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Natura e carattere di Annibale

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Natura e carattere di Annibale

Sia lecito dichiarare in una parte dell'opera (ad opera iniziata) ciò che la maggior parte degli storici ha annunciato all'inizio dell'opera intera, [cioè] che mi accingo a scrivere della guerra più memorabile tra tutte quelle che mai siano state combattute, che i Cartaginesi, sotto il comando di Annibale, combatterono contro il popolo Romano. È anche fama che Annibale circa all'età di nove anni - chiedendo con gesti infantili al padre Amilcare che lo portasse [con sé] in Sna, mentre il padre, finita la guerra africana e sul punto di trasferire l'esercito in Sna, celebrava un sacrificio - tratto dinanzi agli altari, con le mani posate sugli arredi sacri, fosse spinto a giurare che, non appena avesse potuto, sarebbe stato nemico del popolo romano.

L. XXI, cap. 3

Non vi fu alcun dubbio che il favore della plebe si sarebbe conformato alla scelta dei soldati di porlo al posto di Asdrubale, scelta grazie alla quale il giovane Annibale, chiamato davanti al pretorio, era stato designato comandante tra le grida di assenso di tutti.

L, XXI, cap. 4

Inviato Annibale in Sna, subito al primo arrivo attrasse a sé tutto l'esercito; i soldati anziani credevano che fosse tornato l'Arnilcare giovane, vedevano il medesimo vigore nel suo sguardo, la medesima forza negli occhi, la medesima conformazione e i medesimi lineamenti del volto. In seguito, in breve tempo ottenne il risultato che il padre fosse di scarsissimo peso per conquistare il favore (dei soldati). Mai un ingegno simile si rivelò più adatto a compiere le azioni più diverse tra loro, ad obbedire e a comandare. Pertanto, non facilmente avresti potuto distinguere se fosse più caro al comandante o all'esercito; né Asdrubale preferiva porre a capo alcun altro, quando qualcosa fosse da condurre in maniera coraggio e valore; né i soldati, sotto un altro comandante, avevano maggiore fiducia oppure osavano di più. Era di estrema audacia nell'affrontare i pericoli (era a lui moltissimo di audacia verso i pericoli da affrontare), di grandissima saggezza in mezzo ai pericoli stessi. Il suo corpo non avrebbe potuto essere stancato da nessuna fatica, cosi come il suo animo. Uguale la resistenza al caldo e al freddo; la misura del mangiare e del bere limitata al desiderio naturale, non al piacere; i momenti della veglia e del sonno non erano scelti né di notte né di giorno; veniva concesso al riposo ciò che avanzava dalle occupazioni da svolgere: il riposo non era ricercato né in un morbido letto né nel silenzio; spesso molti soldati lo videro avvolto in un mantello militare, sdraiato per terra, tra i corpi di guardia e i distaccamenti dei soldati. Il suo vestito non si distingueva da quello dei suoi coetanei; si notavano le armi e i cavalli. Era di gran lunga il più forte allo stesso tempo dei cavalieri e dei fanti, era il primo ad entrare in battaglia, l'ultimo ad uscirne (usciva per ultimo, attaccata battaglia). Enormi vizi eguagliavano queste virtù tanto grandi dell'eroe: una crudeltà inumana, una slealtà superiore a quella tipica dei Cartaginesi, non credeva ad alcunché di vero o di sacro, non aveva alcun timore degli dei, alcun rispetto per i giuramenti, alcuno scrupolo. Militò per tre anni sotto il comando di Asdiubale con questo naturale insieme di virtù e di vizi, senza avere trascurato ciò che sia da farsi e da evitarsi da parte di un grande futuro generale.
















La traversata delle alpi

Annibale dalla Druenza, attraverso territori per lo più pianeggianti, giunse alle Alpi, senza trovare l'opposizione dei Galli che abitano quei luoghi. Allora, sebbene ciò [l'aspetto spaventoso delle montagne] fosse stato anticipato dalla fama, da cui le cose poco conosciute sono solite essere raccontate più grandi del vero, tuttavia l'altezza delle montagne scorta da lontano, e le nevi [i ghiacciai] che quasi si confondevano con il [erano mescolati al] cielo, le rozze abitazioni costruite sulle rocce, i greggi e gli animali da soma intirizziti dal freddo, gli uomini non rasati e trasandati, ogni cosa animata ed inanimata irrigidita dal gelo, e tutto il resto più orrendo a vedersi che a dirsi, rinnovarono lo spavento. Alle avanguardie (coloro che facevano avanzare l'esercito sulle prime balze) apparvero i montanari che abitavano le alture dominanti, i quali, se avessero occupato vallate più nascoste, balzando giù [coorti] all'improvviso a combattere, avrebbero causato una fuga rovinosa e un'ingente strage. Annibale ordinò di fermare le insegne; essendo stati inviati innanzi dei Galli a perlustrare i luoghi, dopo avere appreso che per di là [ea] non vi era transito, pose [pone] l'accampamento tra luoghi ovunque dirupati e scoscesi, nella valle più vasta che poté [trovare]. Allora, informato dai medesimi Galli - avendo [questi] attaccato discorso con gli alpigiani, [dai quali] non differivano molto per lingua e costumi - che il valico era occupato soltanto durante il giorno, [e che] di notte ciascuno si disperdeva nelle proprie abitazioni, all'alba si portò sotto le alture, come se avesse intenzione [mostrando l'intenzione] di passare con la forza il passo [fare forza attraverso gli stretti valichi] manifestamente e di giorno. Trascorsa quindi la giornata fingendo [di fare] altro, rispetto a ciò che si preparava, dopo avere fortificato l'accampamento nel medesimo luogo in cui si erano stanziati, non appena si avvide che i montanari avevano abbandonato le alture e diminuito la sorveglianza, accesi [fatti] in apparenza [in speciem] più fuochi di quanto non occorresse per il numero di coloro che rimanevano [nell'accampamento], e lasciati i bagagli con la cavalleria e la maggior parte dei fanti, egli stesso con truppe leggere, [scelte tra] gli uomini più valorosi, rapidamente usci [esce] dalle strette e prende posizione su quelle stesse alture che avevano occupato i nemici.


