comedere lo snolo e portoghese comer. Si devono poi aggiungere le derivazioni colte commestibile, edibile, ecc.


Il termine latino classico è domus (casa), è l'abitazione di città. Casa è invece la piccola e modesta casa in camna e qualche volta è semplicemente la capanna. Durante la crisi dell'impero romano, le città sono obiettivi delle invasioni e si spopolano. Il termine casa sopravvive. Si noti il diverso esito che hanno i due termini latini in una lingua che pur essendo di origini indoeuropee non è di origine latina, l'inglese. Il termine home che ha anche significato urato di patria e ambiente familiare, deriva da domus, mentre il termine house, riferito più alla struttura dell'edificio, deriva da casa.


Le parole latine os, oris (bocca) e os, ossis (osso) creavano qualche difficoltà per la loro somiglianza, per cui, ad un certo momento si iniziò ad usare bucca al posto di os, oris (bocca), anche se bucca in realtà voleva dire solo guancia, gota.


Altre volte la scelta tra due forme è semplicemente legata all'espressività e alla diffusione negli strati popolari. Altri esempi (latino letterario, latino popolare, italiano):



CANERE, CANTARE, CANTARE IACERE, IACTARE, GETTARE

SALIRE, SALTARE, SALTARE    METIRI, MENSURARE, MISURARE

PECTERE, PECTINARE, PETTINARE NINGUERE, NIVICARE, NEVICARE

NOSCERE, COGNOSCERE, CONOSCERE FLARE, SUFFLARE, SOFFIARE

SUERE, CONSUERE, CUCIRE CAEDERE, OCCIDERE, UCCIDERE

DUCERE, CONDUCERE CONDURRE MANERE, REMANERE RIMANERE










UN 'FUMETTO' IN VOLGARE



ISCRIZIONE  DI SANCLEMENTE (1084-l100 ca.)


Nella cappella sotterranea della chiesa di San Clemente a Roma vi è un affresco con delle iscrizioni che illustrano il dialogo fra i personaggi efiati. L'affresco illustra la leggenda di San Clemente: il ano Sisinnio, convinto che Clemente lo abbia stregato, per sottrargli la moglie, convertita al cristianesimo, ordina ai servi Gosmario, Albertello e Carboncello di arrestarlo. Lo dovrebbero legare e trascinare, ma Clemente, in effetti una magia riesce a compierla: i servi legano e trascinano una colonna.

Nell'affresco, compaiono sia il dialogo fra Sisinnio e i servi, sia un frammento dalla Passio sancti Clementis, che assume in questo contesto il valore di un ammonimento morale.




Fili de le pute, traite !

Gosmari, Albertel, traite !

Fàlite dereto co lo palo, Carvoncelle !

Duritiam cordis vestri

saxa traere meruistis.




li di puttana, tirate !

Gosmario e Arbertello, tirate !

Fagli da dietro col palo Carboncello !

Per la durezza del vostro cuore

avete meritato di trascinare sassi



SUGGERIMENTI PER L'ANALISI

La prima parte dell'iscrizione è tutta in volgare, con chiare influenze romanesche. La seconda sembra scritta in latino, ma vi sono vari errori che fanno pensare vi sia un intento parodistico o che l'artigiano abbia mal ricordi o mal adatti il testo originale. Ancora dubbi e proposte diverse nell'attribuzione delle singole frasi ai personaggi dell'affresco.


1. de le è già la preposizione articolata delle, lo stesso dicasi per co lo.

3. Carvoncelle per Carboncelle testimonia il passaggio dal nesso -rb- a quello -rv-

4. Duritiam è un accusativo mentre nel testo della Passio si legge Duritia (ablativo). L'originale latino cordis tuis è qui diventato un cordis vestri.

5. L'originale latino trahere è qui diventato traere.


Si noti l'anacronismo di far parlare in lingua volgare San Clemente (Tito Flavio Clemente Alessandrino) scrittore greco cristiano morto nei primi anni del III sec.

E' probabile che il linguaggio violento ed offensivo (Fili de le pute) e la stessa scelta della lingua 'volgare' rientrino nella volontà di far apparire comici e grotteschi il ano Sisinnio e i suoi servi.

