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UGO FOSCOLO
Poeta italiano (Zante 1778-Turnham Green, Londra, 1827). Le contraddizioni dell'età napoleonica, tra Rivoluzione e Restaurazione e tra illuminismo e romanticismo, si rispecchiano nella suggestiva personalità di Foscolo, intimamente scissa dal conflitto tra una romantica malinconia e un illuministico rigore razionale, tra un giacobinismo generoso ma velleitario e un amaro e scettico disinganno: personalità contraddittoria, quella di Foscolo, meno lineare e coerente rispetto all'immagine stereotipata che ne tramandarono i contemporanei, ma più ricca e stimolante, e perciò più moderna. Niccolò Ugo Foscolo (al nome battesimale di Niccolò Foscolo aggiunse quello di Ugo, che finì col prevalere), nato dal medico Andrea e dalla greca Diamantina Spathis, visse la prima fanciullezza in un libero contatto con la natura, nella «chiara e selvosa Zacinto», ricca di luce e di fronde e lambita da un mare carico di leggende. Nel 1784 la famiglia si trasferì a Spalato, nel cui seminario Foscolo compì i primi studi. Morto il padre, nel 1792 si recò con la madre e i fratelli a Venezia e fece il suo ingresso negli ambienti letterari e mondani, introdotto da Isabella Teotochi Albrizzi, che lo iniziò anche alla vita amorosa e gli rimase per sempre amica. Leggeva intanto i classici e i filosofi, soprattutto Rousseau; e scriveva versi, ando il suo tributo all'eleganza frivola e lieve della tradizione arcadica. Nel contempo, però, sfogava nell'epistolario il suo temperamento estroso e malinconico: emerge così la contraddizione fondamentale della personalità foscoliana, tesa a cercare un equilibrio tra vita e arte «tra passione divorante e pacata meditazione». L'incontro a Padova con M. Cesarotti e con altri giovani di sentimenti accesamente rivoluzionari aveva intanto aperto l'animo di Foscolo ai furori giacobini, che esplosero nella tragedia Tieste (1797), d'ispirazione senechiana e alfieriana: alla grazia e levità dell'Arcadia melica e classicistica subentrano così i toni lugubri e preromantici dell'Ossian cesarottiano. Con gli sciolti Al Sole (1797) si concludeva il noviziato poetico di Foscolo, mentre avevano inizio le persecuzioni politiche: costretto dall'oligarchia veneta a rifugiarsi a Bologna, si arruolò nel corpo dei Cacciatori a cavallo e scrisse un'ode A Bonaparte liberatore (1797). Quando a Venezia fu proclamata la repubblica democratica, Foscolo vi fece ritorno, assumendo la carica di segretario della municipalità. Dopo il Trattato di Campoformio, deluso nelle sue speranze giacobine, Foscolo abbandonò la sua seconda patria e si recò, esule volontario, a Milano, dove trovò un ambiente culturalmente e politicamente più aperto di quello veneziano, legandosi d'amicizia con Parini e con Monti e invaghendosi della moglie di quest'ultimo, Teresa Pickler. Nel 1798, a Bologna, avviò la stampa delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, che interruppe per arruolarsi nella Guardia Nazionale e combattere contro gli Austro-Russi, mentre il romanzo veniva manipolato dall'editore, che lo fece completare da un modesto letterato. Ferito a Cento, Foscolo prese parte a fatti d'arme, distinguendosi nell'assedio di Genova: qui ristampò l'ode a Bonaparte, premettendovi una severa lettera dedicatoria, e compose l'ode a Luigia Pallavicini caduta da cavallo, in cui il motivo settecentesco dell'elogio galante si anima di una più sottile vibrazione umana, anche se la sovrabbondanza delle immagini mitologiche finisce con il raffreddare in una marmorea olimpicità il vigore dell'ispirazione. Ritornato a Milano con il grado di capitano, Foscolo fu incaricato di varie missioni, una delle quali lo portò a Firenze, dove s'innamorò di una giovinetta, Isabella Roncioni, la cui gentile ura influì sul rifacimento dell'Ortis; ben più tumultuosa, e non priva di piccanti risvolti, fu la relazione intrecciata a Milano, nel 1802, con la contessa Antonietta Fagnani Arese, cui è indirizzata la seconda ode foscoliana, All'amica