L. XXI, cap. 33

Poi, alla prima luce [dell'alba] fu tolto il campo e il resto dell'esercito si mise in marcia. Già gli alpigiani, al segno convenuto, raggiungevano dai propri villaggi i consueti posti di guardia, quando improvvisamente vedono alcuni nemici, occupata la vetta, sovrastare sopra di loro, altri avanzare per la strada. Entrambe le cose, poste davanti contemporaneamente ai loro occhi e ai loro animi, li tennero immobili per un po'; quindi, come videro la confusione [che c'era] nelle strette e lo stesso esercito essere confuso dal proprio disordine, essendo soprattutto i cavalli spaventati, pensando che qualcosa di terrore che avessero aggiunto essi stessi sarebbe stato sufficiente per la loro rovina, si calano da diverse rupi, essendo avvezzi ugualmente ai sentieri impraticabili come a quelli fuori mano. Allora invero i Cartaginesi erano alla prese con i nemici e allo stesso tempo con l'asperità del terreno [dei luoghi] la battaglia era più tra di loro che con i nemici [era pii:' di battaglia tra di loro], poiché ciascuno si sforzava di allontanarsi prima dal pericolo. Rendevano la marcia pericolosa soprattutto i cavalli, i quali si agitavano spaventati da rumori confusi, che anche i boschi e le valli riecheggianti amplificavano, e, per caso colpiti ù feriti, si spaventavano a tal punto da causare ingente strage di uomini e di bagagli di ogni genere; e la confusione fece precipitare molti - ed anche armati - in burroni profondissimi, poiché vi erano precipizi e gole dirupate [scoscese] d'ambo i lati; soprattutto precipitavano rovinosamente [come una frana] gli animali da soma con le salmerie. E sebbene ciò fosse orrendo a vedersi tuttavia Annibale non si mosse e trattenne i suoi per non aumentare la confusione e il panico. Quindi dopo aver visto che l'esercito era tagliato in due e che vi era il pericolo di trasportare l'esercito inutilmente incolume [ma] privo dei bagagli, corse giù dalle alture e, pur avendo messo in fuga i nemici con il solo assalto, accrebbe ancora la confusione dei [ai] suoi. Ma quella confusione in breve tempo, poiché la via era stata liberata per la fuga dei montanari, venne sedata, né soltanto con calma ma quasi in silenzio rapidamente tutti passarono. In seguito occupò un villaggio che era il principale di quella regione, e i borghi circonvicini, e, razziato cibo e bestiame, per tre giorni nutri l'esercito, e, poiché  [i Cartaginesi] non erano ostacolati né dagli alpigiani battuti nel primo scontro né molto dal[la natura del] luogo, in quei tre giorni percorse alquanto cammino [alquanto del tragitto].

L. XXQ, cap. 34

Si giunse poi ad un altro paese popoloso, per quanto è possibile tra i montanari. Lì fu quasi insidiato, non da guerra aperta ma dalle sue stesse arti, la frode e gli inganni. I capi più anziani dei villaggi andarono da Annibale come oratori, istruiti con utile esempio dai mali altrui, dicendo che preferivano sperimentare l'amicizia dei Cartaginesi piuttosto che la forza; pertanto avrebbero fatto obbedientemente ciò che fosse stato ordinato. Accetti [Annibale] viveri, guide a garanzia delle promesse fatte agli ostaggi. Annibale giudicando di non dover credere avventatamente né di dover disdegnare, affinché se fossero stati respinti apertamente non diventassero dei nemici. Dopo aver risposto benevolmente, accettati gli ostaggi che offrivano, servendosi dei viveri che essi stessi avevano recato durante la marcia, segue le loro guide con l'esercito nient'affatto come [avviene] tra genti amiche. L'avanguardia era formata da elefanti e dai cavalieri, mentre egli procedeva dietro col nerbo della fanteria, vigile e osservando tutto intorno a sé. Quando giunsero a una strada più stretta e da un lato posta sotto un giogo che sovrastava dall'alto, da ogni parte i barbari [usciti] dai nascondigli, balzando fuori di fronte e alle spalle, attaccano da vicino e da lontano, [e] fanno rotolare sull'esercito enormi massi. L'offensiva maggiore degli uomini incalzava da dietro. La linea dei fanti rivoltasi contro di loro, mostrò senza dubbio che, se la retroguardia non fosse stata rinforzata, si sarebbe ricevuta in quel valico un'enorme disfatta. Anche così si giunse all'estremo del pericolo e quasi alla rovina. Infatti mentre Annibale esitava a far passare l'esercito per le strette .






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