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Mottetti



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Mottetti

Le Occasioni sono suddivise in quattro parti. La seconda di queste, intitolata Mottetti, è il nucleo dell'opera: si tratta di venti componimenti 'musicali e letterari', mentre un ventunesimo, Il balcone, è stato posto da Montale all'inizio di tutta la raccolta.
Tradizionalmente, il mottetto era un testo breve di intonazione popolare, ma Montale lo riforma completamente: la brevità rimane, ma non c'è più nulla di popolare. Si tratta piuttosto di un piccolo canzoniere d'amore dedicato a Clizia, la donna della luce (fin ora abbiamo visto solo l'oscurità di Arletta), che da semplice simbolo diventa mito. Il nome è quello di una 'non ura' presente nel suo valore simbolico: un 'signal' che va letto in corrispondenza con una 'rima petrosa' dantesca dedicata a G. Quirini, in cui l'autore parla di una donna 'dispietata e disdegnosa', che Montale paragona a Clizia. Essa è anche vista da Montale come l'eliotropo, il girasole, che tende continuamente alla vita. Questo tema era già accennato in Ossi di Seppia, in una fase 'precliziana':

Portami il girasole ch'io lo trapianti
(Ossi di seppia)

Portami il girasole ch'io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l'ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.



Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

Anni dopo la pubblicazione de Le Occasioni, Montale affermò che i Mottetti erano stati indirizzati 'sulle ali della fantasia' ad una Clizia (I. B.) che viveva a 'tremila miglia di distanza'. La misteriosa I. B. è Iris Brandais, una giovane Ebrea fuggita durante le persecuzioni razziali, il cui nome fa nascere nel poeta una serie di immagini connesse con l'ardore ed il ghiaccio (in inglese 'ice', che si legge appunto 'ais'). E' già evidente il concetto di Presenza-Assenza, con le iniziali maiuscole, per indicare i valori verso i quali il girasole si volge.
La raccolta dei Mottetti è dedicata all' 'only begetter', il solo creatore, che per Montale è sempre il destinatario. Si tratta di una citazione shakespeariana per la quale si possono confrontare Domande senza risposta nel Quaderno di quattro anni e soprattutto questo passo del discorso tenuto all'Accademia di Sa il 12 dicembre 1975 (È ancora possibile la poesia?): 'L'arte è sempre per tutti e per nessuno. Ma quel che resta imprevedibile è il suo vero begetter, il suo destinatario'.
I Mottetti sono organizzati in tre strati, dei quali ognuno contiene il precedente. I primi tre componimenti della serie, escluso quello introduttivo, sono del 1934. Il dodicesimo è addirittura del 1940. I restanti sono per la maggior parte scritti nel biennio 1933-'34. Il mottetto introduttivo, di ispirazione 'arlettiana', è del 1933. Si tratta di testi brevi, concettosi, spesso bipartiti in due tempi.
Le Occasioni segnano il passaggio da una poesia impressionistica e naturalistica ad una con una densità culturale nuova che spazia da Shakespeare a Pascoli, da Baudelaire a D'Annunzio e che include anche nomi di personaggi minori come Zanella. L'epigrafe iniziale dimostra il superamento di Ossi di Seppia: 'Sobre el volcán la flor' (G. A. Bécquer): l'arida Liguria si è spaccata per far nascere una margherita.
Prima dei Mottetti leggiamo Il balcone, testo programmatico posto ad introdurre Le Occasioni.

Il balcone
(Le Occasioni)

Pareva facile giuoco
mutare in nulla lo spazio
che m'era aperto, in un tedio
malcerto il certo tuo fuoco.

Ora a quel vuoto ha congiunto
ogni mio tardo motivo,
sull'arduo nulla si spunta
l'ansia di attenderti vivo.

La vita che dà barlumi
è quella che sola tu scorgi.
A lei ti sporgi da questa
finestra che non s'illumina.

Il tema è quello della distanza dall'assente, che prima era un fatto parzialmente tollerabile spegnendo nell'animo ogni sussulto, ma che ora stimola una ricerca che dia positività alla vita.
L'opposizione ieri/oggi è anche contrapposizione strutturale (v. 1: 'Pareva' - v. 5: 'Ora').
v. 2: annullare lo spazio della vita, le chances date dall'esistenza
v. 3: tedio: sembrava possibile salvarsi annegando il sussulto nel tedio
v. 5: ora, invece, a quel vuoto il poeta congiunge una ragione di essere
v. 7: arduo nulla: il nulla non è più vuoto, è arduo e con esso ci si confronta
v. 8: ansia: in una precedente lezione di questa poesia 'ansia' era sostituito da 'estro', inteso nel senso, qui implicito, di pungiglione
v. 9: è la vita in cui si può scorgere un barlume di luce, è il varco che squarcia l'oscurità dell'ignoranza
v. 11: implicita polemica con la poetica e l'etica di Ungaretti: al Mi illumino di immenso delle certezze solari Montale oppone una poetica minimalistica di indizi e piccole luci.

Primo mottetto

Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l'oscura primavera
di Sottoripa.

Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzìo lungo viene dall'aperto,
strazia com'unghia ai vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch'ebbi in grazia
da te.
E l'inferno è certo.

Metrica e retorica: endecasillabi e settenari, tranne il sesto verso che è quinario. Le rime non sono assenti (cfr. per es. 'straripa' al v. 4 e 'Sottoripa' al v. 6 e le rime tra concetti antitetici come 'strazia' al v. 10 e 'grazia' al v. 11), ma sono in numero limitato e per lo più interne, al mezzo ('tiro' al v. 2 e 'spiro' al v. 3) od imperfette (per es. 'oscura' al v. 5 e 'alberature' al v. 7). Il cromatismo della lingua è dato anche da assonanze e consonanze.
Il mottetto descrive un paese familiare, Genova: ogni rumore, ogni attività, persino il mare, sembrano suggerire familiarità, certezza di sentimenti. Tutto nella propria terra diventa più doloroso: il poeta è alla ricerca del segno, del pegno smarrito (cfr. i vv. 11-l4).
v. 1: debbo riperderti: come in una storia d'amore
v. 2: aggiustato: che va al bersaglio
vv. 3-6: siamo a Sottoripa, porto genovese
v. 3: spiro: vento, che è percezione di qualcosa che si muove e porta vita (assenza di vento è assenza di vita)
v. 5: oscura primavera: ossimoro
v. 7: Paese di ferrame: paese di cantieri navali e di porto; in una redazione precedente al posto di 'ferrame' Montale aveva scritto 'catrame'. Quando il poeta cambia qualche espressione cerca di utilizzare parole simili sia per suoni che per concetti e colori simbolici. Dunque, perché il cambiamento? In genere questo avviene per una sorta di orrore della ripetizione: c'è la parola 'catrame' anche in un altro mottetto (D'Annunzio, per esempio, non ammetteva ripetizioni neppure dopo intere ine);
alberature: naturalmente sono quelle delle navi, ma il parallelo lo fa parlare di 'selva', quasi si trattasse di piante vive
v. 8: polvere del vespro: il poeta è angosciato perché anche nella terra d'origine si sente spaesato (nota, tra l'altro, la rima interna)
v. 9: ronzìo: metafora di un dolore straziante
v. 12: verso spezzato: su una parola tronca si spezza anche il verso, quasi il dolore fosse tanto forte da romperlo.



Sesto mottetto

La speranza di pure rivederti
m'abbandonava;

e mi chiesi se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d'immagini,
ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio:

(a Modena, tra i portici,
un servo gallonato trascinava
due sciacalli al guinzaglio).

Questo mottetto è stato spesso preso come esempio dello stile del poeta e lo stesso Montale lo ha commentato ed ha scritto un testo nel quale afferma che un'estate Mirko (pseudonimo del poeta) si trovava a Modena sotto i portici, angosciato e assorto nel suo 'pensiero dominante' (cfr. Leopardi). Era un giorno troppo gaio per una persona non gaia. Ecco allora giungere un vecchio con due cani al guinzaglio. Al giovane che gli chiedeva di che razza fossero il vecchio rispose che si trattava di due 'siacalli' (sciacalli in dialetto). Clizia si sarebbe rallegrata delle due bestiole che, forse, sono due simboli.
Scrisse i primi sette versi su un biglietto del tramvai, ma successivamente sostituì al punto fermo finale i due punti ed inserì le parentesi, che contengono l'occasione del componimento.
v. 1: pure: continuamente (dantismo)
v. 3: chiude: preclude
v. 4: ognid'immagini (iperbato): la realtà fenomenica è solo un inganno colorato, un insieme di ure che si compongono e si scompongono senza certezze
vv. 5-7: esistono due possibilità: o c'è un barbaglio (parola chiave), o c'è la morte (cfr. il 'parie', la scommessa di Pascal: ciò che cerchiamo potrebbe anche essere il nulla).

Nono mottetto

Il ramarro, se scocca
sotto la grande fersa
dalle stoppie -

la vela, quando fiotta
e s'inabissa al salto
della rocca -

il cannone di mezzodì
più fioco del tuo cuore
e il cronometro se
scatta senza rumore -

e poi? Luce di lampo
invano può mutarvi in alcunché
di ricco e strano. Altro era il tuo stampo.