risanata: artisticamente più matura dell'ode precedente, ha il suo centro ispiratore nella contemplazione della bellezza eterna, che Foscolo si sente chiamato a celebrare, scoprendo nelle origini zacinzie la sua predestinazione alla poesia. Il fitto epistolario con la Arese mostra una sorprendente identità di espressioni con il rifacimento dell'Ortis, che fu ripubblicato nel 1802: prova, questa, che oltrepassando le sue fonti d'ispirazione (soprattutto la Nouvelle Héloïse di Rousseau) e liberandosi dall'influsso del Werther di Goethe, sensibile nell'Ortis del 1798, Foscolo coinvolge tutto se stesso nel racconto, identificandosi completamente con Jacopo. Nonostante gli squilibri tra i diversi piani narrativi e una certa enfasi, emergono dall'Ortis i motivi essenziali dell'arte foscoliana, dal tema dell'esilio al tema della bellezza serenatrice, dal senso cosmico della morte all'immagine del sepolcro onorato e pianto dai vivi. Alla paurosa catarsi dell'eroe alfieriano che solo va incontro alla morte subentra così una più ampia visione della storia umana: nel sentimento della compassione, la cui sensibile espressione è il sepolcro, si esprime la nuova catarsi, che vince l'eroica e tragica solitudine alfieriana.
LE OPERE DELLA MATURITÀ
Un «Ortis in rima» sono stati giustamente definiti i primi otto sonetti dell'edizione pisana del 1802 per la frequenza degli elementi autobiografici e l'impetuosa tensione che li percorre; ma nei quattro grandi sonetti (A Zacinto, Alla Musa, In morte del fratello Giovanni, Alla sera) la passione si disacerba e si trasura in miti dolenti, ma sereni, di una suggestione vibrante e sottile: la patria lontana, la poesia che fu conforto della giovinezza e che ora vien meno, la madre che attende e che parla col «cenere muto» del lio, la sera, immagine della pace della morte, in cui si placa lo spirito agitato del poeta. Dopo la pubblicazione dei Sonetti e delle Odi (1803), Foscolo rinunzia alle forme poetiche chiuse (la cui misura rigorosa aveva costituito fino ad allora un argine al dilagare della passione 'ortisiana') e adotta l'endecasillabo sciolto: la versione (1803) della catulliana Chioma di Berenice (con l'aggiunta di un inno che Foscolo attribuì, per schernire i pedanti, a Fanocle Alessandrino), l'affettuosa epistola al Monti (1805), gli squisiti frammenti alessandrini dell'Esperimento di traduzione dell'Iliade di Omero (1807), sono altrettante testimonianze del lungo tirocinio esercitato da Foscolo sull'endecasillabo sciolto, che sarà il metro ideale dei suoi capolavori. Dal 1804 al 1806 Foscolo fu in Francia, come capitano dell'armata preparata da Napoleone per il progettato sbarco in Inghilterra; nell'ozio della vita militare attese alla traduzione del Viaggio sentimentale di L. Sterne, premettendovi la Notizia intorno a Didimo Chierico: nasceva così un nuovo personaggio autobiografico, la cui matura saggezza, scettica e ironica, costituiva un antidoto alla giovanile irruenza ortisiana. Ritornato a Milano, vi rimase fino al 1812, con frequenti spostamenti: l'incontro a Venezia con Isabella Teotochi Albrizzi e con Pindemonte, e i colloqui che ne seguirono sull'editto mortuario emanato nel 1804 da Napoleone a Saint-Cloud costituirono l'occasione da cui nacquero i Sepolcri, che furono pubblicati a Brescia nel 1807. Alla disperata volontà di morte dell'Ortis, che nel sonetto Alla sera si placava in una dolente aspirazione alla «fatal quiete» vista come soluzione del dissidio interiore, si oppone ora la tensione dalla morte alla vita: pur accettando la concezione materialistica dell'esistenza, propria della filosofia illuministica, i Sepolcri riconoscono il valore delle illusioni che rendono la vita degna di essere vissuta. Pessimismo attivo e religiosità laica sono le formule suggerite dalla critica per definire questo atteggiamento foscoliano, la cui importanza consiste soprattutto nella concezione immanente, antimetafisica, dello sviluppo storico, risolta nella fede assoluta nella poesia, che celebra imparzialmente