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Scheda del Libro: 'Cristo si è fermato a Eboli'



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Titolo "Cristo si è fermato a Eboli"


Autore: Carlo Levi




Notizie sull'Autore:

Carlo Levi nacque a Torino nel 1902. Si laurea in medicina nel 1923,ma invece di intraprendere questa professione,decide di dedicarsi alla pittura e alla letteratura. Nel 1929 entra a far parte del gruppo dei "Sei pittori di Torino" , in aperta opposizione agli schemi accademici, e fonda il movimento "Giustizia e libertà". Collabora alle riviste di Piero Gobetti, "Energie Nuove", "Il Baretti" e "Rivoluzione Liberale". Ma questa sua attività non poteva sfuggire alla polizia fascista, infatti Levi  viene condannato al conflitto in Lucania, dove risiedette nel 1935 e nel 1936, e dove scoprì il problema meridionale.I medici locali gli fecero proibire l'esercizio della professione e quindi lui si dedicò alla pittura, ritraendo la gente e la natura del luogo.

Solo più tardi, nel 1944, gli venne in mente di scrivere di quelle persone considerate come italiani "di serie inferiore".

Muore a Roma nel 1975.


Presentazione dell'opera

In questo romanzo Levi racconta l'esperienza del suo mandato in esilio dal fascismo. Il libro è stato scritto dal dicembre 1943 al luglio1944. Fu pubblicato dall'Einaudi nel 1945. I temi trattati nel racconto sono più che altro storici, e in parte religiosi. L'autore tratta il tema storico descrivendo il  fascismo e il tema religioso parlando delle persone, e conversando con il prete del paese. Questo libro è considerato da molti come il primo e l'unico di Carlo Levi. In realtà Levi, nel 1939, aveva già scritto "Paura della libertà". A "Cristo si è fermato a Eboli" seguirono "L'orologio", "Le parole sono pietre", "Il futuro ha un cuore antico", "La doppia notte dei tigli", "Un volto che ci somiglia. Ritratto dell'Italia", "Tutto il miele è finito" e "Quaderno a cancelli". Il racconto è condotto secondo un punto di vista interno, infatti è una sorta di autobiografia. Nel linguaggio adottato nel racconto è possibile individuare la presenza di elementi lessicali quali l'uso del latino e del dialetto lucano.Questo romanzo è un unico grande flashback, in cui Levi ricorda la sua esperienza. In questo romanzo il tempo del racconto non coincide con il tempo della storia e questo si può capire grazie alla totale assenza di discorsi diretti. ½ sono anche alcune sequenze riflessive dell'autore, che servono a mostrare la condizione dei lucani.




Ambientazione (luogho e tempo del Racconto)

La storia è ambientata prevalentemente ad Aliano, indicato nel testo con il nome di fantasia di Gagliano e Grassano, due paesi lucani dove l'autore si è trovato a trascorrere il periodo di esilio. è possibile farsi un'idea di come siano questi luoghi in quanto l'autore si sofferma spesso a descriverli.

Le vicende raccontate coprono un arco di tempo di circa due anni: la durata dell'esilio di Levi in Lucania.


Sintesi dell'Opera:


L'autore narra in prima persone vicende veramente accadute, che lo vedono protagonista di un'avventura forzata in un mondo solitario e primitivo, lontano duemila chilometri da quello civilizzato, eppure appartenente allo stesso 'dannatissimo Stato', cioé l'Italia fascista del 1935.

Il racconto inizia quando, dopo aver trascorso alcuni mesi a Grassano, il confinato Carlo Levi, medico e pittore affermato, viene trasferito in Lucania, a Gagliano; questo paese di montagna 'ai confini del mondo conosciuto', circondato dalle desolate e brulle valli dell'Appennino calabrese, è abitato solo da cafoni, contadini poveri- ignoranti superstiziosi- sfruttati- incompresi- cattolici solo per bisogno- vittime dello Stato fascista. Il letterato che giunge qui sconvolge la loro vita abitudinaria, ed essi lo accolgono benevolmente, come se fosse una divinità; persino le autorità fanno a gara per invitarlo a cena e propiziarselo, perché tutti gli attribuiscono un grande potere.



Levi infatti è straniero, acculturato, buono d'animo, e conosce la medicina e le arti; la sua ura di uomo potente mette in suggestione gli umili personaggi del villaggio che cercano in lui un protettore e una guida; quello che doveva essere il nemico dello Stato diviene così il migliore amico dei contadini e della borghesia locale. Al suo cospetto tutti, dal podestà alla vecchia più rozza, si mostrano benevoli e ospitali, sicché egli trova presto una comoda sistemazione.