La difficoltà nel decidere a quali personaggi attribuire le singole frasi deriva dal fatto che nell'affresco le lettere si dispongono in uno schema geometrico, ben diverso dal modo semplice ed intuitivo con cui si legge oggi un 'fumetto'. Manca cioè la comoda e funzionale nuvoletta che lega la frase al personaggio.

Le parole si presentano col seguente schema




FALITEDERETO

COLOPALO

CARVON

CELLE


D

U

R

I

TIAMCOR

D I S

V

RIS



S

A

X

A

TRAERE

MERUI

S

TIS


ALBERTEL

TRAITE


GOS

MARI


SISIN

IUM

FILI

DELE

P

U

T

E

TRA

I

TE






SCHEDA N.5: ETIMOLOGIE E MUTAMENTI DI SIGNIFICATO



Particolarmente interessanti sono i mutamenti di significato legati a fenomeni culturali, quali, per esempio la diffusione del cristianesimo e la sua presenza in Italia, anche attraverso la mediazione della lingua greca ed ebraica.


FIDES (fiducia, promessa) diventa FEDE

SPES (aspettazione, timore) diventa SPERANZA

CARITAS (benevolenza) diventa CARITÀ

VIRTUS (coraggio anche militare) diventa VIRTÙ

PASSIO (provare una sensazione) diventa PASSIONE

PIUS (onesto e giusto) diventa PIO

SACRAMENTUM (pegno, caparra) diventa SACRAMENTO

PECCARE (fare un torto a qualcuno) diventa PECCARE


La parola MASSA, nel senso di vasto gruppo di persone, deriva da una parola greca e poi latina che significa 'pasta fermentata per fare il pane'. Acquisterà il significato attuale attraverso il significato intermedio di 'pasta di fango' riferita all'insieme dei peccatori.


La parola PAGANUS (ano) contrapposta alla parola CHRISTIANUS ha un'origine incerta. I più sostengono che PAGANUS (abitante di villaggio) abbia acquistato il significato di non cristiano, perché gli abitanti dei villaggi si convertirono al cristianesimo dopo gli abitanti delle città. Ed è vero che il cristianesimo in Italia si diffuse partendo dalle città e che i ani conservarono più a lungo credenze e rituali non cristiani.


Molto interessante l'etimologia di cattivo. Molte delle nostre parole derivano da coppie di parole latine, delle quali sopravvive uno dei due termini, e non sempre quello più significativo. All'origine la coppia captivus diaboli (prigioniero del diavolo) che col passare del tempo ha perso il secondo termine ed ha attenuato il significato. Nello stesso modo, ma senza nessun riferimento al cristianesimo, le etimologie di fegato e maiale. Dal prelibato piatto romano, di origine greca, IECUR FICATUM (fegato di animale ingrassato con fichi) deriva il solo secondo termine ficatum e quindi l'italiano fegato. Può darsi che il 'porcus pinguis quod deae Maiae sacrificabatur' (il grasso porco che veniva sacrificato alla dea Maia) sia all'origine del latino maiale(m) (della dea Maia, del mese di maggio).


Altri mutamenti di significato legati all'influenza del cristianesimo sono VESPER, per i latini semplicemente sera, per i cristiani ora della preghiera serale o addirittura preghiera serale. La TUNICA è il vestito principale dei latini, e dopo i pantaloni introdotti dai barbari, la tunica si trasformerà nella tonaca del prete.

Il cristianesimo tende anche a sostituire o vanificare la terminologia delle religioni precristiane.


Alla parola latina ARA viene anteposta la parola ALTARE (probabilmente da altare, adolere nel senso di far bruciare). Il termine colto e religioso LUSTRARE (espiare con sacrifici) acquista il significato spregiativo di lucidare. L' ORCUS (dio dei morti per i latini) è semplicemente l'orco; DIANA (dea dei boschi per i latini) vorrà anche dire strega.

Dall'ebraico, sempre attraverso la terminologia cristiana, passano in latino e poi in italiano, le parole MESSIA (da mash'ah che in aramaico vuol dire unto dal Signore. Anche Christòs, in greco vuol dire 'unto, consacrato'),PASQUA, SABATO, OSANNA.





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