Luigi Pirandello è
sicuramente uno dei massimi drammaturghi e scrittori italiani del Novecento.
Anche se la sua fortuna critica è sempre stata molto controversa
(soprattutto in Italia), è uno dei pochi scrittori italiani
contemporanei che abbia saputo conquistarsi una fama internazionale: non tanto
per il premio Nobel (1934), quanto grazie allo straordinario numero di
comnie che ne mettono in scena i drammi in molti paesi del mondo.
Pirandello è probabilmente l'autore che meglio
rappresenta il periodo che va dalla crisi successiva all'unità d'Italia
all'avvento del fascismo. Pochi come lui ebbero coscienza dello scacco subito
dagli ideali del Risorgimento e dei complessi cambiamenti in atto nella
società italiana. Sul piano letterario il suo punto di partenza fu, come
per gran parte degli autori nati nella seconda metà
dell'Ottocento, il naturalismo. Fin dal primo momento però
l'oggetto privilegiato, o pressoché esclusivo, delle rappresentazioni
pirandelliane non furono le classi popolari bensì la condizione della
piccola borghesia. Da questa prospettiva lo scrittore seppe sviluppare una
corrosiva critica di costume, cogliendo in profondità la crisi delle
strutture tradizionali della famiglia patriarcale. Poiché però anch'egli
apparteneva alla piccola borghesia, finì per assolutizzarne i dubbi e le
sofferenze, che rappresentò come il segno di una condizione eterna di
tutti gli esseri umani. D'altro canto fu proprio la direzione esistenziale e
metafisica assunta dalla sua ricerca a portarlo molto vicino alle posizioni di
alcuni dei più grandi scrittori europei di questo secolo. Paragonato,
volta a volta, a Kafka o a Camus, a Sartre o ai drammaturghi del teatro
dell'assurdo (Beckett, Ionesco), Pirandello è stato uno dei pochissimi
scrittori italiani del Novecento capaci di raggiungere una fama mondiale:
ancora oggi i suoi drammi sono, dopo quelli di Shakespeare, i più
rappresentati in tutto il mondo.
Al centro della concezione pirandelliana sta il contrasto tra
apparenza e sostanza. La critica delle illusioni va di pari passo con una
drastica sfiducia nella possibilità di conoscere la realtà:
qualsiasi rappresentazione del mondo si rivela inadeguata all'inattingibile
verità della vita, percepita come un flusso continuo, caotico e inarrestabile.
In un mondo dominato dal caso e privo di senso, Pirandello conferisce alla
letteratura il compito paradossale di mostrare l'inadeguatezza degli strumenti
logico-linguistici di interpretazione della realtà. L'arte, espressione
del dubbio sistematico, diventa così coscienza critica, dovere morale
dello scrittore contro le mistificazioni e i falsi miti costruiti dagli
scrittori del decadentismo, a cominciare da D'Annunzio.