Dopo essersi ambientato e aver scoperto che anche nei cafoni, sotto l'aspetto brutale e le mani rovinate dal lavoro, ci sono uomini bisognosi d'aiuto, il Poeta prende coraggiose decisioni e diviene il medico del paese. Egli svolge la sua attività gratuitamente, ma col massimo impegno, e ottiene il rispetto e l'amore reverenziale di tutti: i bambini lo accomnano a pitturare, trasportandogli gli attrezzi del lavoro e fanno a gara per portare quelli più pesanti; le donne gli sorridono sdentate e lo vorrebbero come ospite per qualche sera; la domestica Giulia lavora per lui tutto il giorno e ama essere comandata; il podestà e le famiglie più illustri del paese lo accontentano nei suoi desideri perché questi prenda le loro parti nella guerra tra clan

Il paese è infatti diviso in cosche che detengono il potere e cercano ogni mezzo per affermarsi l'una ai danni dell'altra; alla base ci sono rancori che risalgono alla notte dei tempi, ma che non si sono mai affievoliti, e che piccole scaramucce rinforzano notevolmente: un letterato come Levi è certamente un prezioso aiuto per il prestigio della famiglia e per il benessere di Gagliano.

Levi, durante i suoi mesi di esilio, conosce a fondo la società contadina e può valutare con un'ottica nuova la politica del fascismo, che allora aveva appena iniziato la camna d'Africa.

Gagliano è un paese alienato dalla realtà del resto d'Italia; qui non sono giunte la medicina, l'istruzione, l'industria e neppure la religione nel vero senso del termine. I contadini sono braccianti indigenti per destino, e neanche l'America li potrà mai rendere benestanti: privi di cultura, essi hanno però una furbizia innata, la furbizia contadina, assai simile all'istinto degli animali. L'istruzione obbligatoria qui non è arrivata, nelle scuole si impara soltanto a osannare il Duce e le sue camicie nere, né il governo centrale ha interesse che avvenga altrimenti, perché una massa ignorante è inoffensiva.

Le medicine sono così costose, che possono essere acquistate solo dai galantuomini, e i pochi farmacisti esistenti approfittano dell'ignoranza dei cafoni per aumentare i prezzi; per Gagliano è come se non fossero mai esistiti né Copernico né Galileo, né Edison né Meucci, né Ippocrate né Jenner. La malaria imperversa perché le condizioni igieniche sono davvero pessime e gli ambienti delle foreste diboscate, divenute paludi malsane, sono i più favorevoli per la proliferazione dei batteri. Per i cafoni non esiste nemmeno la speranza nel futuro perché la religione, come la storia, il progresso e lo stesso tempo, che a Gagliano non scorre mai, si sono fermati prima; lo stesso Cristo si sarebbe fermato a Eboli, tra Salerno e l'appennino e non si sarebbe curato dei suoi li più sfortunati.

Levi si occupa di curare i malati, e nonostante la carenza di mezzi, riesce benissimo nel suo lavoro: desta così l'invidia degli altri medici del paese, incapaci ma altezzosi e avidi, che inviano numerose lettere a Matera per denunciare il fatto che un confinato eserciti una professione senza licenza. L'ottusità del podestà e i provvedimenti di una burocrazia lontanissima dai veri problemi della gente impediscono allo scrittore di continuare la sua opera benefica e un uomo , il primo da quando Levi è giunto laggiù, muore. I contadini si ribellano, vorrebbero sfogare i rancori repressi e tenuti troppo a lungo nascosti dietro a un'apparente indifferenza, ma ancora una volta Levi prende il comando della situazione e riporta la pace. I contadini cercano allora nuove vie di espressione, e trovano quella più efficace nal teatro: vengono organizzati spettacoli che mettono in ridicolo il podestà e Roma intera, ma nulla muta; soltanto la malattia che colpisce il lio di don Luigino offre l'occasione perché Levi torni a curare la povera gente. Levi, durante il trascorrere del periodo d'esilio, scrive lettere alla famiglia sempre con il veto del podestà, dipinge, riceve la visita di sua sorella, va a Torino con un permesso speciale, scrive un trattato con le soluzioni dei problemi di Gagliano, ritorna a Grassano per qualche giorno. Ma quando riceve la notizia di essere libero e di poter tornare a casa, lo fa a malincuore e senza fretta, ripromettendosi di ritornare a Gagliano per rivedere prima o poi quello che ormai era anche il suo mondo. Questa promessa però non la mantenne mai, nemmeno dopo molti anni.






Personaggi:


Il primo personaggio citato è il potestà, un giovanotto alto, grosso e grasso, con un ciuffo di capelli neri e unti che gli piovono in disordine sulla fronte, un viso giallo e degli occhietti neri e maligni, pieni di falsità e soddisfazione. Il suo compito principale è quello di sorvegliare i confinati del paese.

Un altro personaggio è il dottor Milillo. aveva una sessantina d'anni o poco meni. Ha le guance cascanti e gli occhi lagrimosi e bonari di un vecchio cane da caccia.

