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LA CRISI DELLA RAGIONE

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LA CRISI DELLA RAGIONE


Positivismo e marxismo hanno in comune la fiducia in una spiegazione razionale della realtà, anche se diversi e opposti per molti aspetti. Nel 1880 in una conferenza intitolata "I sette enigmi del mondo", il filosofo tedesco Reymond fa un elenco di tutte quelle questioni che la scienza non risolverà mai quali per esempio: l'essenza della materia, l'origine della vita. E altri filosofi positivisti come per esempio Spencer pensano che la scienza non sia in grado di rispondere alle domande che riguardano il destino dell'uomo e la nascita della terra: questo compito spetta alla fede. Letterati estranei al positivismo accusano la scienza di essere materialista e indifferente alle necessità più profonde dell'uomo quali sentimenti, morale, fede. Su questo presupposto, ci fu un rifiorire di ritorni alla religione e alle filosofie idealiste, spiritualiste e mistiche. Si afferma la superiorità dell'azione nel pensiero, dell'intuizione sull'analisi razionale, si accusa il carattere inferiore della conoscenza scientifica. E con gli anni, queste correnti acquistarono forze fino a formare, alla fine del secolo una rivolta antipositivista. Colui che ha avuto autorità più duratura, il tedesco Nietzsche, critica più specificatamente il tradizionale pensiero occidentale basato sulla ragione. In "La nascita della tragedia", suo primo libro, racconta che alle origini della cultura greca c'è un elemento pieno di esaltazione, soffocato dal successivo pensiero cristiano sotto una cortina di intellettualismo. Successivamente Nietzsche scrisse libri che in realtà erano raccolte di pensieri a volte contraddittori. Il più famoso è "Così parlò Zarathustra", in cui schematizza il suo pensiero in forma lirica attribuendolo al fondatore della religione persiana. Nietzsche afferma che cìè una crisi definitiva di tutte le fedi. In "Zarathustra" proclama la morte di Dio. Dice che l'uomo moderno è in crisi, perché non vede più nulla al di sopra della propria naturalità. In questo libro si parla del "superuomo" inteso come un nuovo tipo umano, che avrà il compito di liberare le energie naturali dell'uomo. Questo compito spetta a pochi eletti, che dovranno liberarsi dai vincoli della morale tradizionale. Secondo N. i valori cristiani di solidarietà e amore per il prossimo non sono altro che una "morale degli schiavi", inventata da uomini inferiori per proteggere la loro mediocrità. Per N. le forme superiori di civiltà, sono nate da un asservimento delle popolazioni più deboli da parte di quelle più forti. Il pensiero di N. si è rilevato prolifico come critica radicale, di tutti i valori tradizionali; sul finire dell'Ottocento, la diffusione delle sue idee, ebbe nei lettori riscontri di nazionalismo e razzismo antisemita (al di là delle intenzioni dell'autore che non era né nazionalista né antifascista). Alla fine del secolo si verificò uno scontro fra due ideologie: una, in discesa, razionalista, umanitaria e progressiva, nata dall'incontro fra positivismo e socialismo riformista; l'altra, emergente, che si rispecchia a filosofie della vita, del superuomo di un governo forte. Sarà questa l'ideologia che accomnerà l'Europa verso le tragiche guerre mondiali.






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