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Seneca

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Seneca


La vita

Lucio Anneo Sèneca, scrittore e filosofo latino nato a Cordova intorno al 5-4 a.C. Appartenenne a una benestante famiglia snola, ricevette in Roma, per volontà del padre, Seneca il Retore, e insieme con i fratelli Novato e Mela, un'accurata educazione grammaticale e retorica, nonché filosofica, sotto la guida del neopitagorico Sozione e degli stoici Papirio e Attalo, rimanendo fortemente attratto dai loro austeri ideali di vita. A motivo della salute cagionevole o perché indotto dal padre, contrario all'attività filosofica, verso i venticinque anni si recò in Egitto, dove ebbe modo di ritemprare il fisico e di ampliare la sua cultura. Di ritorno a Roma, intraprese la carriera forense e iniziò con la questura il cursus honorum. I successi oratori gli procacciarono fama e ammirazione nel gran mondo della capitale, ma furono altresì causa delle prime disgrazie. Geloso della sua eloquenza, o più probabilmente contrariato dai princìpi politici in essa espressi, Caligola pensò di disfarsi di lui, risparmiandolo solo nella convinzione, suggeritagli da una sua favorita, che sarebbe morto presto di consunzione. Nel 41 d.C., coinvolto in un'accusa di adulterio contro Giulia Livilla, alla quale non erano estranei gli intrighi di Messalina, venne relegato da Claudio in Corsica. Il forzato distacco dalla società romana gli pesò tanto che si abbassò a meschine adulazioni per ottenere il ritorno. Ma soltanto dopo otto anni (49 d.C.) poté rientrare a Roma, quando Agrippina, la nuova moglie di Claudio, lo fece richiamare per affidargli l'educazione del lio Nerone. Per riconoscenza della libertà riacquistata non meno che per la fiducia di preparare il precoce ingegno del giovane principe, Seneca assunse l'incarico. Come Nerone divenne imperatore (54 d.C.), gli rimase accanto in qualità di consigliere e ne guidò felicemente la politica per cinque anni. Poi la crescente pretesa di Agrippina di intervenire nella direzione del governo e il risentimento del lio, insofferente della sua ambiziosa tutela, crearono una situazione insostenibile, che si risolse nel matricidio. Seneca vi ebbe la sua parte, anche se non si sa quale. La ragion di Stato prevalse probabilmente in lui su ogni altra considerazione. Ciò nonostante la sua posizione presso Nerone si indebolì sempre più, cosicché egli si trasse in disparte, dedicandosi alla vita contemplativa e alla speculazione filosofica. La conclusione della sua esistenza avvenne nel clima di terrore instaurato da Nerone, ormai libero da ogni freno: accusato di aver partecipato alla congiura capeggiata da Calpurnio Pisone, si tolse la vita con l'eroica serenità dello stoico nel 65 d.C. Della sua molteplice attività letteraria è giunta, pressoché completa, la produzione di contenuto filosofico-morale, insieme con quella drammatica, una sorta di menippea, nota con il titolo di Apocolocynthosis (Zucchificazione), sulla sorte di Claudio dopo la morte, e una raccolta di epigrammi di dubbia autenticità. La produzione filosofica comprende: Dialogorum libri (Dialoghi) contenenti sette trattati, due trattati staccati dai precedenti, problemi della natura in sette libri (Naturalium Quaestionum). Dell'attività di drammaturgo sono tramandate nove coturnate. L'ultima, ma non meno importante, opera di Seneca sono le Epistole morales ad Lucilium.




Le lettere a Lucilio

Le epistole sono l'opera filosofica più importante di Seneca, in cui egli esprime nel modo più maturo e personale la sua visione della vita e dell'uomo. E' una raccolta di 124 lettere distribuite in 20 libri.

Le lettere sono una appassionata riflessione su problemi di filosofia morale, egli scrive per giovare non solo all'amioco e a se stesso, ma anche per i posteri. Gli spunti per le lettere sono tratti dalla vita quotidiana e utilizzati in funzione morale, infatti in tono dell'esposizione è familiare e colloquiale.