Metrica e retorica: delle quattro strofe, la prima è formata da due settenari e un quaternario (quest'ultimo, unito al precedente, potrebbe dare vita ad un endecasillabo: c'è, quindi, una specie di frattura, di sospensione); anche nella seconda, 'della rocca' completa un endecasillabo; la terza è l'unica strofe costituita da quattro settenari completi (il 'se' alla fine del terzo verso, comunque, dà l'idea della sospensione); i puntini stanno a significare che il catalogo potrebbe continuare; nella quarta strofe l'ultimo verso, spezzato, formerebbe una quartina.
Il processo che i mistici utilizzavano per dimostrare l'esistenza di Dio attraverso negazioni successive sembra presente in questi versi. In essi ritroviamo la struttura del catalogo, che era uno degli schemi più ricorrenti degli Ossi di seppia: l'oscurità del mondo si riduce ad un elenco di immagini contrapposte che potrebbero contenere la rivelazione, ma che poi finiscono per elidersi (velocità / lentezza; rumore / silenzio).
v. 1: ramarro: questo animale ci dà l'idea della velocità (non si tratta più del mondo delle Occasioni, ma della cultura: confronta per esempio Dante, Inferno XXV, 79)
fersa = sferza è termine dantesco
scocca è utilizzato da Dante una ventina di versi dopo
v. 4: fiotta: ondeggia
v. 5: salto: improvviso cambiamento della direzione del vento, per cui la barca fiotta e sembra fermarsi, rimanendo come sospesa
v. 6: rocca: promontorio (questo termine ed i precedenti sono di uso quotidiano per un ligure: tutto l'opposto dell'oscuro linguaggio ermetico)
v. 8: più fioco: la cannonata è meno forte del battito del cuore di Clizia perché quest'ultima costituisce un paragone impossibile
v. 11: Luce di lampo: si tratta di un'espressione cardine (la quarta parte de La Bufera e altro si intitolerà ''Flashes' e dediche': la realtà viene illuminata da un lampo ed acquista significati sconosciuti; la rivelazione si nega: queste immagini hanno una potenzialità che non si realizza in atto)
v. 13: Altro era il tuo stampo: impossibilità di mediazione tra i due piani, sottolineata anche dalla metrica ('Altro' dovrebbe fare sinalefe con la parola precedente, mentre ciò non avviene).



Negli ultimi mottetti (dal punto di vista cronologico) abbiamo un cambiamento verso il mito della donna angelo, capace di giocare il ruolo di demiurgo che costituisce il legame tra l'uomo ed una realtà più alta. Il vero passaggio di Clizia da simbolo a mito, comunque, avviene ne La Bufera.

Dodicesimo mottetto

Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l'alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.

Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l'ombra nera, s'ostina in cielo un sole
freddoloso; e l'altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.

Il componimento è caratterizzato da un'apertura giambico-anapestica che deve esprime l'ampio movimento di una creatura che vola. I ghiaccioli costituiscono come una specie di corona (tra l'altro, 'ghiaccio', in Inglese, si dice 'ice', che richiama il vero nome di Clizia, Iris Brandais). L'unico elemento fisico è costituito dalla fronte (v. 1), alla maniera stilnovistica. Le 'nebulose' sono le bufere (ci avviciniamo alla raccolta successiva, La Bufera e altro). E' mezzogiorno, eppure c'è un'ombra nera: 'l'altre ombre che scantonano nel vicolo' sono gli uomini che non conoscono e non capiscono il messaggio di Clizia.

Quattordicesimo mottetto

Infuria sale o grandine? Fa strage
di campanule, svelle la cedrina.
Un rintocco subacqueo s'avvicina,
quale tu lo destavi, e s'allontana.

La pianola degl'inferi da sé
accelera i registri, sale nelle
sfere del gelo - brilla come te
quando fingevi col tuo trillo d'aria
Lakmé nell'Aria delle Campanelle.

Il poeta ascolta la pioggia e la grandine che cadono devastando il giardino: la situazione evoca in lui il ricordo dell'assente Clizia. Il mottetto è strutturato in due tempi, che corrispondono a due momenti: il primo fallimentare, il secondo giunto a buon fine. Questa differenziazione si riconosce anche dal punto di vista metrico: l'evento naturale è suggellato da un punto fermo nella prima strofe e da puntini di sospensione seguiti da un trattino nella seconda. In entrambe, i primi versi sono dedicati alla natura, i successivi alla donna amata.
Il primo tempo è dedicato all'esorcismo mancato.
v. 1: sale: è quello sparso dai vincitori sulla terra dei vinti (incertezza apocalittica tra la salvezza e la morte)
v. 2: cedrina: pianta erbacea, detta anche erba Luisa, coltivata nei giardini per i piccoli fiori azzurri e per le foglie dall'intenso profumo di cedro (essa entra per la prima volta nella letteratura con Pascoli, ma appartiene anche a Gozzano, che la usa in un verso con la stessa struttura metrica di questo); nota l'uso delle liquide
v. 3: rintocco: la pioggia cadente produce una rarissima nota
s'avvicina s'allontana: l'esorcismo, almeno per il momento, fallisce (cfr. 'Cigola la carrucola del pozzo, / l'acqua sale alla luce e vi si fonde [] Ah che già stride / la ruota, ti ridona all'altro fondo, / visione, una distanza ci divide')
Finalmente, l'evocazione riesce.
vv. 5-7: La pianola degl'inferi sfere del gelo: si tratta di un movimento dal basso verso l'alto, come nei registri musicali
v. 7 e sgg.: brilla: è l'unico verso dedicato alla sensazione visiva, mentre tutti gli altri evocano dei suoni
v. 8: fingevi: suonavi, cantavi la parte di (latinismo)
v. 9: Lakmé: si tratta di un'aria di un'opera francese del 1883, utilizzata molto spesso, per i suoi virtuosismi, da chi deve imparare a cantare (la strofe ha un ritmo simile a quello del saltellare della grandine)







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