Di rilevante importanza è un altro medico: il dottor Gibilisco, abitante di Gagliano, che cercava a tutti i costi di fare il dottore per arricchirsi a scapito di alcune persone ingenue. Era un uomo anziano, grosso, panciuto, impettito, con una barba grigia a punta e dei baffi che piovono su una bocca larghissima, piena zeppa di denti gialli e irregolari. Porta gli occhiali, una specie di cilindro nero in capo, una redingote nera spelacchiata, e dei vecchi pantaloni neri, lisi e consumati.

L'Arciprete inoltre, era un uomo piccolo e magro, col grande pendaglio rosso sul cappello: nessuno lo saluta.

Dopodichè c'è il barone, un giovane magro, sbarbato, con gli occhiali a pince-nez, aveva fama, a Grassano di essere particolarmente spietato nei suoi interessi. Era un uomo di chiesa, e portava all'occhiello della giacchetta, invece del solito distintivo fascista, quello rotondo dell'azione cattolica.

Donna Caterina, era una donna di una trentina d'anni, piccola e grassoccia. Gli occhi aveva nerissimi, come i capelli; la pelle lucida e giallastra e i denti guasti le davano un aspetto malsano.

Giulia era una donna alta e formosa, con un vitino sottile come quello di un'anfora, tra il petto e i fianchi robusti. Il viso era ormai rugoso per gli anni e giallo per la malaria.

Infine c'è donna Concetta, una ragazza di diciott'anni, piccolina, con un viso tondo e perfetto di Madonna, dei grandi occhioni languidi, i capelli neri, lisci e abbondanti, ordinati con una riga dritta in mezzo, la pelle bianchissima, la boccuccia rossa, il collo sottile, e una gentile aria ritrosa.


Commenti personali:


Le doti di Carlo Levi, come scrittore sono notevoli. Nel racconto egli inserisce abilmente aneddoti, riflessioni, fatti storici e inventati, paesaggi dai toni tristi e sbiaditi, descritti con una tale ricchezza di particolari da far pensare a dei veri quadri. Tuttavia ciò che sta più a cuore all'Autore è rendere un vasto pubblico consapevole della realtà meridionale dei contadini del latifondo, una realtà così lontana da noi se pure poco distante nello spazio e nel tempo, e anzi ancora attuale: perché se oggi il Mezzogiorno è arretrato lo si deve in gran parte a una lunghissima serie di problemi che rimasero irrisolti sin dal 1861. Oggi si può constatare come la politica del crai=domani, termine che nel linguaggio locale raccoglie un'intera filosofia esiziale di vita: 'domani si vedrà, domani sarà meglio, tutto si risolverà da sé; e se questo non accadrà, io non potrò fare niente per cambiare ciò che è rimasto sinora immutato'.

Nel periodo in cui fu scritto e pubblicato, il libro doveva apparire sicuramente come

un' accusa alla società italiana in generale, senza distinzione di partito; lo scopo era quello di far conoscere una realtà quasi inverosimile a uomini che, per generazioni, non avevano voluto aprire gli occhi e sensibilizzare così l'opinione pubblica. E proprio quando tutti riponevano la propria fiducia nello Stato, Levi individuava in questo una delle cause del sottosviluppo. Lo Stato non può esistere se non si ha ben presente che questo è creato innanzitutto per difendere gli individui, senza distinzione: altrimenti lo Stato fa soltanto da freno per lo sviluppo. Lo Stato non deve identificarsi con le tasse, né con gli aiuti economici a fondo perduto, ma con un ente che regolamenta e distribuisce per investrire nel futuro,tenendo conto delle esigenze differenti da luogo a luogo.

Bisognava risolvere tre differenti problemi: integrare la civiltà cittadina con quella ostile della camna; impiantare industrie e dare lavori sicuri ai disoccupati, per diminuire la miseria e conseguentemente le malattie; riformare sapientemente le leggi, che non devono essere fisse e immutabili, ma calibrate per ogni situazione.

Sono passati cinquant'anni; niente più cafoni, né fascismo, né malattie ma qualcosa è rimasto. Sono quei grandi problemi che, a causa di uomini di potere talvolta corrotti e della mentalità sbagliata della gente, si ritrovano ancora oggi; si tratta soprattutto dell'avversione per lo Stato, che una volta vedeva contrapposti il re d'Italia e i briganti, oggi il Parlamento e i mafiosi.

Ho abbastanza apprezzato l'opera di Levi, nonostante non mi abbia divertita, perché mi ha lasciato riflettere su questioni complesse. La vicenda non è movimentata, e la scena si svolge quasi sempre a Gagliano; l'Autore procede nel racconto facendo ampie digressioni, che durano intere ine e fanno perdere il filo del discorso. E' sempre necessaria una vigile attenzione del lettore: mi è infatti capitato più volte di dover rileggere interi pezzi per comprendere ciò che avevo appena letto.








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