La tematica del viaggio nelle lettere

La tematica del viaggio è una delle più importanti nelle epistole, se ne parla in molti sensi: viaggio spirituale, viaggio inteso come cambiamento di luogo, il viaggio della vita, .

Ecco come si rivolge Seneca a Lucilio parlando del viaggio:

"Questo  tu ritieni che sia accaduto solo a te e ti meravigli, quasi che fosse una cosa insolita, del fatto che nonostante un viaggio tanto lungo ed una tanto grande varietà di luoghi non sei riuscito a scuoterti di dosso l'oscuro peso dell'animo?Devi cambiare la tua interiorità non l'ambiente. Abbia tu pure attraversato il vasto mare, si allontanino pure, come dice il nostro Virgilio Le terre e le città, ti seguiranno i tuoi vizi ovunque arriverai. Questa medesima cosa rispose Socrate ad un tale che si lagnava: "Perché ti meravigli che a nulla ti giovino i tuoi viaggi, mentre te ne vai in giro? Ti angoscia lo stesso motivo che ti ha spinto a partire" A che cosa può giovare la novità delle terre? A cosa la conoscenza di città o luoghi? Questo continuo movimento si perde nel vuoto. Ti domandi per quale motivo codesta fuga non ti aiuti? Tu fuggi in comnia di te stesso"

( ep. 28)


È inutile tentare di raggiungere la serenità cambiando luogo. Solamente cambiando se stessi innanzi tutto attraverso la consapevolezza del proprio male, si può pervenire alla guarigione dalla propria in­quietudine interiore.


In quest'epistola, Seneca svolge, per l'ennesima volta il tema relativo alla dimensione dell'interiorità e della malattia dell'animo che si identifica con il disagio, il tormento non identificabile in maniera precisa ma, proprio per questo, così difficile da scongiurare. Tale discorso si collega a quello degli occupati che cercano nell'esteriorità un significato alla propria esistenza ed una risposta alle esigenze della vita. Talora questo stato di malinconia spinge alcuni a cercare di distrarsi, per vincere e sfuggire a questo taedium, esso è in realtà dentro di noi, è uno status da cui non riusciamo a liberarci finchè non lo affrontiamo direttamente. Non servono viaggi né ricerche di lande esotiche e sconosciute, nulla può vincere quest'angoscia che ci attanaglia perché il vero problema, il male che ci perseguita, continua a seguirci: siamo noi. Se non riusciremo a vincere questo male, non potremo stare bene in nessun luogo, viceversa quando avremo raggiunto l'equilibrio interiore, qualsiasi luogo, anche il più desolato, qualsiasi condizione per quanto imposta, sarà per noi ottimale.


O ancora:


'Un viaggio che giovamento ha mai potuto dare? Non modera i piaceri, non frena le passioni, non reprime l'ira, non fiacca gli indomabili impulsi dell'amore, insomma, non libera da nessun male. Non rende assennati, non dissipa l'errore, ma ci attrae temporaneamente con qualche novità come un bambino che ammiri cose sconosciute. Rende, invece, lo spirito già gravemente infermo, ancora più incostante, e questo agitarsi lo fa diventare più instabile e volubile. E così gli uomini abbandonano con più smania quei posti che avevano tanto smaniosamente cercato e se ne vanno più velocemente di quanto erano venuti. [] Fino a quando ignorerai che cosa si deve fuggire, che cosa ricercare, che cosa è necessario o superfluo, giusto o ingiusto, questo non sarà viaggiare, ma vagabondare'


Per Seneca la vita stessa è un viaggio, e a riguardo esprime il suo pensiero in elcuni passi delle epistole a Lucilio:


"Spesso si dovrebbe morire e non si vuol morire, si sta morendo e non si vorrebbe morire.

