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La maestrina Boccarmè

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"La maestrina Boccarmè", novella scritta nel 1899 da Luigi Pirandello, è un racconto dove l'autore colloca tutto il suo interesse in un unico personaggio, che è appunto la maestrina Boccarmè. Già dal titolo si può capire che la vicenda s'incentra su un unico personaggio, mentre gli altri sono solo in funzione della vita di esso.

La maestrina Boccarmè è un folgorante esempio di quei personaggi che sono tanto cari a Pirandello: appartiene, cioè, a quel vasto gruppo di personaggi infelici, di creature vinte che racchiudono dentro di sé un'intensità di ricordi lontani e perduti; questi personaggi, raffinatamente descritti da un grande autore di novelle qual è Pirandello, vengono travolti dalla vita stessa, e da essa umiliati e mortificati, ma anche dopo turbinii d'emozioni e di avvenimenti infelici, riescono a sollevare nuovamente la testa, continuando a vivere la loro vita. Senza dubbio si tratta quindi di personaggi vinti sul piano della realtà emotiva ma vincitori sul piano del coraggio e della non rassegnazione.

La maestrina Boccarmè è anche lei una ura vinta, una donna umile, modesta, sola, che vive con assoluta tranquillità la sua vita, passa inosservata agli occhi degli altri, sconosciuta agli altri e perfino a se stessa. 

La sua vita, fin da bambina, non è stata per nulla semplice. Da piccola, infatti, aveva vissuto in un orfanotrofio e da adolescente trascorse molti anni in un collegio di suore. Proprio in quegli anni vive contemporaneamente l'esperienza più brutta e quella più bella della sua vita.



La più brutta perché nel collegio veniva denigrata dalle sue comne, in quanto più ricche e adagiate di lei; quella più bella, perché conosce un suo cugino che le fa ottenere tutto ciò che non ha mai avuto e mai provato; questi fu l'unico uomo della sua vita, l'unica persona che era stata in grado di farla sentire viva e sicura, ma soprattutto l'aveva fatta sentire una donna.

Però anche questa piccola avventura d'amore s'interrompe, poiché il cugino,dopo una notte passata insieme, non le si presenta più; dopo la grande delusione, la timida ragazzina diventa maestra e si trasferisce nel Meridione per esercitare la professione di direttrice nella scuola di un piccolo paese.

Questo paese si affacciava sul mare e aveva il suo centro nel Molo, da dove partivano e arrivavano diverse navi e dove lavoravano assiduamente i pescatori del luogo: è in questo sfondo che viene presentata la maestrina. L'autore la descrive come una ura esile, che scruta tutto e tutti, osserva i pescatori tirar su le reti, fissa attentamente tutte le navi che entrano o escono dal porto.

Una ura che appare agli occhi del lettore come una persona che ama abbandonarsi alla fantasia e che ha il potere attraverso i suoi pensieri di sopravvivere alla noiosità e alla monotonia dei giorni che passano: infatti, la maestrina ha sempre vissuto seguendo il calendario scolastico con scrupolosa attenzione. Ma accanto alla vita conforme della scuola c'era in lei una viva immaginazione, che le permetteva di fuggire via, imbarcandosi magari in una delle sue navi immaginarie, abbandonando quella vita che tanto detestava, ma dalla quale non si poteva liberare.

Aveva una vita monotona, opprimente e noiosa, ma nonostante tutto non riusciva a liberarsene poiché non ne aveva le forze e quindi continuava a vivere seguendo le sue solite abitudini e cercando di fuggire alla noia grazia alla sua fervida immaginazione; così sembrava aver raggiunto una sorta di accordo con se stessa. Due anime risiedevano in lei: da una parte la maestrina precisa e attenta ai suoi doveri, dall'altra una persona che si abbandonava ai sogni di grandi viaggi, di nuovi mari e di nuovi orizzonti da percorrere e da esplorare. C'erano quindi due anime in lei: coesistevano entrambe, ma non coincidevano l'una con l'altra.

Però la monotonia della sua vita viene interrotta un giorno da una vecchia comna di collegio che incontra per caso sul molo; questa sa in scena di un nuovo personaggio si potrebbe paragonare ad un tornado che spazza via ogni casa che incontri. 

Infatti la signora Valpieri, così si chiamava la comna di collegio, irrompe nella vita tranquilla della Boccarmè con l'irruenza di un tornado, distruggendo l'unico castello, l'unica ancora a cui si era appigliata la maestrina per tanti anni: il suo unico amore.  

La signora non solo aveva offeso lei ridendogli in faccia dopo aver appreso che il suo vecchio amante era stato anche il fidanzato della maestrina, ma offende soprattutto l'uomo con cui la maestra aveva vissuto la sua unica esperienza d'amore, dicendo che si era rovinato per lei, e che, anche avendo moglie e li, si era ridotto in condizioni economiche disastrose solo per fargli dei regali . Aveva insinuato di essersi fatta trarre in inganno da un poco di buono, l'aveva derisa per un piccolo quadro con l'immagine del cugino che aveva appeso tanti anni fa e che non aveva mai spostato. Ma la cosa che più diede fastidio alla maestra non era la vergogna che l'aveva colta nel momento in cui la Valpieri aveva scoperto la sua vecchia storia d'amore, era invece il fatto che aveva osato accusare il cugino ingiustamente, essendo in verità lei la colpevole. È difficile capire come mai una persona dopo aver subito una tale delusione amorosa, possa ancora prendere le difese di quella persona che l'ha fatto tanto soffrire. La risposta si può trovare nella grande ricchezza interiore della maestrina, che pur mostrandosi una persona mite e mansueta, riesce a trasurare la persona che le ha recato in passato offesa in una creatura di amabilità, degna di essere ancora amata e inseguita.

La maestrina, dunque, vede nel cugino l'unico uomo da cui ha ricevuto qualcosa, e perciò decide di aiutarlo, mandandogli tutti i suoi risparmi, affinché potesse superare la crisi economica.

Proprio nella seconda parte del racconto, dove la maestra, ormai distrutta dallo spiacevole incontro con la signora Valpieri, pensa e riflette sulla sua vita e sugli episodi che l'hanno sconvolta. Si comprende meglio la grande limpidezza d'animo che possiede la maestrina Boccarmè. Infatti, si nota oltre che una gran sensibilità d'animo, anche una grande ricchezza fatta di offerta e donazione di sé agli altri. Balenante è la frase dove la stessa maestrina afferma che "lei non voleva ottenere nulla; lei era nata per dare". La sua forma di protesta contro l'offesa fatta alla sua bontà d'animo non poteva che essere un ulteriore atto di bontà; atto di bontà che però non è fatto per il cugino, ma per se stessa, per mettere definitivamente una pietra sopra quella vicenda, per dimenticare quell'uomo che l'aveva fatta sentire donna, ma che al contempo l'aveva fatta soffrire per tutti quegli anni di separazione. Quindi l'unico modo per tornare ad accantonare questo episodio era inviare i soldi al cugino, affinché ormai libera da qualsiasi rimorso possa tornare alla sua vita, anche se poi alla fine, si accorge che non può più tornare indietro. La maestra, infatti, si rende conto che il cugino che ha tanto ammirato e desiderato non fa più per lei, in quanto pieno di difetti; e anche lei stessa non sarà più propensa ai sogni. Finisce l'età dei sogni: avanza l'età della vecchiaia.  

Così termina la novella di Pirandello, il quale ha saputo fare un'attenta analisi del sentimento femminile, e soprattutto analizzare la psicologia interiore del personaggio fatta d'interiorità, di sogni, di offerta e di dedizioni.





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