le imprese gloriose degli eroi, ma anche le virtù sfortunate dei vinti. Nel 1808 F. (che aveva appena finito di curare l'edizione delle opere di Montecuccoli) fu chiamato alla cattedra di eloquenza nell'Università di Pavia (poco dopo soppressa) e, il 22 gennaio 1809, tenne la celebre prolusione Dell'origine e dell'ufficio della letteratura, in cui rivolse agli Italiani l'appassionata esortazione a ritornare allo studio della storia, dopo il tramonto delle speranze giacobine. Negli scritti politici posteriori al 1809 (Sulla origine e i limiti della giustizia, Discorsi sulle servitù d'Italia, Lettera apologetica) Foscolo rinnega ormai apertamente l'ideologia giacobina degli anni giovanili, considerando utopistica la rivoluzione democratica e rivolgendo un duro atto d'accusa contro le forze politiche liberali, considerate responsabili della nuova schiavitù italiana. Tale pessimismo pervade anche la tragedia Aiace (1811), che fu proibita perché vi si vollero vedere allusioni antinapoleoniche, ma che in realtà, nel gesto del protagonista che si uccide per sottrarsi a un mondo iniquo, esprimeva una stanchezza rinunciataria. Disgustato, dominato da una «specie di languore e di noia», Foscolo cercò in terra toscana un sereno rifugio: a Firenze, fruendo delle distrazioni offertegli dalla vita mondana e dell'amicizia di Quirina Mocenni (la 'Donna gentile'), attese con rinnovato fervore a lavori nuovi: la Ricciarda (1813), una cupa tragedia, ambientata in un Medioevo convenzionale, e le Grazie. Culmine di quel processo che porta Foscolo dalla 'passione divorante' alla 'pacata meditazione', le Grazie sono anche lo sbocco della crisi della coscienza foscoliana, del momento cioè in cui la poesia di Foscolo «rinuncia ormai ad un'azione diretta sulla realtà» (Caretti) e si solleva a un sovramondo incontaminato e luminoso, dove la fantasia mitica del poeta può liberamente spaziare senza temere l'urto delle passioni devastatrici, avvertite ormai come un 'calore di fiamma lontana'. Nelle onde dell'arcana musica delle Grazie si spengono gli echi drammatici di un'epoca tumultuosa che, dopo aver seppellito l'ancien régime, si apprestava al ritorno all'ordine della Restaurazione. Un ritorno che trovò Foscolo impreparato e più che mai disilluso e stanco: di qui il suo iniziale consenso a collaborare con il governo austriaco per la fondazione di un giornale che avrebbe dovuto dirigere, e la successiva rinunzia, idealizzata dalle generazioni risorgimentali come una consapevole scelta politica, mentre era in realtà una definitiva rinuncia all'azione.
Recatosi in esilio in Svizzera, dove rimase fino al 1816 in precaria situazione economica e sotto sorveglianza della polizia, attese a vari lavori, tra cui una nuova edizione dell'Ortis e l'Hypercalypsis (una feroce satira in latino biblico contro i suoi avversari). Nel settembre 1816, Foscolo giunse in Inghilterra: inizialmente accolto con vivissima simpatia, col passare del tempo si chiuse in una scontrosa solitudine, lottando contro la miseria, dovuta in parte alla sua prodigalità. Al periodo inglese appartengono i molti saggi critici (Discorso sul testo della Divina Commedia, Saggi sul Petrarca, Discorso storico sul testo del Decamerone, Poemi narrativi e romanzeschi, Epoche della lingua italiana, La letteratura periodica italiana, Della nuova scuola drammatica italiana), che collocano Foscolo tra Vico e De Sanctis, come iniziatore della critica moderna; e, inoltre, la raccolta di Lettere scritte dall'Inghilterra, di cui fa parte il saporoso Gazzettino del Bel Mondo, saggi di erudizione (Sul digamma eolico) e scritti politici in difesa delle is. Ionie e di Parga. Assistito dalla lia Floriana, nata dalla sua relazione con Sophia Hamilton negli anni del soggiorno in Francia, il poeta si spense in un sobborgo di Londra il 10 settembre 1827 e fu seppellito nel piccolo cimitero di Chiswick. Nel 1871 le sue ossa furono traslate a Firenze, nella chiesa di Santa Croce.
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