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DE FINIBUS BONORUM ET MALORUM, Cicerone

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DE FINIBUS BONORUM ET MALORUM, Cicerone.

LIBRO I

CAPITOLO 9

Allora cominciò a parlare. Per prima cosa, disse, farò nel modo in cui piace al fondatore stesso di questa disciplina, chiarirò che cosa e di che genere sia la cosa della quale ci occupiamo, non perché io ritenga che voi lo ignoriate ma affinchè il discorso si sviluppi secondo un principio e un percorso. Ricerchiamo in effetti che cosa sia il più grande e l'ultimo dei beni, il quale, secondo il parere di tutti i filosofi, deve essere fatto in modo tale che sia necessario che tutte le cose siano riferite a quello e che però non sia mai necessario riferire lui (a qualcosa). Epicuro identificò ciò nel piacere, il quale ritiene che sia il sommo bene e che il sommo male sia il dolore e ha stabilito di insegnare ciò in questo modo: ogni essere umano, non appena sia nato, desidera il piacere e gode di quello come del massimo bene, d'altronde il dolore viene rifiutato come il massimo male e quanto può lo scaccia da sé e fa ciò non perché deviato dalla retta via, mentre (perchè) la stessa natura esprime giudizi in maniera corretta e continua. Perciò Epicuro dice che non c'è bisogno né di un ragionamento, né di una discussione, per quale motivo il piacere debba essere ricercato e il dolore debba essere fuggito. Egli ritiene che queste cose siano avvertite con i sensi come è sentito dai corpi che il fuoco scalda, che la neve è bianca e che il miele è dolce, ritiene che non i sia nessun bisogno di argomentare nessuna di queste cose. Egli ritiene che ci sia una bella differenza tra il tema generale e la conclusione di un ragionamento e anche tra la semplice percezione e il fare presente (la segnalzione). Con l'una delle due cose sono rivelate alcune cose nascoste e quasi misteriose, con l'altra sono oggetto di riflessione cose evidenti e chiare. D'altronde siccome una volta che siano stati tolti dall'uomo i sensi, non c'è niente di rimanente, perciò è necessario che sia discusso dalla natura stessa che cosa è secondo natura e cosa è contro natura. Lei stesso che cosa percepisce o cosa giudica, in quale modo cerca o evita qualcosa apparte il piacere e il dolore? Ci sono di quelli fra noi che vogliono discutere queste questioni più minuziosamente e affermano che non sia sufficiente che sia giudicato attraverso il senso cosa sia bene e cosa sia male, ma che è possibile che sia capito anche attraverso lo spirito e il pensiero, sia che lo stesso piacere deve essere ricercato per se stessi sia che venga evitato per se stessi. Perciò dicono che nei nostri animi c'è un criterio quasi naturale e congenito tale che (affinchè) percepiamo che una cosa è da ricercare, e l'altra è da rifiutare. Altri invece, con i quali io sono d'accordo, dal momento che dai filosofi sono dette molte cose, non ritengono che sia legittimo che noi ci affidiamo con troppa convinzione alla dottrina per il fatto che il piacere deve essere catalogato tra i beni e il dolore debba essere catalogato tra i mali, ma ritengono che si debba argomentare, discutere accuratamente e discettare a proposito del piacere e del dolore, dopo che ne sono stati accuratamente cercati i criteri.




LIBRO II

CAPITOLO 34

Ma allora noi, poiché tutte le cose si trovano nel piacere, siamo superati molto e di gran lunga dagli animali, per i quali, anche se non fanno alcuna fatica, la terra stessa produce da se cibi vari e abbondanti, per noi invece sono a stento o neppure a stento sufficienti anche se ci diamo un gran daffare. Ma neppure così in alcun modo può sembrarmi che il sommo bene degli animali sia lo stesso degli uomini. A che scopo infatti è necessaria una attrezzatura tale nello sviluppare le più nobili arti? A che scopo sono necessari una tale affluenza di rispettabilissime ricerche, un tale incontro di virtù, se queste cose sono ricercate per nessun'altra finalità se non per il piacere?

Come se qualcuno gli chiedesse il motivo di un così grande dispiegamento di forze e di guerra così imponente, poiché era venuto in Grecia con intenzioni così ostili e se Serse ripondesse che aveva voluto portar via il miele dall'Imetto quando, congiunte le sponde dell'Ellesponto e tagliato L'Athos con le sue poderose flotte e con tutte le sue truppe di cavalleria e di fanteria aveva attraversato a piedi il mare e la terra con le navi, certo sembrerebbe aver tentato invano un'impresa così grande.

Credimi Torquato, siamo nati certamente per mete più alte e magnifiche, e ciò non si può capire solo dalle funzioni dell'anima, nelle quali  vi è il ricordo di cose ammirevoli, che per te sono certamente infinite, c'è una previsione delle conseguenze non molto diversa dalla divinazione, c'è la fedele tutela della giustizia per la società umana, c'è il saldo e stabile disprezzo del dolore e della morte nel sopportare le fatiche e nell'affrontare i pericoli - quindi ci sono queste cose negli animi, dunque considera anche le stessa membra e i sensi che ti sembreranno, come le restanti parti del corpo, non solo comne della virtù, ma anche ministri.

Ma come? Se nello stesso corpo molte cose sono da preferire al piacere, come le forze, la salute, l'agilità, la bellezza, perchè infine lo ritieni negli animi? Nei quali quei vecchi saggi ritennero che ci fosse qualcosa di divino e celeste. Che se il sommo bene fosse nel piacere, come dite voi, sarebbe desiderabile trascorrere i giorni e le notti nel sommo piacere senza alcuna interruzione, dal momento che tutti i sensi vengono scossi, per così dire invasi da ogni dolcezza. Dunque chi è degno del nome di uomo, che vuole stare tutto l'intero giorno in questo genere di piacere? Almeno i Cirenaici non lo negano; i vostri (giudicano) queste cose con maggiore moderazione, quelli forse con maggiore coerenza (costanza).

Ma passiamo in rassegna con la mente non queste massime arti, da cui chi si asteneva, veniva giudicato senza arte dagli antenati, ma adesso ti chiedo se pensi che, non dico Omero, Archiloco, Pindaro, ma Fidia, Policleto e Zeusi hanno indirizzato le loro opere al piacere. Quindi l'artigiano si pregerà un impegno maggiore per raggiungere la bellezza delle forme di più di quanto l'eccellente cittadino (si pregerà un impegno maggiore per raggiungere la bellezza) delle gesta? Ma c'è quest'altra causa di un errore così grande, diffuso in lungo e in largo, forse perchè colui, che decreta che il sommo bene sia il piacere, non riflette con quella parte dell'animo in cui c'è la ragione e l'intelletto, ma con il desiderio, cioè con quella parte più irresponsabile? Infatti ti chiedo, se, come pensate anche voi, esistono gli dei, i quali possono essere beati, anche se non possono percepire i piaceri con il corpo, o meglio, se possono essere beati senza quel genere di piacere, perchè non volete che nel sapiente ci sia un simile utilizzo dell'animo (negate che l'anima del sapiente abbia la stessa caratteristica)?




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