Non c'è persona così sprovveduta da non sapere che presto o tardi si deve morire: quando però si avvicina alla fine, cerca di guadagnare tempo, trema, si lamenta. Non ti sembrerebbe estremamente sciocco uno che piangesse perché non è vissuto mille anni fa? Altrettanto sciocco è uno che piange perché non sarà più vivo tra mille anni! Le cose si equivalgono: non ci sarai più e non c'eri. Non ti appartiene né questo tempo né quello.

Sei stato proiettato in questo spazio brevissimo di tempo: e ammesso che tu possa prolungarlo, fino a quando lo prolungherai? Perché piangi? Cosa speri? è fatica sprecata.

Non sperar che si pieghi alle tue suppliche
il volere degli dei

Sono immutabili e definitivi i voleri degli dei, e a guidarli è una legge inesorabile, grande ed eterna. Tu andrai là dove va ogni cosa.

È una novità per te? Sei fatto per obbedire a questa legge: questo è successo a tuo padre, a tua madre, ai tuoi antenati, a tutti prima di te, a tutti dopo di te. è una catena di eventi che non si spezza e che nessuna forza può cambiare, quella che lega e trascina ogni cosa.

Quanta gente destinata a morire ti seguirà? Quanta ti farà comnia? Avresti più coraggio, io credo, se insieme con te morissero migliaia e migliaia di persone. Eppure, proprio nell'istante in cui tu esiti a morire, migliaia e migliaia di uomini e di animali, sia pure in vario modo, esalano l'ultimo respiro! E tu non pensavi che presto o tardi saresti arrivato a quella meta verso cui eri incamminato da sempre? Non c'è viaggio che non abbia fine."

( ep

Seneca paragona così la vita al viaggio:


"Un viaggio sarà incompiuto, se ti fermerai a metà strada o prima di avere raggiunto il luogo prefisso: invece la vita non è mai incompiuta, se è onesta. In qualunque momento cesserai di vivere, se cesserai bene, la tua vita sarà completa".


In una lettera in particolare Seneca parla al suo amico Lucilio di un luogo che anche il giovane lucilio si appresta a visitare: la Sicilia e in particolare l'Etna.


"attendo lettere da te, le quali mi dicano che cosa hai appreso di nuovo girando per tutta la Sicilia, e quali notizie intorno a Cariddi sono più esatte. Giacchè riguardo a Scilla so benissimo che è una rupe, la quale non incute affatto paura ai naviganti:invece, riguardo a Cariddi, vorrei che mi scrivessi minutamente se il fenomeno corrisponde a quanto si racconta; e, se per caso hai posto attenzione- la cosa è degna di attenzione!-, informami se un solo vento ivi produce i vortici od ogni9 procellosa solleva in alto ugualmente quel mare,e se veramente, quanto è stato inghiottito da quel gorgo, viene trascinato per molte miglia sottaqua ed emerge presso la spiaggia di taormina. Se risponderai esaurientemente a queste domande, allora ardirò darti l'incarico di salire anche l'Etna per conto mio; infatti certuni dicono che tale monte va riducendosi ed a poco a poco abbassandosi, perche una volta soleva apparire ai naviganti a maggior distanza. Cio puo accadere non perche l'altezza del monte diminuisce, ma perche il fuoco si è attenuato e vien fuori con minor impeto  ed abbondanza, mentre per lo stesso motivo anche il fumo di giorno è piu lento. Ne l'una ne l'altra cosa poi appare incredibile, ne che il monte, consumandosi ogni giorno, diminuisca ne che permanga in medesimo; giacchè non il fuoco rode il monte, ma, formatosi in una cavità sotterranea, ribolle e di un'altra materia si pasce, trovando nel monte non già l'alimento, ma la via d'uscita. In Licia vi è una regione a tutti nota, che gli abitanti chiamano Efestione, dove il suolo presenta parecchie buche ed è lambito da un fuoco innocuo, senza alcun danno delle piante. Pertanto il luogo è fertile ed erboso, perche le fiamme non brucianonulla, ma mandano soltanto debolissimi bagliori . .".


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