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L'Istruzione



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L'Istruzione

L'antico costume romano affidava al padre l'istruzione del lio; ai più grandi uomini di Roma, come Catone il Vecchio e Paolo Emilio, non sembrava perduto il tempo che sottraevano agli affari pubblici per insegnare l'abbiccì ai propri ragazzi, nello stesso modo che non trovavano indecoroso farsi accomnare da loro nelle cerimonie più austere, o trascinarseli per mano nelle sacre processioni. Furono questi i metodi che, facendo del padre la guida costante del lio nel primo schiudersi della sua intelligenza e nei primi contatti con la vita del mondo, assicurarono la continuità spirituale della razza. Ma non tutti seguivano la buona norma antica; i più, sin dalla fine della repubblica, o affidavano il lio a un maestro, o lo mandavano a scuola (ludus, ludus litterarius).

Semplice era l'insegnamento che si impartiva nei primi tempi; l'antico Romano ne aveva abbastanza degli studi quando sapeva leggere, scrivere e far di conto. Ma negli ultimi anni della repubblica e durante l'impero l'istruzione del giovane, fattasi più complessa, passava per tre gradi; i primi due, l'insegnamento del litterator e degli altri maestri elementari e, successivamente, quello del grammatico costituivano il corso normale degli studi elementari e medi; seguiva, come corso di perfezionamento, non così frequentato come i due primi, la scuola del rhetor, che addestrava i giovani nell'eloquenza prima che entrassero nella vita pubblica. Le lezioni elementari si facevano nella scuola del ludi magister un privato che insegnava a leggere e a scrivere. Questo era più compito del litterator; quando i ragazzi avevano imparato a leggere e a scrivere alla meglio, si perfezionavano nella scrittura e imparavano a far di conto e a stenografare sotto la guida, rispettivamente, del tibrarius, del calculator e del notarius, maestri elementari anch'essi.



Si faceva lezione in qualche stanzuccia (tabernae, pergulae) o anche all'aperto. L'anno scolastico cominciava di marzo dopo le Quinquatrus, festa in onore di Minerva e sacra soprattutto agli scolari; vi erano delle vacanze nei giorni festivi e ogni nove giorni (nundinae). Che fosse ufficialmente stabilito un periodo estivo di vacanze non risulta in modo chiaro; ma vi era l'uso di far riposare i ragazzi durante la calda estate. L'orario scolastico era di sei ore: le lezioni cominciavano di buon mattino, venivano interrotte verso mezzogiorno, quando gli scolari tornavano a casa per il prandium (pranzo), e riprese nel pomeriggio.

L'arredamento della scuola era semplice. Solo in qualche scuola e in certi casi gli scolari si riunivano col maestro intorno una tavola; di regola non vi era il banco ne' per il maestro ne' per gli scolari; il maestro stava seduto su di una seggiola con spalliera (cathedra) o senza (sella), gli scolari su sgabelli, tenendo sulle ginocchia la tavola su cui scrivevano e che si portavano con se', insieme con la penna, la carta, l'inchiostro.

Terminati gli studi elementari cominciava sotto la guida del grammaticus l'insegnamento medio. Anche questo, secondo gli usi e le possibilità delle famiglie, veniva impartito o in casa o in una scuola pubblica tenuta da un privato. Le prime scuole pubbliche di grammatica si aprirono verso la metà del II secolo a. C., e si moltiplicarono rapidamente; prima ancora della caduta della repubblica, nella sola Roma, erano più di venti.

Nella scuola del grammaticus si imparavano la lingua e la letteratura greca e latina, studiandole soprattutto sui poeti, e un corredo di nozioni fondamentali di storia, di geografia, di fisica, di astronomia, necessarie a ben comprendere ciò che si leggeva. Nello studio dei testi, che di solito erano dettati, lo scolaro imparava a ben pronunziare, a leggere con sentimento, a chiarirne il contenuto e a intenderne la metrica. Il maestro, letti i testi, obbligava gli scolari a impararne dei passi a mente e a farne delle esposizioni orali e scritte. Enorme importanza ha per la storia della letteratura romana stabilire quali autori venissero letti di preferenza nelle scuole; le adozioni dei grammatici influirono sul gusto, determinarono la tradizione letteraria e, ripercuotendosi sul mercato librario, divennero uno degli elementi che più agirono sulla fortuna degli autori nelle età seguenti. Testi nobilissimi, non letti nelle scuole e perciò non ricercati, svero dalla circolazione e non giunsero sino a noi. Degli autori greci il più letto era Omero; fra i Latini durante la repubblica erano in onore gli antichi autori, come Andronico ed Ennio.



Dalla scuola del grammaticus si usciva conoscendo a perfezione il latino e il greco; cioè le due lingue che una persona colta doveva necessariamente parlare. Il greco infatti era largamente conosciuto nel mondo romano: i contatti di data antichissima con la Magna Grecia, la permanenza di molti Romani, soldati, per esempio, e commercianti, nelle province orientali ellenizzate, fecero dei Romani un popolo bilingue.

Il rethor era professore di eloquenza; alla sua scuola i giovani si preparavano alla vita pubblica allargando la propria cultura con lo studio dei testi classici, fra i quali si dava la massima importanza ai prosatori, e scaltrendosi, con una tecnica metodica, nella difficile arte del dire. Le prime scuole di retorica furono aperte nel II secolo a. C.. Sve invece l'antico uso romano secondo il quale l'eloquenza si imparava per pratica, cominciando sin da giovinetti a frequentare il foro in comnia del padre o di qualche avvocato di grido.

L'insegnamento richiedeva dagli alunni esercizi scritti e orali I primi consistevano in composizioni più varie di quelle assegnate dal grammaticus e graduate secondo la difficoltà: narrazioni, lodi o biasimi di uomini

celebri nella storia, brevi discussioni, confronti ecc. Oralmente si facevano degli esercizi pratici di eloquenza che avevano la forma o di suasoriae o di controversiae. Le suasoriae erano monologhi nei quali noti personaggi della mitologia o della storia prima di prendere una grave decisione ne pesavano gli argomenti favorevoli e contrari; nelle controversiae si svolgeva un dibattito fra due scolari che sostenevano due tesi opposte. Non era una discussione animata, a base di botte e risposte, che ponendo lo scolaro di fronte all'imprevisto lo abituasse all'agile schermaglia del foro, ma l'esposizione continuata di due punti di vista contraddittori. Alle esercitazioni davanti al retore poteva essere ammesso il pubblico, anzitutto le famiglie degli scolari. Propriamente le suasoriae abituavano al genere deliberativo, le controversiae al giudiziale.







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